64. STORIE DAI BORGHI E DOVE TROVARLE: QUI, ANCORA, E PERCHE'.

Il tempo qui non è stato
che un pezzo di cartone,
un sobbalzo. La porta
si chiude per l’ultima volta.
Il fascio di forze domestiche
il genio del luogo
saluto ora con ringraziamento.
A tutto ciò che tace perfettamente
e che sempre qui dentro ha taciuto
a ciò che non appare
in questa casa vuota
e resta come in larga attesa.
A questo punto del mondo, alto sulla città vecchia
a questa cuccia di luce e conforto
in cui abbiamo amato meglio che potevamo
e dormito bene nella sua pace
e fatto tutte le cose umane
delle vite, al mio cuore
senza tristezza che tutto saluta
contento, come esercizio
di distaccamento, come grande
scuola del trasloco e del suo lasciare la presa.
Vi lascio, cose.
Il vostro mancarmi sia la melodia
che ora mi guida:
La schiena liberata dal peso
stia dritta in attesa
della più alta impresa.
Il bastarmi del poco e del niente che serve.
E il resto sia vuoto. Sia intesa
con tutto ciò che non pesa.
Ricordate questa poesia? E’ di Mariangela Gualtieri, si chiama Esercizio del trasloco. La postavo qui a fine dicembre 2014, straziata dall’abbandono della mia vecchia casa, quella dove avevo vissuto vent’anni, dove i figli bambini avevano gattonato e poi corso nel corridoio e poi si erano chiusi in camera a sentire musica, quella dove avevo scritto, amato, dove avevo bevuto spremuta d’arancia per un’influenza, dove avevo pianto, riso, sognato.
Separarsi dalla propria casa significa lasciare un pezzo della propria vita dietro di sé, dire addio, e ricominciare. Credo che accada, se non a tutti, a parecchi: almeno a quelli un po’ (tanto) sentimentali e fragili come io sono.
Ora, immaginate.
Lo chiedo a chi, con parole gentili o, altrove, più brusche, dice che non se ne può più di sentir raccontare queste storie, e che sarà mai, e non sei più trendy, e noi si vuole la bella sanguigna polemicona letteraria o femminista, il postarello vispo o graffiante. E basta, sono vivi questi terremotati, che sarà mai.
Che sarà mai, giusto. Pensa, tu che sbuffi, al non poter neanche dire addio alla tua casa. Non poter abbracciare piangendo il tuo compagno o compagna mentre chiudi per l’ultima volta la porta. Perché la porta non c’è più e la casa non c’è più e tu non hai avuto neanche il tempo di dirle addio, e quindi di chiudere un percorso, e se i percorsi non si chiudono il lutto rimane bruciante.
Pensa, anche, ai tuoi gatti, o cani. Quelli che quando torni la sera si strusciano sulle tue gambe sottintendendo “sei mia, cara, sei tornata, e, sì, fuori i croccantini”. Pensa ai gatti e cani dispersi nel terremoto: a loro Silvia Ballestra ha dedicato un gran bel libro che è appena uscito, Vicini alla terra. Pensa insomma a quel che fa parte della tua vita. O del tuo lavoro. Agli allevamenti di animali. Alle aziende. Pensa a quel che vuoi.
Immagina che tu non solo non abbia più nulla, ma che dai primi giorni di novembre tu sia altrove, al mare, in albergo, e che caspita fai in albergo al mare, la vacanza? E che vacanza, se non hai scelto e non volevi, e vorresti invece essere dove hai scelto di essere? Pensa alle promesse che ti fanno: dai dai, a dicembre i container, ad aprile le casette, e pensa invece che quelle casette, lo scopri, te le daranno a Natale 2017, se va bene, e che adesso stanno cercando un posto dove piazzarti di nuovo, perché la stagione comincia e qui insomma non puoi restare.
Pensa un po’ a questo, caro lettore o lettrice, e sopportami ancora, perché finché ci saranno storie da raccontare, io le racconterò. E se questo ti annoia e non è trendy e non è materiale per un link o una segnalazione o persino spunto per un libro divertente dovesirideunsacco, pazienza.
Questo sento di dover fare, questo faccio. A chi continua a leggere, il più profondo dei ringraziamenti.

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