Sull’ultimo numero della rivista Link (sì, la pubblica Mediaset) c’è un molto raccomandabile articolo di Fulvio Carmagnola, docente di estetica e autore, con Mauro Ferraresi, di un saggio che si chiamava Merci di culto (a me piacque, al Miserabile Scrittore temo proprio di no).Carmagnola interviene sul mito, interpretandolo non come il passato che si oppone alla “barbarie tecnocratica”, ma come una delle possibili modalità mediatiche del presente, “una delle manifestazioni dell’immaginario” in un ambiente dove i media sono, gioco forza, fra loro integrati (e questo sarà uno dei punti su cui discutere, sabato prossimo a Galassia Gutenberg).
Ora, in un momento in cui si tende a liquidare la postmodernità in modo più o meno sbrigativo, Carmagnola osa parlarne in termini diversi. Così:
“La postmodernità ha rivelato la natura profondamente finzionale del mito e della narrazione mitologica…Prima vivevamo nell’illusione della presenza di un’immaginazione simbolica…mentre oggi viviamo piuttosto la consapevolezza della natura immaginaria di quei simboli che così accortamente maneggiamo. Questa circostanza a mio parere non deve suscitare alcune nostalgia, solo una maggiore consapevolezza che vecchie parole ricoprono e a volte occultano nuove realtà culturali. Tra l’altro questa situazione rende anche evidente che il posto occupato nel regime immaginario da un grande totem della modernità come l’arte è differente rispetto a prima. L’arte, nel regime dell’immaginario mediale, ha perduto, e molti lo ammettono, il suo valore esemplare. Per comprendere questa situazione dobbiamo riflettere sul fatto che forse oggi per la prima volta stiamo vivendo la effettiva e definitiva dissoluzione di tutti i grandi elementi di fondazione della modernità. Eppure questa consapevolezza non è affatto nuova. In realtà la famosa espressione hegeliana che sanciva la morte dell’arte (un po’ in anticipo a dire il vero) e secondo la quale l’arte è per noi qualcosa che appartiene al passato, se la vediamo alle luce di queste considerazioni non è altroché nè più né meno, la constatazione della morte del simbolico. Quella che oggi stiamo vivendo”.
(che poi non sia, forse, sempre legittimo parlare di morte, tramonto, fine etc. a proposito dei Grandi Elementi Fondativi è cosa che può trovare d’accordo. Però…)
integrati, ohi ohi…
Nel senso di contigui, Herr. non nel senso di funzionali al Sistema o ai Poteri Forti eccetera…
Secondo, parlo da profano, ma viviamo nel momento di massimo dominio del simbolico: perchè i simboli, grazie ai media, entrano in ogni casa, in ogni dove. Ogni pubblicità contiene simboli, così come ogni dichiarazione di Bush e Berlusconi. Continui richiami a Dio, eccetera. Viviamo un’era di esplosione del simbolico – e anche di gran confusione di simboli.
Lo so, cara La Lipperini, ma anche nel senso di contigui: ohibò (ho variato almeno l’interiezione)
Non credo che il simbolo sia morto (se non simbolicamente), temo però sia divenuto trasparente, perdendo la tensione del sacro (nel senso laico del termine).
O del terribile, se si preferisce.
Ecco, sì, abbiamo smarrito il senso del terribile (in fondo, oggi basta compulsare il telecomando)
“Vecchie parole ricoprono e occultano nuove realtà culturali”. Sarà. Ma sarà vecchia o nuova la giornalista che insulta le vecchie per via della loto bruttezza-vecchiaia? E sarà solo romana? Viene dalla tradizione di Alberto Sordi? E come spiegarselo l’astio? Semplice paura di un invecchiamento imminente? E come mai altre popolazioni europee e non, hanno un altro atteggiamento riguardo ai “negretti”? Contano o no le “parole”, i “termini” con cui si definiscono gli altri? E quanto? Perchè a Roma trovi sempre l’abbacchione/a che dopo aver detto l’ennesima castronata, si corregge con un “Ma stavo a scherzà!”, o “O, ma era una battuta! mo manco na battuta se po’ fa!” o, “Ma sei te che nun hai capito”, o , quando trattasi di individui similieducati “Ma lei non è affatto spiritosa!”. Scusate, eh? Visto che si parla di miti e mitologie del contemporaneo, e per un approfondimentosull’argomento “vecchiaia/femminilità/stile” io di “cagare qui”, le cose che scrivo non sono capace. E vogliosa di collaborare fattivamente e alacremente alla “discusione” vi invito al numero 26 di http://www.ilpostodeilibri.it. per una veloce e leggera scampagnata. A Renoir!
http://www.miserabili.com/archives/2005/02/il_loro_insoppo.html#017346
Ma quale morte del simbolico! Semplicemente il simbolico vive oggi più frequentemente altrove che nelle scienze umanistiche. Vedi scienze naturali. Tutta la logica della scoperta scientifica è impregnata di simboli. Consiglierei due letture:
“La Specie Simbolica di Deacon, ed. Giovanni Fioriti (testo scientifico) e
“Cronosensitività”, una teoria per lo studio filosofico dei linguaggi di Marcello La Matina, ed. Carocci, che è il migliore saggio in assoluto per novità e fondamenta solide uscito nel 2004.
Rimango inoltre sempre attuali gli studi in proposito di Pavel Florenskj.
Il “simbolo” non è più vissuto come qualcosa di esterno a sé, ma come qualcosa che è o dovrebbe essere dentro se stessi.
Per non farla complicata, più che di simboli, parlerei di oggetti, e direi che la perdità progressiva di identità collettiva ed individuale ha fatto sì che, in mancanza di altro, si desidera (e si ottiene) l’identità propria degli oggetti.
Questo il dramma “post-moderno” che mi pare di intravedere. E l’uomo che “si fa oggetto” pur di avere una sua propria identità, non credo sia dramma da poco.
genna si diverte: “Che cavolo è un simbolo per questi supposti postmoderni tricolori? Sarebbe un simbolo la freccia bianca in campo blu che indica il senso unico nelle vie, alla Sartre? Stiamo scherzando, vero? Cioè: il televisore McGuffin in 54 dei Wu Ming, che è un oggetto inorganico che manifesta vita psichica, sarebbe un’evenienza della natura finzionale del sistema simbolico? E il Cary Grant di 54, uno che è esistito e qui esiste in maniera diversa essendo peraltro morto, testimonia dell’indebolimento del simbolico? I Wu Ming, anziché raccontare storie, sarebbero ironici per consapevolezza di metalivelli laici? Come è possibile maneggiare così poco accortamente un armamentario che non può darsi slegato da una teoria della percezione e, in ultima analisi, non tanto da una teoria della storia, ma direttamente da una teoria della psiche e della coscienza?”
Mi diverto a dire cose diverse da Carmagnola.
Oh Genna, ma non state dicendo due cose diverse tu e il carmagnola?
Qui di seguito si apprezzano due critici del Postmoderno che maneggiano accortamente la finzione implicita nel simbolico, di cui i moderni finalmente si sono resi consapevoli: http://www.repubblica.it/2003/e/gallerie/sport/tenis/1.html
Condivido molto l’idea che “viviamo piuttosto la consapevolezza della natura immaginaria di quei simboli che così accortamente maneggiamo”. Mi sembra una spallata intelligente alla retorica contro i “mali” del (più immaginato che conosciuto) postmodernismo.
Ho letto vari pezzi su Link: contenuti spesso davvero interessanti e originali.
Chiuso nel mio furgone del caffè, ho compreso poco ciò che l’esteta voleva significare. Ritengo che il postmoderno sia figlio del rigetto delle ideologie della prima metà del XX secolo, che hanno condotto ad orrori tali che in seguito l’arte e la letteratura non hanno più potuto limitarsi a descrivere il mondo in modo razionale. Il postmoderno è l’apoteosi della soggettività dell’io narrante, per il quale tutto può essere oppure no. Acquistato nella seconda metà degli anni ’90 dal mercato globale, il postmoderno è diventato merce di consumo abusata e svilita. Carmagnola, da quanto vedo dal mio furgone, parla del passato, non del presente.
Ho appena finito di rispondere ad andrea e alla sua lunghissima mail, in cui dimostra di avere dimistichezza con un’unica interpretazione di Lacan, oltre che nessuna familiarità con la tradizione filosofica occidentale tutta, con la storia della letteratura umana, con i processi creativi vissuti dall’interno.
E, inoltre, non pubblico per Mondadori.
ho appena finito di scrivere a genna, il quale dimostra di non avere gran dimestichezza con i termini lacaniani che costituiscono la triade Immaginario-Simbolico-Reale, nonchè con il lavoro di Carmagnola, in particolare il volume La Triste Scienza, che gli farebbe bene leggere. il miserabile ha ancora una volta sputato veleno dalle pagine della sua rivista-vetrina personale arrivando a criticare Carmagnola perchè ha pubblicato su Link di mediaset…ma lui non sta con mondadori? ancora una volta ATTENTI A CLARENCE E AL MISERANDO GENNA.
bravi, continuate così. prima mondadori e adesso mediaset. a quando le lodi di arcore direttamente?
Io il pezzo di Carmagnola l’ho letto. E il suo discorso è molto chiaro. Il sottotitolo del pezzo (furbescamente) dice “Quando Che Guevara diventa icona pop”. E nella sua furbizia rappresenta un’ottima sintesi. Cioè: quando simboli politici o di antiche culture diventano “cultura pop”, “arredamento etnico” (pensate al Kilim sfoggiato nelle case borghesi), o quando “la kafia palestinese di Arafat viene indossata dai personaggi dei film di Virzì” eccetera. Ovvero: i simboli si svuotano del loro portato culturale e politico e diventano immagini, in mezzo ad altre immagini, e Che Guevara entra nell’immaginario collettivo al fianco di Jim Morrison e Cristo (Jesus Christ Superstar?). Per dirla con Carmagnola “si assiste a un’opacizzazione del simbolico (che diventa immagine, icona), una dislocazione del senso che porta dritto all’economia del simbolico, al managment dell’immaginario.
Un tema a mio avviso molto concreto, un processo al quale assistiamo ogni giorno, di fronte al quale nessun simbolo (politico, culturale o religioso) è al riparo. Letto il commento di Genna, molto interessante, ma come critica a Carmagnola non coglie nel segno. Sorry.
Scusate, ma cosa intendete per “simbolo”? Per esempio, avete per caso seguito quella puntata di “8e1/2”, ed in particolare quello che ha detto a tal proposito Cacciari? Posso sbagliarmi, ma credo che non vi sia univocità nell’intendere il significato di questo termine.
Eppure, come spesso accade, se ne parla. E ci si fraintende. O meglio: si crede di fraintendere. Posso sbagliarmi, ripeto, però…
OT
Su I miserabili, nella rubrica interventi, Genna pubblica uno stralcio dell’introduzione di “Interviste” di Hans Ulrich Obrist. Per me quel libro è stato abbastanza importante, nel senso che ho deciso di smettere di pensare che l’arte figurativa è fatta da chi è accreditato come artista dai grandi critici, cioè tutti coloro che sono intervistati. Percorrere quei discorsi mi annoiava. Potrà sembrare una rivolta banale, ma almeno nel mio caso non è così perché ha avuto una ricaduta pratica: ho riempito un lungo scaffale di libreria con dei fumetti d’autore. Ho trovato in quei fumetti tutto ciò che l’arte da museo non sa più dare. Considero molto seriamente David B. il Picasso il Dubuffet il Bacon del nostro tempo. Non l’ho detto a lui personalmente perché si sarebbe messo a ridere. Si sarebbe messo a ridere perché i fumettisti per qualche motivo, fortunatamente, non hanno bisogno di creare un’aura intorno a loro. Si permettono di camminare sulla terra (qualunque sia il senso di quest’espressione, giuro che lo fanno). Più o meno all’inizio del novecento nascevano le avanguardie artistiche e nasceva il fumetto. Quale tra i due termini è rimasto radicale: le mille faraoniche/poverissime installazioni contemporanee o le storie di Joe Sacco, Gabriella Giandelli, Marco Corona, Charles Burnes, David B., Eddie Campbell…
Ah scusate ho dimenticato di firmarmi andrea b come avevo promesso (visto che ora c’è un nuovo andrea nel blog).
andrea b, il motivo per cui ho inserito quel brano dell’introduzione da INTERVISTE è che trovo Hans Ulrich Obrist un sopravvalutato cretino e quel libro lo considero come un diorama dell’impossibilità che QUELLA contemporaneità possa fare alcunché in termini artistici. E’ il motivo per cui ho anche lasciato lo stralcio dell’insulsa lettera di Hans Ulrich Obrist, con Gadamer che gli sussurra all’orecchio una stronzata.
E’ evidente che Carmagnola intenda per simbolo e simbolico diversamente da Genna.
Ma mi dispiace per Carmagnola, perché ciò che intende per simbolico e immaginativo Genna è perfettamente coerente con quanto la tradizione filosofica ha concepito.
A mio parere Carmagnola mostra su questo specifico aspetto una forte lacuna e/o abbaglio.
Inviterei gli scettici a leggersi il capitolo 22 del libro Psiche e techne di Galimberti, Il simbolismo della percezione e il capitolo 23, La Trasposizione dell’immaginazione, e vedere a pag 800 la voce simbolo.
Infine leggersi i libri di Atlan e Morin.
Per Genna, sia chiaro non era un intervento polemico verso di te. Le aperture oltre la letteratura che fai continuamente sul tuo blog sono importantissime e te ne sono grato.
Cara LaLipperini, ho detto la mia da me. Qui segnalo solo Giartosio, sulle discussioni in corso:
http://www.feltrinelli.it/BlogItem?item_id=620
(Curiosità personale: Caro Luminamenti, mi dici perché La Matina scrive Cronosensitività (che è un gran bel libro, e oggi lo riconsegno in biblioteca) senza mai citare neanche per sbaglio un Ricoeur o un Gadamer o anche un ermeneuta d’accatto: eppure gli sarebbero tornati utili. Deacon invece: beh).
Caro g.g.: scherzi?
Ma perché voi tre, lumina azioneparallela e andrea carmagnolesco, non mettete su un blog multiautore sull’estetica filosofica? Avete tre prospettive distinte e comunque aperte. Sarebbe utile a tutti!
andrea b: l’avevo capito! 😉
Non scherzo affatto, Massimo. Secondo me ce n’è bisogno. Non basta l’opera sigolare di continua interpretazione filosofica che tu compi sul tuo blog, peraltro mistificandola pendolarmente come càpita a me con suggestioni critiche. Ravvedo in questi ultimi anni una pressione del filosofico (un filosofico al limite propedeutico, ma con stili innovativi), che segnala una domanda la quale resta insoddisfatta. Se esiste un mitologhema Zizek, non possiamo io e Scarpa discutere da soli intorno a questa cosa, poiché né io né Scarpa né Mozzi abbiamoa disposizione il rigore dei filosofi. Mi pare che il talento di lumina, che leggo e apprezzo da svariati anni in sedi disparate, potrebbe risultare molto utile in questo senso. Anche quello dell’andrea carmagnolesco. Mi chiedo perché non nasca un blog multiautore di ispirazione filosofica. Perché si parla di blog letterari e non di blog filosofici? Se leggo un articolo del paralacaniano Senaldi su NI, mi verrebbe da rispondere, ma non riesco a concentrarmi sulla prospettiva filosofica, che non avverto mia. Non so, la buttavo lì, era pura ipnosi nei vostri confronti… 🙂
a me pare, quella del Giu, una “good idea”.
forse forse l’idea di genna non è poi tanto male. nel senso che, e non vorrei sembrare ripetitivo, uno dei problemi è che parliamo lingue diverse. lo ha ammesso pure lui, il genna (nelle email che ci siamo scambiati e che magari potremmo pubblicare) rimarcando ovviamente la superiorità della sua. insisto, parlare di simbolo e di simbolico come se fossero la stessa cosa non ci porta da nessuna parte. per non parlare del termine “simbolico” indica ambiti assulatamente eterogenei. che si intende per “immaginario”? il “reale” e la “realtà” sono la stessa cosa? cos’è un’icona? e un mito? si può parlare di narrazione mitologica in riferimento a che guevara? e che succede quando una parte della popolazione cubana sopravvive vendendo magliette con la faccia del che? qualcuno mi fermi!
p.s. la c dopo il nome non sta per “carmagnolesco”
Ecco: questi ultimi commenti vanno proprio nella direzione che mi sembrava più interessante. E forse anche utile. In ogni caso, l’idea del blog “filosofico”, per quello che vale la mia opinione, piace anche a me. Dovesse avere un seguito, rendetelo noto. Vi leggerò molto volentieri.
è vero giorgio, li superano solo quelli che intervengono per fare osservazioni che ridefiniscono i confini della definizione di luogo comune.
sarebbe una buona idea, se non fosse che poche persone come i filosofi amano fraintendersi 🙂
Insomma, che aspettate?
Alle tue domande sul testo Cronosensitività non saprei risponderti Massimo. Ma gliele passerò. Bella idea Gianni! come no. Tanto siamo noi quelli dovremmo faticare a scrivere di estetica filosofica…sto leggendo il tuo libro Gianni e mi fa piacere dire in pubblico che mi piace molto e noto che diversi librai a Palermo lo hanno messo bene in evidenza. Per quanto riguarda il blog filosofico al momento non ho tempo sufficiente, infatti i mei interventi sui vari blog sono brevi e sorvolo. Già mi dispiace avere disatteso il mitico Iannozzi, i cui siti leggo tutti i giorni come alcuni altri.
Alle tue domande sul testo Cronosensitività non saprei risponderti Massimo. Ma gliele passerò. Bella idea Gianni! come no. Tanto siamo noi quelli dovremmo faticare a scrivere di estetica filosofica…sto leggendo il tuo libro Gianni e mi fa piacere dire in pubblico che mi piace molto e noto che diversi librai a Palermo lo hanno messo bene in evidenza. Per quanto riguarda il blog filosofico al momento non ho tempo sufficiente, infatti i mei interventi sui vari blog sono brevi e sorvolo. Già mi dispiace avere disatteso il mitico Iannozzi, i cui siti leggo tutti i giorni come alcuni altri.
p.s. consiglio per gli acquisti. Cambiare Idee di Howard Gardner, Feltrinelli. Al suo interno c’è anche un paragrafo interessante dedicato a Bush e un paragrafo su come gli artisti influenzano il modo di pensare e cmq è tutto interessante il libro e facilmente accessibile per esposizione e forme espressive. Non mi somiglia proprio!
andrea c, ho solo ripreso paro paro la prima frase del tuo commento precedente. non buttarti giù, dai, non sei così luogocomunesco 🙂
(lippa mi perdoni la forumizzazione)
Peccato, avevo trovato anche il nome, del futuro blog “filosofico”:
foglie di (filoso)fico.
rispondo a giorgio, non per forumizzare, nè per spirito polemico, ma per chiarire:
parlare lingue diverse non significa necessariamente fraintendersi, una volta mio padre scattò una fotografia ad un suo amico americano, sviluppò, stampò e gliela portò. “terrific!” esclamò lui, e mio padre, che ci stava rimanendo male “no…not so bad”. “oh no, terrific! thank you” insisteva lui. terrific, in inglese, vuol dire eccezionale, meraviglioso e non terrificante come aveva inteso il mio povero papà che non aveva gran dimestichezza dell’inglese. si erano evidentemente fraintesi, termini simili, che hanno probabilmente la stessa radice con significati opposti. in questo caso tutto si risolse col vocabolario. e finalmente i due si intesero senza che nè l’uno nè l’altro fosse costretto a rinunciare alla propria lingua.
il fraintendimento nasce dalla prepotenza di una lingua, di una cultura su un’altra, il che non significa che tutte le lingue siano “giuste” o “veritiere”, o che ci debba limitare a osservarne la struttura in maniera acritica. è per questo che diventa problematico l’atteggiamento da prendere su questioni come l’infibulazione, il velo delle donne islamiche nelle scuole francesi, ecc. ecc.
Non credo, né mi sembra che Genna intendesse quello che tu dici, Dario C. Mi piacerebbe parlare di estetica filosofica, magari (sarebbe questa la mia scelta) seguendo un percorso comparativo tra le estetiche occidentali e quelle non occidentali e per dirne una l’influenza della teoria della mimesi sull’estetica giapponese e di come la scuola di Kioto abbia assorbito dalla teoria dell’imitazione e trasformato questa stessa. Oppure parlare dell’immenso lavoro dell”Istituto Visvanatha Kaviraja, con la pubblicazione del Journal of Comparative Literature and Aesthetics, semestrale con un comitato scientifico internazionale che circola in molti paesi fuori dall’India, ma ha delle difficoltà, pur con l’ enorme lavoro monografico su temi come la decostruzione, la rappresentazione, la scuola estetica di francoforte, lo strutturalismo a praga, l’estetica contemporanea in italia. Mah, ci vuole tempo per dedicarsi a queste cose, per scriverne, e riuscirne a scrivere in maniera sinottica, cosa che a me non riesce, sono portato a produrre scrittura per fibrillazione del lettore, ovvero che non si dia pace se tutto non riesce ad acchiappare ma che per magnetismo segua la mia deriva e approdi poi da solo con sé a rintracciare l’altrove che sempre metto come implicito. E’ chiaro no? come no! Più in là…forse, la tentazione c’è…
forse hai ragione, lumina…solo che io mi chiamo andrea c e non dario…vabbè. però tendo ad essere provocatorio, non ho un gran rapporto con l’autorità. in più, io non sono filosofo, ma uomo di lettere, disoccupato, ex-barman, ex-commesso di megastore, ex-insegnante di corsi di lingue per le aziende, ex-cameriere, ex-lavacessi e mi laureo la prossima settimana. se io sono stato capace di costruirmi quel “rigore dei filosofi” di cui parla genna, ce la possono fare anche lui, scarpa e mozzi. e magari potremmo parlare tutti insieme del “mitologhema (o mitologéma) zizek”.