In queste settimane è vivissima la polemica sulla proposta di legge francese, in discussione la settimana prossima, che prevede di punire i clienti di prostitute con un’ammenda di 1.500 euro, raddoppiata in caso di recidiva.Nel manifesto dei 343 “salauds”, che si oppongono alla legge, si dice fra l’altro “Pensiamo che ciascuno abbia il diritto di vendere liberamente le sue virtù, e persino di trovarlo appagante. Rifiutiamo che dei deputati emanino norme sui nostri desideri e sui nostri piaceri”. La maggior parte delle critiche di casa nostra riguarda la posizione della filosofa Elisabeth Badinter che ha criticato la riforma del governo: “lo Stato non deve legiferare sulla sessualità degli individui, decidendo cos’è bene o male” e “La proposta di legge mi sembra una dichiarazione di odio contro la sessualità maschile”.
La deviazione della polemica, naturalmente, riguarda la persona Badinter, “la femminista miliardaria”, come titola la 27ma ora, o peggio, come si legge altrove.
Sinceramente, la sua mi sembra una dichiarazione limpida: fatta salva la tutela di chi viene umiliato e sfruttato e subisce violenza, fatte salve le vittime di tratta, la prostituzione può essere una libera scelta. In secondo luogo: non credo che una legge possa cambiare la mentalità di un uomo che decide di comprare un rapporto sessuale. Ancora una volta, le leggi che reprimono non aiutano: aiutano le leggi che formano e incidono sulla cultura.
Detto questo, vi invito a leggere un vecchio articolo (24 settembre 1992) di Elena Guicciardi su un saggio di Badinter. Forse, così, le cose diventano più chiare.
“Donna non si nasce: lo si diventa”, dice Simone de Beauvoir nel Secondo sesso. In XY de l’ identité masculine (Editions Odile Jacob) Elisabeth Badinter rovescia tale affermazione applicandola all’ altro sesso, e dimostra come la conquista dell’ identità virile sia ben più difficile di quella dell’ identità femminile. Sociologa e femminista di tendenza moderata, che si è fatta un nome con L’ amour en plus: histoire de l’ amour maternel e L’ un et l’ autre: des relations entre hommes et femmes, l’ autrice si interessa pure di politica e di letteratura. Non solo ha compulsato innumerevoli statistiche e studi scientifici, ma ha letto ben trecento romanzi recenti prima di elaborare in questo saggio la propria analisi circa il malessere del maschio contemporaneo. Particolare curioso: ne ha riservato le primizie a un seminario destinato agli allievi dell’ Ecole Polytechnique – che in Francia è una scuola militare – suscitando notevoli perplessità fra questi aspiranti ufficiali. Se Eva non è nata dalla costola di Adamo, l’ uomo invece riceve un’ impronta femminile indelebile nel ventre materno, dove il famoso cromosomo Y della virilità interviene, accoppiandosi al cromosomo X della femminilità, solo al quarantesimo giorno del processo di gestazione. Contrariamente a un luogo comune, il maschio è anche fisicamente più vulnerabile della femmina. L’ embrione maschile è più fragile. Nell’ adolescenza il numero dei ragazzi affetti da disturbi psichici è quattro volte superiore a quello delle ragazze. Nelle società occidentali d’ oggi la donna è assai più longeva dell’ uomo. Dopo queste premesse di carattere genetico e biologico, l’ autrice analizza le complesse ragioni psicologiche e socioculturali che infirmano il sacrosanto dogma della società patriarcale circa la presunta superiorità del maschio anche sul terreno dell’ intelligenza e della creatività. Tale dogma comincia a essere contestato fra il Seicento e il Settecento, quando compaiono alla ribalta le prime femministe o “femmes savantes” – derise come “préciouses ridicules” – e nel contempo quei marchesini imparruccati, prototipi del maschio effeminato, che preferiscono ai campi di battaglia i “salons” e i “boudoirs” delle belle donne. Il fenomeno rimane però circoscritto alle sfere dell’ aristocrazia e dell’ alta borghesia, e sarà stroncato dalla Rivoluzione del 1789. Misoginia e angoscia La crisi d’ identità maschile riemerge a cavallo del nostro secolo, manifestandosi attraverso la misoginia e l’ angoscia espresse da molti filosofi e letterati (Schopenhauer, Nietzsche, Weininger, Musil per citarne alcuni) o al contrario sotto forma di una “protesta virile”, che contribuirà alla nascita dei fascismi europei. L’ avvento di Hitler restaura in apparenza il primato del sesso forte, ma in realtà dietro la maschera ipervirile degli eroi nazisti si nasconde un ego fragile, assillato da problemi sessuali. Le femministe, che a partire dalla fine del XIX secolo cominciano a battersi per la conquista della loro autonomia, hanno notevolmente contribuito a destabilizzare il maschio, o perlomeno a metterne in evidenza la crisi di identità. Al riguardo si possono distinguere tre tendenze. Negli anni Settanta il femminismo “universalista” milita per l’ equiparazione dei sessi. Il femminismo “differenzialista” preconizzerà invece la loro separazione, considerando che il mondo potrà esser salvato soltanto dalle madri, tema sviluppato oggi dalle “ecofemministe”, per le quali la donna incarna la natura e la vita. Infine il femminismo “costruttivista”, di cui l’ antropologa americana Margaret Mead fu l’ antesignana, sostiene la teoria della molteplicità dei modelli maschili, che si differenziano a seconda delle epoche, le classi sociali, le razze e le diverse età dell’ uomo. A quest’ ultima corrente si apparenta Elisabeth Badinter: per lei la mascolinità è qualcosa che bisogna “creare, costruire, e che quindi può cambiare”.
Vediamo ora il difficile percorso dell’ uomo per costruire la propria identità. Mentre per la bambina l’ identificazione con la madre è naturale e sarà alla base di quella col proprio sesso, il maschietto, per affermarsi come tale, deve sostenere una strenua lotta. Dovrà opporsi alla madre, con cui è vissuto in stretta simbiosi durante la gestazione e nei primi mesi di vita, opporsi alla sua condizione di bebè passivo e alla propria congenita componente femminile, per dimostrare di non essere né una donna, né un bebè, né un omosessuale. La separazione dalla madre La separazione dalla madre è necessaria, ma può avere conseguenze drammatiche: esser vissuta come un “tradimento”, generatore di un senso di colpa che si prolungherà poi nei rapporti dell’ uomo adulto con altre donne, oppure come una liberazione da un’ oppressione castratrice, sentimento che favorirà il fallocentrismo del soggetto. Due esempi estremi di questi traumi: quello di Hemingway, ossessionato da un profondo desiderio di femminilità, che per resistervi odierà sua madre tutta la vita, e quello di Gunter Grass, per il quale “l’ atto virile per eccellenza è il matricidio”. In molte società primitive, come ad esempio tuttora in certe tribù della Nuova Guinea, per favorire il distacco dalla madre la collettività organizza la segregazione totale degli adolescenti maschi, che sottopone a riti iniziatici feroci – umiliazioni pubbliche, sacrificazioni, flagellazione a sangue – allo scopo di farne dei guerrieri. Nelle società occidentali, il duro tirocinio a cui sono sottoposti i candidati alla Legione straniera, i marines americani, o ancora i ragazzi di famiglie tradizionali in certi severi collegi anglosassoni, risponde allo stesso proposito di iniziazione alla virilità, mediata da una pedagogia omosessuale, intesa come pratica transitoria, ma necessaria per accedere a una mascolinità eterosessuale. Per fortuna nella maggior parte delle società progredite il distacco del maschietto dalla madre si verifica oggi senza traumi, facilitato dal fatto che i bambini cominciano ad andare all’ asilo intorno ai tre anni, cioè alla fine del periodo preedipico. Tuttavia, perché tale separazione avvenga in modo armonioso, il ruolo del padre è primordiale. A questo punto Elisabeth Badinter abborda il capitolo dei “nuovi padri”, che preferisce chiamare i “padri-madri”. Nell’ euforia del post Sessantotto è apparsa una nuova generazione di padri, capaci di accudire i figli neonati con sollecitudine materna. Quando si tratta di cullarli, fasciarli, dar loro i biberon, si dimostrano altrettanto competenti e affettuosi delle loro compagne. Per altro sono più inclini a giocare col bebè maschio, che ha bisogno del contatto fisico col padre, e a stimolarne lo spirito d’ indipendenza. Così si instaura una relazione preedipica positiva, che aiuterà il maschietto a liberarsi dal rapporto esclusivo con la madre, vaccinandolo contro gli effetti drammatici del complesso di Edipo e l’ angoscia della castrazione. Nella famiglia ideale padre e madre dovrebbero ripartirsi equamente i compiti, trovando ognuno la “buona distanza” coi figli. Ma tale equilibrio suppone che, quando il bebè è cresciuto, il padre sappia passare dal ruolo di vice madre a quello di mentore. E qui cominciano le difficoltà. Appartenendo a una generazione che ha sofferto dell’ assenza del padre, il “nuovo padre” stenta spesso a trovare un modello di identificazione da trasmettere. A seconda che egli si dimostrerà troppo distante o troppo familiare, troppo duro o troppo tenero nei confronti del figlio, nel difficile periodo del passaggio all’ adolescenza rischia di farne un uomo “mutilato”: cioè un “macho” – che si identificherà agli idoli fasulli di tanti ragazzi d’ oggi, a un Rambo o a un Terminator, tutto muscoli, ma senza cuore né cervello – o al contrario un essere molle, ansioso e invertebrato, incapace di assumere la propria virilità. Ci vorrà del tempo per costruire la “doppia paternità”, condizione della “riconciliazione maschile”, conclude Elisabeth Badinter. Occorrerà più di una generazione per far uscire i maschi dal circolo vizioso”.
Forse sono io che non capisco, ma la reazione che mi viene spontanea quando leggo di “famiglie ideali” basate obbligatoriamente sulla relazione eterosessuale, e di padri affettuosi definiti (con un accento evidentemente dispregiativo) “vice madri”, è quella dei brividi.
E ancora “generazione che ha sofferto dell’assenza del padre”: ma che vuol dire? Come si fa a tracciare giudizi del genere su un’intera generazione, a intrappolarla in questo modo? E cos’è questa storia della virilità che deve essere assunta per forza, pena…il diventare un essere senza spina dorsale? Ma che davvero? E perché invece per le bambine è tutto naturale?
Ripeto, forse sono io che non capisco. Qualcun* mi spiega?
A parte questa tesi che lascia un po’ perplessa anche me, c’è un’altra cosa che mi lascia perplessa. Ci sono sicuramente persone che lo fanno per libera scelta. Però si può sempre definire con certezza chi lo fa per libera scelta e chi in qualche modo viene costretta? Cioè nella teoria è tutto facile, ma nella pratica?
Mi permetto di segnalare sul tema: http://abbattoimuri.wordpress.com/2013/11/11/laura-maria-agustin-la-francia-e-le-femministe-note-su-un-dibattito-infinito/
Tutte queste affermazioni sono assolutamente prive di riscontri. Studi empirici sulla genitorialità hanno dimostrato che simili sciocchezze sulla mascolinità e femminilità non hanno niente a che spartire con il sano sviluppo di qualsiasi bambino, maschio e femmina che sia, e la realtà quotidiana delle famiglie “non ideali” (quelle, per intenderci, che non dispongono di una mamma e di un papà, perché hanno solo una mamma o solo un papà, o due papà o due mamme) ce lo dimostra ogni giorno. Un bambino ha bisogno di un genitore che sappia prendersi cura di lui: cosa quel genitore ha in mezzo alle gambe è irrilevante.
Gli unici che soffrono dell’ “assenza del padre” sono quegli uomini incavolati per la enorme mole di privilegi che sono spettati per secoli e secoli al virile “pater familias”, ed ora pensano di convincerci che il loro non essere più al centro del dibattito è una tragedia per il mondo intero… Se l’osservazione diretta dei bambini ci mostra che anche senza “il Padre” i bambini stanno benissimo (perché come ha anche dichiarato pubblicamente L’Associazione Italiana di Psicologia “le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale […]. Infatti i risultati delle ricerche psicologiche hanno da tempo documentato come il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno), quello che dovremmo davvero chiederci è cosa spinge questa signora a riempire pagine e pagine di vecchie favole, mentre dovremmo tutti adoperarci affinché anche questo paese segua la scia di quelli che hanno abbandonato la religione dei padri e cercano di affidarsi ad un sano buon senso.
Per il resto: se il genere maschile, che ha sempre goduto e gode a tutt’oggi del potere economico e politico, è in crisi perché ha sviluppato un “ego fragile”, perché non decide di prendersi un po’ di riposo, di abbandonare gli scranni per autorelegarsi in casa a sfornare torte e passare lo straccio; forse, assumere per un po’ un ruolo subordinato e un atteggiamento sottomesso potrebbe far diventare questi poveri uomini in crisi forti ed equilibrati come noi donne… (è ironia, si capisce?)
Al di là dello specifico della teoria di Badinter, la famiglia ideale non viene nominata in quanto eterosessuale (almeno non in questo testo), ma in virtù della divisione dei compiti. E i padri non vengono dispregiati in quanto vice madri, anzi. Si suppone però che per la formazione dell’identità maschile (sempre secondo la teoria) due figure “materne” non siano adeguate, a un certo punto servirà un mentore che a sua volta, non avendo avuto modelli di riferimento capaci di stare nel mezzo, avrà appunto delle difficoltà di aggiustamento. Cosa che si suppone già acquisita per l’identità femminile, dal momento che cresce già con dei modelli materni abbastanza definiti in grado di sviluppare appieno ( o nel miglior modo possibile ) la femminilità.
@ Salamandra
Solo chi lo fa può sapere con certezza se si sente bene a farlo e se non è costretto, né da qualcuno né da necessità economiche. Ma intervenire per chi lo fa per necessità economica viola la libertà, e questo mostra i limiti di certi tipi di interventi legislativi.
A me sembra che alla fine, per difendere un diritto a prostituirsi che nessuno mette in discussione (almeno io certamente no), si finisce per spostare ancora una volta l’attenzione dalla questione della domanda, sulla quale si era interrogato (e ci aveva interrogati) in modo decisamente più interessante, secondo me, Pasolini nei suoi Comizi d’amore. (E’ reperibile in rete.)
Io non ho problemi con Badinter, ma con parecchie delle cose che scrive sì. Ci sono costruzioniste sociali che hanno dato, sulla base del loro lavoro con famiglie eterosessuali, spiegazioni molto più convincenti ed equilibrate dei dilemmi di amore e potere tra uomini e donne che vivono in una società patriarcale.
@ ilaria
visto il tuo spunto, mi guarderò Comizi d’amore, ma visto che ne hai già parlato, cos’è che ti interessa della domanda? Perché a me pare un po’ di intuire che se proprio si deve accettare la libertà di prostituirsi allora cerchiamo di capire e di intervenire a monte, ovvero sulla domanda. Sostanzialmente cosa cambia? Se un uomo non si fa scrupoli ad andare con una minorenne o con una costretta a forza è un conto; se invece approfitta di una situazione di debolezza è un altro; ma tolti i casi di squilibrio di potere la domanda è la stessa che per chi non va con le prostitute.
Di un’unica cosa sono sicura: non trovo lecito mettere in vendita il proprio corpo, cioè trarre denaro da una prestazione sessuale, perché questo equiparerebbe un individuo (che sia donna, maschio o trans) ad un oggetto.
Faccio un’equiparazione col donare un organo , ad esempio un rene, per un trapianto. Per me sarebbe inaccettabile, e in realtà credo sia anche illegale, mettere in vendita un rene, ma trovo giusto poterlo donare.
@** : perché tu sei veramente convint* che non esistano situazioni di sfruttamento e violenza anche in paesi dove la prostituzione è legale? Secondo te basta la “parola” della persona che lo fa? O ti basta che “in teoria” è così, quindi va bene così?
@ tinas
vabbè che poi pare che uno vuole convincere e poi si fanno questi discorsi all’infinito, ma tant’è: legalmente la schiavitù è stata abolita, cioè la forma che poteva far parlare di persone come di oggetti ( Su questo è interessante la legislazione sul mondo animale ). Prostituendosi nessuno vende il proprio corpo, vende la propria prestazione, allo stesso modo di chi fa un qualsiasi altro lavoro. Se poi la cosa non ti piace lo stesso è un altro discorso.
@ Salamandra
No, ovviamente la legislazione, neanche la migliore possibile ( o forse in virtù dei suoi limiti, l’assenza di legislazione ) dice nulla su sfruttamento e violenza. Questo è un punto credo irrisolvibile con la legge, nel senso che appunto è difficile conciliare la libertà di farlo con la necessità di normare situazioni coatte. Un cliente come fa a essere certo? Ma non sono abbastanza informato sul tema, nel senso che non conosco le situazioni di vari paesi e se esistono studi in merito di che tipo di effetti le varie leggi hanno creato eccetera.
“Si suppone però che per la formazione dell’identità maschile (sempre secondo la teoria) due figure “materne” non siano adeguate, a un certo punto servirà un mentore che a sua volta, non avendo avuto modelli di riferimento capaci di stare nel mezzo, avrà appunto delle difficoltà di aggiustamento. Cosa che si suppone già acquisita per l’identità femminile, dal momento che cresce già con dei modelli materni abbastanza definiti in grado di sviluppare appieno ( o nel miglior modo possibile ) la femminilità.” Ecco, appunto “si suppone”. Sulla base di cosa, visto che i dati empirici non confermano questo genere di supposizioni?
@ Ricciocorno
beh, io non conosco abbastanza il pensiero di Badinter per capire su cosa basa le sue analisi. Però scrivevo per dire che l’idealità della famiglia non veniva legata al genere dei genitori, ma alle figure di riferimento, che forse in questo caso vengono legate al genere, nel senso che un maschio tenderà a cercare il suo modello nel padre e una femmina nella madre, senza escludere situazioni alternative, ma parlando della situazione più frequente. Poi potrà essere anche questa una supposizione tutta da verificare, compresa quella che i figli cercano figure di riferimento di quel tipo. Anche l’idea di partenza è già di per sé labile, ovvero la crisi d’identità del maschio contemporaneo, e il fatto che sia stato il femminismo a metterlo in crisi. Ma credo che questi tipi di analisi vadano presi più alla leggera, nel senso che sono un modo per avvicinarsi o magari un possibile racconto da cui partire per raccogliere storie ed esperienze. Io non so cosa pensino i padri, non so se questo scarto dovuto al cambio dei modelli sia vero o meno. Non so neanche quanto sia sopravvalutata la figura dei genitori, nel senso di quanto incidano sulla crescita, perché poi ci manca sempre la controprova nelle nostre esperienze e tendiamo ad auto-convalidare le tesi che ci proponiamo di verificare in modo da darci una spiegazione coerente e soddisfacente di noi stessi. Però curiosamente, a volte mi sento molle, ansioso, invertebrato e incapace di assumere la mia virilità.
Quanta carne al fuoco, in questo scritto. Troppa, davvero, perché si possa argomentare su ciascun tema con la ponderazione che meriterebbe. E quindi, molto schematicamente: le affermazioni sui ruoli (presunti) delle madri e dei padri mi sembrano datate e messe in crisi dalla diffusione di modelli nuovi di famiglia e dai dati che su queste famiglie si cominciano ad accumulare, che non supportano in nessun modo la visione della Badinter; la quale Badinter, comunque, queste cose le scriveva più di vent’anni fa e sarebbe interessante sapere cosa pensa invece oggi di questa materia. In merito alla prostituzione, penso anch’io che compito dello Stato, in questo campo, sia impedire la violenza, e non prescrivere cosa le persone debbano fare del proprio corpo e dei propri gusti sessuali. Mi rendo conto che si tratta di argomenti assai scivolosi: distinguere tra prostituzione volontaria e consapevole e induzione e sfruttamento della stessa resta un compito difficile. Non per questo mi sento però di condividere l’intento di chi vorrebbe estirpare in modo definitivo questa pratica. La lotta alla violenza e allo sfruttamento dovrebbe procedere in modo indipendente dal riconoscimento della legittimità della scelta di chi, donna o uomo, liberamente decide di farsi pagare per prestazioni di natura sessuale. Senza illudersi, però, che l’emersione di questo mondo e la fine del proibizionismo rappresentino uno strumento di lotta allo sfruttamento e l’instaurarsi di condizioni di maggior sicurezza per prostitute e clienti: i paesi in cui, a vario titolo, la prostituzione è legale hanno comunque anche un mercato sommerso di dimensioni inquietanti.
Le obiezioni a questo modo di ragionare penso di conoscerle: da quella secondo cui nessuna donna sceglierebbe liberamente di prostituirsi a quella che sottolinea le – come chiamarle? – esternalità negative, potremmo dire, del fenomeno per l’intero genere femminile, che subirebbe attraverso la prostituzione di alcune il rafforzamento del ruolo subalterno della donna nella società. La prima mi sembra inconsistente e carica di pregiudizi moralistici: di fatto, in base a quale criterio chi la impugna può permettersi di parlare a nome di tutte? La seconda ha invece, io credo, una maggiore fondatezza; lo stesso, però, a me non pare decisiva: certo è una questione di sensibilità personale, ma in questo caso nel bilanciamento tra diritto individuale e dimensione collettiva mi pare più rilevante il primo. Non è certamente così per molti, non è sempre così neppure per me; ma in questa particolare questione credo che la libertà d’azione degli individui debba prevalere sulle considerazioni di interesse collettivo.
Comunque, nel rimuovere (auspicabilmente) ogni stigma sociale da chi si prostituisce volontariamente, credo che alcuni punti fermi vadano ribaditi, a cominciare ovviamente dal fatto che si tratti sempre di persone adulte, consapevoli e non costrette. Altro aspetto importante mi sembra quello, emerso anche di recente, del giudizio su chi fa uso di certe arti per ottenere compensi, diciamo così, di natura non privata: per dirla in chiaro, veniamo da un ventennio in cui, allegramente, stuoli di ragazze senz’altra arte che quella della seduzione hanno ottenuto montagne di soldi e ruoli pubblici proprio in virtù di capacità che con quella di ben amministrare non avevano nulla a che vedere; sorvoliamo sui danni collaterali prodotti da tanta incompetenza, visto che le ragazze in questione sono purtroppo in numerosa compagnia di maschietti che non avranno usato la seduzione, ma in quanto a somaraggine non hanno nulla da imparare da nessuno. Quello che mi preme sottolineare è l’atteggiamento di molte persone, donne soprattutto, che richiamandosi all’inopportunità di distinguere tra ragazze perbene e ragazze permale tendono non solo a non giudicare, ma anche ad avallare questo comportamento; come se, riconoscendo il diritto di ciascuna donna di usare come vuole il proprio corpo e la propria persona, fosse implicita la legittimazione anche di questo particolare uso; con la considerazione ulteriore, qualche volta esplicitata e più spesso no, che in una società maschilista una donna che raggiunge il vertice non può permettersi di andare troppo per il sottile, e quindi non può essere giudicata in base a criteri “moralistici”. Segue a queste prese di posizione, a volte, la celebrazione della figura della cortigiana e la rappresentazione in pompa magna delle virtù di queste eroine. Sarà il caso di ricordare che la prostituzione dovrebbe essere una cosa si svolge tra privati; se il compenso non consiste in denaro del cliente ma in cariche pubbliche con conseguenti benefit a carico della collettività e licenza di nuocere alla stessa, allora mi sento in diritto e più ancora in dovere di criticare eccome queste persone, e di giudicarle anche; così come critico e giudico pesantemente tutti quegli uomini che in virtù di appartenenze e apparentamenti – o magari anche di prestazioni sessuali, caso più raro ma non inesistente – occupano posizioni di cui non sono all’altezza e sottraggono alla comunità sia le risorse immediatamente impiegate per il loro compenso, sia quelle enormemente più grandi sperperate a causa della loro incapacità. Ecco, questo tipo di prostituzione – sarà una mia fissa, ma ci tengo tanto a dirlo – io non potrò mai giudicarla con occhi neutri. A differenza dell’altra, che riguarda persone e non enti pubblici. In quel caso, cercherei invece di distinguere la lotta alla violenza e allo schiavismo, che deve essere senza quartiere, dall’esercizio libero di qualcosa che, piaccia o non piaccia, qualcuno potrebbe voler praticare. E trovo quindi estremamente ipocrita la pratica neoproibizionista adottata dai paesi scandinavi e ora proposta in Francia, di punire il cliente ma non la prostituta. A parte che non credo si possa arrivare per questa via ad azzerare il fenomeno, mi sembra la stessa cosa che dire a qualcuno che il modo con cui si guadagna da vivere non è illecito, ma lo stesso gli si impedisce l’accesso a quel corpus di norme giuridiche e di prassi che rendono una professione effettivamente esercitabile. Per dire, una prostituta in questo modello sarà anche non punibile per il proprio mestiere, ma non credo che le venga fornito un salvacondotto per l’evasione fiscale di cui si rende inevitabilmente colpevole ogni volta che lavora, e per la quale potrà certamente essere perseguita, così come potrà esserlo per decine di altre infrazioni “collaterali”che possono andare dal disturbo della quiete a cose che nemmeno sono capace di immaginare. Pollice verso per quanto ne posso capire io. Decisamente.
@** Io non credo che una legge possa influire più di tanto e da sola sulla cultura. Detto questo, tra le due opzioni di non farmi domande e chiedermi invece che rapporto c’è tra violenza, discriminazione e disuguaglianza di genere e la mentalità che sostiene la domanda di prostituzione, io opto per la seconda. Visto che sappiamo che ci sono sia prostitute che scelgono questo lavoro sia donne e ragazzine che vengono obbligate (e non entro nel merito dei numeri e delle proporzioni, anche se sarebbe importante), mi domando, ad esempio, che genere di mercato è quello in cui la domanda è tanto più numerosa dell’offerta che si rende necessario obbligare in vario modo tante persone a lavorarci (la tratta, rispetto alla quale immagino ci sia accordo che non è tollerabile). Poi mi domando anche se non vale la pena di riflettere sulla socializzazione di genere che sta dietro le motivazioni di alcuni uomini. E tanto per non restare nel vago, ne cito qualcuno, da un thread intitolato “per quale motivo paghiamo le ragazze per fare sesso” (sono citazioni testuali, tanto per precisare di che cosa sto parlando, e mi scuso se sono un po’ crude).
“per me col pay posso scoparmene tante che a ripensarci ho superato le 200 abbondantemente. Non è per fare sesso che si paga una donna ma perché poi sparisca senza aver più nulla a pretendere.”
“Abbiamo bisogno di cambiare continuamente e quindi la fidanzatina non basta. E chi non ha la fidanzatina ha bisogno della materia prima.
Ecco perchè esistono le puttane.”
“se la donna comune fosse come natura crea (accogliere, onorare, soddisfare ed accudire il proprio uomo) nessun uomo avrebbe bisogni da cercare altrove.”
“Stiamo parlando del lavoro piu antico del mondo: 1.000 anni fa non esisteva il pompiere, l’avvocato o il commercialista…pero’ le prostitute esistono da almeno 3.000 anni…un motivo ci sarà.
Per quanto mi riguarda la gnocca pay per me esiste solo perchè non voglio complicazioni ulteriori: prendi la gnocca, la paghi, fai e arrivederci.
La differenza fra la gnocca pay e quella free è che quella pay sai quanto ti costa da subito ed è una spesa certa…la gnocca free è un apertura di credito che non hai idea di quanto ti costerà..quello che in economia si chiama “blind investment” ( investimento alla cieca).”
“che dire ormai rido dei miei amici che pur di scopare stanno insieme ad una tipa per giunta magari bruttina e che devono subire la loro rottura di coglioni ogni giorno pur di dare un morso alla torta.”
“A me le troie piacciono principalmente perché sono delle donne oggetto e mi relaziono con loro senza il minimo coinvolgimento ( e soprattutto senza dover promettere nulla se non dei soldi)… lo vedo esattamente come un passatempo, mi piace sia andare al puttanaio e scegliere ma preferisco soprattutto l’appartamento per tutto il rito che c’è dietro, dal scegliere l’annuncio che all’uscire dall’appartamento rilassato e felice vagando per le vie della città.
Ho notato che la mia frequenza a mignotte è praticamente invariata sia nei periodi in cui mi frequento con una ragazza sia nei periodi in cui sono completamente a secco, sono contento quando riesco ad instaurare un certo feeling con una prostituta ma penso che sia solo una conseguenza del fatto che in questo modo sono sicuro di avere una prestazione migliore..
Come tutti i vizi, quello di andare a troie, è potenzialmente pericoloso se viene preso nella maniera sbagliata (soprattutto se non si dispone di un enorme quantità di denaro) ritengo che debba rimanere nella sfera degli sfizi dei quali si può fare tranquillamente a meno, comunque ha anche dei lati educativi, io ad esempio ho capito quanto la troiaggine sia insita nella natura femminile”.
“Anche a me piace la donna oggetto sessuale ed il sesso senza coinvolgimento sentimentale, tant’è che, quando ho capito che per fare questo tipo di sesso, cioè 25 anni fa, l’unica cosa era andare a puttane, ho intrapreso la via del puttanesimo, via del puttanesimo che continua ancora oggi.”
Questo invece è l’inizio del resoconto di uno che è andato a Dusseldorf e ha girato dieci locali in 72 ore: “mangio anche qualcosa e poi inizia la caccia…..nel locale ci saranno almeno una quarantina di girls, quasi tutte rumene purtroppo…”
Stiamo parlando di un italiano su tre, alcuni dei quali non si fanno problemi a pagare per andare con minorenni. Gente che va in Germania per consumare tutto quello che vuole e riesce a prezzo fisso (nemmeno troppo alto), e che spesso richiede e ottiene prestazioni senza protezione, come si può leggere dovunque. Ecco cosa intendo per puntare il riflettore sulla domanda.
@ ilaria
credo di capire, ma credo anche di essere molto in disaccordo. Non c’è il rapporto che mi pare di capire tu vedi tra discriminazione e violenza di genere con la domanda di prostituzione, che tu associ ad una mentalità, e anche questo credo sia un errore. Dietro la domanda non c’è una mentalità, ci sono vari bisogni ( la mentalità non è la causa ). E il bisogno è lo stesso di chi non paga. Tu mischi cose che si intrecciano, ma che non vanno intrecciate. La prostituzione è un business e dunque ci saranno criminali che proveranno a trarne profitto, ma lo stesso vale per lo smaltimento dei rifiuti, ma questo non rende lo smaltimento un problema in sé. Se una donna non ha di che vivere potrebbe prostituirsi, ma questo è un problema sociale, non dipende dalla prostituzione. La prostituzione non è un problema culturale, e non credo neanche che si debba vederla come un problema, perché è solo una forma. è la disuguaglianza che mette in difficoltà le donne ( non parlo della dimensione transgender perché non sono ferrato ). Questa disuguaglianza ha anche legami con la mentalità sessista, ma nessuno paga perché è sessista. Non c’è un nesso causale. è probabile anche che un uomo non-sessista si faccia più scrupoli e ritenga il pagare sbagliato in sé, oltre al fatto che proprio non gli piace l’idea, ma questo è un altro discorso. Poi direi che 1 italiano su 3 al massimo può riferirsi a coloro che almeno una volta hanno pagato, non certo su chi paga abitualmente.
@Maurizio
“in questa particolare questione credo che la libertà d’azione degli individui debba prevalere sulle considerazioni di interesse collettivo.”
con questa affermazione intende dire che sia accettabile un rafforzamento del ruolo subalterno della donna nella societá in nome della libertá di esercitare la prostituzione di alcune persone? quindi non vedo come non si dovrebbe accettare in base allo stesso principio che ci siano persone che ricoprano cariche pubbliche di certo non per meriti oggettivi…se si salvaguardia la libertá individuale a discapito dell’interesse collettivo, direi che a questo punto tutto é lecito
la prostituzione nasce dalla naturale differenze tra domanda e offerta di sesso tra i due generi, osservabile in quasi tutte le specie di mammiferi.
ovviamente non è un argomento sufficiente per giustificarla, ma non esistono vere e proprie ‘cause culturali’, come se i milioni di clienti fossero condizionati ad andarci. clienti che per altro se va bene guadagnano in media 1000 euro o poco piu al mese e sarebbero ben contenti di trovare sesso casuale senza dover sborsare niente ma sappiamo che così non accade.
l’idea che l’offerta femminile di sesso sarebbe naturalmente pari o piu vicina alla domanda maschile se le donne non fossero “represse” è dimostrabilmente falsa: lo si può ricavare dall’osservazione delle altre specie animali e dal comportamento dei gay maschi che sono soggetti ad una repressione della propria sessualità di diversi ordini di grandezza peggiore rispetto a quella delle donne ma che hanno comunque un livello di promiscuità e di attività sessuale paragonabile o identico a quello degli uomini etero.
@** Confesso che fatico a seguire la tua linea di ragionamento. Chiariscimi, per favore. Che non c’è rapporto tu come lo sai? Di che bisogni stai parlando? “lo stesso bisogno di chi non paga”, e di che, di “svuotarsi” come elegantemente scrivono tanti, ma proprio tanti? L’analogia tra prostituzione e lo smaltimento rifiuti mi confonde un po’, un bel po’. Hai un’idea dei numeri della tratta nel mondo? Hai mai sentito i racconti di alcune persone – persone, esseri umani – che ne sono uscite? La regolamentazione stile Germania non riesce a proteggere quelle che sono vittime di tratta e sfruttamento, la criminalità riempie i locali di rumene, come si lamentano i clienti, che non sono tutte lì per scelta, cosa che i clienti sanno altrettanto bene (non sto a cercare i testi, ma se vuoi ti posso far leggere anche quelli). Forse garantisce chi lo fa per scelta, ma è certo che lavorare senza uso di preservativo assomiglia molto a lavorare senza protezioni su un’impalcatura, dunque anche chi lo sceglie come lavoro non è tanto ben tutelata.
Sulla relazione tra cultura, potere e disuguaglianza concordo che siamo in profondo disaccordo. A me le cose non sembrano tanto lineari, piuttosto un po’ più circolari. E comunque approfitto per aggiungere una citazione che prima mi era sfuggita:
“Se ci metti che nessuna pay ti denuncerà mai di stupro o di stalking, cosa che molte melanzane e non fanno, a te la scelta!” Ecco, indubbiamente poter stuprare senza essere denunciati (stuprare sia simbolicamente sia realmente, nel caso di una prostituta vittima di tratta) è qualcosa che per qualcuno fa parte dei benefici della prostituzione. Tu lo definiresti un bisogno, una mentalità, una cultura o cosa?
@Sabbry: no, il mio pensiero è un po’ diverso. Intendo dire che questo rafforzamento è una congettura; plausibile, ma una congettura che andrebbe provata e che probabilmente non proveremo mai, non essendo né ipotizzabile né desiderabile che una società prenda decisioni basandosi esclusivamente su ciò che riusciamo a provare in modo incontrovertibile. Cosa è causa e cosa è effetto, in un problema così complesso, è altamente opinabile. E lo sono, ovviamente, anche le posizioni di diversa impostazione, tra cui la mia. In questa incertezza, non mi sentirei di limitare la libertà di nessuno. Perché credo che le limitazioni della libertà vadano esercitate solo a condizione di essere certi sia dell’effetto positivo, sia della propria capacità di farle rispettare. Requisiti che in questo caso mancano entrambi.
@ ilaria
ci provo. intanto parto dall’esempio dello smaltimento dei rifiuti. l’esempio serve a separare la realtà dei crimini legati al mondo della prostituzione dalla questione della domanda degli uomini. Ma possiamo parlare tranquillamente di lavoro. Anche nel mondo del lavoro ci sono soprusi e sfruttamenti ( lasciamo da parte la teoria marxista ), ma questo non mette in cattiva luce il lavoro. Non è che gli uomini cercano prostitute costrette a forza, maltrattate e sfruttate, è che per vari motivi, questa è la situazione, da qui anche l’idea che più le leggi reprimono l’attività libera, più si fa confusione. Poi certamente un uomo con una mentalità come quella che traspare da questi commenti si farà pochi scrupoli sulla situazione della prostituta, ma lo stesso vale per chiunque di noi compri merce al supermercato senza starsi tanto a chiedersi come stia chi l’abbia prodotta. Come certamente il fatto che una prostituta si trovi in una situazione di illegalità la espone maggiormente a violenze. Ma la domanda di prostitute è semplicemente la domanda di sesso, e questa non proviene da alcuna mentalità. Non riesco a capire come mai sia così difficile accettarlo. E sì, molti uomini parlano di svuotarsi, ma questo non ha nulla a che vedere con la violenza di genere o con la discriminazione, anche se molti di questi uomini possono essere sessisti, misogini e quant’altro, ma non lo sono perché vogliono svuotarsi. L’unico rapporto che posso vedere tra discriminazione di genere e prostituzione è che la condizione di sfruttamento derivato da mancanza di opportunità e alternative, quando non da situazioni di tipo schiavistico, porta le donne ad essere vittime. Ma in una società ad esempio con un reddito di cittadinanza che garantisse il minimo sindacale a tutte le donne e nella quale non ci siano sfruttatori, la domanda di prostituzione sarebbe invariata. Non so se sono riuscito a spiegarmi, comunque mi fa piacere parlare di questo.
@Ilaria, **: non solo sarebbe invariata, ma l’offerta sarebbe comunque alimentata, come è già oggi, dalla tratta, che rifornirebbe il mercato di donne in schiavitù e impossibilitate ad accedere al reddito di cittadinanza in quanto immigrate illegali. Io mi sto sempre più convincendo che il problemi della tratta e dello sfruttamento siano una cosa del tutto diversa dal tema della libertà di prostituirsi. E anzi, prima le due cose si svincolano e meglio è. La legalizzazione di un certo tipo di prostituzione toglierebbe ben poche donne dalla strada, mentre il mantenimento del proibizionismo totale non impedisce comunque a chi vuole prostituirsi liberamente di farlo lo stesso. Se ci sono studentesse o signore, e magari anche ragazzi e uomini che vogliono arrotondare in questo modo, non sta a me sindacare e tanto meno dare un giudizio morale. Né a me né allo Stato, credo.
Ringrazio Adrianaaa, Salamandra, Ricciocorno, Ilaria, e scusate se ho dimenticato qualche firma con la cui prospettiva concordo. Prima di procedere con la riflessione che impongono alcuni dei commenti, molto lunghi ed elaborati, chiedo: di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando della prostituzione? Se è così, metto subito le mie carte in tavola: per me è una delle istituzioni basilari delle società maschiocratiche, la quale si configura in forme diverse a seconda dei tempi e dei luoghi. E che in ognuna di esse società rappresenta, comunque, il paradigma della condizione delle donne, tutte. Lo so che questa sintesi, detta così, è un’asserzione. Ma visto che ci è toccata la sfilza di asserzioni un po’ ammuffite tratte da Banditer, me la concederete. Oppure si sta parlando, invece, della presunta o cosiddetta “crisi del maschio”? Se è così, potremmo pure invitare l’autrice di “Sposati e sii sottomessa”, che ne dite? Oppure stiamo parlando della crisi “della figura paterna”? Madò che bei ricordi di questa tematica dalla mia infanzia seconda metà anni ’60, essa vive ancora? Scusate la parentesi, procediamo.
aggiungo alcune cose, per meglio chiarire almeno un aspetto importante di questo tipo di discussioni. @ paola m, se intendiamo paradigma come modello di riferimento, vorrei sapere in che modo è accettabile la tua concezione. O anche se lo intendiamo come ideale in che modo corrisponde al vero? E anche parlare di società maschiocratiche, ma a cosa corrisponde? Io sono un maschio, non mi pare di aver chissà quale potere, né mi interessa. Ho molte amiche che viaggiano, studiano e vivono. Vorrei fosse chiaro che non si difende la prostituzione, si difende la scelta e si ragiona del fatto che non è la forma del sesso a pagamento che determina la sottomissione, ma è la condizione precedente. E che la ricerca del sesso rende gli uomini approfittatori, ma non tutti gli uomini, perché appunto ci sono anche spazi di libertà. E soprattutto non li rende approfittatori in quanto ricercano il sesso a pagamento, ma solo in virtù della situazione in cui versano di volta in volta le prostitute.
…si difendono le prostitute, che hanno anche loro bisogno di leggi che formino e incidano sulla cultura, in modo che siano riconosciute e rispettate, al pari di chiunque altro lavoratore e lavoratrice.
@Maurizio. certo, il problema é davvero complesso ed é anzitutto culturale. Se da un lato é auspicabile che vengano riconosciuti diritti a chi decide di fare questo lavoro, di lavoro in effetti trattasi, restano peró molte incognite e dubbi. a partire dal fatto che quando si parla di prostituzione si parla sempre di quella delle donne ( il che la dice lunga circa il ruolo subalterno e le possibilitá di agency), dai dati che mancano circa il numero di quell* autodeterminat* , dal definire il criterio in base al quale si possa inequivocabilmente distinguere chi sceglie da chi é costrett*, dai problemi che affrontano quegli Stati dove la prostituzione é regolamentata , e infine ma non per ultimo, dal contesto culturale e sociale. Noi non siamo i Paesi Scandinavi, siamo parecchio indietro, la nostra societá é meno paritaria e non offre lo stesso welfare ad esempio. Questo per dire che avremmo bisogno di una rivoluzione copernicana per garantire alle persone prostitute un ambiente di lavoro altro, alle donne di non vedersi irrigimentate nella dicotomia santa/puttana, alle persone migranti di non vedersi ridotta l’agency a questo mestiere. ed io non so se per risalire la china verso una societá piú giusta la prima risposta debba essere quella della legalizzazione.e dopo che si regolamenta, che si fa? la sola regolamentazione , se risolverebbe l’emergenza e il paradosso in cui alcun* si ritrovano, di per sé non basta.ci vuole cultura dei corpi, delle relazioni di sicuro in direzione opposta a quella che emerge dagli italici commenti dei fruitori finali.
Nella societá ideale che ho nella mia testa questo tipo di lavoro dovrebbe essere nobile. riguarda la sfera intima sia di chi ne fa richiesta sia di chi si offre. dovrebbe essere una terapia,qualcosa di sano, consenziente che porti valore aggiunto, consapevolezza. Nella societá attuale questo lavoro é quanto di peggio possa capitare, incentrato nella prevaricazione e nella disponibilitá a essere prevaricat*. mi si dirá che non é cosí per tutt*, certo, lo spero, peró dando solo un occhio agli annunci, il tipo di lessico, cosa viene offerto, i commenti dei clienti, mi viene da pensare che il cambiamento culturale deve partire anche da chi opera in questo settore. ci vuole un cambio di immaginario .
Paola. “Visto che ci è toccata la Badinter”. Non sei obbligata a leggerla. Non è un’imposizione, è una proposta di riflessione. E, per gentilezza, capisco la necessità di difendere il proprio punto di vista, ma Badinter e Miriano sono distanti anni luce. Cerchiamo, al netto delle proprie posizioni, di essere oneste.
@ sabbry
sottoscrivo. Quando ero adolescente e stavo con i miei amici non apprezzavo molto il fatto che si guardassero i film porno assieme o su internet mentre giocavamo alla playstation; e neanche mi piaceva quando si andava a fare il puttan-tour, perché per me quelle donne erano vittime ( non concepivo neanche l’idea che una donna potesse farlo, e intendo anche i film porno ) e perché non mi piaceva il tono dispregiativo e la scarsa considerazione che i miei amici le davano. Dicevo: ma come? a me non piacciono i film porno ma non offenderei mai una porno attrice, a voi vi piacciono e le offendete e ne parlate come parlate di robe o di bestie. dovreste essere felici e ringraziarle. cos’è questo disprezzo? ( certo uno potrebbe dire, se @ k. sta leggendo sicuramente lo penserà: di che ti stupisci? ). perché poi è lo stesso disprezzo che si riserva a una ragazza che ha molti rapporti. però penso anche che ci sia un punto nel quale il mio giudizio diventa problematico. Nel senso: un conto è la prevaricazione e un conto è l’indifferenza. è possibile immaginare che un uomo voglia solo un corpo che gli faccia ciò che vuole ( e qui non sto parlando solo di prostituzione, perché nelle parole dei clienti sopra e nei discorsi di persone che conosco si capisce che ciò capita anche con ragazze conosciute in situazioni non a pagamento e anche con le proprie fidanzate ) senza che questo sia connaturato al disprezzo? questo vale anche per la donna ovviamente. ma come anche si vede in Comizi d’amore, in cui ci si domanda se il matrimonio risolva i problemi legati alla sessualità ( e la risposta ovvia è: no! ), tutti possono essere educati al rispetto e alla massima sensibilità nei confronti degli altri, ma il desiderio sessuale è privato, quindi è possibile che sia inconciliabile con il desiderio sessuale altrui. Quest’ultima riflessione, che mi pare anche confusa, almeno per la conclusione alla quale vorrebbe arrivare, mi fa chiedere ( soprattutto alla magic Lippa ) cosa vuol dire interrogarsi sul maschile. Perché se dovessi interpretare il preludio al testo di Badinter direi che a parte le disuguaglianze che mettono in condizioni di doversi prostituire c’è a monte una idea per la quale con una cultura e una società diverse, gli uomini non vorrebbero comprare un rapporto sessuale, non solo perché consapevoli delle disuguaglianze eccetera, ma perché non approvano o apprezzano l’idea. perché questo lo immagino per me, nel senso che io non pagherei mai una donna, o almeno finora non mi sono neanche messo in situazioni che potrebbero tentarmi, e neanche sono uno scopatore. ma per ciò che penso di capire da molti discorsi intorno al mondo femminista, una sessualità più libera, consapevole e rispettosa è anche una sessualità che toglie molto di ciò che c’è di sacro intorno al sesso, e che finora è andato di pari passo con il controllo sulla sessualità femminile. per cui succede ( pare che in Islanda sia così, o almeno Pif l’ha raccontato così ) che due persone si incontrano una sera, hanno voglia e via senza starsi a fare tanti problemi, che è ciò che può succedere a pagamento. e non credo che la considerazione di entrambi vada molto al di là di quella dei commenti postati da Ilaria, tranne appunto per il rispetto che si ha dell’altro.
Avete scritto tante cose che non so da dove cominciare a rispondere, ma sento di doverlo fare, magari in parte (è tardi).
@Maurizio e ** Mi sembra importante chiarire bene due cose: io non sono, né mai sarò, contro il diritto di prostituirsi e contro la libertà di decidere della propria sessualità, per uomini e donne. Di più, non mi permetto di giudicare nessuna scelta. E quanto alla legge proposta in Francia, sul modello di quella svedese, credo che sia inopportuna in Francia e nemmeno immaginabile in Italia, anche se forse per motivi diversi dai vostri. O meglio, anche per me lo stato non deve legiferare in materia di sesso, però questa legge a me sembra occuparsi non di sesso, bensì di un lavoro e della sua relazione con questioni di discriminazione di genere, da cui quel lavoro ha origine e che a sua volta perpetua – almeno nelle motivazioni, io presumo, di chi la propone e sostiene. Ma una legge, per me, serve a qualcosa quando riflette il pensiero morale di una grande maggioranza della società, come è il caso della Svezia, un paese la cui mentalità in termini di relazioni di genere – incluse le relazioni sessuali – è molto diversa dalla nostra, e probabilmente anche da quella francese. Quanto diversa ce lo dice, non a caso, anche il rapporto sul gender gap. Il problema è la cultura, e per questo non credo sia tempo perso riflettere su questi temi. Il problema è che, anche se proviamo a metterlo sullo stesso piano dei rifiuti o di altra merce, la peculiarità del rapporto di cui stiamo parlando non può prescindere dalle relazioni di genere – relazioni tra esseri umani.
Pasolini, nel 1964, aveva già molto chiaro il collegamento tra sessualità, relazioni economiche e di potere e famiglia. Non a caso faceva domande su tutti questi argomenti e metteva in evidenza discrepanze e contraddizioni, e si occupava, insieme, di sesso e di violenza domestica. A (**) vorrei chiedere come si fa a dire che sesso e violenza non hanno a che fare l’uno con l’altra. Mentre rivelava il doppio standard per cui gli uomini italiani rivendicavano il diritto ad andare con prostitute nelle case chiuse e insieme quello di controllare la sessualità di mogli e compagne, Pasolini chiedeva anche se il divorzio non potesse risolvere il problema del femminicidio, convinto (a me sembra, dalle domande) che fosse la mancanza di libertà nelle relazioni a generare la violenza. Oggi sappiamo bene che il problema è il contrario, è la libertà delle donne il problema. Ma già allora un uomo dà la risposta, quando dice: macché divorzio, se una donna va con un altro, anche se divorzio, sempre cornuto sono, e allora meglio… pum! (E fa il gesto della pistola).
Ieri come oggi, nel sesso per le donne c’è un doppio legame, esplicitato dal fatto che una donna libera è chiamata troia, e i commenti che ho citato sopra non fanno che esplicitarlo.
Chiarito come la penso sulla legge proposta, io credo che il problema che ci rimane è: come facciamo a tutelare le vittime di tratta e i diritti di chi sceglie la prostituzione come lavoro? La legittimazione dello sfruttamento a me non pare la strada, visto che in Germania le infiltrazioni della malavita sono evidenti e in Olanda stanno chiudendo moltissimi bordelli per lo stesso motivo. In Svezia, almeno, le prostitute (che sono libere di esercitare) hanno anche diritto al rimborso per i giorni di malattia – ho trovato vari articoli in proposito. Le cose insomma sono complesse. Resta il problema di come ci poniamo di fronte a tutti quelli che non si fanno nessun problema ad andare con una donna che è forzata a prostituirsi dietro minaccia di morte a lei e ai suoi familiari (spesso portata a termine), pur sapendo che quella donna non è lì di sua volontà. Ci diciamo che in fondo è solo questione di preferenze sessuali e non sta a noi, come società, entrare nel merito, perché, insomma, così vanno le cose purtroppo? Io con i miei figli di queste cose parlo, in concreto, non in astratto, sia perché, come sappiamo, è un tema che li tocca molto da vicino, sia perché tutti i giorni passano davanti a prostitute nigeriane andando a scuola, e non sono così ipocrita da raccontare loro la favola della libera scelta. E nemmeno, mentre pensiamo a cosa fare da grandi, prendiamo in considerazione la prostituzione, e non per disprezzo verso chi la sceglie, ma perché, appunto, stiamo ragionando di scelte.
@ ilaria
Separo in più punti per chiarezza e parto dalla parte più semplice, almeno per il nostro discorso. 1) Entrambi ci chiediamo come fare per tutelare chi non vuole e garantire chi vuole, e la prima cosa da fare è ascoltare chi vuole, per questo ti rimando a questo post
http://abbattoimuri.wordpress.com/2013/11/23/sex-workers-tasse-e-stato-pappone/,
e alla legislazione richiesta, quella neozelandese. Poi c’è anche il testo linkato sopra da sweepsy. Per il resto credo di capire cosa intendi per come ci poniamo di fronte agli uomini in questo senso, ma questo rimanda ai limiti del nostro codice penale. Se la vittima non denuncia come si fa a tutelarla? Per me un uomo che compra un rapporto da una vittima della tratta può benissimo essere considerato uno stupratore, ma a parte i casi nei quali la legge già può intervenire, il punto è che se le vittime della tratta non sono considerate cittadine con gli stessi diritti di tutti neanche potranno far valere i propri. E ovviamente la risposta non legislativa è la solita: istruzione e lavoro ( o garanzia economica ). Ma dato che su questo aspetto ho bisogno di studiare le carte, non vado oltre. 2) per il rapporto discriminazione, violenza, sesso e prostituzione e sul punto sul quale stiamo riflettendo la mia risposta è che la cultura non c’entra nulla per un motivo semplice. La prostituzione c’era allora come oggi, oggi gli uomini possono andare all’estero nei paesi poveri o nei paesi ricchi e possono approfittare delle situazioni di povertà nel nostro paese, ma la condizione della donna in Italia è notevolmente cambiata. Gli uomini non pagano le donne per cultura (possiamo anche sensibilizzarli tutti in modo che rinuncino al loro piacere se non trovano la situazione dignitosa), questo è un classico errore di confusione. Stessa confusione che si fa legando il dilagare del porno con la discriminazione: ma dico, banalmente, un rapido calcolo fra i miliardi di bit prodotti e visti da tutti in continua crescita e l’osservazione banale della vita di tutti i giorni dovrebbe far capire che non c’è alcun legame causale tra il porno e la condizione della donna. Così come tra la prostituzione e la condizione della donna (più c’è una sessualità consapevole più le persone possono condividere la sfera sessuale e in questo l’educazione ha effetti sulla vita delle persone) e tra l’immagine della donna in tv (sono cresciuto masturbandomi con la tv e con internet senza mai essere stato né sessista né misogino e senza chiamare le donne troie, prostitute comprese) e la sua condizione. Il che non vuol dire disinteressarsi dello stato della cultura e degli stereotipi che ci portiamo dietro. Oggi le donne sono più libere perché hanno gli strumenti per esserlo, e di conseguenza cambia la cultura, ma ovviamente rimane inalterato il problema della gelosia e del controllo, che è lo stesso di prima ( e che riguarda anche le donne ), ma adesso abbiamo più strumenti culturali per farvi fronte. 3) Dietro alla domanda di prostituzione non c’è alcuna mentalità. In passato i ragazzi spesso andavano la prima volta per i motivi che sappiamo. Oggi la sessualità è più libera e i ragazzi amoreggiano in relativa tranquillità. Ciò non toglie che il desiderio è vasto (l’educazione serve anche a fare i conti con il desiderio). A pagare non sono solo i ragazzi meno attraenti, ma anche quelli molto disinibiti e che o sono fidanzati o hanno una comunque una vita sessuale attiva. Compresi gli uomini sposati eccetera. Molti di questi sono sessisti misogini e quant’altro? Probabile. È questo che li spinge a pagare? No, pagare un rapporto non è sintomo di sessismo e misoginia e la prostituzione non è una pratica sessista e misogina. Ci sono certamente uomini che in virtù della loro misoginia comprano rapporti per poter fare ciò che vogliono di violento, ma questo non vale per tutti i rapporti.
@** Sinceramente, l’unica cosa che ho capito è che come ci rapportiamo al sesso – almeno per quanto riguarda gli uomini – secondo te non ha nulla a che fare con la cultura, e dunque, desumo, è solo questione di istinti e biologia. Di questo passo, però, non solo non dipingiamo un bel quadretto per gli uomini, ma non ci diamo alcuna speranza di cambiare nulla per stupri e violenza domestica e di genere. Ci sono costruzioniste americane che, a proposito di questo modo di vedere le cose, parlano di discorso dominante del “male sexual drive”, l’istinto sessuale maschile”. Maschile, appunto. Vorrei avere più tempo per entrare nel merito, ma basta usare Google e ti puoi trovare dei bei saggi sull’argomento. Anche molti uomini di Maschile Plurale non credo che sarebbero tanto d’accordo con te.
Quando parli di prostituzione stai parlando di chi compra o chi vende (più o meno volontariamente? E’ importante distinguere, come sarebbe utile fare un po’ di chiarezza sul rapporto tra domanda e offerta. Cos’è che stimola la domanda? Un impulso naturale e irrefrenabile? E gli impulsi delle donne che posto hanno? Perché sono da sempre così intollerabili che c’è chi li definisce “troiaggine naturale”? Il discorso dominante chiamato “permissivo” perché non riesce a funzionare allo stesso modo per uomini e donne? Se non è questione di cultura, che cos’è?
Infine: avevamo detto che non è questione che delle leggi possano risolvere senza lavorare sulla cultura. Dunque non perdiamoci a ragionare di leggi, perché il probloema non c’è legge che lo risolva, e se per te non lo è, per me la questione della prostituzione e delle tante ingiustizie e violenze che le sono connesse resta un problema.
Tanto per darti altro materiale su cui riflettere, ecco la notizia di un bel supermercato del sesso che sta aprendo al confine col nostro paese. Al di là del taglio dato da chi scrive, potremmo usarlo per ragionare un po’ meglio sul rapporto tra domanda e offerta – e interessi, e scelta, e sfruttamento, e sulle belle famigliole che ci fanno il tour prima dell’inaugurazione. Il nuovo che avanza. http://www.leggo.it/NEWS/ESTERI/bordello_casino_prostitute_tarvisio_hohenthurn_wellnesscentrum_carinzia/notizie/367887.shtml
@ ilaria
risponderò meglio al tuo commento però credo che dovresti prima specificarmi meglio ciò che mi chiedi perché sei partita dal rapporto tra la mentalità dietro la prostituzione e la discriminazione; e il rapporto tra sesso e violenza, e sono due cose diverse. per stupri e violenza domestica e di genere le cose sono già cambiate, le cose sono sempre cambiate, cultura compresa, e l’osservazione più banale è che dato che la domanda di prostituzione è rimasta sempre quella mentre la condizione della donna in Italia è migliorata è ragionevole credere che la domanda di prostituzione non ha effetti negativi ( almeno non consistenti se proprio li vogliamo considerare ) su quest’ultima.
Però davvero non capisco perché ti chiedi cosa stimola la domanda. Le persone hanno voglia di fare sesso, e questo prescinde la cultura. Fra i modi attraverso i quali è possibile fare sesso c’è quello di pagare. Le scelte delle persone sono anche determinate dalla cultura nella quale nascono, ma se tu hai fame a un certo punto rubi, cultura o non cultura. I desideri femminili sono mal tollerati per una banale questione di potere e controllo. La cultura si sviluppa di conseguenza e sviluppa scemenze come la castità, la purezza, che avevano senso un tempo, oggi non più.
Ti rispondo con le parole di Sofri, dal post successivo a questo: ” Il maschilismo immagina che scopare sia un bisogno naturale — uno sfogo necessario — dell’uomo, che al bisogno le donne vadano, con le buone o le cattive, adibite”. Buon 25 novembre. Io mi leggo gli appunti del convegno “Disonorare la violenza maschile”, per affrontare questo e tutti i giorni che seguiranno consapevole che ci sono molte persone disposte a lavorare insieme per una cultura molto diversa.
geeeeeeesu ilaria. una battuta e una provocazione: io ero femminista prima ancora di sapere cosa fosse il femminismo. sono più intelligente di sofri e pasolini messi assieme. se ti va ti scrivo ancora 🙂
Grazie della buona notizia, allora, così fanno due oggi 🙂
Per me un grosso equivoco nasce dall’uso dell’espressione “prestazioni sessuali” che in qualche modo rende asettica, riconducendola a un ambito strettamente professionale, la realtà di un rapporto sessuale a pagamento. Non riesco proprio a immaginarlo come un servizio. Certo ci sono altre professioni in cui il rapporto con il corpo altrui esiste, ma mi sembrano casi molto diversi. Non riesco proprio ad accettare che servirsi di un corpo altrui, privo di desiderio, comprarselo, per soddisfare il proprio sia perfettamente normale e accettabile. A me pensare che un italiano su tre ha bisogno di sesso a pagamento inquieta non poco. Ma ci pensate solo ai rischi sanitari? Perché basterà mettere il preservativo per stare tranquilli? E mi sembra evidente che questa pratica sia legata a una cultura caratterizzata da un’asimmetria tra i generi. Detto ciò, non condivido la proposta di legge francese, anche perché non sarà applicabile e indebolirà ulteriormente la posizione dello Stato rispetto alla tratta e allo sfruttamento. Forse bisognerebbe fare come per alcool e fumo : legalizzare (magari evitando il monopolio di Stato, ecco), regolamentare (forse autorizzare solo le indipendenti o le cooperative) e disincentivare pesantemente tramite educazione e campagne di sensibilizzazione. Certo è un tema che interroga e che lascia molte questioni aperte.
Lineare e coerente. Chi accetta senza problemi il commercio di ovociti o la schiavitù dell’utero in affitto, , si trova necessariamente a dover legittimare anche la prostituzione. più che coerenza è un obbligo morale, direi. Sempre di commercio di sfruttamento, e di donne, stiamo parlando. Autodeterminate, s’intende. Peccato che in natura l’autodeterminazione perfetta non esiste.
Oggi è la giornata contro la violenza, scrivo qua sotto fuori di polemica, che trovo azzardato e arbitrario indicare origine della violenza nel fatto che nei libri per bambini, le madri rappresentate, preparino torte e biscotti. Un può benissimo credere e promuovere un modello educativo indifferenziato, ma associarlo e ritenerlo capace di eliminare la violenza, mi pare proprio una resa, un rifugiarsi nell’assurdo. guardare la pagliuzza invece che la trave. E’ la mia opinione . Per dire, da una quarantina d’anni, siamo assediati dalla pornografia, dove si propongono spudoratamente modelli di relazioni svilite fondate sul disprezzo e spesso sull’umiliazione la violenza . Stessi modelli si ritrovano, spudoratamente promossi nei film, nelle canzonette.. com’era quella canzone del libbertario “alzati la gonna fammi vedere…” liberi liberi siamo noi
ciao,k.
Grazie Ilaria, Erica, K. Mi limito a rispondere al commento della titolare del blog, che si rivolge a me: no, Loredana Lipperini, certo che Banditer non è Miriano Costanza ma, secondo me, le due hanno in comune un retroterra di cui si alimenta il loro pensiero, costituito dalla presunzione che ciò di cui parlano come “esistente” corrisponda a dati “di natura”, o meglio, a dati pre-costituiti e immutabili, e non “di cultura”, ovvero a dati che costituiscono il risultato di un lungo processo, storico. Mi spiego meglio: anche i dati che anoi sembrano “di natura” sono il risultato di un processo, evolutivo, tanto è vero che si dice “Storia Naturale”. E la stessa cultura umana, in tutte le sue manifestazioni spaziali e temporali, è il risultato del particolare processo evolutivo della specie umana: la “cultura” è la forma di adattamento della specie umana alle condizioni dell’ambiente sulla Terra (la formulazione non è mia, è di uso corrente). E nelle vicende di questo adattamento non c’è niente di precostituito e immutabile. Compresi gli “istinti” , maschili o non: cmè che secondo Banditer la “mascolinità” è prima definita come un prodotto culturale, soggetto a mutamento, e poi il “ruolo del padre” diventa “primordiale? Com’è che l’autrice si appella ai “dati biologici” e addirittura “genetici”? Che cos’è che viene invocato come determinante sul piano genetico? Fatto è che, quando non si è specialiste di ciò di ci si parla, si dovrebbe evitare di usare le parole a caso. Per quanto mi riguarda, studio i prodotti della cultura, e uso solo le parole di cui conosco il significato e la pertinenza d’uso.
Paola: http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2012/03/14/badinter-e-il-modello-di-rousseau/
Segnalo – in particolare @ **, ma non solo – un bell’articolo di Stefano Ciccone, http://www.confronti.net/confronti/2013/11/prostituzione-lo-sguardo-sul-cliente/
Quanto a Badinter, non è tanto l’analisi in sé (come viene riportata nella recensione), a parte forse certi riferimenti alla biologia, ma la mancata sottolineatura del contesto a crearmi problemi, e cioè della struttura patriarcale di potere e privilegio nella società che, secondo alcune costruzioniste, mette gli uomini nella posizione di sperimentare umiliazione quando le divisioni di genere si confondono, e mette le donne nella posizione di venir punite se reclamano prerogative maschili. Che è poi il contesto di disparità di potere a cui fa riferimento Ciccone, in quella che ritengo un’ottima descrizione del funzionamento del discorso del “male sexual drive”.
Ilaria, io ho postato questo vecchio articolo come contributo alla discussione, che naturalmente, da massimo lizzi e da altri è stato preso a pretesto per la consueta manganellata, come è nello stile di quello che non riconosco come femminismo. 🙂 Il pensiero di Badinter ha conosciuto, come postato sopra, ulteriori sviluppi. E’ possibile essere d’accordo o meno con lei, ma credo che conoscere altri pareri sia utile. A meno di non voler, semplicemente, cercare nemici da impallinare. E non è il mio obiettivo, né spero che lo sia delle donne e degli uomini che vogliono cambiare le cose, e non, semplicemente, aggredire e bastonare.
Non ho precisato per polemica, Loredana, ma perché davvero credo anch’io che affiancare letture diverse sia sempre utile. Prima non avevo avuto tempo di farlo, e mi sembrava giusto precisare qual è il problema che a me crea il pensiero di cui qui discutevamo, e non quello di Badinter in generale. Il confine tra una lettura delle vulnerabilità maschili che finisca per giustificare la violenza agli occhi dei più e una che invece contribuisca a comprendere senza giustificare o assolvere è purtroppo sottilissimo, lo sperimento quasi quotidianamente ogni volta che si parla di violenza. E’ stata una discussione lunga e interessante su un tema che evidentemente ci coinvolge tutti moltissimo e sul quale nessuno, purtroppo, ha la soluzione.
Le manganellate non piacciono nemmeno a me, non portano a nulla di buono per definizione. Preferisco di gran lunga un dibattito civile, come qui sempre trovo.
Grazie Ilaria. Neanche io concordo con questo articolo in particolare (con altri scritti di Badinter sì). Ma trovo spaventoso quello che sta avvenendo da qualche settimana a questa parte verso chi esprime, semplicemente, un pensiero diverso. Deumanizzazione, la chiamerebbe Chiara Volpato. E questo è quello che sta avvenendo. Il tema è importante è complesso: limitarsi alle randellate dei Massimo Lizzi e degli Stefano Dall’Agata è tristissimo. Chiederò, se avrà voglia, a Pia Covre di dare il parere di una sex worker, mi sembra importante. E grazie ancora per la tua profondità e civiltà.
@ ilaria
grazie per l’articolo, che ho letto e con il quale concordo solo per lo sguardo verso il futuro, ovvero tentare di avere un’altra idea di libertà. non è che a me piacciano le situazioni violente e di sfruttamento e anch’io passo in macchina accanto alle prostitute al freddo. Ma detto questo, l’articolo di Ciccone dice cose assurde, nomina entità come “gli uomini”, come se gli uomini, i maschi, dalla notte dei tempi stanno in una stanza a decidere cosa pensano “gli uomini”, addirittura un’idea di libertà tutta maschile, che il neoliberismo ( perché oggi se in un articolo del genere non butti anche una critica al neoliberismo non sei nessun* ) vorrebbe proporre anche al femminile. Poi pare brutto se uno fa notare che la prostituzione esisteva prima ancora che qualcuno concettualizzasse il neoliberismo. Apprezzo maschile plurale, qualche volta visito il sito e leggo gli articoli.
cmq, forse ho capito perché mi hai parlato del male sexual drive, solo che dietro alle mie parole e alle mie letture non credo c’entri nulla. così come in parte non capisco perché mi hai citato Sofri. Io non ho parlato di desiderio maschile, ho parlato di desiderio, e non intendevo affatto dire che a tale desiderio vadano asservite le donne.
cito da “perché il sesso è divertente?” di jared diamond:
“nella minoranza di mammiferi maschi adulti che prodigano cure paterne ai piccoli si contano i poliginici zebra e gorilla ( che possiedono harem di femmine ), il gibbone (che forma una coppia solitaria con la femmina) e il tamarino ( piccola scimmia la cui femmina adulta poliandrica dispone di un harem di due maschi ). I maschi di alcune specie di pesci, come l’ippocampo e lo spinarello, e i maschi di alcuni anfibi, accudiscono le uova nel nido o prendendole nella bocca, in una sacca o sul dorso. ”