BIBLIODIVERSITA’, PANOPLIA, STRATEGIE: LA LETTERA DI UN EX DIRETTORE DI LIBRERIA FELTRINELLI

Forse susciterà discussioni meno accanite rispetto al gradimento o meno di una serie televisiva, ma insisto sul lavoro culturale (su cui ieri è intervenuto Il Post, sottolineando i rischi della mancanza di bibliodiversità nelle librerie). Anzi, lascio spazio alla lettera che ho ricevuto da Otello Baseggio, ex libraio ed ex direttore di una libreria Feltrinelli, che ha acconsentito (grazie!) alla pubblicazione sul blog.
Ecco qui.

 

Gent.ma L. Lipperini,
sono un ex libraio ed ex direttore di una libreria Feltrinelli, da diversi anni in pensione
Ho letto su La Stampa il suo articolo del 18 marzo, la risposta del responsabile ufficio stampa della Feltrinelli e il commento su “la questione morale dell’editoria libraria”
Desidero intervenire sul tema della professione di libraio, che mi ha occupato circa quarant’anni di vita:
– fa molto bene C. Melluso a dire i numeri delle richieste della Feltrinelli dato che la richiesta di ulteriore sconto ha effetti importanti per editori, autori e lettori: se gli editori rifiutano vengono esclusi dal sistema di offerta Feltrinelli e con loro gli autori e, per una certa parte, i lettori considerato che le opere non sono tra loro fungibili; gli editori che accettano invece, se non vogliono peggiorare il loro risultato economico, si vedono costretti, come già sistematicamente accaduto nell’era degli sconti selvaggi, a traslare in avanti il costo aggiuntivo, che andrà quindi a gravare sul prezzo finale a danno dei lettori: alla fine non ci guadagnerà nessuno perché ci sarà una contrazione marginale del numero di copie vendute dagli editori aderenti, non migliorerà sostanzialmente il conto economico di nessun soggetto e peggiorerà la fruizione di quei lettori che qualche titolo debitamente proposto dagli editori esclusi l’avrebbero comprato
– l’esclusione di una serie di editori compatta il fronte di offerta, rende più continua la sua linea tramite la riduzione del frastaglio e perciò lo rende meno efficace (minore capacità di adesione alla grande pluralità e diversificazione dei lettori), meno efficiente ( più ordini special, ininfluenti nell’innovazione dell’assortimento)
– ne consegue che Panoplìa, a mio parere, si qualifichi come offerta che pencola tra l’apparente espositivo e l’appariscente riflesso dalle illustri sigle editoriali ( del resto panoplìa era l’esposizione di armi e armature ben luccicanti a gloria degli eroi e ad attrazione dei cittadini), escludente in ragione non della caratterizzazione propria della catena Feltrinelli, ma del costo di fornitura del prodotto, ennesimo tentativo di conseguire utili comprimendo i costi anche oltre il turning point; quanto alla scelta di procedere per sigle editoriali, assistiamo a un salto all’indietro di cinquant’anni, quando le librerie, anche le Feltrinelli, organizzavano il proprio assortimento per bandiere editoriali e collane; proprio le Feltrinelli abbandonarono quel sistema per riorganizzare l’offerta in ragione degli interessi dei lettori e perciò ampliarono enormemente l’offerta traducendola in settori veri e propri; non sorprende infine che ancora una volta il sistema d’offerta venga concepito come un assoluto statico, slegato dal fattore tempo, così che generi utili in sé e per sé e non in ragione della velocità con cui vengono venduti i libri a tanti clienti diversi, numerosi, attratti dalla capacità di rispondere alle loro variegate esigenze: si tratta di un problema antico in Feltrinelli, in cui si sosteneva, e mi pare che niente sia cambiato, che l’alta rotazione faceva perdere vendite: è con tutta evidenza una bestemmia scientifica e pure una bestemmia logica perché l’alta rotazione viene data dalle vendite generate da un assortimento che evolve, si aggiorna, innova, muta con i gusti, gli interessi e le generazioni dei lettori pur rimanendo quantitativamente costante, detto per semplificare
– l’attuale contrasto tra librai e dirigenza ha trovato la sua miccia nell’euro e cinquanta, ma trova motivazioni profonde lontane e attuali: la centralizzazione da anni va di pari passo con la verticalizzazione, quali due ruote dentate collaboranti in senso antiorario, con processi che via via sottraggono ai librai competenze di scelte, proposte, ordini novità, riordini di catalogo, rese, processi di sottrazione incardinati nell’identificazione e nella coincidenza del logos della sapienza professionale con il topos della sede fisica della catena: bastava avere una seggiola in sede per potersi fregiare del titolo di detentori del logos, che tuttavia e per buona sorte trova invece la sua sede nella testa dei professionisti, gli uni di libreria, gli altri di sede: il logos è centrale per la catena perché diffuso e non per appartenenza a un piccolo gruppo asserragliato in un qualunque unico ufficio cittadino: “la nostra mente è in ciascuno di noi dio” sosteneva Euripide in un frammento della sua Melanippe; ecco, le risorse che hanno scioperato anche per l’euro e cinquanta sono le teste al contempo pensanti e operative, forse anche ignare della piramide di Maslow, comunque desiderose di essere considerate delle professioniste valide e portatrici dell’interesse per il buon andamento delle librerie, dalle quali desiderano ricavare reddito e benessere personale
– nella fase attuale, per la mancanza, ne dico una, di uno strumento di logos centrale, per capirci con un esempio un algoritmo di riordino costruito e manutenuto da chi di clienti e vendite ne sa per conoscenza e sperimentazione quotidiana, dai librai quindi, è stata presa la decisione di creare una équipe di buyer periferici provenienti dalle librerie, che di periferico tuttavia hanno solo la seggiola dato che rispondono a un funzionario di sede ex libraio, ex appunto e non più; questi buyer provenienti dalle librerie non sono ovviamente tuttologi e purtuttavia hanno il mandato di ordinare ai fornitori titoli che vanno dai ragazzi al ciclismo transitando per horror e storia a beneficio di un gruppetto di librerie; sono estraniati dai processi reali di vendita e resa e peraltro, privi anche del dono dell’ubiquità, non potrebbero partecipare a quei processi: si è in questo modo creata una nuova faglia di separazione verso la base operativa, la centralizzazione e la simultanea verticalizzazione del processo assortimentale delle librerie considerato che gli stessi buyer si occupano pure delle rese secondo obiettivi dati dal centro-vertice non ricavati da esperienza di vendita e riassortimento bensì da obiettivi di compressione del monte merci e delle rese: ci fu in proposito a fulgido esempio di questa manovra con l’esperienza di Napoli a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, libreria in cui si cassavano gli ordini del venduto per non far crescere il monte merci e si limitavano oltremodo le rese con il risultato di non riuscire a recuperare gli investimenti fatti e detenere un assortimento di libri che nessun lettore più voleva; sia chiaro, si può benissimo centralizzare senza verticalizzare, anzi si può avvicinare il vertice alla base e quindi avere una piramide bassa dal cui vertice si possono meglio scrutare e comprendere la base operativa e i fenomeni che su quella si verificano, di centrale si avrebbero il logos e una struttura dirigenziale snella, assai aderente ai processi che creano valore, competente e adeguatamente stimolata
– da questi fattori nasce il disagio profondo dei più, i quali alla loro esclusione dai processi di assortimento, innovazione e proposta ai lettori, si vedono aggiungere la delusione dell’euro e cinquanta
– Giorgio Belledi, ahinoi scomparso qualche anno fa, straordinario libraio e direttore a Parma, sosteneva che in Italia i libri non si vendono perché non lo si vuole: aveva e ha ancora ragione; mancano progetti e piani di sviluppo nel business dei libri, impera da anni l’ossessione dei tagli senza contropartite che allarghino la base di lettori acquirenti, non ci sono piani di sviluppo dei servizi, oggi assai arretrati, di profilazione dinamica del fronte di offerta, di efficienza e innovazione dei processi operativi, di formazione continua dei librai, di organizzazione ed empowerment degli stessi: mancano gli stimoli ? Certo la lontananza dei vertici non li favorisce, allora bisogna trovarli e accenderli: lo sciopero dei librai anche a questo serve, perciò loro stanno collaborando, a loro spese, per assicurare a tutti i fruitori un’azienda di librerie sensibili, sane, innovative, altamente professionalizzate che siano in grado di ascoltare i lettori e trasmettere le necessarie conoscenze alla dirigenza: fatte le ovvie proporzioni sarà bene ricordare come esempio che F.D. Roosevelt, appena insediato, sviluppò una grande campagna di sindacalizzazione per stimolare le imprese americane imbolsite dalle attività speculative del decennio precedente: tutta la federazione ebbe ottimi risultati
– per tutti questi motivi e per altri ancora che non è possibile esporre hic et nunc, sto con i librai, sempre, sono loro la Feltrinelli !
23 marzo 2025

Otello Baseggio

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