CASALESI OPERAZIONE GOMORRA

Così l’intervista di Gianluca De Feo che appare su L’Espresso in edicola oggi. Ve la riporto integralmente. Sperando che coloro che, in rete e non, hanno fatto le proprie velenose insinuazioni su Roberto Saviano e sulla scorta che gli è stata attribuita, se la leggano bene. Torno, eh.
Leonardo Sciascia, sempre lui. Il responsabile dei pm napoletani che si occupano di camorra cerca le parole per descrivere i boati che scuotono la pax mafiosa dei Casalesi, la più potente organizzazione criminale campana e forse la più ricca cosca italiana; fruga nella sua mente tentando di semplificare le dinamiche complesse che rendono incandescente questa confederazione di clan con le radici nel Casertano e ramificazioni in tutta Europa. E alla fine Franco Roberti deve ricorrere alla memoria di Sciascia: “Lui diceva: ‘I mafiosi odiano i magistrati che ricordano’. E i casalesi odiano anche gli scrittori che fanno conoscere a tutto il mondo il loro vero volto”. Oggi il problema principale per i boss del nuovo impero sono un magistrato e uno scrittore. Il pubblico ministero si chiama Raffaele Cantone: continua in silenzio a portare avanti indagini e processi contro la cupola del Casertano, mettendo a rischio investimenti e sicari. Lo scrittore è Roberto Saviano, che con le 800 mila copie di ‘Gomorra’ ha costretto questi padrini diventati padroni dell’economia a vivere sotto i riflettori: il successo del libro ha fatto terra bruciata intorno alle attività del clan in Italia e all’estero. Più che la forza divulgativa del volume, non gli perdonano l’ostinazione: il continuare a scrivere di camorra nonostante gli avvertimenti espliciti. E non tollerano quelle che per loro sono sfide personali, come la presenza in tribunale nel giorno della requisitoria. Dalla gabbia dei detenuti uno dei killer ha fissato Saviano, poi con un ghigno ha urlato: “Porta i miei saluti a don Peppino”. Un riferimento a Giuseppe Diana, il sacerdote ucciso nel feudo dei Casalesi, che con il suo sacrificio ha ispirato ‘Gomorra’: l’ultima minaccia di un sistema criminale che non riesce più a sopportare la pressione mediatica di articoli e interviste in tutta Europa. E dove i boss emergenti invocano un gesto clamoroso per “non perdere la faccia”.
Franco Roberti, responsabile della Direzione distrettuale antimafia e procuratore aggiunto, conosce i movimenti sotterranei nelle famiglie casertane. Ed interviene pesando le parole una a una, conscio della serietà della situazione: “C’è tutta una serie di segnali che evidenziano come il clan dei Casalesi si stia interessando a investigatori come Raffaele Cantone e a scrittori come Roberto Saviano che hanno provocato con il loro lavoro la sprovincializzazione del fenomeno camorra e fatto conoscere al mondo il vero volto della mafia casalese”. Non a caso Roberti parla di mafia. Ma prima di approfondire la sua analisi, il procuratore vuole mandare un segnale altrettanto chiaro. Chiedendo allo Stato di rilanciare la sfida a quei boss si sono infiltrati nell’imprenditoria e nelle istituzioni. “Di questa situazione nei confronti di Cantone e Saviano noi della Direzione distrettuale di Napoli siamo assolutamente consapevoli. Per questo stiamo premendo perché vengano a lavorare nel Casertano i migliori investigatori italiani. Per questo da settembre chiederemo rinforzi quantitativi e qualitativi negli organici degli uffici di polizia che indagano in quell’area”. Quello di Roberti è un discorso irrituale. Con bersagli chiari: “Chiederemo uno sforzo eccezionale per la cattura di latitanti storici: Antonio Iovine e Michele Zagaria sono ricercati da oltre dieci anni e sono inseriti nell’elenco dei più pericolosi d’Italia. Ma stiamo già facendo uno sforzo senza precedenti che ha provocato nell’ultimo anno la cattura di Casalesi di primissimo livello come Francesco Schiavone, cugino del celebre Sandokan, Giuseppe Russo o il reggente del clan Sebastiano Panaro. E dimostreremo che non ci sarà nessun calo di attenzione sui Casalesi dopo che il pm Cantone avrà lasciato l’ufficio per un nuovo incarico: l’unità di lavoro casertana della Dda, oltre a me che la coordino, sarà sempre dotata di autentici carri armati, giovani o meno giovani, che assicureranno continuità e incisività alle indagini, sia sul versante militare che su quello degli affari dei Casalesi”.
Bastano queste ultime frasi a testimoniare quanto l’aria sia pesante. Per spiegarlo Roberti ricorre ai suoi ricordi personali, raccolti direttamente in un ventennio vissuto in prima linea. Perché è dalla fine degli anni Ottanta che i casalesi hanno costruito il loro potere di sangue e denaro, contando sempre sul silenzio. “Hanno sempre avuto tendenze egemoniche. Tutti i media guardavano a Napoli, invece il potere era nel Casertano. Carmine Alfieri, il capo indiscusso della camorra tra il 1984 e il 1992, si riteneva un subordinato di Antonio Bardellino, il fondatore dei Casalesi. Dopo il pentimento, Alfieri mi raccontò: ‘Io a Bardellino non potevo dare consigli. Era un grande campano, davanti a lui mi toglievo tanto di capello'”. Ma la vera forza dei signori della provincia più criminale d’Italia, arrivata a segnare il record mondiale di omicidi, è il fiuto per gli affari: “Sono stati i primi a uscire dal settore edile e dagli appalti per inserirsi nel ciclo dei rifiuti, nella produzione di beni di largo consumo, nelle aziende agro-alimentare, nei giochi e nelle scommesse legali, nei consorzi di bonifica. Non dimenticherò mai come nel dicembre 1992 scoprii il nuovo business dei rifiuti. Interrogavo Nunzio Perrella, un trafficante del Rione Traiano che era passato dalla droga alla munnezza. Da Thiene nel Vicentino raccoglieva le scorie tossiche delle fabbriche di vernice e li sversava in Campania. E disse che a comandare erano i Casalesi”.
Adesso la capacità dei Casalesi è andata ancora oltre: sono passati dall’economia industriale a quella finanziaria. “Sono così ricchi che agiscono investendo capitali nelle imprese legali, senza pretendere il controllo della gestione. Hanno inventato le società a p.c.m. ossia a partecipazione di capitale mafioso, che sono ormai parte rilevante dell’economia campana e nazionale. Ma trovano mercato anche all’estero. Perchè la loro strategia è vincente: i boss guadagnano facendo risparmiare le imprese. Sono più morbidi nelle banche: chiedono interessi inferiori, non fanno fretta per recuperare l’investimento. Hanno una ricchezza talmente vasta che li esonera dalle intimidazioni e dallo strozzinaggio. Il processo Zagaria sulle infiltrazioni nelle ditte di Parma e della pianura padana dimostra come gli imprenditori del Nord fossero felici di avere i capitali della camorra”.
Per questo, sostiene Roberti, i Casalesi hanno dato vita a una metamorfosi micidiale: un nuovo modo di essere mafia. “Bisogna aggiornare il concetto di metodo mafioso alla luce della loro trasformazione. Non solo il vincolo di omertà e la forza di intimidazione, ma anche la forza del denaro. E quella delle relazioni imprenditoriali e istituzionali”. Perché tutti i grandi gruppi delle costruzioni sono venuti a patti con i Casalesi. E il loro potere non potrebbe esistere senza il sostegno della politica. Un fronte meno esplorato, perché non ci saranno mai baci tra ministri e boss casertani. Non servono più relazioni dirette e vecchie testimonianze di pubblica stima. No, anche in questo i Casalesi sono l’evoluzione della specie. “I rapporti con le istituzioni sono dominati dal mimetismo. Sono rapporti di reciproca funzionalità, un concetto che è stato fissato da sentenze ormai in giudicato. In pratica l’accordo tra padrini e leader politici nazionali avviene mediante gli esponenti locali del partito nel territorio controllato dai boss”. E qui Roberti cita le motivazioni di un processo che ha fatto epoca, quello contro Antonio Gava, ex ministro degli Interni, protagonista della politica nazionale e leader della Dc in Campania che era stato accusato di associazione mafiosa proprio con Carmine Alfieri e Antonio Bardellino, il fondatore dei Casalesi. “Dalla sentenza che ha assolto Gava con l’articolo 530 secondo comma, ossia il comma che ha sostituito la vecchia insufficienza di prove, risulta provato con certezza che Gava era consapevole dei rapporti di reciprocità funzionale esistenti tra i politici locali della sua corrente e l’organizzazione camorristica, nonché della contaminazione tra la criminalità organizzata e le istituzioni locali del territorio campano”. A gestire lo scambio pensavano quindi altre figure, come il plenipotenziario di Gava, Francesco Patriarca, condannato con sentenza definitiva e arrestato a Parigi nelle scorse settimane, o Antonio D’Auria “segretario di Gava che andava a braccetto con camorristi ergastolani a cui aveva fatto da padrino di cresima”.
Insomma: la politica usa dei diaframmi per non sporcarsi le mani a livello nazionale. Un modo che rende più sicuri gli uomini di governo e semplifica anche le cose ai boss: più basso il livello, più semplice la trattativa. E se si passa dalla Campania di Gava ai Casalesi di oggi, che puntano sugli esponenti regionali dell’Udeur e dei Ds, si scopre che il quadro non è meno inquietante. Ma Roberti non entra nel merito delle istruttoria ancora aperte. Ribadisce la pericolosità del “rapporto sinallagmatico tra camorra, imprese e politica”, che fa prosperare tutti: “I politici ottenevano sostegno elettorale dai clan, tangenti dagli impreditori e creavano consenso sociale con gli appalti. L’impresa conquistava l’appalto e la tranquillità nei cantieri garantita dai boss. La camorra invece portava a casa subappalti, mazzette e il rapporto con i politici per raggiungere protezioni nelle forze dell’ordine o informazioni sulle inchieste. Il tutto poi cementato dalle fatture false, che offrono occasione di riciclaggio e permettono di mettere insieme i fondi per pagare politici e boss”. Eccolo il segreto dei Casalesi: l’evoluzione del modello mafioso, appreso vent’anni fa quando Antonio Bardellino venne affiliato a Cosa nostra, e trasformato in una inarrestabile Cosa nuova. Un triangolo d’oro, che funziona senza sparare né minacciare. A patto di costruire una cortina di silenzio. Una cortina doppiamente necessaria mentre si celebrano i processi, condotti e istruiti dal pm Raffaele Cantone, che vedono alla sbarra capi e gregari, cassieri e killer. Ma arriva ‘Gomorra’ e la macchina perfetta dei Casalesi si inceppa: in un anno il libro di Saviano mette sotto i riflettori di mezza Europa famiglie fino ad allora ignorate. “C’è stata un’esplosione di attenzioni proprio nel momento in cui i clan tra processo e affari volevano il silenzio. Ma l’evoluzione in senso mafioso, che ha trasformato la camorra casalese in una parte funzionalmente rilevante dell’economia non solo campana, ma nazionale, con proiezioni forti anche all’estero, ha determinato l’esigenza di tenere bassa l’attenzione su questi interessi economici. E sta creando una riorganizzazione interna, con rischi di tensioni. Perché questa attivazione dei media che ha seguito il libro di Saviano ha provocato la sprovincializzazione del fenomeno camorra e l’effetto, temutissimo perché devastante sugli affari del clan, della caduta di ogni alibi di non conoscenza. Nessuno ormai, quando gli si presenta un imprenditore casalese può dire di non sapere, di non sospettare…”.
Questa nuova sfida sfugge alle categorie con cui i boss cresciuti in campagna interpretano il mondo. Crea un corto circuito nel loro sistema di potere: temono di perdere la faccia e con ciò vedere cadere il rispetto che sostiene il loro dominio sul territorio casertano. Ma sanno che usare i Kalashnikov provocherebbe la mobilitazione dello Stato e farebbe crollare i loro investimenti. “La tensione interna ai clan nasce proprio dalla necessità di tenere bassa l’attenzione sugli affari senza però perdere il controllo militare sugli affiliati. Nel passato recente ci sono stati altri segnali di tensione, che hanno riguardato persino i boss latitanti entrati in contrasto su scelte strategiche che comprendevano anche l’attentato contro un magistrato”. Roberti non fa nomi: ma anche allora nel mirino c’era il pm Cantone. Oggi cosa accadrà? Il procuratore aggiunto di Napoli non vuole stare a guardare. E per questo invoca “i migliori investigatori, rinforzi qualitativi e quantitativi degli organici delle forze di polizia, uno sforzo eccezionale per la cattura dei latitanti storici”. Perché finora dei Casalesi si è soprattutto parlato, senza che ci fosse una mobilitazione dello Stato per azzerare il loro impero: i padrini hanno affrontato i problemi giudiziari e quelli giornalistici senza che nel loro feudo la loro tranquillità venisse intaccata.
“I Casalesi finora hanno mantenuto una pax mafiosa, praticamente senza fatti di sangue. Sanno che l’attenzione per la camorra in genere nasce solo quando si spara. Per cui si fa ricorso a mezzi emergenziali per eludere l’obbligo politico e istituzionale di fronteggiarla su piano ordinario”. E Roberti poi pronuncia parole amare per un napoletano che ama la sua terra: “Qui non c’è nessuna emergenza. La camorra è parte integrante della società napoletana e casertana, ne costituisce una delle facce. Bisogna prendere atto che questa realtà è parte di noi. Solo così saranno possibili gli interventi strategici per combatterla”.

18 pensieri su “CASALESI OPERAZIONE GOMORRA

  1. E’ strano che alcuni concetti basilari debbano essere sempre chiariti e chiariti e chiariti. Che il Gomorra di Saviano dia fastidio è un dato di fatto, che Saviano dia fastidio è una diretta conseguenza.
    Ma in questa nostra italietta è normale che, per giustificare ripicche personali, ci si appenda a contenuti letterari (?) per attaccare la sostanza.
    Ben fatto, anche se ne sono certo: critiche arriveranno comunque.
    Blackjack.

  2. Povero Roberto, questi immondi nemici invidiosetti che lo attaccano. E invece i clan che vogliono stitorarlo..in tutta qesta guerra stiamo distruggendo uno dei ragazzi più brillanti che l’italia letteraria abbia mai avuto. Ti prego roberto, non venirci meno. mai

  3. Ritengo che gomorra è un’opera letteraria di grande valore civile,che saviano ,con Gomorra,ha inferto un colpo mortale al clan dei casalesi.Franco Roberti parla a ragion veduta,più che mai bisogna stringersi intorno a Saviano ,mettere di fronte alla loro responsabilità la classe politica locale e nazionale.Questo governo ha fatto,fino adesso, pochissimo nella lotta contro questo clan,tutto ciò è inquietante.

  4. Quando leggo certe cattiverie contro Roberto Saviano sto male.
    Perchè io a Casal di Principe ci sono cresciuto.
    Io quella città la conosco bene.
    In quella città impastata dalle mani del diavolo mia madre, come diverse sue amiche, si è ammalata di tumore. E poi è morta.
    Il sottosuolo che dà nutrimento alle piantagioni di frutta e verdura, in quei territori, è contaminato.
    Quando abitavamo lì avevamo un negozio.
    Se non paghi i padroni del quartiere il negozio non puoi tenerlo aperto.
    Il negozio è fallito.
    La casa che avevamo lì è stata acquistata da qualcuno a cui non volevamo venderla e poi è stata data a fuoco.
    Io Casal di Principe l’ho lasciata da anni, però quando torno lì per andare a trovare i miei cugini, se vado in un bar, debbo stare attento a non parlare di Roberto Saviano, Giancarlo Siani e J. Marrazzo…o di Don Diana.
    Quando torno lì piango e m’indigno.
    Nascere(e crescere) in Campania significa anche questo.
    Mario

  5. A Casal di Principe se dici di essere amico di Saviano ormai ti spaccano la faccia. I suoi amici infatti un pò lo schifano perchè ha esposto un pò tutti loro per non parlare del padre che se è ancora vivo non di certo lo deve al figlio. Comunque Casal di Principe è il mio paese e io lo rispetto e amo non siamo tutti camorristi, e Saviano lo sa. Massimo rispetto per lui, il suo figlio più glorioso (forse dopo Ciro Muro attaccante del Napoli).

  6. Grande Roberto, occhio, rischi di esser ammazzato, dalla casta dei giornalisti….
    Cara Loredana W la trasparenza,
    ricorderai la rubrica di Cuore in cui si intervistavano i più autorevoli e rigorosi rivoluzionari comunisti, poi, alla fine, l’intervistatore chiedeva: “Quanto guadagni?” e l’autorevole rivoluzionario se la faceva addosso…
    1) Loredana, io ho un contratto esterno con la coop. Intasco, netti, 893 euro. Nessuna facilitazione nè per la pausa pranzo nè altro.
    Vorrei chiederti quanto intaschi, netti, per il contratto esterno con Repubblica.
    2) E a quanto ammonta il contratto conla Rai. Inoltre vorrei conoscere se godi di benefit circa gli aerei, i treni, i taxi, i tram.
    3) Circa la casetta per le vacanze che hai nelle Marche, intendi in un condominio o un casale indipendente? Inoltre, la casa romana (rigorosamente entro le mura) in cui vivi è Tua?
    4) E’ vero che i dipendenti di Repubblica hanno facilitazioni nelle cliniche dell’ing. De Benedetti? Ti ringrazio Matilde

  7. Fatti vedere da uno bravo, Bonino.
    Quanto ai soldi, hai ragione a lagnarti: avresti diritto almeno all’indennizzo previsto per gli infermi di mente.

  8. A questo punto è meglio venderle le case(ti prendo il 2%,solo perché sei tu).Scherzi a parte non mi dispiace la grinta di Matilde.Mi ricorda molto il miglior Cassius Clay,quello che tra un round e l’altro andava a sfiancare psicologicamente l’avversario con provocazioni ludico-metafisiche.E le sono vicino per ciò che concerne le istanze di migliori aspettative di vita.Faccio fatica a comprendere invero tutta questa aggressività,visto che,in un paese fermo “in Via delle comiche finali,incrocio Via degli orrori” la nostra etc. è una delle poche che guadagnano meno di quello che meriterebbero.Anche prendendo in considerazione tutto.Perfino il fatto che io non le ho ancora inviato il_mio_primo_grande_romanzo(a proposito siamo a buon punto.E’ tutto in alto mare).Storie di donne,pardon di uomini sicuramente(siamo nei paraggi dell’”uomo che uccise liberty Valance” per la precisione,non distanti dalle “relazioni pericolose”.”Brivido nella notte”).Divertitevi

  9. Non lasciare solo Saviano è un dovere morale!
    L’informazione seria anche. Sminuirla chiedendo alla giornalista quanto guadagna, dirottando l’attenzione dall’argomento, non aiuta nessuno neppure i precari (questo è un altro argomento, serio e importante)

  10. Purtroppo ottocentomila copie non hanno modificato il nostro quotidiano e sostenere il contrario mi sembra un po’ come soffiare sul fuoco. Roberto non è intervenuto al Premio S. Leone, a Torella dei Lombardi, perché questo paese pratica la fatwa e nessuno ci fa caso. I riflettori sono il solletico se tutti i canali di raccolta e di ridistribuzione dei proventi continuano ad alimentare il tumore mafioso a pieno regime.
    ”Per questo da settembre chiederemo rinforzi quantitativi e qualitativi negli organici degli uffici di polizia che indagano in quell’area”. Dall’interno del cratere quel ”da Settembre” è sinceramente agghiacciante.
    I casalesi non sono una categoria dell’anima. Sono esseri umani, individui, in gran parte vittime; sono i peones di san Miguel prima dell’arrivo di Clint Eastwood. Ciro Muro è un salvagente e il reddito di Lipperini non è un diversivo, ma una dimostrazione di perfida padronanza di una regola aurea delle organizzazioni mafiose: fagocitare l’accusatore con la calunnia congetturandone la correità e appellandosi di conseguenza al ”cosi fan tutti”.
    A quando una mappa demografica dei tumori derivanti dai rifiuti tossici, vuoi vedere che scopriamo un’altra ecatombe e ci fasciamo la testa per un bel paio di settimane? Cosa dire della pompa sui magistrati paragonati ai carri armati? Preferirei più certezza della pena e una briciola di speranza nel futuro.
    Que viva Ciro Muro.

  11. prego commentare : MORTI DI TUMORE , UCCISI DALLA CAMORRA
    Ieri ho rivisto un filmato girato qualche anno fa durante una festa in famiglia ; vi erano volti e voci di amici e parenti scomparsi in questi anni….tutti o quasi per tumore.
    Un recente studio dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Istituto superiore di Sanità rileva un considerevole aumento della mortalità per tumori nelle Città del nostro territorio; ancora più forte è l’aumento delle nascite con malformazioni congenite. Secondo questo studio un cittadino maschio di Casal di Principe ha il 10 % in più di probabilità di morire di tumore che non un suo coetaneo di un’altra parte d’Italia.
    Sono oramai incalcolabili il numero delle inchieste della magistratura che ci dicono come il clan dei casalesi abbia costruito grandi ricchezze sul commercio di rifiuti tossici provenienti da tutta Italia .
    Nel 1986 o 87 , sul fondo di una cava abusiva a pochi passi dal centro abitato scoprimmo dei bidoni da cui fuoriusciva uno strano ed inquietante liquido verdastro . Presentammo una denuncia , di cui non siamo riusciti più a sapere nulla , mentre i politici locali ci accusavano di allarmismo ; solo molti anni dopo abbiamo scoperto che si trattava di residui della lavorazione di fabbriche del nord, veleni pericolosissimi per la nostra salute.
    In queste ultime settimane i media si sono spesso occupati di Casal di Principe, in modo per niente lusinghiero, e disegnando i camorristi locali come fra i più pericolosi criminali d’Italia; una organizzazione capace di controllare fette intere di economia , ma anche pezzi della politica e delle Istituzioni, presente in provincia di Caserta, nel basso Lazio, in Regioni del Nord e in alcuni paesi stranieri a cominciare da quelli dell’EST . Parte considerevole del loro potere viene, secondo le inchieste della magistratura, dal denaro accumulato in circa vent’anni di “affare rifiuti”.
    Nel rivedere nel vecchio filmato il volto sorridente di amici , accompagnati al cimitero dopo mesi di sofferenza e di dolore, nel ricordare i pazienti che ho visto morire davanti agli occhi attoniti e disperati dei familiari, non posso non sentire un moto di rabbia nei confronti di chi su tanta sofferenza ha accumulato denaro e potere, e nei confronti di chi , politico e/o istituzione , tutto ciò ha tollerato, quando non ne è stato complice.
    Molti degli osservatori della nostra realtà ci dicono che questa camorra ha smesso i panni sanguinari di chi spara ed uccide avversari o concorrenti, per vestire quelli dell’imprenditore in doppio petto ; ma si può uccidere in tanti modi, con i colpi assordanti di una pistola o di un mitra , e con l’azione silenziosa,ma non per questo meno inesorabile e crudele , di sostanze tossiche , abbandonate nelle nostre terre , che penetrano giorno dopo giorno, nei nostri corpi , in quelli dei nostri figli, delle persone che amiamo, e lentamente ci uccidono , senza fare distinzione fra amici e nemici, fra chi è coinvolto e chi è del tutto innocente.
    Centinaia sono gli uomini e le donne, giovani ed anziani, che in questi anni sono morti di tumore, ma che possiamo e dobbiamo considerare uccisi dalla camorra.
    Chiedo agli amministratori pubblici di ricordare, con una cerimonia pubblica ed una giornata di lutto cittadino, così come si fa per le vittime di mafia, tutti questi nostri amici e concittadini ,vittime inconsapevoli di una criminalità crudele , che per denaro non esita a sporcare anche il piatto dove mangiano i propri figli.
    29/08/2007
    IL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE
    “SINISTRA 2000”
    Dr. Renato Natale

  12. beh,io vorrei approfittare di questo spazio per ringraziare personalmente roberto saviano che mi ha dato l’opportunità di conoscere tutti i retroscena su una famiglia,che a differenza delle altre famiglie ,(es quelle di secondigliano) hanno meno riflettori addosso.Oltre a questo chiederei a tutti coloro che abitano a casale,ma in generale a tutti i campani di stringerci attorno a roberto,perchè non possono vincere sempre e solo loro.Di Certo non sarà un libro a cambiare le cose,ma roberto ha avuto la grande capacità di smuovere le coscienze. dani

  13. Senz’altro possiamo ascrivere a Saviano che ha coadiuvato in campo “letterario” l’opera della magistratura, il verificarsi di una sprovincializzazione della camorra. Non è stato il primo altri e ben più abili autori tra cui Giuseppe Garofalo l’hanno fatto.
    Pur vero tuttavia come Franco Roberti ha voluto altresì evidenziare come questa eccessiva attenzione mediatica e costante provocazione ben lungi dal raggiungere l’improvviso “risveglio” della società civile in cui la mentalità camorristica è profondamente e storicamente radicata, possa invece essere un ostacolo alle indagini mettendo i boss in stato di allerta.
    Con questo non dico che marce marcette, pubblicazioni di testi di denuncia non siano buone, ma che ci vorrebbe un impegno quotidiano del singolo. Sembra poco ma non fare la raccolta differenziata; gettare anche una sigaretta a terra sono chiari segnali di un società delinquenziale ed autocorrosiva.
    Saviano prescindendo da meriti che pure gli vanno attribuiti ha il narcisismo dell’eroe, ma noi proprio perchè ne abbiamo bisogno non dobbiamo averne non possiamo permetterceli. Abbiamo bisogno di chi va a lavoro la mattina come Cantone, come Roberti e molti altri magistrati che senza ambire agli odori di Santità fanno il loro dovere.
    E possibilmente prendere esempio.
    Meno marce più cultura della legalità.

  14. Saviano è uno scrittore di talento che fa della letteratura,quella alta nobile,uno strumento di conoscenza di una realtà,che è soprattutto economica oltre che criminale e che non riguarda solo Casal di Principe ma tutta la nazione,la sua bravura letteraria è dimostrata dal fatto che ad oggi siamo a più di ottocentomila copie vendute.E già con questo sta creando seri problemi alla criminalità organizzata,che ha bisogno di omertà e silenzio (soprattutto dei media)per le proprie attività di lucro.Saviano a questo punto sta diventando un simbolo nazionale e credo internazionale dell’impegno culturale contro le mafie.

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