CONTENUTI EXTRA: BLAZE

Avviene che sul quotidiano di oggi Stephen King rilasci un’intervista (lo ammetto: la vostra eccetera è terribilmente invidiosa dell’intervistatore). Avviene anche che fra le mie mani sia capitato in anteprima Blaze. Così, non resisto e vi regalo una recensione. State bene.

In Blaze ci sono tutti gli ingredienti delle storie migliori di Stephen King. a cominciare dal protagonista. Un perdente: come in Carrie, Le creature del buio, Dolores Claiborne. E come, naturalmente, It, dove bambini asmatici, obesi, miopi, balbuzienti, poverissimi, riescono a distruggere il Male in persona. In particolare, Clayton Blaisdell jr. detto Blaze, che dà il titolo al romanzo giovanile di King, è l’antenato perfetto di Tom Cullen, il ragazzone ritardato che, ne L’ombra dello scorpione,  avrà la meglio su un avversario sovrannaturale e terribile come Randall Flagg. Come Tom, Blaze ha la mente di un bambino e fatica a distinguere la destra dalla sinistra. In più, similmente a tanti eroi di King, ha alle spalle un padre spaventoso, il cui affetto non scalda ma “morde e brucia”: un padre che non spezza braccia come lo scrittore fallito di Shining e non cava occhi come il polziotto di Rose Madder. Si limita a gettare il piccolo Blaze dalle scale, annebbiando per sempre il suo cervello.

   La grande differenza con il King che verrà è che, qui, i mostri sono tutti umani: e che anzi è lo stesso Blaze, rapinatore, uccisore di vecchiette e rapitore di bambini, ad apparire mostruoso a chi gli dà la caccia.  In compenso, il giovane King ha già presente in embrione la sua intera poetica prima della sterzata verso l’horror: in particolare, l’attenzione che gli ha permesso di scrivere forse le più belle pagine del Novecento sul mondo visto dai bambini. Negli squarci in cui si racconta l’infanzia di Blaze c’è l’infelicità e c’è l’entusiasmo, ci sono l’amicizia e i sogni destinati a non realizzarsi mai. E un po’ di quella tenerezza viene conservata anche nella vita adulta: un perfetto esemplare di “spazzatura bianca” come Blaze ha pur sempre un amico, astuto quanto lui è ingenuo, veloce quanto lui è tardo. Ma George, il suo compagno di crimine, muore: e la sua presenza, nel tempo della narrazione, si limita ad una voce che parla nella testa (altro classico kinghiano, peraltro).

  Non casuale: nella testa di King , in questo caso, parla Richard Bachman, ovvero lo pseudonimo con cui lo scrittore si è firmato a lungo, soprattutto fra gli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Anni in cui King vendeva racconti dell’orrore “a piccanti  riviste di donnine come Cavalier e Adam” e Bachman scriveva romanzi invenduti ma splendidi, tesi, terribili come La lunga marcia  e L’uomo in fuga: romanzi di “neorealismo criminale”, come li definisce oggi  il suo autore, ma anche anticipatori di almeno qualche aspetto del futuro prossimo (nel caso de L’uomo in fuga,  un programma televisivo che prevede la caccia e la morte dei partecipanti). In realtà, in Bachman c’è già King: gli basterà inserire l’occulto, dal momento che la sua cifra è sempre stata quella che prevede l’irruzione dell’impossibile nella miseria del quotidiano.

  Ed è quello che stava per accadere: Blaze , scritto nel 1973, fu l’ultimo romanzo giovanile di Bachman. Subito dopo, King avrebbe scritto Carrie e avrebbe iniziato una carriera folgorante (non dimenticandosi di omaggiare il suo antico alter ego in un capolavoro come La metà oscura, dove uno scrittore si libera del suo  pseudonimo, salvo doverne  fronteggiare la perfida materializzazione).  Così, mentre un’adolescente sgraziata  con poteri misteriosi uccideva i suoi compagni nel ballo scolastico di fine anno, il manoscritto di Blaze veniva riposto in un letargo che sarebbe durato trent’anni.

   Fino a quando, cioè, accade qualcosa che tuttora molti fan di King non si sanno spiegare. Per la collana Hard Case Crime, nata con l’intenzione di far rivivere i vecchi tascabili noir e hardboiled,  King pubblica The Colorado Kid. Per molti uno shock, per gli appassionati una felicità senza pari: quel racconto lungo è apparentemente un giallo deduttivo, ma, a sorpresa, non ha risoluzione finale, non ha catarsi, non ha spiegazione (in compenso, contiene piccoli e precisi indizi che rimandano all’altro King, quello fantasy de La torre nera). La celebrazione di un mistero che rimane inviolato: un lusso che in pochi possono permettersi.

  A quella stessa collana, King decide dunque di dare un “vero” noir, si  ricorda di Blaze, lo cerca, lo rilegge. E si convince che di noir c’è ben poco. Neorealismo criminale, ancora: infatti, Blaze non viene pubblicato in quella collana, ma autonomamente, e non senza aver subito una lunga revisione. Viene riscritto, asciugato “usando persino un carattere tipo macchina  per scrivere per ricordare a me stesso che cosa stavo facendo”, purgato dal sentimentalismo. King dice non casualmente di aver pensato, scrivendo, “all’andatura sostenuta di Jim Thompson e Richard Stark”, per renderlo “nudo come una casa vuota, dove non sia rimasto nemmeno uno straccio di tappeto per terra”.

    Non conoscendo la prima versione, non si può che credergli. E scoprire, leggendo, come sia antica la sua simpatia per chi si trova nel lato selvaggio della vita: per chi, cioè,  viene individuato dalle persone normali come l’Altro che, più avanti, identificheranno con un ragno gigante o un vampiro. Ignorando quanto sia impercettibile lo spostamento che muta radicalmente un destino. Una caduta dalle scale ha fatto di Blaze un ladruncolo ritardato. Un’adozione ha fatto di suo figlio (di cui ignora l’esistenza) una star dello sport e un probabile futuro scrittore. Tutto è fatidico, direbbe King.

6 pensieri su “CONTENUTI EXTRA: BLAZE

  1. Che sia tutto fatidico, King lo dice. Ma non so se lo pensa. I suoi racconti narrano del fatidico, ma non è fatidico come egli li scrive. Personalmente credo che il noir o l’horror comportino sforzi notevoli di fantasia. Ciò che non è, deve comunque sembrar reale. Ci deve credere lo scrittore, altrimenti non ci crederà nemmeno il lettore (questo ultimo pensiero non è mio ma non so se sono autorizzato a rivelare come e dove l’ho carpito).
    Blaze prima o poi mi trascinerà in qualche buco nero. Con grande gioia per esserci finito. Come capita a tutti quelli che nel noir e nell’horror sguazzano. Grazie Loredana

  2. Avete letto il nuovo libro di moccia? e’ uscito da Bompiani, si chiama “Una storia romantica” e l’autore stavolta ha usato lo pseudonimo di Antonio Scurati

  3. Amo la libertà. Specialmente la mia :-). Ma mi viene spontaneo domandare: cosa c’entra un libro di Moccia (seppur sotto mentite spoglie) in un post che riguarda Stephen King?
    Mi pare come intervenire in un sito di Monica Bellucci a discutere su Rosy Bindi.

  4. Grazie per la recensione, Loredana.
    Ho acquistato il libro (chissà quando potrò leggerlo!).
    Ti domando: attribuendo 10 a “La storia di Lisey” che punteggio daresti a questo “Blaze”?

    @ Tiger:
    frecciata molto caustica la tua. Eppure ho sentito parlare molto bene di questo libro di Scurati (anche se Stefano Salis l’ha un po’ “strigliato” sull’ultimo Domenicale del Sole24Ore).

    @ Enrico:
    Antonio Scurati non ha nulla a che vedere con Federico Moccia 🙂

  5. Contento di aver commesso un equivoco. Avevo nella testa uno Scurati che ebbe successo tempo fa con un libro che non ricordo. Ma mi suonava si chiamasse Andrea. Grazie a Massimo dell’insegnamento 🙂

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