Ieri la vostra eccetera ha preso parte ad una chiacchierata a Fahrenheit, insieme a Giulio Ferroni. Contesto, il conto alla rovescia per la proclamazione del libro dell’anno. Argomenti: tanti, anche se la discussione sul New Italian Epic è stata centrale. Nota a margine: trovo davvero singolare che si insista sempre sugli stessi punti. Anzi, sulle stesse balle diffuse in buona o cattiva fede (il realismo, la negazione dell’introspezione, la “corrente”, la disattenzione nei confronti del linguaggio) : che il Nie non sia questo dovrebbe ormai essere evidente a chi, ehm, ha letto davvero il testo Pazienza.
Sempre ieri: leggo questo post di Giovanna Cosenza. Durante la convalescenza avevo letto quest’altro. Ovviamente, condivido tutto. Altrettanto ovviamente, sono sconfortata. Dopo un anno dall’uscita del libro, posso tirare qualche somma: non per quello che riguarda il mio lavoro (il libro è andato benissimo, ho conosciuto tante belle persone e partecipato a discussioni che mi hanno dato molto), ma per quanto riguarda l’attenzione alla tematica. Ora: se le cosiddette questioni di genere sono senz’altro più visibili (non per merito mio, intendiamoci: ma perchè era ovvio che prima o poi occorreva tornare ad affrontarle), quelle che sono ritenute piccolezze, ovvero i particolari che appartengono all’immaginario, sono ancora tralasciati. La campagna pubblicitaria dell’Unità e il manifesto con la donna in croce di cui parla Giovanna ne sono, purtroppo, un esempio lampante.
Infine, sempre ieri discuto con la primogenita di quel che sta avvenendo nel suo liceo. Credo sia noto a tutti, visto che i giornali si sono gettati golosamente sulla vicenda del professore negazionista.
Ho una cosetta scomoda da dire, sulla questione: che ci fossero dei problemi, assai delicati, da affrontare e risolvere, e non soltanto per quanto riguarda il docente in questione, era cosa nota. Come è stata affrontata? Bene: esattamente un anno fa, a proposito di altro educatore che necessitava di attenzione e aiuto, è stato proposto ai genitori, anzi, alle madri che tanto volentieri fanno branco, di organizzarsi per chiederne l’allontanamento. Insomma, ci è stato chiesto un aiutino: un grazioso linciaggio, per essere chiari, in modo di consentire di sbrigare la faccenda con rapidità.
Ovviamente, ho detto che la cosa mi faceva alquanto schifo.
E l’assembramento eccitato di cronisti e fotografi sotto il liceo, ieri come oggi, mi fa lo stesso effetto.
Grazie per la condivisione, Loredana.
Come sai, su certi temi prima ti dicono “Sissì, hai ragione, non ci avevo pensato”.
Poi continuano imperterriti/e a riproporre le solite immagini degradanti di corpi femminili. Al massimo, per par condicio, ti degradano pure quelli maschili e la frittata è fatta.
Con la complicità (o addirittura il contributo attivo) di moltissime donne, accidenti, come si vede dagli esempi riportati.
Io anche ho avuto a scuola ai miei tempi problemi con professori antisemiti. Devo dire che non mi fece troppa impressione dover convincere altre madri ad averne l’allontanamento – considerando che creava problemi agli studenti ebrei non da poco. Era indubbiamente prima che antisemita seriamente disturbata psicologicamente. Ma capisco cosa vuoi dire, e anche all’epoca fui molto dispiaciuta del fatto che l’istituzione non si assumesse il carico e la responsabilità di affrontare la questione.
Ora la docente in questione non può più insegnare, ma all’epoca fu semplicemente trasferita a far danni in un altra scuola. (“tu devi stare separata – disse alla mia amica di nome Finzi – e voi non dovete sedervi vicino a lei, che è ebrea”)
Buongiorno ragazzi!! Visitate il nostro nuovo blog http://santagatando.wordpress.com/. Un blog dove ognuno può esprimere liberamente le proprie idee.
Leggete con attenzione le finalità del progetto che vorremmo portare avanti con il vostro aiuto. Nel blog troverete tutte le informazioni utili per poter collaborare con noi..ciao a tutti
Mi piacerebbe scambiare il link con voi qualora lo vogliate. Fateci sapere via e-mail ciao
P.s. Complimenti davvero per il blog
Ho ascoltato con attenzione il dibattito radiofonico sul NIE e condivido sia il giudizio negativo espresso da Giulio Ferroni che il suo imbarazzo nel doverne discutere. Accusare un interlocutore come quello di non aver letto il testo (accusa che ha sostituito temporaneamente quella dell’invidia) non è solo patetico, significa non avere il minimo senso del ridicolo.
Non mi pubblica i post
è normale
Bello in manifesto dell’Unità.
Penso siano finiti dove sono arrivati i DS.
Bisogna ammettere che hanno una certa coerenza
Beh, Sergio. Se hai ascoltato attentamente, e se hai letto il testo, sai bene che non era un’accusa: era una constatazione. Punto. 🙂
Ferroni si è vantato per iscritto di non aver avuto bisogno di leggere più di un terzo de I Barbari di Baricco per stroncarlo. Di più: di non aver bisogno di leggere l’ultima puntata, il cui annunciato argomento era la Grande Muraglia, per criticare la metafora (per inciso: mancando completamente il bersaglio). Non c’è bisogno di indagare i pronunciamenti di Ferroni alla ricerca dei libri di cui parla senza averli letto: basta limitarsi alle sue stesse ammissioni per capire quanto ridicolo sia questo Grande Critico (e la sua corte/lessa dei miracoli).
Ma già che siamo in argomento: cosa pensare di un tale che pubblicamente ammette (e se ne vanta!) di non leggere libri di cui parla in termini di esempio? Cosa deve recepire, in termini di educazione, uno studente che apprende di quale etica professionale è impregnato l’autore del manuale che deve studiare per tre anni, e per il quale l’autore continua a percepire i diritti d’autore?
Scusate ma, davvero, è un falso problema. Gli attuali “mediatori” cosa fanno, leggono, non leggono… E’ un falso problema. E’ un punto acquisito, assodato. Non c’è più bisogno, è una dimostrazione già fatta. Sono in corso discussioni partecipate, belle e feconde. L’altro giorno a Scrittorincittà interventi molto belli, durante e anche dopo l’incontro. Oggi, casella piena di mail di persone che c’erano, spunti che al momento non erano venuti in mente etc. Da mesi ricevo scritti notevoli, che appariranno qui e là, in rete e su carta. Nuovi incontri vengono organizzati. Quasi tutti gli autori che ho tirato in ballo fin dalla versione 1.0 hanno dato contributi stimolanti, e tuttora dialogano coi loro lettori sui temi lanciati, nei loro spazi, nelle loro iniziative. I lettori, ecco, sono proprio loro quelli che incalzano di più, che pungolano, che interagiscono, co-creano. A fronte di questo, suvvia, chi se ne frega se chi attacca non argomenta, e/o se ha letto quello su cui sentenzia? Chi se ne frega? Son fatti loro, ognuno sceglie per sé. Capirei se costoro avessero un effettivo potere di interdizione, ma onestamente non ne vedo traccia, e allora a che pro concedere loro tempo ed energie? C’è una comunità aperta che lavora, si confronta, propone. E’ questo quello che conta.
Domenica, purtroppo, non sono potuto restare (c’ero solo venerdì, toccata e fuga). Dove trovo un resoconto dell’incontro di Cuneo?
@ WM1
È, e non è, un falso problema. Presi come “mediatori” nulla da aggiungere alla tua mail. Il problema si pone quando da “mediatori” passano alla veste di “storici della letteratura”, di autori di manuali scolastici che costituiscono la porta di accesso alla letteratura per intere generazioni che introiettano le loro schematizzazioni, le loro classificazioni, i loro distinguo. La scuola dalla quale si esce non avendo letto un solo romanzo, ma sapendo a memoria (perché l’ha detto il manuale) tutto di tutti i libri della letteratura italiana, è una triste eredità di quella scuola pre-68 che oggi è tanto di moda rimpiangere. È un residuo del passato, ma ha resistito a tutti i cambiamenti, ed è ancora lì, presente come un macigno (sopratuttto nell’anello più precario e problematico, quello dell’istruzione professionale). Contro questo modello scolastico c’è un’altra scuola radicata nella prassi dell’autoformazione dei docenti, ne curricoli generati dalla prassi comune e nei progetti extracurricolari (e, per fortuna c’è anche un’altra manualistica, non tutti i manuali sono da buttar via). C’è una scuola che conosce l’esistenza di comunità aperte dentro e fuori le mura scolastiche, e cerca di agire in osmosi continua con la società. Ma il problema rimane, soprattutto alla luce della controriforma in atto che crea le condizioni perché la cultura smetta di essere (auto)prodotta dalla didattica e torni ad essere sostanza precotta e predigerita. Questi vecchi tromboni sono “oggettivamente” i migliori alleati della reazione in corso d’opera, perché ne sono i primi beneficiari.
Ho lo stesso problema di Biondillo: quando si troverà qualcosa in rete su Cuneo?
Per quanto riguarda Ferroni, sui cui testi abbiamo studiato e la cui figura siamo stati indotti a venerare, ha perfettamente ragione WM1: non costituisce ostacolo alcuno il fatto che un docente e critico non si trovi d’accordo sull’utilizzo del termine epica, o sulla questione della ricerca linguistica. Anzi, mi sembra legittimo che ci siano opinioni contrarie, anche se per una volta sarebbe bello e costruttivo sentirle circostanziare con argomentazioni solide e non i soliti “vabbé” liquidatori (critica che mi sembra lo stesso Sinibaldi gli abbia mosso – per dovere di cronaca). Tuttavia, è un falso problema, come è un falso problema che Ferroni non legga quello che è chiamato a valutare. Fa parte di una pratica comune, e che alla fine inficia solo la sua credibilità. Veramente, bisognerebbe abituarsi a valutare la persona per il suo operato e non per la fama.
Ps: Tra l’altro (un parere personalissimo) la sua argomentazione sul genere epico è stata debole non si capisce se volutamente (cioè, non riteneva di avere adeguati interlocutori) o perché non è la sua area di specializzazione, nel qual caso forse sarebbe stato utile invitare un esperto di epica o di generi letterari e non un italianista a caso (vorrei sottolineare che di italianisti è pieno il mondo, e non tutti competenti nelle medesime aree).
Metteremo on line al più presto l’mp3 di tutti e sette gli interventi fatti a Cuneo (io, Lucarelli, Muratori, Scurati, WM2, Gervasini e Genna). Prima nel podcast in italiano di wumingfoundation.com, poi ampliando il raggio.
Vedi Roberto, all’edizione precedente di scrittorincittà io c’ero, e ricordo che ci fu un bel dibattito sul noir, acceso, vivace, a cui parteciparono Biondillo, Cortellessa, Vichi e Carlotto. Si confrontavano posizioni diverse, estimatori del genere e non. A quest’incontro sul NIE, quando ho visto i nomi dei relatori, ho preferito non andare perché mi sembrava fosse assente una voce contraria, e i cori di osanna non mi interessano, li trovo poco produttivi. Anche su questo blog le voci dissenzienti sono poche. Certo qui, a differenza di Cuneo, non c’è bisogno dell’invito dell’organizzatore, ma tacciare chiunque non sia d’accordo di essere invidioso o di pregiudizi perché parla di ciò che non ha letto è profondamente scorretto, significa non riconoscergli la buona fede, e questo atteggiamento settario di sicuro non invita alla discussione chi non la pensa come voi. E poi anche l’irridere l’interlocutore assente (come fa Girolamo) con la storpiatura del nome (“corte-lessa”), è squalificante, roba da Emilio Fede. Ecco, a me inquietano queste strane convergenze. Diceva bene Franco Cordelli giorni fa sul Corriere, commentando un pezzo di Natalia Aspesi in cui si accusavano i detrattori di Baricco di invidia: “La parola magica, il passe-partout del nostro contemporaneo sentire (ovvero ridurre, a tanto ridurre ciò che una volta si chiamava critica) è «invidia». Vi è ricorsa, a questo complesso concetto, non già una collaboratrice di un giornale berlusconiano, ma la valorosa Natalia Aspesi. L’ invidia, idea-chiave della critica di destra, è infine approdata a quella pseudo-destra che è oggi la sinistra italiana.”
Lippa,
mi piacerebbe conoscere il tuo parere su questo.
Quando, alcuni anni fa, il “Codice” di Dan Brown cominciava ad essere venduto a ritmi giganteschi nelle nostre librerie, ebbi la curiosità di sapere di che cosa si trattasse.
In una libreria, ne lessi, con calma, alcune pagine, prese casualmente.
Non riuscii (per una repulsione immediata, direi fisica) ad andare oltre: mi formai il giudizio che, non per quello che c’era scritto (che non potevo valutare), ma per come era scritto, si trattava di un libro per me scadentissimo, di cui non avrei potuto continuare la lettura.
E’ chiaro, nel mio caso il mio giudizio riguardava solamente me stesso.
Ma non ho avuto e non ho nessuna difficolta’ a riferirlo e comunicarlo ad altri.
Si tratta di un pre-giudizio immotivato, e non di un giudizio reale?
Devo necessariamente stare zitto? Il mio comportamento e’ sbagliato?
O sarebbe sbagliato nel caso io fossi un critico letterario (in qualche modo accreditato)?
Eh, Sergio, lasciati dire che hai perso numerose puntate perché le discussioni sul NIE, anche qui, sono state belle agitate, basta consultare l’archivio di lipperatura. In particolare sulla questione del “postmoderno”, poco dopo l’uscita del memorandum 1.0.
E io ho preso parte a decine e decine di discussioni, “fisiche” e telematiche, in cui ho cercato di rispondere a obiezioni anche espresse in modo molto duro, che sono andate avanti settimane.
La mia posizione è stata: non sottrarmi. Ho gettato il sasso, e mostro la mano in bell’evidenza. Tante persone possono testimoniare di questo mio atteggiamento. Sono intervenuto sui blog più remoti della galassia, precisando, correggendo, assumendo in parte le critiche.
Ho lasciato perdere una discussione solo quando ho visto che l’interlocutore non la stava usando per crescere insieme, ma solo per mettersi in mostra, per far vedere che “ne diceva quattro” a un autore “famoso” (anche se non era chiaro quali quattro) e lanciare una presuntamente nuova corrente artistica (“Altro che NIE! Noi del neo-vorticismo sì che…”).
Ho chiuso subito i condotti del confronto solo con chi è partito direttamente accusandomi di malafede, di essere un pezzo di merda e comunque di prendere per i fondelli i miei lettori. Con chi la pensa in questo modo fin dall’inizio, a che pro confrontarsi?
[A onor del vero, anche tu sei partito subito dicendo che la mia è una “beffa”, un inganno. Quindi sono un truffatore, un mentitore. Uno che tradisce la fiducia dei suoi lettori. Alla faccia del cercare il dialogo.]
Potrei mettere qui sotto, appunto, decine di link, ma a che pro? Questo percorso lo hanno visto e incrociato in rete centinaia di persone a cui ho risposto e ai quali ho posto nuove domande. Chi non ha il paraocchi, vede.
Il risultato più visibile di tutti questi serrati confronti è la versione 2.0 del memorandum, che accoglie, raccoglie, risponde, precisa meglio, fa autocritica su alcuni punti.
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Questo per quel che riguarda la rete.
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Per quel che riguarda, invece, la “casta dei mediatori” (dove l’accento va posto su “casta”, non su “mediatori”, perché continuo a pensare che alcune funzioni di mediazione siano necessarie), in tutta sincerità non mi sembra di aver mai letto un’obiezione una al memorandum che argomentasse qualcosa.
A mia memoria, da parte dei critici ufficiali ho visto solo i vabbe’ liquidatori a cui accennava Paola, “riassuntini” della mia lettura comparata alquanto sbrigativi corredati da battutine etc., e Belpoliti che ha creduto di fare strike con la domanda retorica “Cosa c’entra l’epica col realismo?” (nel memorandum non avevo affatto parlato di “realismo”, e comunque inviterei Belpoliti a leggere un bel libro, si chiama “Furore” di un certo Steinbeck), e Cordelli che – senza spiegare perché – ha sentenziato che i neo-epici sono “di destra”, e la Benedetti che ha emesso il verdetto: “baggianate” (anche qui, zero motivazioni), e davvero poco altro.
Alcuni critici hanno ammesso esplicitamente (e mi dicono che lo abbia fatto anche Ferroni alla radio, l’altro giorno) di aver letto non il memorandum, bensì un breve stralcio apparso su un quotidiano. Già, perché non sia mai che si metta piede in rete, orrore! La rete sarà al massimo buona per acchiappare le farfalle! Le pagine culturali dei giornali, quelle sì, invece, sono il vero discorso pubblico.
Invidia, Sergio? Mah, non direi. Indivia di cosa? Parlerei più di “territorial pissing”, di presidio di un territorio che si pensa minacciato.
Altrimenti, peggio, dovrei pensare a una scarsa dimestichezza coi rudimenti del proprio mestiere.
Riscontrato fin da subito il livello di interesse e curiosità intellettuale da parte dei “mediatori”, ho deciso che per me il terreno del confronto sarebbe stato un altro, e l’ho praticato.
Errata corrige: a cui accennava Claudia. Ho inserito il nome di una persona con cui avevo appena parlato al telefono.
P.S. Dimenticavo: interventi molto critici sul NIE / poco convinti dal NIE vengono pubblicati senza problemi anche nella sezione “New Italian Epic” di Carmilla. Solo che i detrattori partono dall’idea preconcetta di un “coro” privo di critiche, e non si danno mai la pena di verificare. Consiglio in particolare quello della redazione di “Tabard”, una dura requisitoria su come viene usata la lingua nella produzione in esame. Senza prendere scorciatoie da pavidi, come quella di chi parla indistintamente di “lingua di plastica”.
x Antonio La Trippa. La differenza forse è che il tuo lavoro (almeno credo) non consiste nel giudicare libri a livello professionale e con cadenza quotidiana o periodica. Farsi un’idea negativa di un libro sfogliandolo e basta è una cosa che facciamo tutti, altrimenti uno leggerebbe tutti i libri che apre in libreria, ma addirittura RECENSIRE un libro sulla base di quello sfogliare o scriverci sopra articoli o saggi, lì no, lì si sconfina nel cialtronesco… “Non l’ho letto e non mi piace” è legittimo, “Non l’ho letto e non mi piace perciò ne scrivo o ne discuto sui giornali (o in TV/radio)” è illegittimo. Mi pare che sia questo il punto discusso.
Intanto ecco l’audio del mio intervento d’apertura. Dura diciotto minuti esatti.
IL REGGIMENTO CARIGNANO E LA BESTIA IROCHESE
La storia di mille piemontesi che nel 1665 partirono per il Canada, spediti a combattere contro gli indiani. Che diavolo significa essere italiani? Dov’è il centro della nebulosa?
Intervento di apertura al convegno “New Italian Epic: gli stati generali della narrazione”, festival Scrittorincittà, Cuneo, 16 novembre 2008.
Seguiranno a breve gli interventi degli altri relatori: Carlo Lucarelli, Letizia Muratori, Antonio Scurati, Wu Ming 2, Mauro Gervasini, Giuseppe Genna.
migliore resa sonora, maggior “peso” (160k, 21 mega)
http://www.wumingfoundation.com/suoni/WM1_scrittorincitta_Cuneo_NIE_16nov2008.mp3
peggiore resa sonora, minor “peso” (96k, 13 mega)
http://www.wumingfoundation.com/suoni/lowres/WM1_scrittorincitta_Cuneo_NIE_16nov2008.mp3
Ed ecco l’audio dell’intervento immediatamente successivo, quello di Carlo Lucarelli. Dura dodici minuti.
DAL GIALLO ALL’EPICO: RACCONTARE COME SIAMO
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migliore resa sonora, maggior “peso” (160k, 18 mega);
http://www.wumingfoundation.com/suoni/Lucarelli_scrittorincitta_Cuneo_NIE_16nov2008.mp3
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peggiore resa sonora, minor “peso” (96k, 9 mega)
http://www.wumingfoundation.com/suoni/lowres/Lucarelli_scrittorincitta_Cuneo_NIE_16nov2008.mp3
Nei prossimi giorni, lemme lemme, anche gli altri cinque.
Premessa: non sono nè fan nè detrattore della NIE. Non ho ancora avuto la lucidità necessaria per formare un pensiero individuale che non sia frutto di impulsi vaneggianti o dionisiaci o storiografici del momento. Mi ci vuole tempo ed evoluzione e non me li posso permettere.
“Eh, Sergio, lasciati dire che hai perso numerose puntate perché le discussioni sul NIE, anche qui, sono state belle agitate”
Confermo ciò che dice Wu Ming 1, avendo partecipato alle suddette discussioni soprattutto sulla “presunta” o “vera che sia” o “data per certa” morte del postmodernismo che è ciò che mi interessa di più.
Forse vado un poco OT (e in tal caso, scusate), ma visto che nel primo intervento si è parlato di etruschi, protoitaliani e feticisti dell’identità… a conferma che sì, le cose sono un po’ più complesse rispetto alla vulgata dei suddetti feticisti riguardo a *sangue italiano contaminato ed esigenza di conservarne la purezza*, vi segnalo (se avete un po’ di tempo da dedicare all’ascolto) questa lezione tenuta da Alessandro Barbero sul rapporto “Cittadini e barbari nella Roma multietnica”. A parer mio è una splendida conferenza sul tema dell’identità ambigua e stratificata.
La trovate qui: http://www.laterza.it/pod-scenadiroma.asp
Quando fa queste cose Barbero è davvero bravo, anche la sua lezione-Laterza su Carlo Magno era bella, tutta incentrata su come ci siamo staccati dal cosiddetto “Oriente” e abbiamo cominciato a pensarci “Europa” anziché “Mondo”.
Buongiorno, arrivo sempre lungo in queste interessanti discussioni, ma se avete la cortesia di rispondermi avrei qualche questione. Ho letto, in questi ultimi tempi, due, a mio modo di vedere, interessanti cristallizzazioni di pensiero che si sono sforzate di intepretare, una da un punto di vista squisitamente letterario, l’altra con uno spettro più ampio, il periodo in cui stiamo vivendo. parlo del saggio di wuming 1 sulla new italian epic e quello di baricco sui barbari. Leggendo con attenzione i due saggi, a me è sembrato che le due analisi potrebbero corrispondere a due modi di sentire la letteratura diametralmente opposti. Premetto che baricco non fa nessun analisi letteraria (o perlomeno ne traccia solo alcune lievi linee) su quello che i barbari potrebbero produrre (o magari hanno già prodotto) in letteratura, quindi quello che segue è un mio ragionamento, sel quale mi interesserebbe sapere il vostro parere. Ciò che ho notato, è che il saggio di wuming uno, con i suoi parametri, identifichi un certo tipo di letteratura molto approfondita, in qualche modo colta o comunque dettagliata, che giunge in profondità partendo da radici reali, mentre se può esistere una letteratura barbara, essa debba essere in qualche modo molto più, mi si passi il termine, “superficiale”, nel senso che cogliendo la superficialità di un insieme di cose ne mima il gesto, senza approfondire troppo gli argomenti. (esempio: romanzo storico contro short news) D’altra parte, se i barbari formano e si nutrono di stazioni passanti (che non richiedono che il passeggero stazioni a lungo) noto che i libri proposti nel saggio di wuwing 1 invece sono dei veri e propri macigni, in questo senso. Quello che mi chiedo, e vi chiedo, esiste una contrapposizione di questi due “mondi” o, perlomeno, potrebbe esistere? Poi, riprendendo un commento che avevo scritto tempo fa sempre qui in lipperatura, possibile che il barbaro operi, oggi, molto di più nella rete, dove per l’appunto velocità, movimentismo e nozionismo sono dei capisaldi, mentre invece la letteratura sia ancora legata a un modo di pensare, stando a quanto dice baricco, “sorpassato”? penso inoltre a quando baricco porta l’esempio dei giovani d’oggi che a scuola si sento alieni, poi una volta tornati a casa si cambiano i panni ed entrano nel proprio velocissimo ruolo di barbari. ecco, non è un po’ quello che fanno anche gli scrittori, che nell’ufficialità si trovano a far fronte al rinocerontismo dellla nostra letteratura, mentre nella rete si possono muovere in maniera più agile, e proporre cose più sperimentali?
Vi ringrazio delle risposte che vorrete darmi se non ho detto troppe baggianate.
Avevo dimenticato di firmarmi, il commento sopra è mio.
Non sono baggianate, anzi. E’ una domanda che sale spontanea alle labbra. E la risposta, secondo me, è che questa dicotomia non esiste. La frontiera è più che mai sfumata. Baricco parla dei “barbari” perché non ne fa parte, ma io ne faccio parte o no? Sì e no. Sono una creatura anfibia, e come me moltissimi altri. Sono un figlio della cultura pop e anche della cultura, ehm, “classica”. Quest’espressione, “barbari”, va presa con pinze dal manico molto lungo. Lo stesso Baricco, più che farne una categoria, la usa più che altro come suggestione.
Per quel che riguarda il mio memorandum, una delle caratteristiche che ho cercato di descrivere è proprio il connubio di sperimentazione e dimensione pop. E’ un equilibrio difficile da mantenere (un equilibrio cristiano, nel senso esplorato da Alessandro Zaccuri nel pamphlet citato nel memorandum), e alcune opere, benché nate con intento pop, possono essere (absit iniuria) “macigni” mentre altre possono essere tanto nel pop da apparire lievi e superficiali, ma mi sembra che molte opere realizzino il piccolo miracolo di parlare tanto agli “eruditi” quanto ai “barbari”.
Gomorra lo stiamo sviscerando e analizzando da due anni, e in quanti ci saremmo intervenuti sopra con quest’approccio? Qualche decina di persone? Forse un centinaio in tutta Italia? Intanto, però, il libro ha raggiunto due milioni di persone, che si sono separate da una porzione grande o piccola del loro reddito per acquistarne una copia.
Ecco, Gomorra è un’opera “cristiana” nel senso di Zaccuri: ha un’efficacia d’insieme e di primo acchito, funziona ed emoziona anche con una lettura spiccia, dopodiché si può approfondire, leggere con più attenzione, esplorare i livelli etc.
Zaccuri contrappone a questa efficacia l’astruseria “neo-gnostica” di opere che si possono capire solo una volta decifrato ogni senso recondito e profondo. Opere “per pochi eletti”.
Tra i libri che ho preso in esame, possono esserci “macigni”, come dici tu, ma non ci sono opere “neo-gnostiche”. Tutti quei libri hanno un “livello-base” di lettura, godibilità o almeno comprensibilità. Sono leggibili senza problemi (anche dai “barbari”) come romanzi storici o d’avventura o noir o spy stories o reportages. Del resto, anche “Il nome della Rosa” era perfettamente leggibile e godibile come mystery, prima di (o senza) preoccuparsi delle varie citazioni, allusioni, allegorie etc.
Su questa base viene eretto molto altro, e ci saranno lettori che, legittimamente, si accontenteranno della base senza esplorare le costruzioni che ci sono sopra. C’è chi si è goduto “Romanzo criminale” pur fottendosene delle trame, della Banda della Magliana etc. C’è chi si è goduto Q stra-fottendosene delle allegorie etc. E va bene anche così, non si può prescrivere il “modo giusto” di leggere un libro.
O meglio: non è che lo stesso Baricco non faccia parte dei “barbari”. E’ che nell’esposizione adotta un punto di vista ipotetico, più esterno del suo. La domanda è: io, che ho più “barbarie” sotto l’unghia del mignolo più di quanta ne abbia lui in tutto il corpo, sarei in grado di descrivere i “barbari” con un simile distacco? La risposta che mi sono dato è che, da parte mia, non avrebbe alcun senso provarci.
Grazie della sollecita risposta. Sono sicuro che voi come collettivo non prescindiate da logiche barbare, sia per quel che riguarda la comunicazione che l’interazione con i vari nuovi supporti, però mi sembra di riscontrare a livello letterario (nella forma) che vi riallacciate in maniera più massiccia ai cosidetti “classici”, se vogliamo definirli così, che a una struttura “effimera”. Vero è che il confine è molto sfumato e non ci sono (né baricco fornisce indicazioni, giustamente) elementi che possano delineare esattamente una letteratura barbara come tu invece hai fatto per quella neoepica. La mia impressione però, a pelle, è che un romanzo storico (per dire), seppur magari ucronico, sia molto distante da quello che un barbaro potrebbe cercare e/o produrre in letteratura. ideam dicasi per il reportage, che, prendiamo l’esempio di gomorra, è molto dettagliato. Con questo non voglio dire che una nuova letteratura barbara debba parlare solo di cazzate o abbozzare in maniera semplicistica delle situazioni, ma che possa usare mezzi diversi da quelli dell’approfondimento, della ricerca, del plot narrativo, mezzi tipo una serie di “cenni” anche distanti tra loro che uniti (nel famoso “gesto”) possano ricondurre alle medesime sensazioni. Perdona se penso a voce alta, è che cerco di chiarirmi le idee. D’altronde non mi vengono nemmeno esempi validi per esprimere quello che penso potrebbe essere una letteratura barbara, (l’unico che mi salta alla mente, vagamente, è “american psycho” di ellis col suo delirio nozionistico, ma non è esattamente quello a cui penso) magari mi viene più facile nella poesia, che nella narrativa, che comunque rimane ben ancorata alle leggi del romanzo, secondo me. In ogni caso grazie, ci ragionerò un po’ su.
Tieni conto che nella realtà di quel che si scrive “dal basso” e “tra i barbari” (e intendo nella fanfiction, negli Alternate Reality Games, nei giochi di ruolo e in altre pratiche messe in piedi da comunità narranti), assistiamo a storie caratterizzate da una sempre maggiore complessità narrativa. Avvengono vere e proprie “creazioni di mondi”. Del resto, gli stessi videogame sono sempre più complessi e dettagliati e “immersivi” e… “realistici” (parola che in quell’ambito assume connotazioni molto peculiari). E spesso sono a sfondo storico, o almeno di storia intrecciata col mito.
[Tant’è che il cinema si adegua, insegue quegli immaginari, e i grandi blockbuster “barbari” proposti o imposti negli ultimi anni (vedi il più “barbaro” di tutti: 300) si insediano (con rozzezza) in quel territorio.]
E i giovani “barbari” leggono moltissima fantasy, anche “semi-storica”, e molto gotico (anch’esso molto borderline con l’evocazione di periodi passati).
Insomma, siamo così sicuri che un romanzo storico (incentrato com’è sul ri-creare mondi e società) sia molto distante da quel che un “barbaro” potrebbe cercare/produrre in letteratura?
Ah per carità, sicuri non siamo, perlomeno io. Sono convinto però che il gusto barbaro sia più vicino a un 300, come hai giustamente detto tu, che a un nome della rosa. O che elementi del passato possano esser “carpiti” e riassemblati in un contesto contemporaneo o futuristico. Non credo che la creazione di mondi però possa interessarli, anche perchè un reality games o un videogioco non sono un libro, e io cercavo di ragionare solo sulla letteratura. A naso mi dico che anche due dei più grandi universi fantastici creati, la terra di mezzo e i miti di chtulu, possano interessare un barbaro a livello effimero, “ludico” ecco, ma che difficilemente si metterebbero a distinguire il regno di gondor dal rohvanion (vado a memoria), o a leggere i pesantissimi periodi di Lovecraft. Ecci ci tengo a dire che il mio ragionamento vorrebbe concernere solo la letteratura. Comunque si, certezze proprio non ce ne sono.
Certo, non è che tutti quelli che si godono da spettatori la creazione di mondi poi si attivano come co-creatori.
[Ogni lettore è, in senso lato e implicito, un co-creatore; qui mi riferisco al senso stretto ed esplicito]
Solo una piccola parte di lettori scrive fanfiction per interagire con quei mondi. Ma è una percentuale più grande di quel che si pensa, almeno tra i giovanissimi. E sono la crème della barbarie, per così dire 🙂
Lovecraft non riesco a leggerlo nemmeno io, figurarsi. Resta il dato che i giovanissimi di oggi leggono più dei giovanissimi di dieci anni fa. Anche in Italia. So che è controintuitivo, ma è così. E non è “merito di Harry Potter”, come alcuni dicono. E’ l’inverso: è merito di chi era già inarcato, proteso verso la lettura se la serie di Harry Potter (altra manifestazione di “barbarie”) ha avuto quel successo. Forse da parte mia è molto “barbaro” allargare sempre dalla letteratura a tutto l’immaginario che ci pervade. E’ che i confini tra letteratura e altri ambiti li vedo aperti, con narrazioni che si travasano continuamente da un ambito all’altro, da un linguaggio all’altro. Chiaro che anche l’epicentro della mia riflessione è la letteratura, per i motivi che ho scritto nel memorandum e, soprattutto, perché la pratico tutti i giorni, ma inquadro questa prassi in un contesto più vasto.
Però, Alessandro: il barbaro di cui parli è abitualmente assai più esperto di un “non barbaro”, ammesso che la distinzione abbia senso, sia per quando riguarda Gondor sia per quanto riguarda Chtulhu. Non a caso esistono giochi di ruolo, di carte, videogiochi che riguardano sia Tolkien che Lovecraft. E il role playing addestra sia a leggere che a scrivere, a mio modesto parere. 🙂
ma si non dico che i barbari siano degli inetti che non tengono a memoria una serie di informazioni, ma che nel caso del role playing, ad esempio, che siano attratti dall’aspetto ludico. (ossia è il gioco che gli interessa, che poi li porta a una qualche forma di conoscenza) poi non vorrei che ci confondessimo fra giochi di ruolo e libri “role playing”, che son cose diverse come immagino ben sapete. faccio chiarezza a me più che a voi. Nel gioco di ruolo, il lato pesante informativo è affidato al master, mentre i partecipanti vengono appunto forniti di una scheda e informazioni nozionistiche. Per quanto ne so invece i libri roleplaying sono abbastanza pallosi (da esperienza). ragionandoci, pian pianino, proprio adesso, mi viene da pensare che i barbari al momento la letteratura la stiano scegliendo, non la stiano producendo. e vertano su harry potter, per dire, dando per scontato che grosso successo di vendita equivale a molte letture. quello che mi chiedo io è cosa possa uno di loro, che poi sono anche io beninteso, (che mi sono riconosciuto barbaro fino al midollo nel saggio di baricco) produrre per i propri simili tenendo a mente (oppure incosciamente) quanto labile è la loro soglia di attenzione, quanto bisogna allettarli con le salse per fargli mangiare la polpetta (per usare l’esempio dell’hamburger di baricco) . per fare questo secondo me ci sarà bisogno di una nuova struttura, non di una nuova scrittura, ma di una metodologia diversa di narrazione, svincolata dai sacri vincoli del romanzo. però mi rendo conto che sto azzardando ipotesi, che forse anche le separazioni che vedo io fra letteratura e altro in realtà sono muri di cartapesta. scusate se continuo il ragionamento a voce alta eh.
Un bel giorno che non verrà mai vorrei capire se questi livelli non-base e quindi stratificati di lettura siano semplicemente estrapolazioni “posteriori” o teorizzazioni geniali dell’atto dello scrivere intendendolo come atto totale. In pratica se le allegorie sono risultati e non premeditazioni.
“per fare questo secondo me ci sarà bisogno di una nuova struttura, non di una nuova scrittura, ma di una metodologia diversa di narrazione, svincolata dai sacri vincoli del romanzo. però mi rendo conto che sto azzardando ipotesi, che forse anche le separazioni che vedo io fra letteratura e altro in realtà sono muri di cartapesta”
sacrosante parole. Io credo nello svincolo totale, nell’atto vergine senza cavalcavia storiografici, politici ed allegorici. Nell’atto che fa spurgare emotività e non intellettualità.
I “barbari” di cui parla Baricco portano con sé il rischio di una banalizzazione. Baricco (credo a causa del suo retroterra filosofico, non dimentichiamo che nel bene e nel male è un allievo di Vattimo) fatica ad esplicitare i lati oscuri delle tendenze in atto, e sembra convinto che la descrizione dei fenomeni esaurisca i fenomeni stessi. E, soprattutto, che le tendenze in atto realizzino una sorta di “senso dell’essere” che possiamo solo narrare. Banalizzando, Baricco è un “Romano” (o forse un “Cinese”) che ha accettato l’avvento dei barbari, e vede in questo avvento un fenomeno positivo, o almeno non-negativo. Le cose sono molto più complesse. Intanto, non è detto che i barbari abbiano già vinto, o siano destinati a farlo. In secondo luogo, i barbari rischiano di essere assunti ad emblema di un’intera generazione (i “giovani” Vs i “vecchi”), il che non è (fa bene WM1 a ricordare le figure “anfibie”): ampi strati delle nuove generazioni sono tagliati fuori dal padroneggamento dei mezzi “barbarici”. Però, se si passa a una lettura più stratificata, si vede come dal testo di Baricco tutti questi problemi emergano in filigrana: l’autore pone il problema, che è cosa fondamentale. Discussioni come quelle qui in atto hanno il compito di andare oltre le pagine in questione, di collegare problemi a problemi. Io personalmente sto lavorando in questo periodo a un laboratorio didattico collettivo sulle passioni tristi, molto Bauman e Benasayang: eppure siamo partiti proprio dal concetto di “barbaro”. Porre i problemi, anche senza possedere le risposte, è sempre la cosa fondamentale (ecco perché mi irrita tanto la superficialità di chi si accontenta dei summary, delle quarte di copertina, delle recensioni orecchiate). Faccio un esempio: i barbari hanno, rispetto alla generazione scolarizzeta negli anni ’70-’90, competenze logiche trasversali radicalmente differenti (più adatte alla mutazion in corso), maturate attraverso esperienze cognitive in genere disprezzate dai “Romani/Cinesi”. Quando arrivano a scuola, sanno già leggere e scrivere da un anno (altro che aste e bastoncini), nel corso della scuola primaria sono già pratichi di Power Point. Queste competenze e capacità non vengono intercettate dal sistema scolastico, che è rimasto indietro rispetto ai soggetti da scolarizzare (soprattutto in alcuni spezzoni del ciclo scolastico di base). D’altra parte, gli stessi barbari sono in deficit di conoscenze rispetto ad altri saperi essenziali, che la scuola non riesce ad attivare. Hanno una logica fuzzy, randomizzata, ma difettano in analisi logica (e questo inficia le capacità matematiche prima ancora che quelle linguistiche). Non è da questo stato di cose che dovrebbe partire la valutazione sul ritorno al maestro unico, sulle competenze scolastiche, sui saperi essenziali, sulla durata del ciclo di istruzione? È solo un caso (io credo di no) che un primo abbozzo di risposta, contenuto nelle pagine sull’istruzione della Società dell’incertezza di Bauman, siano di fatto integrabili con le questioni “ingenue” posti da baricco (e con quelle più complesse poste da Jenkins)?
Benasayag, non “Benasayang”.
x William. Le allegorie sono risultati, esiti. E sono imprevedibili. Altrimenti, se sono del tutto intenzionali, allora sono simbolismi. “Allegorie” nell’accezione usata da chi non la conosce, narrazioni “a chiave” che si esauriscono in una sola interpretazione, dove ciascun elemento del racconto rimanda a un solo elemento della realtà.
L’allegoria è un’eccedenza, è aperta: ciascun elemento del racconto può rimandare a numerosissimi elementi della realtà, in una pletora di combinazioni.
L’esempio ipotetico del Reggimento Carignano, che ho fatto a Cuneo, non credo fosse ottenibile “a freddo”, con premeditazione. Io stesso ho preso l’episodio storico, l’ho raccontato a me stesso e solo dopo ho cercato le allegorie.
Detto questo, i risultati vanno ottenuti. Bisogna lavorare per ottenerli. L’autore, scrivendo, asseconda e favorisce quell’esito molteplice, rimanendo in ascolto del testo che sta scrivendo, cercando di valorizzarne l’apertura, caricando lingua e storia di tanti riverberi etc. Tiene una direzione “di massima”, ma non è auspicabile che provi a “pianificare” l’allegoria. Verrebbe una roba di una povertà assoluta, un’opera destinata a invecchiare presto e male. L’esempio che faccio nel memorandum, il film Attila del 1954, è molto istruttivo. Vedendolo, ti immagini la scena in cui produttore, sceneggiatore e regista si dicono: “Dunque: Attila è l’Ugnone Sovietica… La corte di Ravenna so’ li americani… Er Papa, che te lo dico a fa’, è er Papa… La chiesa salva er culo a tutti…”
x Alessandro. Confesso la mia ignoranza, i libri role play non sapevo nemmeno esistessero ancora. Io comunque parlavo di fanfiction, cioè di scrittura. Scrittura “barbara” nata nell’immaginario pop, es. gruppi dove si scrivono racconti che si svolgono sull’isola di “Lost” etc.
a margine di questa discussione, dato che sono stati menzionati degli autori che amo molto (giorgio vasta da loredana e alessandro barbero da anna luisa, volevo dire che considero “il tempo materiale” un esordio folgorante per potenza espressiva e originalità, e che letteralmente divorai “9 agosto 378”, un resoconto storico molto avvincente della battaglia di adrianopoli, ma soprattutto un saggio affascinante per la lezione di tolleranza, di integrazione e di relativismo che se ne ricava (allora gli immigrati venivano da nord e la razza superiore era bassa, olivastra e tarchiata).
é una legge del web: quando si arriva al cuore delle cose, garufi cambia argomento.
é una legge del web: criticare un commento a un post in forma anonima
“quando si arriva al cuore delle cose, garufi cambia argomento”
va’ dove ti porta il cuore (delle cose)
p.s. “è”, non “é”
Angelini, è lei???
Aggiunti nel podcast di wumingfoundation.com gli interventi fatti a Cuneo da Letizia Muratori e Antonio Scurati. Nel giro di qualche giorno, anche gli ultimi tre (WM2, Gervasini e Genna).
Ho appena terminato di ascoltare il podcast di Gervasini: cavolo!… un intervento molto interessante anche se la realtà cinematografica che ha analizzato è davvero avvilente ;-((
Un po’ alla volta mi dedicherò anche agli altri.
“E il role playing addestra sia a leggere che a scrivere, a mio modesto parere.” [lipperini]
Da Fat’s Dream e da Alessandro, che sono due grandi negozi bolognesi specializzati in fumetti, dvd, materiale che riguarda il role playing, le narrazioni fantastiche giapponesi su ogni medium, insomma cose apparentemente da ‘massonieria dell’immaginario’ ‘smanettoni filonipponico’ ‘parafiliaci della fantascienza’, ho sentito ragazzetti narrare trame con una bravura assoluta, acutissimi. Mi è anche capitato – mi rendo conto di essere un po’ strano – di fare finta di rovistare tra i cd di Kurosawa (che già possiedo in blocco) solo per ascoltare ‘come’ si parlava di quelle narrazioni.
Diciamo: la scatole degli strumenti è nelle mani di quei ragazzi. Però c’è ancora un passo: le immaginazioni in cui si muovono con disinvoltura devono diventare lettura della realtà e critica, in modo da ‘prendere la parola’.
Sia chiaro per alcuni è già così.
Per esempio quello che per me fu affascinante molti anni fa quando avevo letto “Totò Peppino e la guerra psichica”, era questa sensazione di ascoltare dei ragazzi che avevano costruito un sapere/linguaggio nuovo, periferico, isolato, basso, però efficace, che permetteva di ‘prendere la parola’, di rispondere a chi detiene il potere. Che poi mi sembra la cosa davvero importante. (Non so se questa risposta è arrivata, se non è così ci si è andati vicini).
Invece le scuole di scrittura fiorite negli stessi anni, che erano più ‘istituzionali’, più al ‘centro’, con un sapere che partiva già più ‘alto’, ho l’impressione che non abbiano prodotto quello che si poteva pensare.