DESTINAZIONE SVEZIA

C’è una mia recensione sull’ultimo romanzo di Winslow, su Repubblica. Ve la posto e vi saluto per qualche giorno: vado a Stoccolma, su invito della società Dante Alighieri, per raccontare “Ancora dalla parte delle bambine” e -ahia- la situazione italiana per quanto riguarda le questioni di genere (e non solo). Torno mercoledì. Ogni tanto, se riesco, darò un’occhiata da queste parti: fino a quel momento, state bene.

La redenzione sembra essere il tema che attraversa molta narrativa americana contemporanea: affiora e viene negata ne Il sangue è randagio di James Ellroy, viene concessa a stento nel finale di The Dome di Stephen King, viene inseguita nell’ultimo romanzo di Don Winslow, La pattuglia dell’alba (Einaudi Stile Libero, pagg. 365, euro 18,50, traduzione di Luca Conti), nominato ai Barry Awards 2009.

Winslow è la nuova perla del poliziesco americano, assai corteggiato da critica e cinema: Oliver Stone dovrebbe dirigere l’adattamento di Savages e Robert De Niro dovrebbe essere il protagonista de L’inverno di Frankie Machine, il romanzo che ha portato Winslow a un successo stellare. In più, Winslow è un maestro del noir sociale: tale era lo splendido Il potere del cane e tale è La pattuglia dell’alba. Anche se, in questo caso, mafia e narcotraffico sembrano restare sullo sfondo: o meglio, si evidenziano in controluce quando dietro un’indagine legata ad una truffa e a un omicidio si mette in luce un altro aspetto del crimine organizzato che sfrutta la povertà del Messico. “Del mondo che c’è fuori di qui, tu non hai la minima idea”, mormora la spogliarellista Tammy a Boone Daniels, ex poliziotto e investigatore privato. Daniels lo scopre e non può sradicare il male: può, al massimo, pareggiare un paio di conti col passato e arginare un po’ di orrore, senza sconfiggerlo.

Il vero centro del romanzo (che in originale si chiama The Dawn Patrol, echeggiando non troppo casualmente un paio di famosissimi film di guerra degli anni Trenta) è quello indicato dal titolo: luoghi dove, al sorgere del sole, qualcuno si raduna, prima che gli altri esseri umani sopraggiungano. Perchè le pattuglie dell’alba sono due. La prima è quella composta da un eterogeneo gruppo di surfer: Boone Daniels e i suoi inseparabili Johnny Banzai, nippoamericano e poliziotto d’azione, High Tide il samoano, il rasta bianco Hang Twelwe, il bagnino dongiovanni Dave the Love God. Più Sunny Day, cameriera e unica donna della compagnia. L’altra pattuglia è formata da un gruppo di bambine messicane fra i dieci e i quattordici anni, che camminano nella foschia del mattino incontro ai loro clienti: sono state importate clandestinamente per essere vendute come prostitute, e vivono nei campi di fragole, come nella versione velenosa di una canzone dei Beatles.

Prima di capire, Boone avrà tutto il tempo di far valere le doti classiche degli investigatori old style, pieni di talento e fradici di rimorso: la sua strada nella polizia si è chiusa quando si è rifiutato di usare le maniere forti con il rapitore di una bambina, e la bambina è scomparsa per sempre. Spiegazzato e intuitivo, si è rifatto una vita surfando e indagando: e leggendo di nascosto i classici della letteratura. Quando accetta di rintracciare e proteggere la spogliarellista che, come si conviene, ha visto troppo, agisce a precipizio per risolvere il caso entro quarantott’ore: anche perché su Pacific Beach sta per abbattersi una mareggiata imperdibile per chi vive in simbiosi con la tavoletta.

Per arrivare alla soluzione, Winslow usa tutti gli stereotipi del noir: ma li usa talmente bene da farli sembrare nuovi. Anche la sua mistica dell’onda è quanto di più lontano dall’icona californiana del bello e abbronzato. Qui, sull’onda si costruisce una filosofia di vita: perché quella cresta d’acqua “è in grado di farti capire qual è il tuo preciso posto nell’universo”.

Inoltre, La pattuglia dell’alba è un romanzo sull’amicizia maschile, che è altro tema caro a Winslow: i vincoli che legano il gruppo si devono a caso e generosità, ma non si spezzano mai. E’ il vecchio” tutti per uno” di Dumas adattato a ragazzoni mangiatortillas un po’ mascalzoni ma col cuore d’oro. Eppure, le donne non sono ai margini. Non lo è l’avvocatessa Petra, studiosa e astuta, non la spogliarellista Tammy, che a fronte di tutta la retorica del mestiere (capelli rossi, occhi verdi, tette finte) è un piccolo esempio di moralità. Non lo è, soprattutto, la magnifica Sunny Day. La pagina in cui Sunny rompe con la vecchia vita e con Boone e affronta l’onda più alta di tutte è uno degli omaggi più belli alla forza di un personaggio femminile.

15 pensieri su “DESTINAZIONE SVEZIA

  1. Il noir mi si addice…
    *
    Cara Lippa, forse lì a Stoccolma faticheranno a capire certe robe nostrane…ma almeno significherà che le hanno superate da tempo (caso mai le avessero avute anche loro).
    Bon voyage.
    Da qualche parte lì nella città, presumo al cimitero, c’è la mia tomba!

  2. …le hanno superato da tempo…
    Non ne sarei così sicura, Ekerot. La compagna di Larsson, l’autore della trilogia Millennium, sta lottando da tempo per ereditare “almeno” una piccola parte delle royalties milionarie dello scrittore. Si sono pappati tutto il padre e il fratello, che non parlavano più con lo scrittore da anni!
    Due veri squali – e la legge svedese glielo ha permesso, visto che “non erano sposati” (sic).
    Senza neanche approfondire la circostanza, in questa sede, che molto probabilmente la trilogia è stata scritta a quattro mani dalla coppia – lui non aveva il tempo materiale, dicono gli amici, di seguirla fino in fondo! E quindi la poveretta è stata esclusa dai proventi del suo stesso lavoro…
    Tutto il mondo è paese.

  3. Questo sì.
    Ma mi piacerebbe che tutto il mondo fosse paese alla svedese piuttosto che all’italiana…
    Nel rapporto del World Economic Forum, la Svezia è quarta e totalizza uno 0.814 di comparazione di uguaglianza.
    Il che significa che ha ancora un 20% di migliorie. Certo!
    Di pista però ce ne danno.

  4. Sono stata in Svezia a più riprese per lunghi periodi, soprattutto per motivi di studio (dal liceo al dottorato) e vi posso assicurare che tra la situazione italiana e quella svedese c’è un abisso. Ammetto che non conosco con precisione statistiche e classifiche, ma vi posso dire che la differenza si percepisce nel quotidiano, nelle piccole e nelle grandi cose. Certo, è vero, la parità non è stata ancora raggiunta del tutto nemmeno là, però si avverte che a questo scopo è in corso un lavoro continuo, e che più che la politica e i ministri delle pari opportunità sono le persone stesse, uomini e donne di tutte le età, che con il loro modo di pensare, di parlare e soprattutto di fare stanno creando le condizioni per un miglioramento ulteriore della situazione.

  5. Oh no, te ne vai. E adesso chi mi censura? Hai lasciato almeno qualcuno dei tuoi scagnozzi ai cancelli come buttafuori ?

  6. Tutto quello che dite è senz’altro vero.
    Però da profano mi viene anche da dire che stiamo parlando di un paese enorme, con risorse sconfinate, e con una densità abitativa mostruosamente più bassa della nostra.
    Garantire uno standard di vita elevato, grande dinamicità culturale ed efficienza dello stato in quelle condizioni è parecchio più facile.
    Poi c’è l’arretratezza culturale tutta nostrana, ma non posso non pensare che anche quella sia figlia almeno in parte dell’ignoranza e della miseria.
    Nel caso particolare di Larsson (autore che non conosco), è morto all’improvviso? In caso contrario, non avrebbe potuto preoccuparsi di tutelare la sua compagna in altro modo, qualora avessero deciso di non sposarsi? (testamento, ecc…)

  7. Esatto, Paolo E., Larsson è morto d’improvviso. Un infarto ad appena cinquant’anni, nel pieno dell’attività. Il tipico evento imprevedibile.
    Ecco perché non aveva ancora predisposto nulla. Era una coppia giovane, per gli standard attuali. E mi pare proprio che in questo la legislazione svedese non differisca di una virgola da quella – arretrata – italiana.
    Per quanto riguarda a tua disanima della situazione svedese, sono completamente d’accordo con te. Quello che che trovo un po’ strano negli altri pareri è questo affannarsi a spiegare che la Svezia è proprio un altro mondo rispetto all’Italia. Io leggo da anni gli autori scandinavi, e le magagne di quei paesi le conosco molto bene. A fronte comunque, come giustamente metti in luce tu, di una situazione economica strutturalmente e demograficamente vantaggiosa.
    Ma quello che più mi turba è l’anteporre i dati alle storie, come dicevo prima: leggete i romanzi del norvegese Hoeg, leggete l’autrice svedese della “principessa dei ghiacci”. Descrivono realtà molto dure. Lo stesso Larsson descrive una Svezia sessista e ancora legata ai fantasmi politici del passato. Per questo leggiamo gli scrittori, prima dei dati. Non so se sono stata chiara, non c’era e non c’è alcun intento polemico nelle mie parole. ma sono sempre stata colpita dal tono di denuncia degli scrittori scandinavi, e la triste storia della compagna di Larsson mi sembrava confermare la presenza di molte zone d’ombra anche in quei paesi.

  8. Non penso che si stiano dicendo cose troppo dissimili.
    Che esistano zone d’ombra anche nei paesi più civili, è assodato. Basta vedere in Svezia il numero di suicidi.
    E certamente la letteratura e l’arte di una nazione possono darci la trama di queste zone d’ombra.
    Penso alla Svizzera di Dürrenmat o di Hans Giger.
    *
    Ma questo non cambia il fatto che quando un italiano finisce in questi paesi, per lo più nordici, beh l’impatto lo sente. Bastano un paio di settimane. I compagni o le compagne di studio che sono finite in Scandinavia o in Europa del Nord, mi raccontano una realtà che è diversissima dalla nostra.
    Anche io l’ho sperimentata seppur in Canada (che nella lista del WEF è 25esimo).
    Parlo proprio di tante questioni che vengono proposte su questo blog.
    Dalle veline alle foto sui giornali, alla pubblicità. Alla violenza contro le donne.
    Questi possono sembrare meri dati ma concordano con quanto poi vedo per le strade, nei locali, negli uffici.
    *
    Che poi appunto si sia sempre in tempo a tornare indietro e a peggiorare, beh è sperimentato. Che la guardia non è mai troppo alta, mi pare altrettanto decisivo.
    Comunque attendo che la boss, fresca di viaggio, ci fornisca il suo pov che sarà senz’altro più nitido e preciso del mio.

  9. Io ho cercato di dire quello che ho provato sulla mia pelle come donna che ha vissuto in Svezia per tre anni e ha trascorso gli altri ventisette in Italia. E’ stato tornando dalla Svezia che ho voluto leggere “Dalla parte delle bambine” e “Ancora dalla parte delle bambine”, perchè vivere là mi ha resa sensibile a certe tematiche a cui non mi ero avvicinata stando in Italia, un po’ perchè con le mie coetanee universitarie non si parlava di queste cose, un po’ perchè il tentativo di affrontare certi argomenti veniva spesso liquidato in partenza con un bel tremate tremate le streghe ecc. ecc., un po’, lo ammetto, per pigrizia intellettuale mia. Certo è vero che gli scrittori scandinavi denunciano situazioni gravi, ed è purtroppo vero che queste situazioni esistono. Se ne discute molto e c’è molta consapevolezza attorno alla loro gravità. Così come mi sembra che le conquiste che si sono raggiunte non siano date per scontate.
    Forse sbaglio, però anch’io, come è già stato detto sopra, vorrei che tutto il mondo fosse paese un po’ più alla svedese che all’italiana….

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