A metà degli anni Cinquanta la fotografa Eve Arnold scatta una foto che diventerà famosissima: Marilyn Monroe legge Ulysses di James Joyce sulla spiaggia di Long Island. Quella fotografia diventa un’icona: appare con frequenza quando si parla di lettura, anche sui social, e porta con sé un sottotesto, quasi mai espresso. Il sottotesto dice “cosa vuoi che ne capisca, quella splendida oca?”. Nessuno lo confesserà, figurarsi, ma l’idea che la Bella tenga fra le mani uno dei testi più complessi del Novecento, che mette a cimento qualsiasi lettore, sembra più la rappresentazione di una buona volontà femminile che un riconoscimento. Di fatto, è anche il coronamento di un sogno: una donna bellissima che tiene fra le mani il libro di uno scrittore, maschio, naturalmente.
Peccato che l’idea di quello scatto, come dirà Arnold, fu della stessa Marilyn: “Mi disse che teneva l’Ulisse in macchina e che lo stava leggendo da molto tempo. Disse che le piaceva il suono e che se lo leggeva a se stessa, ad alta voce, per dare un senso a quelle parole”.
Nel 2001, Mario Vargas Llosa scriverà, a parer mio sgomento, della schiacciante maggioranza (“da goleada”) delle lettrici. Fra le righe, si propone di spiegare ai non lettori uomini che la letteratura non è un passatempo, non è un abbellimento ” che si possono permettere coloro che dispongono di molto tempo libero per lo svago”. Ovvero, le donne. Come dirà Francesca Serra nel saggio Le brave ragazze non leggono romanzi, “è l’uomo che ha bisogno di una letteratura “degradata” per potersi pavoneggiare da bravo intellettuale; è il mercato che ha bisogno di una donna bulimica che divori romanzi uno dopo l’altro”.
Il mercato, esatto. Quando si affermano i blog, e poi si affermano i social, e trionfa Instagram, quell’idea della lettrice ornamentale, tutta sentimento e istinto e cura nei confronti degli autori, in contrapposizione a una critica che sempre meno denota curiosità e sempre meno incide, soprattutto, sulle vendite, il mercato editoriale drizza le orecchie.
Se c’è in giro una cosa più importante del mio Io, dimmelo che le sparo subito (Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti)
All’inizio degli anni Dieci, gli editori cominciano a corteggiare le book-blogger, che sono in maggioranza giovani donne. Anche gli scrittori lo fanno,naturalmente, e continuano a farlo (esistono book-blogger che si affermano nella piccola cerchia letteraria italiana semplicemente parlando benissimo di tutti i libri. Chi può resistere?). E le book blogger, molto spesso (ma non sempre) accettano il corteggiamento, all’inizio ignare che rappresentano non la nuova frontiera, ma l’ultima spiaggia. Significa che nell’estrema difficoltà di ottenere recensioni e segnalazioni da carta e televisione, dato l’altissimo numero di novità pubblicate quotidianamente, si sogna (brividi, brividi!) “il passaparola della rete”. Oh bello. E chi lo fa il passaparola? I blogger. E chi sposta le vendite? I blogger.
Non è vero, nonostante una ricerca Aie del dicembre 2012 che segnala come influencer non i blog letterari con più accessi ma quelli più propensi a parlare di ogni libro uscito in termini positivi o quanto meno neutri. Bene, quella gratificazione di cui le case editrici fanno mostra verso molti blog (e che va dalle copie dei libri inviate – non a tutti e non sempre – gratuitamente, a quelle messe a disposizione per i give away –che è una pratica di marketing diffusa non solo per i libri, ma per qualsiasi prodotto, sì, prodotto, di cui i blog e gli youtuber si occupano, dai rossetti ai foulard) viene utilizzata da quasi tutte le aziende per coinvolgere quello che fino a ieri era un consumatore e oggi, gli vien detto, è parte attiva nel processo. Per quanto riguarda i book blogger, si usano le loro recensioni per gli strilli di copertina, e si saluta con democratica compiacenza il loro ingresso tra i votanti dello Strega: in quanto blogger, naturalmente. Poco conta che i book blog non spostino davvero le vendite: in Italia, checché se ne dica, i market movers sono ancora Che tempo che fa, o qualunque programma di prima serata che accolga un libro, e il Premio Strega, piaccia o meno. E in Italia, oggi, si vende poco, pochissimo, anche in questo caso checché se ne dica e vi dicano.
“Tu non consumi, tu crei”, sussurrano gli editori alle blogger, e i dirigenti Disney ai bambini: la Disney Junior Worldwide invia autori e uomini marketing nelle scuole materne chiedendo ai bambini cosa pensano del futuro prodotto. Come ha dichiarato al Wall Street Journal la vicepresidente Nancy Kanter, “con questo sistema capiamo cosa piace ai nostri potenziali clienti e soprattutto evitiamo errori che potrebbero pregiudicare la riuscita”. Sofia Prima, una principessa del gruppo, è nata così, dai commenti dei bambini filmati con videocamera, e ricompensati con adesivi e gadget ( alla scuola va un centinaio di dollari per il disturbo).
Briciole, come si vede. Come briciole sono quelle elargite dagli editori alle book blogger (non sempre e non a tutte): se dall’altra parte c’è qualcuno che economicamente ha il coltello dalla parte del manico, non dovrebbe esserci altro da aggiungere. Se non che diventa facilissimo perdere il senso di quel che si fa quando dall’altra parte ti si promette, magari, e non troppo velatamente, la pubblicazione di un tuo romanzo presso l’editore che tanto fedelmente stai servendo.
In Editoria e lavoro culturale, un pamphlet autoprodotto anni fa in eBook, un blogger che si chiamava eFFe ricorda che “operare nel mondo della cultura senza considerarne i dispositivi (ciò che Giorgio Agamben definisce “un carico di regole, riti, e istituzioni che vengono imposti agli individui da un potere esterno, ma che vengono, per così dire, interiorizzati nei sistemi delle credenze e dei sentimenti”) e le logiche economiche, significa fare come lo struzzo e nascondere la testa. Quello che accade spesso, purtroppo, è che la politica dello struzzo viene giustificata da una coriacea macchina ideologica di cui gli stessi blogger sono al contempo vittime e fautori: “Io lo faccio per passione!” “Io recensisco solo i libri che mi piacciono!” “Io non faccio stroncature!” “Io faccio solo stroncature!” “Io sono solo un lettore!” “L’editoria non m’interessa!” “La cultura è più importante del mercato!”. Sono, queste e tante altre, espressioni di un armamentario ideologico dietro cui gli editori si nascondono senza tema di far scoprire l’ambiguità di certe loro pratiche (e, ribadisco, parlo di ambiguità, non certo di corruzione) e che configurano talvolta veri e propri casi di autosfruttamento”
Per Instagram non funziona diversamente. Le book influencer sono, come un tempo le blogger, corteggiate da quotidiani, uffici stampa e editori. Perché, si ritiene, la loro abilità nel confezionare set fotografici non può che aiutare le sospirate vendite. E’ stato scritto, ed è vero, che altrove si concepiscono le copertine dei libri pensando alla loro resa su Instagram. Anche se quelle vendite scarse rimangono, nonostante gli sforzi.
Ora, tutto questo è un problema delle book influencer? Neanche un po’. Blogger e instagrammer devono restare libere di scrivere di quel che desiderano e fotografare i libri che vogliono. Il problema è a monte, ed è nel disperato tentativo di renderle tutte fra loro omogenee ed etichettabili nella definizione di consumatrici: di pagine come di margarina o tettarelle per l’allattamento, in caso di account che si occupano di cibo o maternità. La questione delle book influencer non può essere trattata come caso a parte: rientra nel complesso delle strategie promozionali che riguardano il web, laddove si insiste fino allo sfinimento sul concetto del “tu non consumi, tu crei”, come detto. E dove, fino allo sfinimento, si vorrebbe uniformare l’idea delle instagrammer come lettrici spontanee, istintive, calde quanto la critica ufficiale (maschile in grandissima parte) è, o si pone come chirurgica e consapevole.
E’ vero? No. Ma di questo, sempre ribadendo che nessuno impedisce a nessuno di giocare ma sapendo qual è il gioco in questione, si parlerà domani.
Non abbandoneremo la nostra esplorazione
E la fine del nostro esplorare
Sarà arrivare dove partimmo
E conoscere il luogo per la prima volta.
Attraverso la porta sconosciuta, ricordata,
Quando l’ultimo lembo di terra da scoprire
È quello che era il principio
T.S. Eliot, Little Gidding
Il discorso è molto interessante, spero mi si perdonerà se chiedo un chiarimento su un aspetto specifico e non esaustivo del tema: si sbaglia, quindi, chi sostiene che le instabookers spostino copie, o meglio, un numero significativo?
A spostare copie, in Italia almeno, e fin qui, ci sono ancora solo televisione, Premio Strega e in parte Premio Campiello. Quando parlo di spostare copie, intendo raggiungere i lettori non fortissimi.
Le grandi tirature, insomma.