Il 31 luglio 1973 il volo Delta 723 viaggiava da Burlington, Vermont, verso Boston. C’era molta nebbia. Per scendere, l’aereo doveva allinearsi con il raggio che delimita la linea centrale della pista, indispensabile, ai tempi, in condizioni di scarsa visibilità. Ma era troppo veloce e troppo alto e oltrepassò il localizzatore. E poi c’era davvero troppa, troppa nebbia: i pescatori dissero che non riuscivano neanche vedere i loro ami entrare nell’acqua. I piloti provarono a riprendere quota, ma colpirono la diga di cemento che separa l’aeroporto dal porto di Boston. Apparve, secondo le testimonianze, una fiamma alta e lunga, come un sipario infernale. Morirono 87 degli 89 a bordo.
Fu uno degli incidenti aerei che capitavano e capitano ancora, purtroppo, ma è anche una storia di fantasmi. Perché c’è un seguito, che è stato raccontato qualche mese fa dai giornali americani. La protagonista è una donna di sessant’anni, Michelle Brennen: ne aveva dieci quando uno dei fratelli le disse che l’aereo su cui viaggiava il padre era precipitato. I figli bambini non parteciparono ai funerali, non lessero i giornali, vennero tenuti lontani da quella morte per proteggerli: il risultato fu che Michelle continuò a pensare che il padre fosse vivo, anche se conosceva la verità. Molti anni dopo, durante il lockdown, Michelle ripulisce la cantina della madre, morta nel frattempo, e trova una scatola con tutto quel che riguardava il disastro aereo. Compresa la lista dei passeggeri morti. Decide di rintracciare i familiari, uno per uno, per capire come si sentivano: li riunì, infine, in una domenica di luglio, nello stesso aeroporto dove l’aereo si incendiò. Si incontrarono, si parlarono, riconobbero un dolore comune. In poche parole, scacciarono finalmente i fantasmi.
Abbiamo un grosso problema con i fantasmi, da ultimo. In parte, non li riconosciamo. E se li riconosciamo non li ascoltiamo. In questi giorni ho letto spesso ammonimenti contro i progressisti, o “sinistri” come amano chiamarli le persone schierate a destra, in quanto ancorati al fantasma del Novecento: non si può più leggere la realtà con i criteri del secolo scorso, dicono. Il mondo è cambiato, dicono. Inutile rimanere inchiodati alle antiche utopie, che a un certo punto della storia recente sembravano potersi realizzare. Basta con le categorie di destra e sinistra, basta con il passato, usiamo le opportunità che abbiamo davanti, addio cari fantasmi.
E’ una lettura che ha il suo fascino. Ma temo contenga parecchi errori: perché molti di quei fantasmi sono ancora presenti, e pronti a fare qualcosa di più che sospirare nelle nostre orecchie. Vanno visti, capiti, ascoltati, per poter ripartire. Certo, la sinistra non ha saputo e forse non sa guardare i fantasmi e soprattutto quel che ha intorno, o è appena un po’ più in là. Ma ha visto altro, che molti non vogliono vedere. Per quello mi arrabbio, e non poco, quando si sostiene che le destre vincono perché da sinistra ci si occupa di “frivolezze” come il linguaggio inclusivo, o i diritti delle persone trans, o i diritti in assoluto, “mentre i problemi non sono questi”. I problemi sono connessi: la povertà, la mancanza di lavoro, lo sgretolamento della sanità, la solitudine, la disperazione, la paura sono tutte questioni interconnesse con il non riconoscimento di esigenze e anche disperazioni che non comprendiamo, non vediamo e non vogliamo riconoscere.
Poi, certo, non capiamo come muoverci. Penso che abbia avuto ragione Alessandro Baricco nel suo The Game, quando dice che siamo ancora all’inizio di una mutazione e che possiamo sviluppare tutte le difese, se non per governarla, per far sì che non ci uccida. A patto di accorgersene, naturalmente. A patto di non barattare la propria identità (e pure la comunità e pure la stabilità) per qualche like in più, come molte delle anime belle che, col sorriso, appiccano le fiamme alle fascine. A patto di ascoltare i fantasmi. In un libro di James Hillmann e Sonu Shamdasani, Il lamento dei morti, si dice che i morti soffrono nel restare inascoltati. Chi torna vuole attenzione: vuole essere visto. E risponde all’altrui rimpianto: come i passeggeri del volo Delta 723, evocati gentilmente dalla figlia di uno di loro, affinché chi li ha amati possa infine lasciarli andare.
Facciamoci i conti, magari.
Nota di servizio: nelle prossime due settimane il blog non sarà aggiornato, perché torno a condurre per Radio3, in questo caso Pagina3. Ci ritroviamo là.