“Di tutti i pericoli che infestano il bosco di notte, fantasmi, folletti cattivi, orchi che fanno i bambini alla griglia, streghe che invece li ingrassano dentro alle gabbie per i loro banchetti cannibali, il lupo è il peggiore perché non sente ragione.
Sei sempre in pericolo nella foresta, dove non c’è nessuno. Inoltrati sotto i cancelli dei grandi pini i cui rami spogli ti si avvolgono intorno, e fanno inciampare il piede del viaggiatore incauto, come se la vegetazione stessa fosse in complotto col lupo che abita nella foresta, come se gli alberi infidi andassero a caccia per conto dei loro amici – inoltrati tra i cancelli della foresta con la più grande trepidazione e infinita prudenza, perché basterà lasciare il sentiero un istante, e il lupo ti divorerà. Sono grigi come la fame, cattivi come la peste”.
Naturalmente oggi non lo accetteremmo. Nessun bosco è infido, diremmo. Non ci sono foreste che fanno paura e soprattutto i lupi, oh, i lupi, non sono cattivi. Certo, lo sappiamo. Ma le fiabe non vogliono dirci questo, non sono didascaliche come immaginiamo. Il lupo non è il pedofilo che insidia le bambine, ma prende ogni volta le sembianze dei nostri timori. E dei nostri oscuri desideri, anche. Se non scendiamo in fondo, nella parte nerissima della nostra anima, non siamo in grado di affrontare pericolo alcuno.
Questo dicono le storie. Questo, soprattutto, intendeva Angela Carter in La camera di sangue, raccontando certamente violenza maschile, ma anche desiderio femminile. Complessità, certo, perché siamo creature complesse. Ieri, durante Fahrenheit, mentre dialogavo brevemente con Nadia Fusini su Carter e i suoi rovesciamenti dei canoni, dove una madre salva la figlia da Barbablu e dove anche Cappuccetto rosso può essere una creatura selvaggia, piomba il solito sms ammonitore, che recita, più o meno:
“non leggerò mai un testo che difende la pedofilia”.
Questo senza sapere un accidenti di niente di Carter, del testo e, appunto, della complessità di cui siamo fatti (non leggerà Otello, la signora o il signore? Getterà Shakespeare dalla finestra? E brucerà Nabokov, già che ci siamo? Lo-li-ta. Lolita a Teheran, che Azar Nafisi legge con le sue studentesse per rivendicare la propria e la loro libertà, e molti di quelli che hanno fatto di Azar un’icona femminista – anche giustamente, ehi – non si fermano a pensare quale sia il testo scelto. Lolita. Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta).
Veronica Cruciani, la bravissima regista dell’adattamento radiofonico de La camera di sangue, sta lavorando su un testo di Hattie Naynor, interessante autrice di teatro inglese. Il testo è Bluebeard/Barbablu, lo interpreterà Tommaso Ragno ed è un monologo tutt’altro che indulgente del personaggio. La mancanza di indulgenza significa guardare nella camera di sangue. Significa dire – cito a memoria le parole di Naynor – che noi donne siamo e saremo attratte dai Valmont e dai vampiri. E’ vero, e negarlo non serve a superarlo. Nemmeno se sostituiamo i vampiri con un Edward Cullen che morde solo dopo il matrimonio, e controvoglia, come in Twilight.
Ripeto: questa è la letteratura, a questo serve. Non è un comunicato stampa, non è un post sui social, non è la convocazione di una manifestazione. Quelli devono esserci, così come devono esserci le leggi, l’educazione sentimentale e sessuale, le denunce, i monitoraggi, tutti gli strumenti di cui dobbiamo dotarci. Ma la letteratura deve farti guardare nello specchio, giù fino al famoso pozzo nero: prima riconoscere, poi cambiare. Se la esigiamo semplificata, levigata, conforme alle nostre sicurezze, non un solo passo verrà fatto, dentro o fuori dal bosco.
D’accordissimo con te. Una mia amica con due due figlie alle medie mi ha detto che quando ha raccontato alle altre madri di aver regalato a sua figlia Dracula e Frankenstein si è sentita dare della matta perché non erano letture per bambini, troppo violenti e ambigui.
Io e lei li avevamo letti alle medie su suggerimento di una professoressa.