Dicono, ma basta col vittimismo: minacce e fuori di zucca capitano a qualsiasi persona, donna o uomo o omosessuale o transgender.
Ma sì, ma certo. Però il messaggio pervenuto alla Utah State University dove doveva intervenire Anita Sarkeesian diceva che, insomma, se l’odiatissima signora si fosse fatta viva ci sarebbe stato il bis, o peggio, di quanto avvenne il 6 dicembre 1989, e sarebbe forse il caso che tutte e tutti coloro che sbuffano per la solita faccenda dei mutandoni alle statue, caldi e comodi nelle loro belle casette davanti alla loro bella e comoda e imperturbabile bacheca di Facebook, ricordassero cosa fu il massacro del Politecnico di Montreal. In poche parole: un ragazzo venticinquenne, Marc Lépine, autodichiaratosi “combattente contro il femminismo”, ammazzò quattordici donne prima di suicidarsi.
Bene, l’autore del messaggio diretto all’Università dello Utah ha fatto presente che il gesto di Lépine sarebbe stata robetta, se Sarkeesian non fosse stata allontanata. E aggiunge:
“Anita Sarkeesian is everything wrong with the feminist woman, and she is going to die screaming like the craven little whore that she is if you let her come to USU. I will write my manifesto in her spilled blood, and you will all bear witness to what feminist lies and poison have done to the men of America.”
Sarkeesian ha dunque cancellato l’impegno, ma basta dare uno sguardo in rete per capire che non ha affatto vita facile. A parte i fake che twittano col suo nome, a parte lo scherno e l’odio di cui è fatta oggetto, la signora ha collezionato, negli anni:
– Qualche graziosa variazione apportata alla sua pagina su Wikipedia.
– Svariati hackeraggi al suo sito
– La pubblicazione del suo indirizzo privato su twitter con la minaccia di farla fuori
– Un videogioco in cui si invita a pestarla e altre piacevolezze.
Il resto è raccontato qui.
Cosa ha mai fatto Sarkeesian? Un progetto, Tropes vs Women, dove analizza la rappresentazione femminile nei videogame. Potete vederlo qui. Potrà, evidentemente, piacervi o meno, potrete trovarlo criticabile o di parte, potrete attaccarvi alle tende e dire che di questo passo mezza narrativa mondiale andrebbe messa sotto accusa, e anche intonare la solita solfa “mostri, siete pieni di pregiudizi verso il mondo dei videogame e, magari, del fumetto, perché ci odiate, infami aristocratici che non siete altro”.
Balle, però.
Perché anche chi ama il mondo dei videogame e, magari, del fumetto, deve poter essere libero di analizzarlo ed eventualmente sottolinearne contraddizioni senza che si scatenino le truppe d’assalto di chi ritiene che il proprio mondo sia intoccabile. E’ toccabilissimo, come lo è Stendhal. E nessuno intende fare a meno di Stendhal, del videogioco e del fumetto: ma intende, possibilmente, ragionarne, senza essere minacciato di morte fisica o trovarsi additato alla pubblica infamia se esce fuori dal coro di consolatoria autodifesa e autoassoluzione. Che oltretutto serve a pochissimo, furboni.
Grazie per l’articolo, Loredana. Questa questione va avanti da anni, anche leggendo i commenti dei blog e magazine online di videogiochi italiani, ogni volta ci si trova davanti a ragazzi, giovani suppongo, che o la insultano o che dicono che è bona. Anche perché probabilmente non seguono il filo del ragionamento, e alcuni -molto giovani- si sentiranno colpiti a morte per avergli rovinato il loro prodotto preferito. Non rendendosi conto, again, come il gesto su internet sia uguale al gesto nel salotto di casa.
E’ vero anche che la Sarkeesian lavora spesso per quantità, per pattern. Ma proprio questo metodo ha fatto sì che questo IMMANE lavoro prendesse forma, e i suoi video sono utilissimi.
Poi vorrei precisare: la maggior parte dei videogiochi ha, sebbene pare ci siano delle perle qua e là, delle trame piuttosto semplici. O che usano espedienti narrativi che appaiono solo in superficie complessi, ma che si realtà si ripetono da titolo a titolo.
Grazie, Andrea. L’auspicio è che la discussione si allarghi. Intanto, segnalo l’iniziativa del New York Times
http://www.nytimes.com/interactive/2014/10/15/technology/women-in-video-game-industry.html?_r=0
Andrea, non credo sia una questione che la Sarkeesian rovina loro il loro gioco preferito. Lei stessa è un’amante dei videogame e lo sottolinea in ogni suo video. Il problema è che i videogame sono considerati “territorio maschile”. Molte giocatrici di videogame online (quei giochi dove si può partecipare collettivamente da qualsiasi parte dei mondo) lamentano di essere prese di mira, molestate verbalmente o anche minacciate perchè donne (http://www.bbc.com/news/magazine-18280000 http://www.bbc.com/news/magazine-18280000 per fare 2 esempi) Il fatto che Sarkeesian abbia osato addirittura analizzare e criticare i videogames, per certi induvidui, è semplicemente inaccettabile.
non è un caso che il genere maschile solitamente sposi a occhi chiusi una locuzione latina prima di qualsiasi causa: “Si vis pacem, para bellum ”
p.s. Urgono operazioni culturali e provvedimenti legislativi in grado di insegnare a distinguere la liberta` d`espressione dall`istigazione a compiere reati, visto che il buonsenso comune e` andato allegramente a farsi fottere nell`incuria generale
Ciao Sally, hai ragione il mio discorso tendeva a semplificare. E non conosco i ragazzini americani -Anglofoni? Canadesi?- così bene da poter dire dove sia il problema (perché sono sicuro che un territorio comune nell’adolescenza e post adolescenza c’è, a tutte le latitudini, ma credo che abbia delle esecuzioni diverse). Sicuramente c’è anche quel fattore di territorio maschile di cui parli tu, e appunto, i giochi “belli”, quelli ad alto budget, sono solo indirizzati ai maschi. Personalmente penso che il ragazzo che le manda le minacce di morte presenti un disturbo, ma ciò non toglie che questi atteggiamenti sono dannosi quando sono nel quotidiano e non solo al livello patologico. Pero’ mi dico anche che: i ragazzi, maschi, ma anche le femmine, stupidi non sono. E sarebbe bello cercare di spiegargli questi problemi. Penso che la Sarkeesian ci abbia provato ma putroppo qualcosa è andato storto, probabilmente anche l’eccessiva analisi quantitativa, con il contesto non sempre spiegato in modo completo. E mi chiedo se un ragazzo giovane, a digiuno di gender equality, sia in grado di fare un discernimento, dato che, queste pagine ce lo insegnano, pare non ci riescano manco gli intellettuali e le istituzioni. Quindi ecco, secondo me il rischio è nei maschi e nelle femmine che verranno, non solo nei violenti.
Onestamente Andrea continuo a non capire il tuo voler cercare le motivazioni sull’ eccessiva analisi quantitativa della Sarkeesian. La metodologia da lei utilizzata non è diversa da quelle utilizzate nel mondo accademico anglosassone. E te lo dico da persona che ha vissuto e fatto l’università in un paese anglosassone. A me personalmente le sue analisi (e non solo quelle dei videogame, ma su tutta la cultura pop) sono sempre sembrate complete e ben strutturate. Quel “qualcosa che è andato storto” non è affatto un mistero, dal mio punto di vista. La Sarkeesian è una donna che si è sempre proclamata femminista (orrore). Già questo di per sé basta per ricevere minacce e insulti se sei un personaggio pubblico (e anche se non lo sei, a volte). Tra l’altro non era la prima volta che riceveva minacce (estese anche alla sua famiglia), come molte altre femministe. E, purtroppo, penso non sia opera solo di menti disturbate, visto che ha dovuto disabilitare i commenti sui suoi video, per la quantità di insulti che riceveva, e vista la quantità di video contro di lei (hanno anche creato un gioco chiamato “Beat Up Anita Sarkeesian”, dove si invitavano gli utenti a picchiarla virtualmente).
un saluto
Ciao Sally, conosco bene la vicenda di AS e il suo lavoro assolutamente anglossassone, figurati se lo nego. Io non lo trovo sempre convincente, per appunto i motivi di contestualizzazione, che spesso mancano del tutto: ci sono titoli e titoli, ci sono momenti storici, ci sono date, ci sono ondate di certi tipi di narrazioni e così via. Poi, secondo me, i suoi video andrebbero guardati a prescindere, da tutti quelli che si occupano della questione e soprattutto da chi non sa manco cosa sia un videogioco. E vanno guardati anche perché le analisi quantitative non sono di per se un male, anzi, sono utilissime. molti videogiochi molto ammiccanti ma con uno storytelling spesso troppo povero. Ma malgrado questo ci sono dei contesti che andrebbero spiegati meglio. Questa questione ha dei risvolti molto inquietanti e secondo me meriterebbe molta più attenzione dai media e delle regolamentazioni. Quindi non vorrei apparire come quello che dice “Anita ti devi spiegare meglio, te la sei cercata”. Proprio no, Anita Sarkeesian scrive e fa i video secondo le sue possibilità ed è bene che la gente se li guardi, però la vicenda, che ha scaricato una marea di commenti in rete da parte dei ragazzini maschi di mezzo mondo andrebbe studiata, anche con una certa distanza antropologica. Quindi forse dovremmo anche chiederci “Perché reagiscono così brutalmente?”, “Il ragazzo che manda le minacce di morte è disturbato o no?”, “Qual’è il nodo scoperto?”, “Cosa non si riesce a comunicare sul femminismo?”, “Se AS fosse italiana, i ragazzini italiani reagirebbero nello stesso identico modo? Cosa sarebbe accaduto in Svezia?”, “Quali culture ci sono sotto questo odio?”. Per me è ovvio che AS è la parte offesa ed è ovvio per me l’orrore per quell’odio di fondo di cui parli tu, e per me è anche ovvio che se vivessimo in un mondo con più uguaglianza di genere non avremmo le stesse reazioni, ma mi piacerebbe anche capire a più a fondo la questione. Ciao!
Ciao Andrea, io non conosco la questione, ho provato a vedere un po’ il video di AS, ma non sono così bravo con l’inglese. Cmq, mi pare che nel tuo discorso si confondano i piani. Il lavoro di AS è un lavoro accademico, io non so neanche se sia un buon lavoro, non è questo il punto. Il punto è che non è rivolto a chi la minaccia, e non avrebbe senso, men che meno che fosse rivolto a dei ragazzi. Conosci ragazzi che non si esprimono brutalmente? Si chiama adolescenza. Il femminismo non deve comunicare con i ragazzi, ci sono dei mediatori apposta, la famiglia, la scuola eccetera. Sarebbe strano che non ci fosse stata alcuna reazione, perché vorrebbe dire che il lavoro di AS è del tutto inutile (cosa che potrebbe comunque essere). La differenza in ogni caso non la fa il videogioco, come non la fa la musica ascoltata, i film visti. La fanno le persone attorno al ragazzo e alla ragazza.
No, Jackie, la differenza viene fatta anche da tutto quello che ci circonda. Il che non significa “vietare” o “censurare” o “mettere il burka a Lara Croft”. Significa, banalmente, imparare a decodificare. E insegnare a farlo.
@ Andrea, a proposito dell’assunzione che gli attacchi vengano da parte di “ragazzi statunitensi”. Secondo l’articolo della BBC, “Average gamer aged 37, has played for 12 years” (American Gamers). Adesso, io non chiamerei persone di 37 anni “ragazzi”: come sappiamo se sono solo i “ragazzi” coloro che offendono pesantemente le giocatrici online e AS? Tra l’altro, sempre secondo la BBC “Women aged 18+ represent a greater portion of game-playing population (37%) than boys aged 17 or younger (13%)”. Non possiamo neppure essere sicuri che siano tutti statunitensi, mi pare. E’ invece abbastanza probabile che siano tutti maschi.
@Jackie. Beh, i lavori di AS non sono certo lavori accademici, sono dei video, ma sono un buon inizio. Secondo me i genitori spesso sono impotenti, o non sono in grado di decodificare neanche loro la realtà. Quello che dico io è che forse co ‘sti ragazzini ci dovremmo iniziare a parlare. (Comunque i video dovrebbero avere i sottotitoli in italiano!). Quello che dicevo prima a @Sally è che secondo me AS ci ha provato ma chi poteva immaginarsi questa reazione?
@Balu. Ma dici che l’età anagrafica è così rilevante? Secondo me dovremmo iniziare a parlare anche con chi ha 37 anni (e oggi saprai bene che ha una dimensione morale identica a quella di un 17enne, dato che fanno, ambiscono, pregano, amano le stesse identiche cose)
Riguardo alle ragazze che giocano ai videogiochi: i giochi ad alto budget (altissimo ormai, quelli che vendono milioni di copie tipo Call of Duty e Grand Theft Auto, che hanno cartelloni pubblicitari nelle città del mondo) sono giocati quasi esclusivamente da ragazzi.
E no, i detrattori di AS sono per la maggior parte anglofoni, ho controllato sui siti italiani e quasi non la conoscono: sono solidali, pensano si sia inventata la storia dell’attacco, e ovviamente dicono sia una nazista.
Ecco perché dico che forse bisognerebbe parlarci.
Non vorrei fare quella che urla al gombloddo, ma secondo me non è neanche troppo assurdo ipotizzare che simili campagne di odio sul web siano, se non in parte architettate, almeno facilitate dall’industria dei videogiochi. Oggi negli Stati Uniti chi fa critica di genere ha una visibilità grandissima rispetto a qualche anno fa e la sensibilità del pubblico sta cambiando. Credo che tutto questo faccia tremare più di un designer e più di un produttore – oltre ovviamente al giocatore maschilista frustrato che incolpa le donne di tutti i suoi problemi (e che, ma parlo a naso, è probabile che non sia giovanissimo).
@Andrea: sicuramente non è il tuo caso, ma io di inviti a parlare con i maschilisti ne ho sentiti tanti, e di solito significano: “Donne, andate a parlare con i maschilisti”.
E lo si dice – ripeto, sicuramente non è il tuo caso, ma spesso è così – perché chi è che deve educare se non le donne, e poi perché questa patata bollente la sbologna volentierissimo sulle nostre spalle, visto che a molti uomini sembra un compito controproducente o che comunque non gli spetta. E non parlo di agire in modo organizzato, ma anche semplicemente di farlo nella propria vita quotidiana.
Ora, personalmente agli uomini che si comportano come quelli che attaccano Anita Sarkeesian sul web – che sono uomini che fanno attivamente del male a una donna, per davvero – io mi rivolgere solo per mezzo di uno stivale con la punta rinforzata indirizzato con violenza sul cavallo dei pantaloni. Di maschilisti ne ho incontrati tantissimi nella mia vita, e mi hanno fatto del male e tanto. No grazie.
Dei maschilisti dovrebbero occuparsene gli uomini, perché sono un loro problema (certo ci sono le donne maschiliste, certo ci sono le insegnanti e le madri che educano alla discriminazione ecc ecc, ma non raccontiamoci balle, please. Sono gli uomini che prendono i fucili contro le femministe, e non per caso). Ci sarà mai – con numero minimamente significativi – questa presa di responsabilità?
Andrea, ma parlare di cosa? Capisco il tuo discorso, solo che non è così che funziona la realtà. Ma cosa vuoi che gliene freghi a uno che gioca con un videogioco di un video di AS. I genitori non sono affatto impotenti, e poi di fronte a cosa? La realtà non sta nei videogiochi, sta fuori, e lì servono i genitori, non a decodificare un prodotto culturale, ma ad insegnare il rispetto altrui. Se cresci in un ambiente sano puoi spararti tutti i videogiochi peggiori (o i film horror, i fumetti, i libri ) che puoi immaginare, non ti toccano. Poi che a scuola si organizzino corsi anche per genitori che insegnino questo lavoro ben venga, ma non è questo che fa la differenza. Se un ragazzo passa tutto il tempo a giocare da solo con un videogioco (indipendentemente dal videogioco) è quello il problema, non che qualcuno gli spieghi come sono strutturate le trame, gli stereotipi di genere eccetera.
Male non fa, che qualcuno spieghi trame e stereotipi. Non solo sui videogiochi, eh 🙂
sottoscrivo integralmente Jackie brown.
Massì, poi è anche più divertente e istruttivo studiare i testi (non solo letterari) in questo modo a scuola. Torno ad attaccarmi alle tende
@Adrianaaa: No. Macché parlare coi maschilisti, a quelli non gli fai certo cambiare idea, (lo fai forse tu col tuo tacco? Ma perché un tacco poi? Perché è un simbolo più genderizzato? Adria’, sto genere di provocazioni non mi fanno letteratura, mi intristiscono e basta) Io parlo di tutto quello che c’è in mezzo, a iniziare appunto da chi è giovane, ragazza o ragazzo che sia, e diciamolo: anche di 37 anni. Io dico solo che ci troviamo in un empasse comunicativo. Già tante cose, grandi e piccole, centrate e meno centrate, si stanno facendo. E guarda, io combatto tutti i giorni con chiunque, dai colleghi a lavoro al signore alla fermata del bus, per una scelta mia, personale di non stare più zitto. Ma io passo per matto, e non è una battaglia facile. Per questo servono espedienti comunicativi. O anche che gli autori televisivi e di videogiochi e e di tanto altro fossero più attenti a un diritto FONDAMENTALE e lo applicassero di default. Cosa in questo blog ripetuta più volte.
@Jackie. Nessuno ti nega che i genitori siano importanti per spiegare la realtà, figurati, ma qui non stiamo parlando dei genitori che hanno i saggi di Diotima sul comodino. I giovani e non, genitori e non, vivono tutti nella stessa dimensione culturale dei figli. Hanno l’opinione plasmata da quelle quattro scemenze con le vallette nude che vedono in tv. Non è che vanno molto lontani, secondo me.
Non sono d’accordo con Jackie Brown: la realtà sta ANCHE nei videogiochi, nel senso che come ogni prodotto culturale ci forniscono storie e valori in cui identificarci, con cui giocare appunto, ci dicono qualcosa su ciò che è possibile nella nostra società. Se è così comune da essere banale la presenza di donne svestite messe lì per il piacere e divertimento dei maschi (etero of course!), questo mi dice che ciò è largamente accettato, che il maschio va inevitabilmente sollazzato con carnazza giovane e compiacente eccetera. Pensa se al posto di queste donne nei club e nei bordelli ci fossero bambine o bambini, il protagonista li guarda con occhio lubrico e ne paga uno per una sveltina: credi che un gioco così sarebbe tollerato? Eppure sarebbe solo un gioco, non meno degli altri. Ma la nostra società non tollera la pedofilia (la corteggia ma non la sopporta quando viene agìta). Il maschilismo invece per molti non è semplicemente l’ordine normale e naturale delle cose, e questa convinzione viene perpetuata ANCHE attraverso libri, giocattoli, media eccetera. Cioè hai voglia che i genitori educhino i figli, se sono loro per primi maschilisti e gli sembra normale progettare o lanciare l’ennesimo videogame in cui l’unico personaggio femminile è la principessa rapita in attesa dell’eroe che venga a liberarla, da ricompensare con il suo ammore.
Sarkeesian parla agli universitari che magari saranno i game developer e gli imprenditori di domani, ma, mettendosi in gioco anche sul web diversamente credo da molti accademici, è arrivata anche a chi lavora in quell’industria oggi, alle e ai gamer. Mette in discussione le cose che tutti questi hanno sempre dato per scontate e giuste, compreso l’assetto maschilista di questa industria e suoi anessi. Poi magari non tutti hanno gli strumenti per ragionare sui temi proposti, molti la vivono come un attacco indiscriminato a un mondo che amano e in cui si identificano, altri vedono minacciati i loro interessi, altri invece magari trovano nei video della sarkeesian le parole per dire ciò che loro stesse/i hanno subito o provato, aumenteranno la loro consapevolezza. Fatto sta che in America si è innescato un gran dibattito pubblico che coinvolge gamer, ragazzi, genitori, i media, l’industria. Qualcosa sta succedendo.
refuso: “Il maschilismo invece per molti non è semplicemente l’ordine normale e naturale delle cose” è sbagliato.
la frase giusta è: “Il maschilismo invece per molti è semplicemente l’ordine normale e naturale delle cose”
violi
sotto l’ombrello del maschilismo, ormai, sono finite tante di quelel cose – comprese scelte del tutto personali e legittime – che secondo me può starci sotto l’intero universo, non solo il nostro mondo.
Forse l’atomo, in origine, pensava al maschile, anche lui vittima di stereotipi, e da spedire al gruppo di autocoscienza atomica.
*scelte delle donne, intendevo dire, del tutto personali e legittime
diana.
Non capisco cosa intendi dire.
Qui nessuno critica scelte personali. Si parla di prodotti e prassi dell’industria dei videogame: le critiche della Sarkeesian sono circostanziate e dettagliate. Se le sue argomentazioni non ti convincono, perlomeno le reazioni che hanno suscitato, gli insulti e le minacce in cui si fa continua menzione al fatto che lei sia una troia, una femminista di merda, ai suoi genitali e a ciò che ci si vorrebbe infilare, allo stupro come vendetta per l’offesa, non ti sembra ecco che tradiscano in effetti un filino di maschilismo?
scusa, francesca, era un commento OT, sul maschilismo, non su Sarkeesian.
Chiunque si esponga in rete o sulla carta stampata può diventare oggetto di attacchi, che non sono mai condonabili quando diventano vere e proprie minacce, naturalmente. La legge interviene e giustamente in questi casi.
Ancora su informatica, genere, marketing: Peggy Orenstein.
http://www.npr.org/blogs/money/2014/10/21/357629765/when-women-stopped-coding
“L’industria informatica di oggi è dominata dagli uomini. Ma non è sempre stato così.” Negli anni ’80 la quota di donne che studiavano informatica in USA, in aumento da decenni, cominciò a calare. Non c’è forse un’unica ragione, ma una cosa è sicura: quando i PC entrarono nelle case americane, furono pubblicizati principalmente come giocattoli tecnologici rivolti ai maschi. Nei film, giovani nerd patiti di computer salvavano il mondo, ed erano maschi.
A questo proposito, vi invito a vedere questo articolo che abbiamo ripreso ieri e il commento sotto…
http://www.zeroviolenza.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=67560:giochi-violenza-sessismo-il-#gamergate-che-turba-il-web&Itemid=208
Adesso Anita Sarkeesian “amerebbe” i videogiochi?
https://www.youtube.com/watch?v=Afgtd8ZsXzI
Fate ridere i polli.
Anita Sarkeesian è una bigotta che vuole censurare ciò che non gli piace, seguendo le orme dei predicatori religiosi americani degli anni ’70-’80 che volevano censurare la musica rock, la festa di Halloween e i cartoni animati perché “trasformavano i nostri giovani in adoratori di Satana”.
E come loro, il suo tentativo di censurare quello che non le piace è fondato su una propaganda basata sulla decontestualizzazione dei fatti.
Propaganda della quale i suoi video sono intrisi- video che “ovviamente” hanno richiesto migliaia di dollari per essere realizzati, quando qualsiasi youtuber può fare e fa di meglio gratis.
Persone come la femminista Christina Hoff Sommers, che a differenza della Sarkeesian è ben lungi dall’essere una incompetente vittima di professione:
https://www.youtube.com/watch?v=5RVlCvBd21w
Una cosa tuttavia è inconfutabile:
Le minacce e gli insulti sono sbagliati.
Perché per sbarazzarsi di un bigotto impegnato in crociate per censurare l’espressione artistica -e farci ovviamente molti soldi su- il segreto è ignorarlo.
Gli haters con il loro comportamento non hanno fatto altro che dare altra visibilità -e quindi soldi- a questo inutile personaggio.