Piove, qui si scalpita per la segregazione forzata, ma non si rinuncia a
segnalare.
In primis, un gran bel post di Cadavrexquisis sul proibizionismo
intellettuale, che parte dalla condanna allo storico negazionista David Irving
e va oltre:
Non ho mai pensato che fosse giusto trascinare uno
scrittore, un pensatore o uno storico in tribunale per metterlo a tacere o
perché le sue parole erano pericolose. Questo principio dovrebbe, secondo me,
valere in generale. Quando il Corriere della Sera pubblicò,
qualche anno fa, la prima versione di quello che poi sarebbe diventato La Rabbia e l’Orgoglio di Oriana
Fallaci mi venne la pelle d’oca leggendolo, tanto che sulle tesi di Fallaci
litigai pure con qualcuno. Eppure, quando tempo dopo seppi che in Francia la
scrittrice era stata denunciata perché fomentava l’odio e le sue tesi erano
"razziste", ebbi comunque un moto di protesta: potevo pensare che
quello che lei scriveva era aberrante, ma l’unico modo per replicare era sul
piano del dibattito intellettuale e non attraverso il ricorso alla giustizia e
il ritiro o il sequesto del libro dai negozi. Allo stesso modo mi sembrò
assurdo trascinare in tribunale Michel Houellebecq perché aveva espresso
un’opinione molto negativa – all’interno di un suo romanzo – sulla religione
islamica. Ritenere che i tribunali possano sancire che cosa è giusto o non è
giusto scrivere e pubblicare significa, in pratica, considerare chi legge un
imbecille che deve essere protetto da quello che gli passa sotto gli occhi, una
persona che non è in grado di riconoscere ciò che è pericoloso da ciò che non
lo è. Significa insomma volere mantenere gli individui in uno stato di minorità
in cui hanno bisogno di essere tutelati perché incapaci di scegliere e pensare
con la propria testa. Tutto sommato, anche in Unione Sovietica, Solzenicyn era
considerato "pericoloso" e la sua condanna era giustificata per il
"bene del popolo". Il proibizionismo, anche in ambito intellettuale,
è una brutta bestia: sappiamo dove comincia ma non dove finisce. E non sapremo
a chi toccherà domani finire in galera.
Su un altro fronte, c’è la lettera aperta di Giulio
Mozzi ai giornali su Roberto Calderoli: qui.
Poi. Ieri Magris citava Underworld. Lo aveva
fatto anche Giuseppe Genna, in questa raccomandabile meditazione
che parte dalla frase di DeLillo:
“E’
famosa alla maniera moderna delle persone i cui nomi vengono strategicamente
taciuti. Queste persone sono famose senza nome e senza faccia, spiriti che vivono
separati dal proprio corpo, le vittime e i testimoni, i criminali minorenni,
laggiù da qualche parte, ai confini della percezione”.
Infine. Su Il Giornale di ieri, scopro con ritardo, Caterina
Soffici vi/ci cita. Qui.
della lettera di mozzi non ho capito nulla.
Il mio modo di vedere le cose su tale questione ( proibizionismo intellettuale ) coincide PERFETTAMENTE con il post di cadavrexquisis.
Anna Luisa
P.S.
Ciao LOLIP…come va la zampina?
Ma grazie Loredana! Mi hai resa famosa 😛
In effetti anch’io delle lettera di MOZZI non ho capito granchè.
Ho letto invece l’articolo su IL GIORNALE con Lipperini e Serino e soprattutto noi.
Ma perchè non ha citato il mio?
Urghhh!!! 🙂
Comunque mi piace la strada che i quotidiani si stiano accorgendo dell’esistenza del mondo blog e che ci dedichino sempre più spazio.
W LA LIPPA! E AUGURONI per il braccio
Visto che il tema del carnevale di Venezia di quest’anno è la Cina (il link al programma nel mio blog), vorrei ricordare – a proposito del proibizionismo intellettuale – il povero giornalista cinese Wu Xianghu, ammazzato di botte dalla polizia stradale di Taizhou. Aveva scritto un articolo sulla loro corruzione.
sono citato anch’io.
bene.
la vita mi sorride.
o forse no.
A Caterina Soffici che cita gli interventi di questo blog (ma Susanna è davvero il mio nome, non sono anonima) chiederei una percentuale per averle noi sul blog fornito il materiale del suo articolo. A Gian Paolo Serino i complimenti per riuscire a smuovere un po’ le acque stagnanti in questo caso con una leggerezza a lui insolita. A Loredana Lipperini un ringraziamento per l’esistenza di questo blog, che trovo divertente e stimolante.
E il rapporto tra web e carta trovo che sia in evoluzione (o sono disinformata io, in fondo scarsa frequentatrice di web): da parallelismo a interesse della carta verso il virtuale (inizialmente un obbligo economico diventare anche online; il settore musicale è in un altro stadio, vedi Prince) e ora pingpong. Attendiamo evoluzioni.
Chiudo con il trattamento che riserverò al mio prossimo libro: spero che Amélie (recensito anche su Il Giornale) scateni la mia penna su di “lei”, e grazie a lei.
Ciao!
PS per giacomo (rizzi?): non te la prendere, sarà stato per questioni di spazio concesso alla Soffici! prima o poi ti pubblicano 😉
C’è però un rischio in tutto questo voler fare i bravi bimbi anti-proibizionisti.
Personalmente sono CONTRO ogni forma di censura e contestualmente CONTRO la Puttanata Indiscutubile. Sono contro la Cretinaggine Totale. Uno che dice che l’olocausto non è mai esistito, lo può tranquillamete dire. Poi, però, ti arresto.
L’eccessiva liceità (la liceità tout court) può essere un effetto indesiderato della coerenza ad ogni costo?
[Ste]
Questa storia della condanna per legge delle opinioni e delle proprie teorie mi ricorda tanto le vicissitudini dei fratelli Karamazov. Ricordate? Chi ha realmente colpa? Il giovane Ivan che afferma che tutto è lecito o Smerdjakiov che influenzato da Ivan commette un omicidio influenzato dalle idee del fratellastro?
Quello che interessa è che le condanne inflitte da Dostoevskij sono diverse, nonostante venga poi condannato un altro al posto di Smerdiakov (ossia Mitja il fratello maggiore che realmente non ha commesso il delitto. La condanna di Ivan è solamente morale (e forse ben più peggiore di quella giuridica perchè porta alla pazzia del Karamazov) mentre la condanna è giuridica per chi ha commesso il fatto.
Condannabili entrabe le situazioni, ma attraverso strumenti diversi. La legge nel romanzo dello scrittore russo fa quello che deve fare, non interviene in un ambito, come quello della condanna delle idee, che riguarda altri tipi di giudizio.