I BLOG E LA RIVOLUZIONE FRANCESE

Qui nel condominio è in corso da qualche giorno una discussione molto interessante “anche” su blog e giornalismo. A parlar forbito, il tema dovrebbe intitolarsi Del contenuto generato dagli utenti, ovvero User Generated Content (o UGC, che però sembra il nome di un partito della Cdl, quindi lo evito).  La discussione coinvolge Massimo Russo, Mario Tedeschini Lalli e Vittorio Zambardino: a casa di quest’ultimo trovate anche il riassunto di chi ha cominciato, chi ha replicato, e come lo ha fatto.
Più che fare la sintesi della sintesi, cerco di dire la mia, anche perché tirata amabilmente in ballo da Zetavù come colei che ama i blog “in modo erotico” (!) e scambia “un movimento culturale per la rivoluzione francese”. Se la questione è: “i blog, e molta parte della rete, cambieranno o integreranno la faccia dei giornali on line e del giornalismo?” (cito a braccio), dico di sì. E dico anche che sta già accadendo, e non in America, ma qui.
Faccio un esempio che riguarda le cose di cui mi occupo: il giornalismo cosiddetto culturale. Bene, le discussioni, le notizie, le idee che si ritrovano su Carmilla, I Miserabili, Marsilio Black, Nazione Indiana e su tanti, tantissimi altri (qui l’elenco di scuse verso i non citati sarebbe lungo: giuro che aggiorno i link al più presto) non ci sono sulla carta, intesa come pagine culturali o riviste specializzate. O se ci sono arrivano dopo, o in forma spesso meno interessante. Per non parlare delle recensioni di libri fatte dai singoli blog (e qui, lo so, ricadiamo nel problema dell’autorevolezza del recensore di cui si è già discusso, ma passatemela, per adesso).
Obiezione: sì, ma stiamo parlando di una nicchia. Vero, ma è una nicchia importante. E poi ogni tanto a me viene in mente che il giornalismo della carta stampata sta già diventando una nicchia in assoluto: basta prendere un autobus o una metropolitana la mattina alle otto e guardarsi intorno. Su sessanta passeggeri, tre leggono un quotidiano a pagamento, il resto è immerso nella cosiddetta free press, quella che viene distribuita alle fermate dei mezzi pubblici, e dove la condanna di Dell’Utri è un francobollo piccolo piccolo, mentre i titoli spettano al diamante più grande del mondo, al delfino parlante e ai risultati di calcio (ma ce ne preoccupiamo, prima o poi, di questa cosa, o no?).
Allora: tralascio questioni annose per la blogosfera e la rete (chi da a chi la patente di giornalista? Come mai spesso e volentieri i giornali tradizionali riprendono notizie dai blog senza citarli? Fatevi un giretto e datevi le risposte) e propongo un paragone con la radio (lo so, ho la fissa, ma la radio la conosco molto bene e credo di sapere quel che dico). Quando la terra era giovane, e la sottoscritta era fra i pionieri di Radio Radicale, alcuni di noi vennero chiamati da Radio Rai, e ci andarono, e ci rimasero. Perché? Ma ovvio, perché in quel momento era trendy avere giovani conduttori di radio libere ai microfoni pubblici, esattamente come adesso è trendy avere il giovane blogger come collaboratore di un giornale, per dire. 
Allora? Le radio libere hanno cambiato la radio pubblica? Sì, sì e ancora sì. Non soltanto in modo formale (mi riferisco a  quello che oggi si chiamerebbe format: aprire i telefoni al pubblico, fare una radio di flusso e altre mirabolanti innovazioni che si credono spesso fiorite dal nulla), ma sostanziale. Perché un mezzo, o un sistema, è fatto di persone, e avviene anche le persone riescano a cambiare, da dentro, un altro sistema. Ho l’illusione di credere che sia stato così. Non tutte le persone, viceversa, cambiano, non tutti gli incendiari diventano pompieri, non tutti i giornalisti di Lotta Continua diventano Paolo Liguori, non tutti i conduttori di Radio Radicale diventano Marco Taradash. 
Significa che i blogger di oggi diventeranno gli editorialisti di domani? Non lo so e sarebbe cretino fare previsioni. Rimango all’oggi. E aggiungo solo che i giornalisti tradizionali, quelli che hanno in spregio le integrazioni, quelli che Zetavù non ama (e sia lode a lui anche per questo) non potrebbero che trarre un gran bene dai rimbrotti e dalle puntualizzazioni di molti blogger sui loro articoli (purchè motivati e sensati, evidentemente). Alla sottoscritta è accaduto: ma forse non faccio testo, perché ero fra i non moltissimi conduttori di Radiotre che si fermavano a fare l’esame di coscienza quando arrivava la telefonata dell’ascoltatore furibondo perché avevo detto Nòbel invece di Nobél.

22 pensieri su “I BLOG E LA RIVOLUZIONE FRANCESE

  1. non so se i blog cambieranno qualcosa. non lo so perchè non ho tecnicamente i mezzi per capirlo. ma a livello istintuale dico di sì; e lo dico basandomi sulla mia piccola esperienza di blogger. non è vero che internet è solo un esercito di pedofili, ma questa è acqua calda. in rete e nei blog ci si incontra e scambia sapere e sentimento e ognuno, credo, alla fin fine si ritrova al centro di scambi stimolanti con gente con cui condivide idee e visioni.
    questo è quel che è successo a me, e mi par di capire succeda anche a coloro con cui ho contatti.
    perchè i cambiamenti, anche quelli epocali, partono sempre dai singoli.
    cristiano prakash

  2. In rete c’è di tutto, e molte firme note e meno note e sconosciute anche hanno una forte presenza nel web: non dico che la carta stampata, o che i quotidiani si estingueranno presto, ma bisogna rendersi conto che, ad oggi, almeno il buon 50% delle notizie sono su Internet e su Internet vengono lette. A molti potrà non piacere che stia accadendo, ma di fatto è così: si potranno scagliare pietre quante se ne vogliono contro i blogger giornalisti, ma sono una realtà ormai consalidata, che hanno dato inizio se non ad una rivoluzione almeno ad un modo nuovo di fare giornalismo. E solo il tempo potrà dirci se è migliore questo giornalismo rispetto a quello tradizionale, a quello della carta stampata.
    In sintesi, mi trovo d’accordo con quanto hai ottimamente espresso in questo tuo pezzo.
    Cari saluti.
    Iannox

  3. Lippa, l’erotismo che ti attribuivo era passione della mente, beninteso, e dell’intelletto. Tu sei una corrispondente da un mondo, e io ti leggo per questo con piacere. Senza la tua sintesi giornalistica, chi avrebbe il tempo per leggerseli tutti (vuoi pure su un orribile e odorless aggregator)? Viva La Lipperatura!

  4. se non s’è capito, non sono d’accordo, perchè anch’io leggo ogni tanto genna o marsilio black. ma dove sta la differenza? uno pubblca recensioni, l’altro una rassegna stampa. cose che posso trovare anche sulla carta. dunque è uno scopiazzamento e basta. hastalavista

  5. la letteratura marco è invece uno di quei mondi che sta ottenendo grandi benefici da internet e in particolare dai blog.
    per quanto riguarda ad esempio la poesia dopo la nascita di veri e propri portali (bollettario, vico acitillo ecc.) ad essa dedicata la nascita del blog è riuscita nel non facile compito di rendere possibile un dialogo quotidiano tra critici/poeti che fino a poco tempo fa passava solo da riviste con uscita tri-semestrale, rendendone partecipe nel contempo i lettori che si trovano così ad assumere un peso fino a poco tempo fa impossibile anche solo da immaginare. nasce coi blog anche la volontà da parte di alcuni gestori di siti di riproporre alcuni testi poetici assolutamente introvabili in formato pdf e totalmente gratuito (es. cepollaro che ripropone i vecchi libri di spatola): pare poco ? chiaro, non tutto quel che passa in rete è di qualità…

  6. Per come la vedo io, bisogna evitare sia di caricare il mondo dei blog di eccessiva importanza, sia di sminuirlo. Da un lato, i blog si fanno veicolo di un rapporto paritario e orizzontale fra chi scrive e chi legge. Per un giornalista, ad esempio, il blog può essere un mezzo utilissimo, perché permette di avere un feedback in tempo reale sulle reazioni dei lettori. Per cui il blog è cosa buona e giusta ed è bello che sia accessibile a tutti.
    D’altro canto, non è che l’atto aprire un blog debba essere per forza un momento solenne e meditato sulla base del “Come posso contribuire al dibattito socio-culturale italiano tramite la mia rovente prosa e sterminata cultura?” (La risposta a questa domanda dovrebbe essere, a mio parere “Mavadaviaelcu’ pirla.” But that’s just me.)Il blog non è un fine, è un mezzo. Quello che uno sceglie di farci è interamente personale.

  7. internet è una rivoluzione e il blog una rivoluzione nella rivoluzione.
    la cosa più interessante sta nelle modalità del mezzo che permette anche di disquisire di cose in teoria estremamente noiose (politica ecc.) interagendo con un largo -e critico -pubblico e senza compromettere il senso del detto. e senza che la gente dica “mavadavia…” o altre cacchiate simili.
    che poi ci sia chi lo usa per raccontare esclusivamente cosa fa durante la giornata è pacifico e legittimo. sociologicamente pure interessante.

  8. La rivoluzione è Internet. Il blog, al pari di altre sue forme e “strumenti”, di tanto in tanto cerca di attribuirsene l’esclusiva dei meriti, anche se prevalentemente nel più ristretto campo della comunicazione scritta. Ed in ciò sbaglia ed induce taluni in un clamoroso errore.

  9. Matteo, a scanso di equivoci il “Mavadaviaelcu'” era diretto a quelli che si danno arie da ficcanti intellettuali in grado di rivoluzionare il panorama del pensiero italiano (il cui contributo, generalmente, è di entità trascurabile), e non a chi effettivamente riesce a dire cose interessanti senza atteggiarsi. Lungi.
    Incidentalmente, il “Mavadaviaelcu'” nei commenti non è un’evenienza tanto rara, a prescindere dall’argomento del post. Fa parte un po’ del gioco e un po’ dell'”influenza basagliana di Internet” sulla gente, come disse, memorabilmente, una mia vicina di blog.

  10. troppo spesso il critico si sostituisce al ruolo di “lettore critico” facendo un mestiere che (almeno in partenza) non gli compete. questo pubblico critico che popola (almeno in parte) rete e blog è personalmente una benedizione perchè spinge il critico di professione a migliorare il proprio lavoro con -si auspicano- benefici risultati per tutti.
    ma il ruolo del lettore non è minimamente da sottovalutare, anzi è in grado di tenere spesso alto anche il livello del “prodotto culturale” (scusate, non m’è venuta parola migliore) ad esempio bacchettando con cognizione di causa i prodotti di eventuali mostri sacri che non si rivelano degni della loro fama. e viceversa premiando sconosciuti talentuosi.

  11. Anch’io ho seguito con interesse il dibattito nato attorno al tema della rivoluzione del blog e, basandomi sulla mia recente esperienza di blog, mi piacerebbe poter dire la mia. Ritengo questo fenomeno sicramente importante e pieno di potenziale per tutta la rete e anche per il modo di fare giornalismo. Mi associo alla tesi di Lippa sul fatto che i blog hanno già cambiato – almeno in parte – il mondo della carta stampata. Ma vorrei dire che la rivoluzione principale dei blog è un’altra: il dare voce, in modo semplice ed istantaneo, ai lettori in genere relegati ad un ruolo passivo, quello appunto di lettori e basta. Con il blog, invece, anchi chi legge può dire la sua e ciò, oltre che essere un prezioso strumento per il blogger, è soprattutto un modo per stimolare tutti a pensare e far sentire la propria voce.
    Forza blogger e relativi …come si chiama il lettore di blog?

  12. diciamo che di ficcanti intellettuali in grado di rivoluzionare la cultura italiana non ce ne sono tanti quanti sperano d’essere, nel panorama dei blog… eh eh eh.

  13. incidentalmente, vorrei fare l’apologia della critica letteraria disonesta, pretestuosa e presuntuosa.
    Questi devono essere infatti i mezzi del critico: lo scandaglio e non il termometro, l’alabarda e non lo stiletto, che delle recensioni di maniera dei professionisti in stile Mollica non se ne può più.
    Se proprio non riuscite a dire la verità, almeno, ve ne faccio preghiera, una bugia detta bene!

  14. Insisto (si fa per dire…): sottovalutare il nesso tra maggiore diffusione/uso di PC/connessioni ad internet, con gli effetti apparentemente esclusivi dello strumento “blog” la trovo, sinceramente, un’argomentazione che non sta in piedi. Ed infatti cade, almeno per chi ha occhi e sufficiente esperienza del Net (diciamo dal BBS, in poi). Poi, si sa, ad ognuno piace credere ciò che piace. Me compreso.
    Quanto all’argomento “critici” sto con Effe (tanto per cambiare): dei “Mollica” non se ne può proprio più.

  15. E’ vero, signor Effe, il mollicamento induce rialzo di zuccheri. Ma chiedo, cosa dire del recensore immancabilmente con alabarda? C’è chi ha costruito una carriera su una ferocia che era altrettanto di maniera. Il vero punto è coniugare quella che si suole chiamare onestà intellettuale alla competenza, qualunque sia il mezzo che si sceglie per esprimersi.
    Poi, sono d’accordo con Massimo quando allarga il discorso a Internet: però ho la sensazione che, almeno ora, la parte più vitale di Internet siano proprio i blog.
    E, benvenuta, Isoladelbenessere!

  16. Vi è una differenza sostanziale: chi usa l’ “alabarda” (spaziale o meno) non potrà mai veramente distruggere il valore ed il talento di chi ce l’ha davvero, mentre chi usa la “mollica” (di pane e non) può creare mercato e consenso persino sul nulla. E questo sì che è un colpo alla decenza, spesso mortale.

  17. Chi sta sempre con l’alabarda (spaziale?) pronta all’uso è nocivo tanto quanto Mollica et similia. Ma sono convinto che sia lettori che autori sanno distinguere il valore di una recensione fatta da Tizio o da Caio: anche a scuola, seppure a denti stretti, gli intelligenti sapevano accettare i brutti voti dati dai bravi professori (i quali, certo, ogni tanto davano anche voti buoni).

  18. Grazie per aver accettato l’idea di aprire all’esterno. Del resto a giudicare dal blogroll la cosa non dovrebbe stupire. Sarebbe interessante capire se questo effetto di apertura all’esterno del tuo blog abbia impatto sulle visite al tuo blog (rispetto ad altri blog del gruppo che hanno pochi o nessun link nel blogroll). A giudicare dal numero di commenti sicuramente si.

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