Vale la pena ricordarli: sono i dati forniti da Tullio De Mauro, e ci dicono che cinque italiani su cento fra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera o una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta. Trentatre non riescono a leggere un testo scritto che “riguardi fatti collettivi”. Un quotidiano, per esempio. Solo il 20 per cento degli italiani, secondo De Mauro (che a sua volta si riferisce a studi internazionali) possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura e scrittura per orientarsi nella società.
Lo so, ne ho già parlato.
Ma i dati mi tornano in mente quando leggo di episodi sicuramente minimi ma inquietanti.
Uno, per esempio: perchè il nuovo cd della vincitrice di Amici deve essere presentato in anteprima in una scuola media di Roma?
Mi sembra davvero strano che su 100 persone che conosco solo 20 siano normalmente dotati di capacità così banali.
In generale, ammetto di avere una fiducia quasi nulla in questi studi che, temo, possano essere aggiustati a piacimento a seconda del sentimento che si vuole suscitare (che non significa che De Mauro l’abbia fatto, ma che tecnicamente lo si può fare e qualcuno di certo l’ha fatto in passato e lo farà in futuro).
Per quanto riguarda la presentazione del disco non sono sconvolta. E’ musica italiana, poi può piacere o meno, ma come si presentano i libri si possono presentare anche i dischi.
che amarezza…era la mia scuola
Il fatto è che la presentazione di un libro non attirerebbe allo stesso modo gli undicenni. Perché oramai i valori e gli obiettivi sono altri.
La scuola propone cose che per la massa sono ormai impopolari. Una volta invece ci si riteneva fortunati a poter andare a scuola, imparare e poter poi fare un lavoro prestigioso. Ora fa “figo” essere tremendi a scuola e ignoranti.
Cara Giulia, grazie a Dio le indagini non si fanno fra i propri amici e parenti, ma su campioni più vasti. Comunque, rispetto la fiducia quasi nulla, per carità.
Contesto invece l’idea che la scuola debba adeguarsi non alla televisione in sè, ma a quella parte più deleteria della medesima dove passa il concetto che più sei arrogante, più calpesti le persone attorno a te, meglio ti andrà nella vita. L’individualismo è forse il vizio più antico degli italiani: come dice Mario Pirani, averlo trasformato in virtù è la caratteristica più devastante del nostro paese, oggi.
@Lipperini. La tua domanda è evidentemente retorica. La risposta ti è nota: i ragazzi delle medie costituiscono un’apprezzabile fascia di consumatori di CD (oltre che di fruitori di trasmissioni quali ‘Amici’).
P.S. E gli insegnanti possono tranquillamente prendere spunto dai temi più vicini ai ragazzi (come l’uscita di un nuovo CD, o il contatto diretto con uno dei loro idoli) per eventualmente poi discuterne in classe.
De Mauro non ha certo bisogno di essere difeso da me. Sono anni che lavora su questi temi – trovando scarso ascolto nei luoghi deputati. Mi sembra che stiamo tornando alla separazione tra istruzione e cultura. Si può essere istruiti ma non colti e colti senza titolo. Sono venute meno le agenzie che supplivano le carenze del sistema: i circuiti della militanza politica, in anni non remotissimi, hanno fornito libri e strumenti a persone che non ne avrebbero avute in altro modo. E questo è un punto. Davvero, ma perché andare in una scuola a presentare un cd?
anche questi italiani si formano opinioni, usando i dati che hanno a disposizione (magari …la TV?), forse usando strategie di minor resistenza – l’adozione di opinioni preconfezionate tra queste. Poi, vanno a votare (o non vanno).
Beh io penso che in primis chi scrive un articolo del genere dovrebbe fare attenzione a ortografia, sintassi e punteggiatura (non meno che perfette, venendo da una scrittrice) prima di poter deplorare lo stato dell’altrui (an)alfabetismo.
Del resto l’Italia è un paese in cui si è sempre letto poco, anche prima che la sempre colpevole TV idiota imperasse. Non vedo molti problemi nel presentare un cd in una scuola. Come ha detto qualcuno i teenagers sono potenziali consumatori di musica e l’industria musicale ha tutto il diritto di andare avanti per la sua strada. Così come quella libraria, certamente! Peccato che l’intellighenzia italiana sia estremamente autoreferenziale, peccato che sia formata dai soliti pochi nomi, peccato che questi nomi non abbiano alcun genuino interesse a promuovere giovani talentuosi (qualora ne esistano).
Io credo che una risposta (anche se indiretta) si possa ricercare nella trasmissione “L’infedele”, alla quale ha partecipato anche De Mauro, e nella quale proprio De Mauro ha parlato anche dell’avvitamento al ribasso che la televisione opera e propone continuamente, troppo spesso sostituendosi di fatto alla scuola come istituzione culturale. Se mettiamo questo insieme ai fattori citati da Barbara, alla celebrazione del CEPU come università ideale, e alla vera e propria demolizione progressiva del sistema scolastico italiano, io non mi stupisco poi che di questo quadro faccia parte anche un tentativo di portare gli aspetti peggiori della tv (concordo con Loredana nel giudicare ‘Amici’ tra questi) a scuola. Non mi stupisco, voglio dire, perché in tutto questo quadro io vedo una precisa volontà di tenere il paese sotto controllo attraverso l’ignoranza. Un paese di persone incapaci di leggere criticamente (quando non di leggere in assoluto) è un paese manipolabile. Peccato che sia anche un paese destinato al disastro economico oltre che culturale, ma per chi, come spesso accade, non guarda molto al di là dei propri piedi, e delle proprie tasche, questo non è evidentemente un problema.
A proposito di ‘Amici’ vorrei raccontare un episodio. La figlia di una mia amica ha partecipato con la sua scuola di danza, come saggio di fine anno, a una competizione tra scuole. La madrina della competizione era una ballerina di ‘Amici’, che ha colto l’occasione per pubblicizzare stage a pagamento da lei organizzati e insegnati. A un certo punto una bambina di 6 anni ha eseguito un balletto che la mia amica – docente universitaria – ha definito “una lap dance a tutti gli effetti”, balletto che è stato poi insignito del premio speciale della giuria e della cui coreografia è stato trionfalmente annunciato che l’autrice era, manco a dirlo, la ballerina di ‘Amici’. Questo per dire come avviene oggi la caccia e l’incoraggiamento ai talenti. E a che tipo di talenti. Si presenta dovunque la tv, il partecipare in tv, come obiettivo, come successo. Intanto la cultura degli italiani è quella che De Mauro fotografa. Per questo non vedo di buon occhio, e concordo nel definire inquietanti, operazioni come quella della scuola media di Roma.
Paola, alt. Primo, la sintassi e l’ortografia e la punteggiatura di un post non hanno nulla a che vedere con il discorso fatto da De Mauro. Il quale parla di comprensione di testi. In altre parole, non si mette sotto accusa la televisione: si dice, semplicemente, che la maggioranza degli italiani si informa attraverso due reti televisive. Rai Uno e Canale 5.
E, per cortesia, piantiamola col piagnisteo dei giovani dotati di talento e soffocati dalla cattivissima intellighentia che non gli pubblica il romanzo nel cassetto. Sono cazzate.
@Paola. Non mi pare che su questo blog si dica, in generale, che la tv sia sempre idiota e sempre colpevole (o che i libri siano sempre intelligenti e innocenti).
Ma proprio per questo la domanda di L.L. mi pare interessante.
p.s. non ho mai capito perché ‘l’intellighentia’ viene sempre dipinta come arrogante ed élitaria (a volte sicuramente lo è) e ‘l’gnorantia’ come amabile e democratica (non lo è mai).
Mi riferisco ai sistemi, ovviamente, non agli individui. Il sistema dell’ignorantia imperante di questi tempi in Italia è profondamente oligarchica e autoreferenziale, per questo ha bisogno di idolatrare il ‘popolo’ che con qualche strumento culturale in più, non volesse mai il cielo, se ne potrebbe accorgere.
Concordo con Lipperini quando sostiene che la scuola non debba adeguarsi alla parte più deleteria della televisione. Non credo però che il problema si ponga in termini di supporti documentari. Sarebbe molto bello se a scuola ascoltassero e riflettessero, ad esempio, sulle canzoni di De Andrè. Per contro non mi sembra privo di rischi leggere favole come “La bella addormentata” o “Cenerentola” senza dare qualche dritta sui messaggi veicolati (cosa, quest’ultima, che non credo venga fatta).
Signora Lipperini, concordo in pieno sul fatto che “la scuola NON debba adeguarsi non alla televisione in sè, ma a quella parte più deleteria della medesima dove passa il concetto che più sei arrogante, più calpesti le persone attorno a te, meglio ti andrà nella vita”.
Diciamo che al momento non vedo un collegamento diretto tra la presentazione del cd e questo tipo di TV. Spero infatti che tale collegamento non ci sia, e che il tutto sia riconducibile ad una attività extrascolastica il cui scopo è quello di aprofondire una materia trascurata e sottovalutata quale quella musicale.
Voglio inoltre augurarmi che la cantante in questione non venga considerata come un pessimo esempio di cantante o musicista solo per il fatto di essere passata da Amici. Può capitare tutto sommato, magari anche per puro caso, che da quella trasmisisone passi un vero talento, e sarebbe un peccato rifiutarlo per una questione di principio. Volenti o dolenti bisogna accettare che certe strade artistiche passano per la tv, sta poi al pubblico che acquista i dischi (o va a teatro, o al cinema ecc…) fare un distinguo accettabile sul prodotto che ne scaturisce. Nella speranza, ovviamente, che i format televisivi si adeguino.
In parole povere io sono ottimista al riguardo, e ancora spero che la tv possa essere uno degli strumenti da sfruttare per dare visibilità a chi se la merita e non solo una vetrina per corpi esibiti con la scusa di un talento assente o non sufficientemente palesato. Spero di non peccare di ingenuità.
Giulia, ti sfugge forse una cosa: la produzione ha scelto di presentare il cd in una scuola. La cantante non è stata chiamata per parlare di musica italiana, ma per promuovere il disco.
E’ già avvenuto in precedenza con un film tratto da un romanzo di Moccia, peraltro.
Mercato e didattica, a mio umile avviso, dovrebbero essere due momenti separati.
la tua domanda non tiene conto delle esigenze del vero ministro della pubblica D-istruzione che si chiama sempre maria ma de filippi…
e’ proprio una domanda: la scuola ha ricevuto dei soldi per ospitare questa manifestazione? Lo chiedo perché questo tipo di operazioni potrebbe rientrare nelle famose sponsorizzazioni di cui si è parlato qualche giorno fa: il ministro ti taglia, e lo sponsor privato ti finanzia.
Senza nulla togliere alla professionalità del dott. De Mauro, mi piacerebbe sapere come è pervenuto a queste (tragiche) conclusioni. Siccome ciascuno di noi non è in grado di avere sott’occhio l’intero panorama, la statistica – se svolta correttamente – dovrebbe fungere da lente grandangolare. Eppure il mio inguaribile ottimismo mi suggerisce la sensazione che quei dati siano, ancorché forse non distanti dal vero, comunque un filo pessimisti. Del resto la statistica è scienza assai delicata e non ci vuole molto per prendere dei granchi. Non dico che De Mauro lo abbia fatto. Dico solo che mi piacerebbe saperne di più e che non riesco a bermi questi dati come oro colato.
Che gran tristezza. I perché li possiamo elencare, ma resta difficile capire. Sto leggendo in questi giorni il libro della Zanardo, Il corpo delle donne, e mi faccio forza per smettere di dire che io la televisione non la guardo, non l’ho mai guardata, non la faccio guardare ai miei figli e va bene così. Non va bene per nulla.
Loredana, rispondo alla tua domanda in questo modo:
per la stessa ragione – forse – per cui il Comune di Bologna ha deciso fornire gratuitamente alle ragazzine delle media corsi di cheer leader.
😮
Se ne sentiva la mancanza.
Vedi la lettera che è stata scritta da Donne pensanti:
http://www.donnepensanti.net/2010/10/il-corso-da-cheer-leader-ecco-cosa-mancava-alla-scuola-italiana/
E la risposta di una delle progettiste (mica del Comune, eh!):
http://www.donnepensanti.net/2010/10/corso-di-cheer-leader-a-bologna-la-risposta-di-una-delle-progettiste/
Attività fisica, salute, movimento e… diffusione di sport alternativi poco conisciuti… eh.
Metto insieme episodi sparsi, che però mi sembrano rientrare in questo quadro che stiamo delineando.
1) Ascolto talvolta una trasmissione “calcistica” di una radio privata locale. Un unico argomento di conversazione, struttura assai semplice, un conduttore con diversi anni di esperienza alle spalle, al quale si affiancano giovani che “si stanno facendo”. Roba facile, quindi. Come in tutte le trasmissioni di questo tipo, è fondamentale il contatto con gli ascoltatori-tifosi, che telefonano o mandano sms. Eccoci al punto: gli sms, letti sovente da un ragazzo che è giornalista o comunque si appresta a diventarlo. Questo ragazzo non li sa leggere: fa la pausa nel momento sbagliato, sbaglia l’intonazione, si accorge solo alla fine se chi scrive pone una domanda… Risultato: alla fine della lettura di ogni sms, chi conduce in quel momento deve ripetere la frase o dire: “Senti, xy, dovresti riscriverci perché non abbiamo capito il senso della tua frase”. Ma in realtà il senso è chiarissimo, basterebbe rileggere l’sms secondo le normali regole della lettura!
2) Leggevo nei giorni scorsi di uno studio dal quale risulta che scrivere in “bella grafia” aiuta a pensare meglio, costringe cioè a scrivere riflettendo su quanto si va pensando/elaborando/mettendo su carta e, a complemento di questo articolo, un altro in cui si rifletteva sui cambiamenti anche cognitivi delle nostre capacità di riflessione dopo l’avvento della scrittura su computer (correzione automatica inclusa) (chiedo scusa, ma ora non ritrovo i link di riferimento).
3) Ieri, in autobus, spiaccicata “comme d’abitude”, mi sono deliziata ad ascoltare due ragazzine (immagino di quarta ginnasio) che ripassavano le figure retoriche: cos’è un chiasmo? cos’è un iperbato? cos’è un’epifora? e, con un occhio al libro, ripetevano quelle definizioni obsolete e totalmente inutili a memorizzare i concetti… (costruite voi un chiasmo, avrei tanto voluto chiedere…) E, infatti, una delle due confessava tutto il suo terrore per il compito in classe ormai vicino: “E se dobbiamo fare il saggio breve su una delle poesie che ha spiegato quando non c’ero?”. Aveva perso (forse non l’aveva mai posseduto) il legame tra quanto andava “pappagallando” e il fatidico saggio breve dell’indomani.
Solo tre episodi, che però mi confermano sempre di più sul fatto che alle persone non viene insegnato a leggere. Sembra assurdo? eppure, è così. L’esperienza quotidiana ce lo dimostra, gli studi di De Mauro lo confermano, e da anni De Mauro mette in guardia dall’analfabetismo di ritorno sempre più in agguato. Leggere e comprendere sono due operazioni/attività/competenze sempre più trascurate, con pesanti ed evidenti conseguenze sulla capacità di elaborare pensiero individuale, creativo, personale. Basta parlare con i professori universitari, chiedere a loro che “cosa” sono gli elaborati finali del trienno (sapete, vero, che in qualche università è stata abolita la discussione finale della “tesi”?).
Per questo, poi, in una scuola si presenta il CD della vincitrice di “Amici”: perché lì c’è il suo pubblico, certo (mi pare di aver letto che tutto il tour promozionale sarà nelle scuole, in giro per l’Italia); per dimostrare che la scuola non è un mausoleo da vecchi, certo; perché la “scuola televisiva” viene a occupare la “scuola” (non mi viene un aggettivo da darle), certo.
@Valeria
“Non mi pare che su questo blog si dica, in generale, che la tv sia sempre idiota e sempre colpevole”
Lo dico io adesso:
la tv è sempre idiota e sempre colpevole.
E’ nata e prospera per innescare invidia sociale e propensione ai consumi.
Medium is message.
L’unica tv buona è quella spenta.
De Mauro sono decenni che si occupa della de-alfabetizzazione della società italiana. Ed è uno tanto ottimista che – ormai quasi un ventennio or sono – mise su una bella operazione intitolata “i libri di base” che erano scritti con un linguaggio semplice, usando appunto un italiano di base. C’è un metodo – si chiama indice di flash (scusate ma non so se ho scritto correttamente il nome del linguista) che serve a misurare la leggibilità di un testo. Se l’indice è troppo alto, il testo è incomprensibile o è comprensibile solo agli addetti ai lavori, per esempio una pubblicazione scientifica o di filosofia ma pure di cucina o di uncinetto; se l’indice è troppo basso, chi legge si sente trattato come un cretino. Questo indice non serve per misurare la leggibilità dei romanzi ma dovrebbe essere applicato, per esempio, per i documenti di servizio, quelli della pubblica amministrazione ecc. Secondo alcuni campioni molti italiani – anche laureati – invece – non sono in grado di comprendere neanche testi con un indice di flash basso. Questo è un segnale allarmante.
Per quanto riguarda l’interrogativo è grave, a mio parere, che nelle scuole si avallino operazioni di marketing. Chiunque sia lo sponsor! Ci tengo a dire che non sono una partente di De Mauro né una sua allieva.
Per Grande Marziano, e per tutti coloro che sostengono che statistiche e ricerche servono solo a far tirare acqua al mulino di chi li espone, qualche link:
Un post di Giovanna Cosenza dove erano riportati dati e considerazioni:
http://giovannacosenza.wordpress.com/2009/11/26/studenti-analfabeti-mica-soltanto-loro/
L’indagine sul “semi-analfabetismo” di cui si parla:
http://archivio.invalsi.it/ri2003/all/index.htm
L’articolo di De Mauro su Internazionale (con bibliografia in fondo)
http://slowforward.wordpress.com/2008/04/13/tullio-de-mauro-analfabeti-ditalia-da-httpinternazionaleit/
@lalipperini: non ho affatto detto che le statistiche e le ricerche servono per far tirare acqua al proprio mulino. Anche se spesso sappiamo che questo succede, di certo non l’ho detto a proposito del lavoro di De Mauro. Però, essendo la statistica una scienza assai delicata, i risultati di uno studio statistico sono facilmente “manipolabili”, anche in buonissima fede. Per questo ho espresso solo il desiderio di saperne di più, solo perché per mia attitudine tendo a non bermi d’un fiato quattro dati messi lì.
I risultati di una statistica hanno poco senso senza sapere come sono stati ricavati.
Ti ringrazio dei riferimenti che vado subito a vedermi.
Ma perché l’umanista medio non sa interpretare le statistiche?
È ovvio che in uno dei Paesi con aspettativa di vita alta iltasso di analfabetismo sia maggiore.
A meno di non voler sostenere l’ipotesi che gli studenti che escono dalle scuole non sappiano leggere, ipotesi risibile che colpevbolizza i docenti, ma chè non ha davvero legittimità, si deve dedurre che in altre fasce di età si sia conusmato il danno. Ora, lo studio di De Mauro è necessariamente sbagliato. Dire che il 38% della popolazione tra i 14 e i 65 riesce “solo a leggere con difficoltà una scritta” è materia dell’oculista, altrimenti se dovessimo includervi anche le persone dai 65 ai 90, dovremmo concludere che oltre il 50% degli individui non sa leggere in senso tecnico. Ovviamente è una sciocchezza.
…è grave, a mio parere, che nelle scuole si avallino operazioni di marketing…
Barbara, giustamente, dixit.
Oltretutto sono del parere che questo tipo di produzioni musicali stanno alla Musica come le edizioni libresche di Ezio Greggio stanno alla Letteratura.
E’ un problema di percezione della qualità artistica, e quindi un problema di educazione e di formazione, ovvero di scarso alfabetismo, in questo caso, musicale.
Sia ben chiaro che non stigmatizzo tutto il cosidetto “pop” anche se Dylan diceva che la possibilità di “registrare” e commercializzare il “prodotto musica”, in qualche modo arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, avrebbe finito per ucciderla.
Marziano, non mi riferivo a te ma ai soliti saputelli. I quali farebbero bene, prima di darci un saggio della loro altissima capacità di leggere una statistica, a leggere. Per esempio i link, dove si spiega cosa va inteso con “leggere con difficoltà”.
I dati di De Mauro mi sembrano incredibili, eppure ci dovrò credere. Sulla faccenda della promozione nella scuola, la cosa mi sembra inaccettabile, ma dovrò accettarla. La De Filippi è responsabile di danni molto gravi e irreversibili tra i giovanissimi. Soprattutto il programma dei tronisti, di cui non ricordo il titolo, crea un immaginario distorto che rovina, letteralmente, i rapporti. Un’amica sedicenne di mia figlia ha avuto una mezza cotta per un ragazzo, che era però fidanzato con un’altra. Però lui cercava di tenersi anche l’amica, che si è fatta da parte spontaneamente. Allora lui le ha scritto e le ha detto: ma perché non ti sei battuta per me? Battuta per me. Mia figlia mi ha detto che questa è la filosofia classica dei tronisti, nei quali molti ragazzi si identificano, imitandoli. La De Filippi è una vera signora del male, e quando avrà terminato, finalmente, la sua troppo lunga carriera, non sarà facile fare il conto dei cadaveri che si sarà lasciata alle spalle.
Ho dato un’occhiata ai link che hai riportato, Loredana. E soprattutto quello dell’Adult Literacy and Life Skills mi è parso uno studio decisamente molto interessante, per cui invito tutti a leggere il rapporto per evitare fraintendimenti su quello che De Mauro (e Loredana) intende quando dice che “Solo il 20 per cento degli italiani, […] possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura e scrittura per orientarsi nella società.” Questa frase forse semplifica un po’ troppo il concetto e porta a parlare di analfabetismo.
I risultati, che sono ormai di qualche anno fa, ma che corrispondono alle percentuali citate, li trovate qui: http://archivio.invalsi.it/ri2003/all/pdf/Prima_sintesi_risultati.pdf
da cui si evincono molte conferme sullo stato della nostra scuola, ma anche della produttività della nostra industria. Vale la pena davvero dare un’occhiata.
Semplicemente perché da qualche tempo una parte della scuola italiana, nel linguaggio e nello stile educativo(stile è una parola grossa)semina nelle menti degli allievi l’idea del successo immediato e a tutti i costi.
Se si analizza con rigore filologico il linguaggio con cui ci si rivolge agli allievi o si scrive una circolare interna o un bando o un avviso, non può sfuggire il ricorso alla blandizie solleticante nei confronti dei ragazzi.
La fatica, l’impegno, l’errore sono stati banditi. Talvolta ce ne ricordiamo agli esami di stato, leggendo o ascoltando strafalcioni linguistici e contenutistici.
Per scuola italiana intendasi dirigenti, genitori, alunni e docenti “complici” dell’ “amicizzazione” in atto.
Non è una generalizzazione, ma una visione della tendenza in atto.
Sì, grazie per i link interessantissimi. Ma insomma, orientarsi nella società significa anche avere coscienza dei propri diritti, poter dirigere le proprie capacità, sapersi muovere con interlocutori quali le amministrazioni, i datori di lavoro, i media, ecc. con i mezzi per non subire acriticamente qualsiasi situazione. In assenza di questa capacità tutta la vita, anche di una intera comunità, rischia di svolgersi rubacchiando soluzioni, ricorrendo a stratagemmi, affogando nei luoghi comuni (che poi fanno tanto comodo a certe amministrazioni) del quieto vivere, del passato.
La realtà dove vivo io è quella di De Mauro. Credo che questo post e i riferimenti dati siano perfetti per capire, per eliminare l’incredulità, e per spiegarsi molte cose. Praticamente tutto. :-))
Non entro nel merito dei dati e del discorso complessivo che avete delineato benissimo, da punti di vista diversi.
Vorrei solo aggiungere che nella vita quotidiana incontro (e talvolta mi scontro) con una difficoltà di comunicazione che forse ha a che fare con questo analfabetismo: dalla relazione di un geometra in cui non si capisce niente perché non c’è punteggiatura, all’e-mail dell’utente che chiede informazioni su un servizio ma scrive in modo inintellegibile.
Non si tratta di letteratura, non parlo della qualità della cultura alta, ma del semplice “abbiccì”: non riusciamo a capirci perché il linguaggio non è lo stesso.
@ElenaElle, ecco era quello che volevo dire… ‘non riusciamo a capirci perché il linguaggio non è lo stesso’ significa un sacco di cose, cioè si tira dietro un mondo, nel senso letterale della parola.
Mi pare che si mischino due questioni, altrettanto importanti ma diverse e che esigono approcci diversi.
Uno è l’analfabetismo di ritorno, che a mio avviso è legato soprattutto al livello scarsissimo di cultura diffusa del nostro paese, dove al di fuori della scuola si vive di televisione, sms e social network. Non c’è abilità che, se non consolidata dall’uso continuo, possa sottrarsi alla consumazione fino all’estinzione. Questo è il paese in cui si protesta per la chiusura di un teatro (frequentato da un’elite ristretta) ma non si fa nulla per difendere dai tagli e dilatare gli orari di apertura delle biblioteche comunali, della cui frequentazione l’intera popolazione potrebbe profittare.
Altra questione è la stupida remissività con cui chi è responsabile dell’educazione (genitori, operatori scolastici, amministratori pubblici) accettano di riconoscere dignità culturale alle mitologie più grossolane diffuse dai media. Se il preside della scuola di mio figlio/a accettasse di ospitare un’iniziativa come quella di cui sopra, lo svergognerei pubblicamente e lo prenderei fisicamente a calci in culo.
In famiglia comprendiamo un po’ tutte le generazioni: 6 nipoti dai 15 mesi ai 18 anni, io ho 26 anni, fidanzata con con un trentenne lavoro con 40enni e i miei hanno 55 anni, ma tutta questa analfabetizzazione non l’ho riscontrata (e mia nipote è fan di Lady Gaga, per dire). C’è chi legge moltissimo e chi poco e qualcuno anche pochissimo, ma quasi (QUASI) tutti comprendono quello che leggono e ne fanno una lettura critica.
Ovvio che se allargo la cerchia ai miei clienti, quasi tutti ultrasessantenni e lavoratori della terra, il discorso cambia.
Il contesto in cui vivo, che comunque non è dei migliori economicamente parlando, mi trasmette un cauto ottimismo e una certa propensione a crdere (o sperare) che i dati di De Mauro abbiano una tendenza pessimista.
Mantengo un certo ottimismo anche per quanto riguarda la presentazione del cd: di solito (di solito) le presentazioni hanno come ingrediente principale una discussione sul tema, un confronto che va ben al di là del mero marketing, o quantomeno questo è quanto accaduto in quelle cui ho partecipato io. Di solito è più un incontro tra artista e destinatario dell’opera (cantante-ascoltatore, scrittore-lettore ecc…), che un incontro tra venditore e cliente.
Questo è il mio augurio, ovvio che se si dovesse rivelare una questione di promozione, la questione sarebbe molto diversa e non potrei condividerne le finalità nè le modalità di svolgimento.
Giulia, e se leggessi i commenti qui sopra, e magari anche i dati? Tanto per smetterla di ragionare nei termini “casa e famiglia e amici?” 🙂
@ Valter Binaghi: io starei attento a fire “medium si message”. E’ una frase pericolosissima, che in passato ha giustificato operazioni censorie devastanti (come successo con i fumetti e con la musica rock).
@The Daxman
Se uno col martello anzichè piantare chiodi rompe le teste altrui mica è colpa del martello!
Mi sfugge il modo in cui il motto di McLuhan abbia potuto legittimare operazioni cruente (temo che questo sia accaduto non senza un fraintendimento del motto medesimo). Per quanto mi riguarda, è il segno di una vera e propria rivoluzione epistemologica che le scienze sociali purtroppo sono ben lontane dall’avere assimilato. Se si capisse per esempio che la televisione serve per creare icone e non per diffondere informazioni (dopo la puntata di ieri di Annozero si può sposare la causa del programma di Fazio-Saviano senza aver letto nè leggere mai una riga dell’autore di Gomorra), tante inutili e fuorvianti chiacchiere sulla cultura dei palinsesti sarebbero risparmiate.
Berlusconi e Saviano, l’anchorman de sinistra e iol tronista della De Filippi sono icone, non testi. Ci sono mille motivi per preferire l’uno all’altro, ma icone sono e restano. Il loro testo, se c’è, è altrove. Ma per il telespettatore che è solo telespettatore, la presenza di un background testuale è indifferente e ininfluente.
Il linguaggio parlato e scritto s’è impoverito, questo è un dato di fatto. E quando questo avviene, davvero basso è il livello culturale ed etico di un popolo.
Un esempio è quello riportato nel post.
Tutto ciò a conferma (mia personale) che la televisione ottunde la ragione.
Cara Loredana, le confesso il sospetto, ormai sempre più forte, che la televisione concentri in sé tanti danni non soltanto a causa dei suoi contenuti, ma perché è… televisione. Si parla talvolta dei benefici effetti che avrebbe dato agli italiani nel periodo post boom economico, ma non so. Quel che mi amareggia è vedere che non solo ci in-educa, ma sovrasta anche parte del mondo web. Un canale come Youtube registra ogni giorno, fra i video più gettonati, proprio le repliche delle trasmissioni lanciate dalla televisione; i nomi più digitati e cercati su Google pare siano quelli di cui la televisione parla morbosamente, meglio ancora se di cronaca nera. K. Popper affermava che la televisione è diventata un grande orrore, e ipotizzava perfino la censura. Dobbiamo ipotizzare anche questi rimedi estremi, secondo lei?
Non so quanti di voi siano su Facebook. Provate a dare un’occhiata ai molti gruppi che si occupano di lingua italiana (pubblicita’ pro domo mea: io sono amministratore/fondatore del gruppo “Lottiamo contro la comparsa del congiuntivo” (http://www.facebook.com/group.php?gid=6447658107), che ha poco meno di 100mila membri), e troverete molto materiale (foto di articoli di giornali, di lettere, di discussioni su FB) dal quale traspare una COMPLETA ignoranza delle piu’ elementari regole della grammatica.
Che sia colpa degli insegnanti, della famiglia, della scuola, non lo so. So che il quadro che ne traspare e’ davvero desolante.
@ Valter: sulla televisione hai ragione, intendiamoci. Meglio, hai ragione su questo tipo di televisione (le serie telelvisive, per esempio, sono testo, se ho colto il senso che ne dai tu). E scusa se mi sono espresso male sulla frase di McLuhan, alla quale non mi riferivo direttamente. Ciò che mi preoccupa è l’identificare con un medium un valore solamente positivo o negativo (ma anche tu hai giustamente fatto l’esempio del martello), e ho voluto ricordare le crociate contro il fumetto in quanto mezzo seguite dalle teorie di Wertham e la persecuzione contro la musica hard rock e metal condotta in USA, negli anni ’80, da Tipper Gore e altri. Tutto qui.
Per questo, forse, condannare in toto la TV non è la soluzione al problema.
@Daxman
Anch’io mi sono espresso alla grossa, con un’iperbole. A casa mia la tv non l’abbiamo (ancora) buttata. Serve per vedere film, Annozero (con molte riserve) e le partite di coppa dell’Inter. L’essenziale è sapere cosa aspettarsi da un Medium e scegliere di profittarne o di astenersi volta a volta piuttosto che mettersi a novanta gradi di fronte ad ogni novità mediatica in quanto tale, perchè a volte c’è un bilancio negativo tra il dare e l’avere. Per dire, io ho l’angoscia dell’aereo e non volo perchè se andassi in vacanza alle Canarie in volo passerei la vacanza ad angosciarmi per il volo di ritorno. Detesto essere presente a tutti in ogni momento e quindi ho eliminato il cellulare. Trovo i social network puro alimento per un narcisismo senza contenuti e quindi li ho cassati. Non è un invito a fare tutti come me. Ciascuno prenda la propria autonomia spirituale come misura e si comporti di conseguenza.
Quello che trovo assurdo è farsi dettare i tempi dall'”attualità” dei media. E’ un po’ quello che scrivono i Wu Ming nel post di oggi su Giap, dove citano Badiou che parla dei media-dipendenti come di topi:
«Topo è chi, tutto all’interno della temporalità dell’opinione, non può sopportare d’attendere […] Topo è chi ha bisogno di precipitarsi nella temporalità che gli viene offerta, senza essere affatto in grado di stabilire una durata propria.»
il dibattito sulla tv, e in questi stessi termini, ormai è già stato soppiantato da quello su pc e internet. In America sono sempre più numerose le campagne del tipo “Go unplugged”, che incoraggiano la gente a staccare la spina e a disconnettersi. Un paio si mesi fa lo scrittore Gary Shteyngart ha scritto un bell’articolo “Welcome to Disconnectopia”, tradotto da Internazionale, sui malati di connessione. E c’è un tipo buffo, Danny Bloom, che ha addirittura scritto l’inno dei “disconnectopians” (lo trovate su youtube).
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Lo stesso clima, del resto, si crea ogni volta che una nuova tecnologia prende piede – dalla stampa al telefono a internet, passando per la tv. E come già hanno sottolineato altri, nel thread, il rischio dipendenza e ottundimento c’è in qualsiasi “mezzo”, dal bicchiere di vino a Maria De Filippi – e nessuno dei due è obbligatorio. Tutto cambia molto rapidamente, e ognuno prima o poi trova la sua misura, sperabilmente. E se non la trova, be’, sarà dura. Ma concordo con chi ha detto che censure e condanne sono controproducenti. La tv mi ha dato il dottor House e la radio Il ruggito del coniglio e Fahrenheit, come rinnegarle?
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Quanto al congiuntivo e alla grammatica, osservo solo che per esempio gli anglosassoni sono molto meno sensibili di noi allo sfondone. Facendo la traduttrice, mi trovo spesso di fronte a errori grossolani di autori di tutto rispetto: per loro l’ortografia e a volte la grammatica sono… pragmaticamente flessibili e “user friendly”.
I dati di De Mauro non mi stupiscono e la distruzione della scuola viene spesso portata avanti in modi che sembrano innoqui. Sulla televisione condivido quanto dice Valter Binaghi.
Spesso in una discussione sul posto di lavoro o tra conoscenti capita di dire qualcosa e subito sentirsi rispondere “in televisione non lo hanno detto, non può essere vero”. Questa attesa di verità da gente che credono affidabile e il non riuscire a leggere un quotidiano, un libro, non capire. Sconcerta averci a che fare.
A metà anni 80 ridevo di un’amica che a Milano – nel giro dei centri sociali – si era messa a fare scuola serale per gli analfabeti e analfabeti di ritorno. Oggi mi sembra eroico lo sforzo. Qualcuno sognava un mondo in cui tutti leggessero. Va bè via.
@Giulia, dici: ‘Ovvio che se allargo la cerchia ai miei clienti, quasi tutti ultrasessantenni e lavoratori della terra, il discorso cambia.’ Cambia? Fino a che punto? Come sono cambiati i modelli? Non ti capita di notare un filo sottile che lega quella generazione alle successive? Un filo che si chiama ignoranza, mancanza di autonomia, appiattimento sul luogo comune…
Ma se la televisione è un mezzo così totalizzante, come mai tutti coloro che la denigrano ne sono rimasti immuni e in grado di ‘criticarla’?
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Per quanto io sia convinta che oggi l’ ‘ignorantia’ sia un vero sistema di potere per cui non ho nessuna indulgenza né simpatia, penso che pure ‘l’intellighentia’ qualche responsabilità ce l’abbia in questo avvento trionfale dell’ignorantia.
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Circa una decina di anni fa ho partecipato a una ricerca telefonica sui consumi culturali. Alla parola ‘cultura’ la maggior parte delle persone si ritraeva spaventata e intimidita: ‘no, io con la cultura non c’ho niente a che fare. Chiami quelli del piano di sopra’.
La frase è autentica e va presa alla lettera, solo che io per quelli del ‘piano di sopra’, in senso metaforico, non ho mai avuto molta simpatia: fin dai tempi del liceo a me l’ ‘odi profanum vulgum, et arceo’ non è mai piaciuto.
E’ vero: molti italiani non sanno ‘leggere’ testi molto semplici ma, se si applicano i test di leggibilità di cui parlava Barbara (tra cui l’indice Gulpease, messo a punto da un gruppo di lingusti che faceva capo proprio a De Mauro) a moltissimi documenti della amministrazione pubblica, ci si rende conto che molti italiani, anche laureati e ‘non vedenti tv’, non sanno scrivere e, comunque, non sanno, o non vogliono, farsi capire.
Tanto è vero che una sentenza della Corte Costituzionale (364 del 23 marzo 1988) stabilisce che, se una legge è scritta in modo incomprensibile, il cittadino può ignorarla (e lo stabilisce con un linguaggio il cui tasso di leggibilità per i profani è quasi nullo).
A proposito di televisione e di analfabetismo.