I TRE MOSCHETTIERI DI SEQUI, POLI E BERTOLUCCI E IL PUCCINI DI BEATRICE VENEZI: UN CORTOCIRCUITO

Il 23 dicembre 1976 la Rai trasmette la prima delle quindici puntate della serie I tre moschettieri, adattata per la televisione  da Giuseppe Bertolucci, Paolo Poli e Sandro Sequi, che ne firma la regia. Gli attori sono solo quattro, Marco Messeri, Paolo Poli, Lucia Poli e Milena Vukotic  e si dividono i ruoli del romanzo di Dumas:  Vukotic interpreta sia D’Artagnan che Costanza; Lucia Poli è Aramis e la Regina; Paolo Poli è Athos e Milady; Messeri è Porthos e la moglie del procuratore e così via. I costumi sono di Lele Luzzati e Santuzza Calì, le musiche di Gino Negri e potete vedere tutto lo sceneggiato su Raiplay.
La visione è consigliata soprattutto a coloro che, giustamente, hanno abbandonato inorriditi la visione di Viva Puccini su Raitre, nei fatti omaggio a Beatrice Venezi più che al compositore, visti i tempi, e che hanno scritto un po’ ovunque che era difficile imbattersi in qualcosa di così Kitsch dai tempi del Bagaglino (che pure, in quel tempo, aveva il suo senso).
Ma torniamo ai moschettieri di Sequi. Già all’inizio di puntata il discorso introduttivo di Paolo Poli è incomparabilmente più complesso rispetto al linguaggio che usiamo oggi. Per evitare il trappolone in cui è caduto Raffaele Simone sul Domani, va detto che la complessità non risulta tale alle giovani persone, considerate ormai il capro espiatorio dell’analfabetismo di ritorno, ma agli adulti, ovvero a quelli che in quel 1976 avevano vent’anni.
E il motivo c’è. Prendiamo, di nuovo,  Viva Puccini e quello che ne scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera:

“La folgorante idea è quella di avvicinare la musica del grande maestro al pubblico televisivo, prendendo un po’ a prestito quello che facevano Corrado Augias (malamente imitato all’inizio per prevenire critiche) e Speranza Scappucci. Ma al contrario: non è il pubblico che deve innalzarsi a Puccini, ma Puccini che deve abbassarsi al pubblico meno attrezzato e dunque grande spreco di «Puccini moderno, Puccini amante del bello, Puccini pieno di fragilità, Puccini pop…»”

L’equivoco è tutto qui. Come ho già scritto, qualche anno fa mi è capitato, un po’ per lavoro e un po’ per diletto, di rivedere uno spettacolo teatrale su YouTube. Era Allacciate le cinture di sicurezza di Solenghi-Marchesini-Lopez. C’ero anche stata, a quella prima (Teatro Sistina, 1987), e ricordo che tutto il teatro era piegato in due dalle risate. Rivederlo fa ancora ridere (e tanto) e turba. Perché è uno spettacolo popolare e coltissimo. Per ridere davvero devi: sapere che all’inizio il Trio fa il verso a Ronconi (Anna Marchesini è una Marisa Fabbri impeccabile), che proseguendo è una parodia esilarante non solo del Giardino dei ciliegi, ma del modo in cui Strehler lo mise in scena (e di come modulava la recitazione dei suoi attori). Conoscere il vaudeville. Conoscere il gotico. Avere, insomma, centinaia di riferimenti culturali. Ora, questo si chiamava alzare l’asticella e trovare risposta. E temo fortissimamente che i tre quarti dei riferimenti oggi non verrebbero capiti (perché che palle gli intellettuali, che palle la cultura, dobbiamo parlare semplice), E invece era uno spettacolo popolarissimo, ripeto.

Ora, è inutile irridere lo sciagurato Viva Puccini, che non è altro che la punta dell’iceberg, una fra le tante: il problema è che negli ultimi anni (dieci? Venti?) è stato fatto il contrario di quanto andava fatto: abbassare il livello della proposta invece di fornire stimoli e strade per capire la proposta medesima. Vale per la televisione, per l’editoria (spesso), per il linguaggio che usiamo sui social. E il problema sta qua, non nei giovani scapestrati che non capiscono i proverbi.

E buona visione.

 

 

Un pensiero su “I TRE MOSCHETTIERI DI SEQUI, POLI E BERTOLUCCI E IL PUCCINI DI BEATRICE VENEZI: UN CORTOCIRCUITO

  1. Ricordo vagamente i tre moschettieri (andró a rivedermeli, grazie del link), e ancora di più l’Odissea di Franco Rossi. Spiace molto che ormai la Rai sempre più spesso insegua i modelli deteriori della TV commerciale (uniformarsi in basso). E credo comunque che il potere di decidere i modelli sia appunto in entrambe non delle giovani persone, ma di quelle più che adulte.

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