IL FACT-SCREWING DEI NEGAZIONISTI

Fabrizio Tonello, Davide De Luca, “Daniele”, Sabino Patruno. Sono, nell’ordine, un docente di Scienza dell’Opinione Pubblica, un giornalista a cui “piacciono i numeri e l’economia”, un laureato in filosofia che scrive per Vice e un notaio.
Cos’hanno in comune è presto detto: una serie di post (sul Fatto quotidiano, Il Post, Quithedoner, Noisefromamerika), pubblicati a distanza ravvicinata e decisamente simili nei contenuti, nelle conclusioni e nel commentarium, nei quali dichiarano il femminicidio vicenda montata mediaticamente e fondata su numeri sbagliati. Ci sono, naturalmente, varianti nei toni usati: da quelli gelidi di Tonello nel distinguere l’assassinio di una donna dallo sfregio con l’acido (“dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì”), a quelli sprezzanti di De Luca, passando per l’esposizione dotta di Patruno fino alla “bava alla bocca” delle “neofemministe” evocata con compiacimento da Daniele-Quit the doner.
Cosa altro hanno in comune questi post, a livello generale? La sensazione che, tutti, si rivolgano a interlocutori che hanno le sembianze di spettri, e che quegli spettri esistano solo nella loro testa, si tratti di giornalisti distratti, politici occhiuti, femministe, appunto, bavose. Non donne e uomini reali, ma caricature. Come se la denuncia del femminicidio venisse da un soggetto unico, che è facile incarnare nel vecchio stereotipo della femminista arrabbiata, livorosa, profittatrice, isterica, bisbetica. Le argomentazioni, infatti, non vengono quasi mai riferite a chi le ha effettivamente usate: si denuncia all’ingrosso complottismo, uso sbagliato o addirittura truffaldino dei dati, voglia di sensazionalismo, senza mai fare nomi e cognomi; come se tutte e tutti coloro che si sono occupati e si occupano del tema fossero indistintamente accomunati da intenzioni subdole, ignoranza, protervia, isteria, ricerca affannosa di un attimo di celebrità.
Veniamo al punto. Le argomentazioni statistiche usate dal drappello sono quattro.
a. Il numero di donne uccise è costante negli anni e l’incremento percentuale è dovuto al fatto che vengono uccisi sempre meno uomini, per cui il femminicidio non esiste;
b. In Italia le morti di donne sono di molto inferiori alla media internazionale, quindi il femminicidio non esiste;
c. Dalla combinazione incestuosa di a. e b., discende la variante forse più stupefacente di negazionismo statistico: siccome la frequenza delle donne uccise registra dei minimi – nel tempo e nello spazio – che si collocano attorno al valore di 0,5 casi l’anno ogni 100.000 abitanti, se siamo in prossimità di quel valore (e in Italia lo siamo) abbiamo raggiunto il “minimo fisiologico” e possiamo essere sereni;
d. I dati non sono attendibili in quanto raccolti in modo non scientifico, quindi il femminicidio non esiste;
Le argomentazioni “politiche” sono invece tre:
1. Non esiste un’emergenza femminicidio, si tratta di un fenomeno a bassa intensità costante nel tempo e anzi in calo;
2. E’ stato fatto del mero sensazionalismo, creando la percezione di una escalation che i dati non confermano e anzi smentiscono;
3. Non ha senso chiedere leggi più severe per gli omicidi derivanti da questioni di genere, perché la vita di una persona non è più preziosa di quella di altre persone.
La cosa che impressiona è che il drappello dice cose molto simili a quanto sostenuto da Michela Murgia e da me, ma arrivando a conclusioni opposte. Certo, i dati sono pochi e confusi, perché non esiste un’indagine statistica dedicata. Certo, bisogna porre la massima attenzione quando i numeri vengono forniti. Certo, le leggi repressive non hanno senso né utilità (ne ha invece il lavoro culturale e di formazione, la moltiplicazione dei centri antiviolenza e il loro finanziamento). Certo, se il femminicidio fosse un’emergenza contingente potrebbe essere studiato e circostritto, ma il femminicidio è fenomeno endemico e drammatico. E, certo, i numeri ci dicono che altrove si uccide di più. Per chiarezza, ecco un passo da L’ho uccisa perché l’amavo:
“ Gli statistici improvvisati vanno, abitualmente, in cerca di rapporti, specie le statistiche dell’Onu sull’omicidio (UNODC homicide statistics) grazie alle quali si può sottolineare che si ammazza di più in Nord Europa, ma guarda, proprio nei paesi più emancipati e dove le donne sono più libere, e dunque la percentuale di morte è in Norvegia il 41,4% in Svezia e Danimarca il 34,5% in Finlandia il 28,9%, in Spagna il 33,1% in Francia il 34,5%; in Giappone il 50%, negli USA il 22,5%. Contro il 23,9% dell’Italia. Dunque, ci vien detto, se in Italia le vittime di sesso femminile non arrivano al 25%, è logico e conseguente che a morire siano soprattutto i maschi, che dunque vanno considerati le vere vittime. (…)
Ma guardiamoli bene, i dati che riguardano il nostro paese. Nel rapporto sulla criminalità in Italia si scopre che le donne uccise sono passate dal 15,3 per cento del totale, nel triennio 1992-1994, al 26,6 del 2006-2008. Peraltro, la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro. In poche parole, se il numero cresce, ed è sempre quel tipo di omicidio, la crescita è il fenomeno, e non il numero, che è effettivamente tra i più bassi al mondo. Significa, per essere più precisi, che se le morti per criminalità organizzata passano da 340 nel 1992 a 121 nel 2006 e quelli per rissa da 105 a 69 , i delitti maturati in famiglia o “per passione”, che sono in gran parte costituiti da femminicidi, passano da 97 a 192. In altre parole ancora, mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57 per cento circa, i delitti passionali sono cresciuti del 98 per cento. Inoltre. Se si guarda la tabella relativa ai rapporti di parentela fra autori e vittime di omicidi commessi in ambito familiare in Italia fra il 2001 e il 2006, nel 66,7 per cento dei casi (due donne su tre) è il coniuge, il convivente o il fidanzato maschio ad uccidere la propria compagna. Infine, se in assoluto sono i maschi a essere vittime maggiori di omicidio volontario, si nota però, che mentre le donne erano il 15,3 % nel 1992, sono arrivate a essere il 26 nel 2006.
Ancora. Nel Rapporto sulla criminalità e sicurezza in Italia 2010, curato da Marzio Barbagli e Asher Colombo per Ministero dell’Interno − Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Fondazione ICSA e Confindustria, i risultati sono così sintetizzati: “Rispetto alla fase di picco del tasso di omicidi, negli anni Novanta, oggi la quota di donne uccise è straordinariamente cresciuta. Nel 1991 esse costituivano solo l’11% delle vittime di questo reato, ma oggi superano il 25%. In Italia, quindi oltre 1/4 delle vittime è donna. La crescita dipende da una relazione ben nota agli studiosi, per la quale la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia − la categoria in cui le donne sono colpite con maggiore frequenza − è invece più stabile nel tempo e nello spazio””
Cosa dicono, invece, i negazionisti? Offrono una costruzione sillogistica inconsistente, per cominciare: sostenere che il femminicidio non esiste perché il numero resta fisso, abbiamo un numero di donne morte inferiore alla media e i dati non sono attendibili non ha consequenzialità logica. Diremmo forse che la mafia non esiste, in base alla constatazione che ormai il numero di morti ammazzati è costante da anni, c’è scarsità di dati e la mafia russa ammazza molta più gente? Quanto al “minimo fisiologico”, colpisce che chi bacchetta l’atteggiamento non scientifico di altri ricorra a sua volta a una vera e propria fola: chi l’ha certificato, questo minimo fisiologico? Sulla base di quali evidenze scientifiche? Facciamo un parallelo: si parla molto di malasanità; mentre l’OCSE colloca il nostro sistema sanitario addirittura al secondo posto dietro quello francese, e soprattutto lo attestano i fatti, con una durata media della vita degli italiani che è seconda solo a quella dei giapponesi. Nonostante questo, tutti i giorni negli ospedali italiani si muore, e non per malattia: si muore per infezioni ospedaliere, per errori medici, per guasti alle attrezzature vitali. Considerando le prestazioni erogate ogni anno, che sono milioni, si potrebbe ben sostenere che gli episodi riportati dai giornali siano un “minimo fisiologico”, che stiamo bene così e nessun intervento è dovuto. Non c’è emergenza. Eppure, nessuno si sognerebbe di dire che è “fisiologico” venire ammazzati in ospedale, sia pur involontariamente; siamo tutti consapevoli che il famoso “minimo fisiologico” probabilmente esiste, ma nemmeno vogliamo conoscerlo (ammesso che sia possibile) e lo stesso pretendiamo che ogni sforzo venga fatto per spostare quel limite il più possibile verso lo zero. La domanda da un milione di dollari è: perché invece parlando di femminicidio tanta gente ritiene che ci si debba accontentare? Non è di vite umane, che stiamo parlando?
Venendo ai dati, vera e propria croce per chi voglia seriamente indagare questo fenomeno, i negazionisti perdono regolarmente l’occasione per sottolineare questa carenza e additarla per quello che è: un problema da risolvere, e non una comoda cortina fumogena utile per avvolgere tutto nella notte in cui tutte le vacche son nere. Dire che i numeri non vengono da una fonte autorevole è giusto; dire che sono sbagliati è un fatto che va dimostrato. I negazionisti non si rendono conto che proprio l’assenza di dati è un fatto in sé gravissimo. Non solo: quando Patruno (da cui sono nati gli altri post, evidentemente) sostiene che l’incidenza percentuale dei femminicidi (che aumenta a fronte di numeri assoluti calanti per gli omicidi di altra natura) conta “assai poco” e che a contare sono “i numeri assoluti e le dinamiche di questi numeri nel tempo”, fornisce un’interpretazione tutta sua, e per nulla scientifica. Le percentuali non dicono “assai poco”: dicono una cosa diversa e complementare rispetto alle frequenze assolute (che in statistica sono sinonimo di numero, n.d.r.), integrando l’informazione. In questo caso specifico potrebbero ad esempio dire che, avendo trovato il modo di ridurre certi tipi di omicidio ma non quello ai danni delle donne, è giunta l’ora di mettere in campo risorse specificamente destinate a questo scopo.
Risorse non significa leggi: la maggior parte delle persone e delle associazioni impegnate nella lotta alla violenza contro le donne non chiede leggi ad hoc, ma semplicemente la rigorosa applicazione delle normative esistenti e, soprattutto, la protezione delle donne che denunciano e il finanziamento di strutture in cui possano essere accolte e aiutate.
Ricapitolando: se abbiamo davanti un’incidenza percentuale che ci dice che, a differenza di altri delitti, il femminicidio esiste e non cala come gli altri crimini, se abbiamo davanti un’assenza di dati e di risorse, si dovrebbe concludere – e sarebbe logico farlo – che abbiamo un problema. Il drappello di fact-checker, invece, conclude che NON lo abbiamo.
Perché? Questa dovrebbe essere la domanda. Le risposte, come è ovvio, soffiano nel vento. Ma una cosa vorrei dire: comprendo che la razionalità (è davvero tale?) degli studiosi (quando sono degni della definizione, naturalmente, e non semplicemente aspiranti influencer) chiami alla freddezza anche quando una ragazzina di sedici anni viene bruciata viva dal fidanzato, ché a noi non interessa, ché l’emotività è roba da “opinione pubblica”. Eppure non è questo che chiediamo a chi studia. Non è questo che chiediamo a chi pronuncia parola pubblica, sapendo bene di usarla come un’arma e di usarla, nella gran parte dei casi, solo per chiamare a sé i riflettori in un momento in cui il dibattito è caldo. Che vengano, i riflettori: abbiateli. Ma almeno sappiateli usare per il bene di noi tutti: e non, semplicemente, per qualche follower in più.
Per questo post un grazie di cuore va a quello che di fatto ne è l’autore, lo statistico Maurizio Cassi, e a Giovanni Arduino per aver suggerito il termine giusto per ribaltare quello, a rischio di abuso, di fact-checking: fact-screwing. Ovvero, incasinare i dati invece di analizzarli.
Questo post appare anche su Disambiguando , Giorgia Vezzoli Marina Terragni Il corpo delle donne.

146 pensieri su “IL FACT-SCREWING DEI NEGAZIONISTI

  1. Analizziamo i dati ai tempi di Adamo, Eva, Caino e Abele. Adamo non uccide Eva. Caino uccide il fratello. Così nacque l’andricidio, biblicamente più antico del femminicidio? Nessun essere umano dovrebbe togliere la vita a nessun altro essere umano. Ma alcuni lo fanno comunque. Muoiono tantissimi uomini e anche tantissime donne. Quindi esiste soprattutto l’omicidio, all’interno del quale si possono sotto-distinguere tutti i filoni che si vogliono: uccisione di nani e nane, di giganti e gigantesse, di persone dagli occhi azzurri o dalle orecchie a vela… Ma il vero progresso culturale si farà tornando al comandamento di fondo (soprattutto morale): NON UCCIDERE.

  2. “comprendo che la razionalità (è davvero tale?) degli studiosi (quando sono degni della definizione, naturalmente, e non semplicemente aspiranti influencer) chiami alla freddezza anche quando una ragazzina di sedici anni viene bruciata viva dal fidanzato, ché a noi non interessa, ché l’emotività è roba da “opinione pubblica”. Eppure non è questo che chiediamo a chi studia.”
    Infatti sarebbe ora di smontare un certo malinteso concetto di razionalità come virtù superiore e fine a sé stessa, le cui derive solipsistiche sono spesso agghiaccianti.

  3. Gli omicidi familiari sono aumentati proprio a causa delle folli leggi femministe che consentono a donne criminali di abusare dei figli alienandoli, usandoli per impadonirsi di case e mantenimenti. Questo è chiaro soprattutto da quanto accaduto negli USA: gli stati che hanno adottato simili leggi hanno visto un 60% di aumento degli omicidi familiari, mentre gli stati che le hanno rifiutate hanno visto una diminuzione del 10% circa

  4. D’accordissimo sulla conclusione: che abbiamo un problema e cercare di negarlo con le statistiche è un arrampicarsi sugli specchi, poi la priorità da dargli è una questione politica ed appartiene ad un altro livello.
    Sono un po’ perplesso sulla soluzione, che non può limitarsi ad un finanziamento dei centri antiviolenza che pure è cosa positiva: mi sembra un po’ come cercare di limitare i morti sulle strade attrezzando e potenziando le strutture di pronto soccorso, anzichè lavorare sulla sicurezza delle strade e sul modo di guidare della gente. Tornando al femminicidio, mi sembra che nel dialoo che se ne fa in rete manca un buco molto ggrande, che sono gli uomini. Non si può pensare di venire a capo del problema senza guardare in facca agli assassini e capire da dove viene l’istinto omicida che porta al femminicidio ed inaridirne le fonti.
    Il che non vuol dire depenalizzare (poveretto è malato di mente. poveretto un corno), ma risolvere il problema alla radice. Ed invece nei blog che si occupano del femminicidio io di questo aspetto ne sento parlare praticamente mai, sembra che sia faatto apposta (a parte Zauberei, che mi correggerà se la cito a sproposito).

  5. Senza intento polemico, avrei delle questioni da porre: servono centri anti-violenza per le donne. Dei centri per uomini maltrattanti. E pure una certa sensibilizzazione del contesto. Da quanto ho letto sui giornali (anche a prenderlo con le pinze) la famiglia della ragazza era informata dei fatti e, a parte un predicozzo – pare non abbia agito alcuna azione legale per proteggere la figlia. La responsabilità penale è personale tuttavia – e su questo mi piacerebbe sentire cosa ne pensa Zauberei – il contesto può fare molto. Nonostante tutto credo sia stato un errore usare il termine femminicidio perché cancella la peculiarità di storie che avvengono dentro relazioni personali violente. Di certo un uomo violento, se non curato, sarà violento in tutte le sue relazioni con tutte le sue partner, tuttavia il termine resta fuorviante perché i maschi violenti – a quanto mi risulta – non girano come serial killer ad ammazzare donne purché siano, ma si concentrano solo sulla partner.

  6. Aggiungo una domanda generale in risposta all’ultimo commento dove si limita il femminicidio ai crimini commessi solo all’interno di un contesto relazionale: l’uccisione di Emlou Arvesu ad esempio, donna filippina massacrata per strada da un ex pugile che aveva tanta voglia di sfogarsi su una donna in quanto donna, che cos’è? Non capisco perchè ci si ostini a considerare il femminicidio esclusivamente come crimine relazionale e non come omicidio di genere, nessuno si sognerebbe di classificare la pedofilia come crimine relazionale..qualcuno mi spieghi.

  7. Il femminicidio è un reale problema, e lo si vede soltanto da come la gente – uomini e donne che siano – rispondo a determinati articoli. Avete notato quanto astio alcuni uomini vomitano nei confronti di argomenti come questo? Se si richiede una legge specifica per questi assassini, subito c’è insurrezione perché si trattano con due pesi e due misure gli omicidi di donne e uomini. Posto che l’inasprire le pene non risolve nulla (come giustamente Murgia e Lipperini hanno scritto), alcuni uomini – e purtroppo anche donne – non riescono o non vogliono vedere la violenza con la quale questi omicidi vengono commessi. Si tratta di uccidere per annientare la personale libertà d’espressione e di felicità, questo è il vero problema. Questo è ciò che rende necessaria la presa di coscienza del “sì, in Italia c’è un problema”. Invece no, molto meglio nascondere la polvere sotto il tappeto e quasi sbeffeggiare le vittime come Fabiana che non sono state uccise per un odio di genere e per una mancata educazione al rispetto, ma perché rappresentano quel “minimo fisologico” che mette a posto la coscienza, che permette agli uomini e le donne come questi pseudogiornalisti, di parlare di cose che non li riguarda, con una superficilità e freddezza pari agli stessi assassini. Una volta il mestiere di giornalista significava documentazione, ricerca, immedesimazione nei problemi di una nazione e la capacità di saper alimentare la “sindrome da grillo parlante”, quasi come un profetizzare il futuro. Invece ora è solo una corsa a chi strilla più forte, a chi si mette ben in mostra davanti a una vetrina, senza argomenti, senza professionalità, senza coscienza. Se si vuole parlare di femmincidio o di omicidio in generale, bisogna scavare, andare alla fonte, rendersi conto che è un problema di educazione e comunacione, non di numeri.

  8. i negazionisti presumo che siano gli stessi che insistono a credere che ci siano sei donne per ogni uomo,nella segreta speranza di nascondere la propria pochezza trincerandosi dietro analisi scritte “a cazzo”.Proprio ieri mi sono appuntato una frase di renato di rocco idonea alla causa:”contro la stupidità recidiva siamo disarmati”(contro la cattiva coscienza un po meno)

  9. Ho qualche esperienza dell’uso di statistiche per costruire emergenze o per negare evidenze. Nel primo caso, è esemplare il lavoro indegno fatto da alcuni “studiosi perbene” sul tema “criminalità e immigrati”, nel secondo mi ha colpito il fuoco di fila anti-femminile analizzato ottimamente qui da Lipperini. Sessismo e razzismo vanno spesso appaiati e a volte intrecciati. Vero è che il rilievo che i media danno OGGI al tema “femminicidio” (chiedo scusa a chi non ama il termine, a me dà un’idea, ma ben vengano eventuali argomentazioni più convincenti per superarlo) è costruito, ma vivaddio, era ora! e speriamo che presto sui quotidiani si costruisca il frame: falsificazione dei dati sui reati in cui sono coinvolti migranti.
    Diminuiscono altri delitti gravi, rimangono stabili (e quindi aumentano percentualmente) le uccisioni e le violenze su donne compiute dai loro compagni o ex. E’ ora di fare scendere il numero assoluto e le percentuali di questi delitti odiosi. Ed è ora, su questo tema, da una parte di passare parola presso chi non se ne è accorto, dall’altra di rispondere con la dovuta durezza ai “colti” che minimizzano. Ringrazio perciò Loredana per il libro scritto con Michela Murgia e per questi post preziosi.

  10. @ Jo
    mi sa che il commento di barbara e in generale le motivazioni che stanno dietro agli articoli analizzati nel post vadano proprio ( e anzi, in maniera impropria, ma qui ci sarebbe da discutere ) nella direzione che indichi. Proprio perché c’è una commistione fra omicidio di genere e relazionale si crea una confusione, tra chi vorrebbe intendere il termine solo relativo agli omicidi di genere ( di solito i negazionisti ), escludendo così quasi tutti i casi che avvengono in Europa; e chi lo ritiente da intendersi in maniera più ampia. La WHO parla infatti di femicide e poi di intimate femicide, non intimate femicide ( ad esempio i casi in Messico, intimate partner homicide, dowry related femicide ( India, ma pensiamo agli aborti selettivi ).

  11. @ Barbara. E’ stato pubblicato di recente un libro a firma Lipperini-Murgia che potrebbe chiarirti i dubbi sull’uso del termine femminicidio.

  12. I negazionisti sono quelli che se una viene stuprata e aveva la minigonna “se l’è cercata”. A volte poi anche se lei aveva i jeans dicono che dev’esser stata consenziente (ricordando una vecchia sentenza).
    Certo, se uno guarda l’arsenale trovato ieri prima di Roma-Lazio e pensa a quelli che vanno allo stadio solo per fare a cazzotti o dispensare coltellate, se uno pensa a quelli che qui in Svezia bruciano macchine e asili, vero, la violenza non è solo orientata verso le donne, ma verso diversi soggetti più deboli/indifesi. Ma chi parla di femminicidio non dice che solo le donne vengono uccise, e non si può negare che le donne sono uno dei soggetti deboli spesso oggetto di violenza. Per me poi non c’è differenza fra stupro, acido in faccia, femminicidio: stessa matrice, stessa idea di base di sopruso e “proprietà”. Negarlo è associarsi al crimine.

  13. Complimenti, analisi perfetta! Ci voleva un pò di chiarezza davanti a tanta demagogia La “sindrome di Adamo” del “non sono stato io”…è dura a morire!

  14. Ho letto il libro di Loredana e di Michela – continuo a non essere d’accordo. Non è che non conosco i documenti o gli studi – poiché studio anche io, mi riservo il diritto di concordare o no. Senza acrimonia. Per altro non sono concordo neanche con il punto di vista degli articoli linkati. La mia è una posizione chiara: esiste un problema serio di violenza sulle donne, esiste un problema serio di uomini maltrattanti, esiste un problema serio di sessismo e discriminazione e di genere. Resta il fatto che la maggioranza degli omicidi e delle violenze fisiche avviene in contesti relazionali. E mantenere la differenze tra stupro, acido e omicidio (tutti gesti gravissimi e probabilmente nati dalla stessa matrice) è ugualmente importante.

  15. @ barbara
    capisco il tuo dissenso, ma credo che o rifiutiamo il termine in quanto non comprensivo degli altri generi ( maschile, trans, e qui partiamo per la tangente dell’identità ), e lo releghiamo a un contesto storico, per cui d’ora innanzi si parlerà di violenza di genere, di gendericidio; oppure all’interno del contesto della violenza di genere, credo che femminicidio sia corretto, dal momento che il contesto relazionale ( e lo stesso quello individuale ) è comunque immerso nel contesto sociale.

  16. @Shane Drinion: a suo tempo ti avevo promesso dei chiarimenti che non ti ho mai dato, per assoluta mancanza di tempo. Spero che questo post di Loredana risponda ai tuoi dubbi, ma se così non fosse ti pregherei di inoltrare alla stessa Loredana le tue questioni. Se lei fa da ponte, magari posso esprimerti il mio punto di vista.

  17. @barbara Le differenze ci sono, ma, come anche sembri credere tu, nascono dalla stessa matrice, ed è su quella che bisogna concentrare gli sforzi anziché disperdere le risorse su tre effetti diversi. Bisogna andare alla radice, che c’è.

  18. @ Maurizio
    grazie. In sostanza sono d’accordo. Il dubbio principale è piuttosto legato al fatto che ci sono dei mondi che vanno messi in contatto. E che al momento la discussione, o meglio i luoghi virtuali in cui si fa qusta discussione è appesantita da incomprensioni ( perché ad esempio ci si può limitare a criticare il modo in cui si parla di femminicidio, e credo che in parte gli articoli criticati ci abbiano provato, o che almeno è possibile che avverrà ). Poi non so quanto senso abbia il commentare stesso, se penso ai commenti del Fatto online. Molte persone, molti uomini, si difendono dal termine. Può anche darsi che sia solo il fatto che sono gli unici che commentano. Se poi mi verrà in mente altro, oltre a intervenire qua, da bravo rompino…

  19. Per stare sulle parole: i “negazionisti” sono quelli che negano la Shoah, a norma di dizionario. Almeno finché la lessicografia non registrerà l’uso lipperiniano di “negatori del (cosiddetto) fenomeno del femminicidio”. Fino allora, il termine da usare è appunto negatore o negatrice, non negazionista, termine che personalmente mi offende.
    E mi offende perché non è vero che, riguardo a quanto espone secondo me magistralmente Quitthedoner, gli “interlocutori … hanno le sembianze di spettri … Non donne e uomini reali, ma caricature.” Io sono vera, sono reale, non sono una caricatura né uno spettro. E tuttavia mi fa orrore la versione dei… oh, come vogliamo chiamarli? Femminicidisti? (ricordo a proposito che i negazionisti, quelli veri, chiamano “sterminazionisti” i sostenitori della realtà della Shoah).
    Mi fa orrore in primo luogo perché rifiuto quest’abito da potenziale vittima di qualunque maschio: perché se esiste un rischio di fine omicida per ogni donna “in quanto femmina”, deve per forza corrispondervi una potenzialità omicida di ogni uomo “in quanto maschio”. E direi che i secondi, terzi e quarti luoghi sono troppi per contarli. Il femminicidio non esiste, esiste la violenza tra esseri umani che si riversa di norma dal più forte al più debole, ed esiste perché è dentro di noi come modalità ancestrale e perché paga: il/la violento/a, di norma, ottiene lo scopo desiderato, sia egli o ella singolo, collettività, o Potere. (O pensate forse che le donne non siano intrinsecamente violente, proprio come i maschi? Se lo credete, non vorrò esser voi quando scoprirete la verità, perché la delusione sarà cocente.) Si può solo cercare la violenza dentro di noi, impararla e tenerla sotto controllo. Maschi o femmine che si sia. Singolarmente e collettivamente.
    Fra l’altro, l’analogia con le malattie iatrogene e nosocomiali regge perfettamente, in questo senso: sì, qualcuno morirà sempre per colpa del medico o dell’ospedale (la sterilizzazione perfetta non esiste ancora), e i suoi parenti potranno avere giustizia. Proprio come qualcuno/a morirà sempre per mano di un(‘)altro/a (l’umanità non violenta non esiste ancora), e i suoi parenti potranno avere giustizia.

  20. Isabella, sono certa che lei non sia uno spettro: infatti non mi riferivo certo a lei in quel passaggio, ma al fatto che i negazionisti (perdoni tanto: c’è chi si turba per una parola e chi si turba per la negazione di una serie di morte ammazzate) non facevano un solo riferimento ad articoli o interventi o post, non nominavano una sola testata o associazione che si occupa del fenomeno. Il resto, mi perdoni di nuovo, è tentare di fuorviare: il discorso sulle donne “non violente” non è stato neppure sfiorato in questo post, né, mai, in questo blog. Saluti cari.

  21. Attenzione, però: o il socialismo, o la brioche, come diceva l’antica barzelletta.
    O le parole sono importanti, e allora no, io non perdono che si confondano negatori e negazionisti. (Basterebbe ammettere di aver usato la parola sbagliata, anziché fare del sarcasmo a buon mercato sulla pelle delle ”morte ammazzate”, ma capisco che si dovrebbe riscrivere tutto il pezzo.)
    Oppure le parole *non* sono importanti: e allora capisco, abbiamo scherzato, e femminicidio (come sospettavo, avendo già a disposizione l’omicidio con le sue aggravanti, l’uxoricidio, il matricidio e l’infanticidio della figlia femmina) è una parola, oltre che brutta e stupida, anche inutile.
    (Saluti cari a lei, e tante scuse per essermi permessa qualche spunto personale, mai sfiorato dal blog. Con immutata stima.)

  22. Isabella, non sto facendo sarcasmo: le sto spiegando il motivo della mia scelta, che non rinnego affatto. Chi rifiuta di considerare evidente (e strutturale) la morte delle donne in quanto donne può essere chiamato a mio parere negazionista. Quanto ai motivi per cui la parola femminicidio è stata adottata, mi perdoni per la terza volta ma sono stanca di ripeterli ogni volta: non vi piace, è brutta? Pazienza. Viene usata in ambito internazionale da vent’anni, e questa abbiamo. Infine: lei trova eccellente l’analisi di Quit the doner, ed è ovviamente libera di farlo. Io la trovo parziale e offensiva (specie nella raffigurazione delle femministe bavose e che chiedono – cosa non vera – leggi speciali e repressive). Sono, come vede, due posizioni diverse. Nel reciproco rispetto, che fra persone che oltretutto si occupano entrambe di libri sarebbe bello non mancasse, si può rimanere in disaccordo. Le chiedo solo di non farmi dire, negli “spunti personali”, cose che non ho detto e che non ho neppure mai pensato.

  23. “- Papà mi ha detto che tu gli hai detto che non hai il telefono.
    – Infatti io non ho il telefono. Questo non è un telefono, questo è un linfonodo, – disse LaVache indicando un telefono accanto al telefono. – Lo chiamo linfonodo, non telefono. Così quando Papà mi chiede se il telefono posso rispondergli in perfetta buona fede che non ce l’ho. Tuttavia ho un linfonodo.
    – Sei pazzo, – disse Lenore.
    – Ciao Bob, – disse qualcuno sullo schermo.”
    L* s**** d** s****** – D**** F***** W******

  24. Il solito problema delle parole che portano dentro di loro contenuti pesanti. Sul fatto che ci sia un fenomeno particolare che riguarda la violenza sulle donne da parte degli uomini è lampante. Sta accadendo dappertutto. Anche dalle mie parti. Si può benissimo parlare di femminicidio. La parola “negazionista”, invece, mi pare un voler saggiungere qualcosa di “enorme” storico di cui non c’è bisogno.

  25. Mi trovo molto molto d’accordo su buona parte del post, direi sulla massima parte. Sia per la questione statistica sia per la questione, ancora più cruciale del dato di fondo – cioè l’atteggiamento di chi reagisce alla campagna sul femminicidio. Posizione psicologica, per mantenere la metafora, che associo a quella di certe reazioni il giorno della memoria, quando a chi ricorda vengono a dire: eh perchè celebri l’olocausto quando ci stanno quei poracci daa Siria? Novanta su cento, è gente a cui non po’ fregà de meno nè dell’ebrei ma stai sicura neanche della Siria: il benaltrismo, statistico o meno è una difesa psicologica di fronte all’urgenza di un problema: per cui se hai le palle per occuparti di femminicidio avrai anche la tempra psichica per prendere sul serio la grave condizione delle persone nelle carceri, maschi compresi, per ragionare intorno alle vittime della camorra, per occuparti del male. Ma se no, sei uno che di fronte ai ruoli che si osservano nelle situazioni dolorose, non si può mai permettere di essere empatico, e alla fine la butta in caciara, facendosi semplicemente – i cazzi propri.
    Le persone che lavorano intorno alle questioni reali, hanno bisogno di specificità contestuali. Il femminicidio ha una sua specificità, e in generale la violenza di genere, come altre forme di criminalità o di disagio sociale. non prendere sul serio la rilevanza di queste specificità è un lusso che si possono prendere gli opinionisti della domenica, i commentatori der tempo libero, ma è fuffa. Il grande merito di una parola che genera dubbi, è di aver fatto passare sui media e nella riflessione collettiva l’urgenza di riconoscere questa specificità. Riconoscere questa specificità in Italia in questi ultimi due anni, ha implicato il riconoscimento dell’esistenza di un fenomeno, di una cosa cioè che ha forma ed esiste. E che si mette nell’incrocio tra psichico e sociale, in una forma peculiare che è propria di quel fenomeno.

  26. femministe urlanti: è in atto una strage di donne! i numeri parlano chiaro!
    voce della ragione: in realtà i numeri dicono il contrario, e cioè che gli omicidi di donne non sono aumentati e in Italia sono al di sotto della media europea.
    femministe urlanti: ecco, di fronte alla tragedia di una vita spezzata cosa volete che siano dei freddi numeri!
    i numeri contano a seconda delle tesi che si vogliono propalare all’opinione pubblica, evidentemente.

  27. @ Isabella
    Contrariamente a quel che Lei sostiene, il termine “negazionista” si usa, oltre al genocidio del popolo ebraico, anche in riferimento al genocidio degli Armeni, dei nativi nordamericani, degli amerindi del centro e sud America, sempre in riferimento a coloro che ne negano l’esistenza. In un testo in cui si parla di femminicidio l’uso del termine “negazionista” è quindi lecito in riferimento a chi ne nega l’esistenza.

  28. Non ho certezze in merito (e anche in generale) ma a me pare che il termine “negazionista” sia pure controproducente per la giusta causa che si vuole sostenere.

  29. Bene, ma a parte il termine negazionista (grazie Girolamo per la puntualizzazione) la domanda, per me, è una. E mi rivolgo ad Alessia, a Isabella, alle donne che stanno commentando da Giovanna Cosenza. E agli uomini, naturalmente, che “negano”. Posso sapere perchè? Perchè la negazione avviene con tanta virulenza? In altri termini: cosa vi smuove la parola femminicidio?
    Ps. Il bel commento di Zauberei contiene in parte la risposta ma sarebbe bello sentirselo dire.

  30. Loredana, non sono certamente una negazionista. Non mi passa per la testa di non vedere il numero delle donne uccise, la violenza fisica e psicologica che subiscono/subiamo. Da storica, il termine “femminicidio” (ho letto la letteratura) richiama troppo “genocidio” (non importa se di ebrei o armeni. Sui nativi americani c’è un ampio dibattito storico in corso sull’uso del termine, il che non nega assolutamente ci sia stata una distruzione di massa dei medesimi). Questo non è che mi infastidisce, mi sembra un errore di metodo, che finisce per inquadrare una tragedia dentro una cornice che non le è propria. Non nego niente, mi sarebbe piaciuto si trovasse un termine diverso per descrivere una realtà che è diversa. Tutto qui -)

  31. Qualche piccola osservazione.
    1. E’ vero che i dati sono spesso fluttuanti. Sacrosanta la necessità di stabilire un osservatorio serio (a questo proposito mi permetto di segnalare qui la fonte che fra quelle di mia conoscenza mi pare quella fatta meglio: http://bollettino-di-guerra.noblogs.org/).
    Ma credo che un’attenzione particolare meriti una frase che compare spessissimo come premessa (data per risaputa) a molte iniziative, spesso autorevolissime e istituzionali, che dicono di voler contrastare il “femminicidio”: “La violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte delle donne in tutta Europa e nel mondo.” (relazione introduttiva al recente DDL3390 per la ratifica della Convenzione di Istambul che oggi e domani viene discusso in Parlamento http://leg16.senato.it/japp/bgt/showdoc/16/DDLPRES/691660/index.html? ).
    Di morte, non di omicidio.
    In tanti sono ancora più espliciti: “…la violenza maschile è la prima causa di morte delle donne italiane: arretratezza e desiderio di potere maschile ci ammazzano più del cancro, dell’inquinamento, degli incidenti stradali.” (la 27ma ora, Corriere della Sera, http://www.corriere.it/cronache/speciali/2012/la-strage-delle-donne/). Questo confronto “vincente” col cancro (circa 70.000 donne morte all’anno, pare in aumento), compare da varie parti.
    La vogliamo smettere di diffondere queste idiozie che fanno soltanto del terrorismo? Chi davvero crede in questa battaglia di civiltà contro la violenza di genere dovrebbe prima di tutto fare pulizia “in casa propria” liberando il campo da queste balle spaziali e prendendo nettemente le distanze da che le divulga.
    2.”…si ammazza di più in Nord Europa, ma guarda, proprio nei paesi più emancipati e dove le donne sono più libere…”
    “…la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord…”
    “Certo, le leggi repressive non hanno senso né utilità (ne ha invece il lavoro culturale e di formazione, la moltiplicazione dei centri antiviolenza e il loro finanziamento)…”
    Io aggiungerei anche questo dato: nel 2011 la regione col più alto numero di “femicidi” è stata la civilissima, femminista, avanzatissima nelle pari opportunità, ricca di centri antiviolenza e di luoghi di assistenza e aiuti vari istituzionalizzati, nonché di sovvenzioni pubbliche a questi progetti Emilia Romagna (dato della Casa delle donne di Bologna, http://www.casadonne.it/cms/images/pdf/pubblicazioni/materiali/uomini_uccidono_le_donne2011.pdf )
    A me sorge spontaneo un dubbio: non è che nell’attività preventiva e informativa dei centri antiviolenza, nonchè nei meccanismi dei loro finanziamenti ci sia qualcosa che non funziona?
    Quanto all’inutilità e al carattere controproducente delle leggi repressive e di normative che distinguono i generi sono d’accordo al 1000%.
    Non sarà il caso allora di dire chiaramente e con forza che il suddetto DDL3390 e la convenzione di Istambul ( http://www.personaedanno.it/attachments/article/42704/Convenzione_Istanbul_violenza_donne.pdf ) con le sue numerose implicazioni a mio parere sessiste (invito tutti a leggere attentamente i testi per capire se ho o no ragione) non servono a migliorare le cose, ma, al contrario, ci faranno arretrare di qualche secolo?

  32. Gentile Michele, gli appelli a fornire numeri corretti sono stati rivolti, non solo nel libro, a tutte le parti in causa. Detto questo, il fenomeno non si combatte solo con i distinguo: io stessa non ne avrei fatti (ai negazionisti suddetti) se non fosse che è letteralmente impossibile, in rete, discutere di femminicidio senza incappare in distinguenti o in statistici della domenica o in neganti più o meno – apparentemente – cortesi. Quanto meno, ammetterà, distogliente. Quanto meno, ammetterà, la vocazione a negare, negare, negare, nasconde un problemino.
    Ps. Il Nord registra un numero più alto di femminicidi perchè, banalmente, è il più popoloso.

  33. Cara Loredana, Aspettiamo sia ratificata la Convenzione di Istanbul e continuiamo a lavorare, a scrivere e a dialogare, si va avanti, quanto e’ piu’ buia la notte tanto e’ piu’ vicina l’alba..

  34. Ma sì, gridiamolo forte che gli uomini sono tutti stronzi e le donne una razza superiore.
    Gridiamolo forte che le donne sono tutte sante e gli uomini tutti assassini e stupratori!

  35. Scusate se abbasso il livello, ma a me basta UNA ragazzina che si suicida in seguito ad uno stupro (è conteggiata tra le vittime di femminicidio?), UNA ragazza bruciata viva, TRE donne sfigurate con l’acido … per pensare che si debba fare qualcosa perchè episodi di tale brutalità e tragicità non si ripetano in un Paese che si ritiene civile… Qui non si tratta d’irrazionalità o manipolazione di numeri, ma temo di insensibilità e scarso senso etico… come possiamo accettare senza far niente che accadano cose tanto orribili? chi di noi (uomo o donna che sia) penserebbe che sono accadimenti fisiologici e nella norma, di trascurabile interesse politico, se accadessero a noi o a qualcuno che amiamo?

  36. Ottimo post e ottimi spunti di riflessione, grazie. Da emigrata ho potuto seguire solo saltuariamente tutto il dibattito sul tema della violenza contro le donne e del cosiddetto “femminicidio”, e mi stupisco e mi dispiaccio molto di come a volte in Italia si reagisca in generale a ogni tentativo di parlare della condizione delle donne che non sia blando, tranquillizzante, va-tutto-bene, sì, insomma, negazionista per dirla alla lettera, di negazione*. È veramente triste.
    Questa lotta sui numeri è veramente assurda nei toni. Sono una grande appassionata di giornalismo basato sui dati come dicono gli anglosassoni, di fatti e statistiche, di numeri e cifre precise. Quando si parla di eventi e casi che sono frutto di una cultura, di una mentalità, i numeri servono sì, ma non bastano, perché non sono i numeri il punto. Il punto è la motivazione che sta dietro e cosa esprime che magari si riscontra in altre forme non violente ma ugualmente dannose. Non si parla di un tipo di violenza od omicidio in base al metodo o all’arma, per cui bastano le statistiche a dirci qualcosa di utile e finisce lì, perché non è che si possa far filosofia sulla scelta di un coltello piuttosto che di una pistola, non ha gran rilevanza sociale; qui si parla di un tipo di violenza che esprime una concezione culturale, sociale del target della violenza. Concezione che in forme meno drammatiche si ha sotto gli occhi tutti i giorni, secondo me. Io almeno lo noto ogni volta che torno in visita, quanto lavoro ci sia ancora da fare in Italia rispetto ad altri paesi. Ma ahimé mi dicono sono troppo esterofila.
    Non dimentichiamoci che il delitto di passione era sancito dal codice penale italiano fino a pochi decenni fa, il legislatore ne riconosceva il ruolo nella tradizione sociale. Uccidere la fidanzata o la moglie perché non ti vuole più non esprime forse la stessa idea di possesso e onore? non mi pare solo una questione di perdita di controllo e passione. È una mentalità, che in altri paesi dove c’è maggiore eguaglianza tra i generi non esiste proprio, o è rarissima; in altri purtroppo è ancora fin troppo diffusa e approvata. L’Italia deve decidere dove vuole stare, con le società arcaiche o con quelle moderne europee. Il primo passo è parlare di queste cose. Negarle non mi pare un bel segno. Se poi addirittura si vedono “femministe urlanti” (! in Italia?!) allora be’ non so che paese vedano queste persone, di certo non quello che vedo io. Ma io sono esterofila, eh.
    (*Pedanteria: Chi ha deciso che non si può usare la parola negazionista per il suo significato per ambiti diversi? Non sta scritto da nessuna parte che sia un termine che appartiene solo a un preciso evento storico, sarebbe assurdo. Se no come lo traduciamo “deniers” dall’inglese, che si usa parecchio anche oggi – chi nega il riscaldamento globale, come lo chiamate in italiano?)

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