IL FACT-SCREWING DEI NEGAZIONISTI

Fabrizio Tonello, Davide De Luca, “Daniele”, Sabino Patruno. Sono, nell’ordine, un docente di Scienza dell’Opinione Pubblica, un giornalista a cui “piacciono i numeri e l’economia”, un laureato in filosofia che scrive per Vice e un notaio.
Cos’hanno in comune è presto detto: una serie di post (sul Fatto quotidiano, Il Post, Quithedoner, Noisefromamerika), pubblicati a distanza ravvicinata e decisamente simili nei contenuti, nelle conclusioni e nel commentarium, nei quali dichiarano il femminicidio vicenda montata mediaticamente e fondata su numeri sbagliati. Ci sono, naturalmente, varianti nei toni usati: da quelli gelidi di Tonello nel distinguere l’assassinio di una donna dallo sfregio con l’acido (“dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì”), a quelli sprezzanti di De Luca, passando per l’esposizione dotta di Patruno fino alla “bava alla bocca” delle “neofemministe” evocata con compiacimento da Daniele-Quit the doner.
Cosa altro hanno in comune questi post, a livello generale? La sensazione che, tutti, si rivolgano a interlocutori che hanno le sembianze di spettri, e che quegli spettri esistano solo nella loro testa, si tratti di giornalisti distratti, politici occhiuti, femministe, appunto, bavose. Non donne e uomini reali, ma caricature. Come se la denuncia del femminicidio venisse da un soggetto unico, che è facile incarnare nel vecchio stereotipo della femminista arrabbiata, livorosa, profittatrice, isterica, bisbetica. Le argomentazioni, infatti, non vengono quasi mai riferite a chi le ha effettivamente usate: si denuncia all’ingrosso complottismo, uso sbagliato o addirittura truffaldino dei dati, voglia di sensazionalismo, senza mai fare nomi e cognomi; come se tutte e tutti coloro che si sono occupati e si occupano del tema fossero indistintamente accomunati da intenzioni subdole, ignoranza, protervia, isteria, ricerca affannosa di un attimo di celebrità.
Veniamo al punto. Le argomentazioni statistiche usate dal drappello sono quattro.
a. Il numero di donne uccise è costante negli anni e l’incremento percentuale è dovuto al fatto che vengono uccisi sempre meno uomini, per cui il femminicidio non esiste;
b. In Italia le morti di donne sono di molto inferiori alla media internazionale, quindi il femminicidio non esiste;
c. Dalla combinazione incestuosa di a. e b., discende la variante forse più stupefacente di negazionismo statistico: siccome la frequenza delle donne uccise registra dei minimi – nel tempo e nello spazio – che si collocano attorno al valore di 0,5 casi l’anno ogni 100.000 abitanti, se siamo in prossimità di quel valore (e in Italia lo siamo) abbiamo raggiunto il “minimo fisiologico” e possiamo essere sereni;
d. I dati non sono attendibili in quanto raccolti in modo non scientifico, quindi il femminicidio non esiste;
Le argomentazioni “politiche” sono invece tre:
1. Non esiste un’emergenza femminicidio, si tratta di un fenomeno a bassa intensità costante nel tempo e anzi in calo;
2. E’ stato fatto del mero sensazionalismo, creando la percezione di una escalation che i dati non confermano e anzi smentiscono;
3. Non ha senso chiedere leggi più severe per gli omicidi derivanti da questioni di genere, perché la vita di una persona non è più preziosa di quella di altre persone.
La cosa che impressiona è che il drappello dice cose molto simili a quanto sostenuto da Michela Murgia e da me, ma arrivando a conclusioni opposte. Certo, i dati sono pochi e confusi, perché non esiste un’indagine statistica dedicata. Certo, bisogna porre la massima attenzione quando i numeri vengono forniti. Certo, le leggi repressive non hanno senso né utilità (ne ha invece il lavoro culturale e di formazione, la moltiplicazione dei centri antiviolenza e il loro finanziamento). Certo, se il femminicidio fosse un’emergenza contingente potrebbe essere studiato e circostritto, ma il femminicidio è fenomeno endemico e drammatico. E, certo, i numeri ci dicono che altrove si uccide di più. Per chiarezza, ecco un passo da L’ho uccisa perché l’amavo:
“ Gli statistici improvvisati vanno, abitualmente, in cerca di rapporti, specie le statistiche dell’Onu sull’omicidio (UNODC homicide statistics) grazie alle quali si può sottolineare che si ammazza di più in Nord Europa, ma guarda, proprio nei paesi più emancipati e dove le donne sono più libere, e dunque la percentuale di morte è in Norvegia il 41,4% in Svezia e Danimarca il 34,5% in Finlandia il 28,9%, in Spagna il 33,1% in Francia il 34,5%; in Giappone il 50%, negli USA il 22,5%. Contro il 23,9% dell’Italia. Dunque, ci vien detto, se in Italia le vittime di sesso femminile non arrivano al 25%, è logico e conseguente che a morire siano soprattutto i maschi, che dunque vanno considerati le vere vittime. (…)
Ma guardiamoli bene, i dati che riguardano il nostro paese. Nel rapporto sulla criminalità in Italia si scopre che le donne uccise sono passate dal 15,3 per cento del totale, nel triennio 1992-1994, al 26,6 del 2006-2008. Peraltro, la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro. In poche parole, se il numero cresce, ed è sempre quel tipo di omicidio, la crescita è il fenomeno, e non il numero, che è effettivamente tra i più bassi al mondo. Significa, per essere più precisi, che se le morti per criminalità organizzata passano da 340 nel 1992 a 121 nel 2006 e quelli per rissa da 105 a 69 , i delitti maturati in famiglia o “per passione”, che sono in gran parte costituiti da femminicidi, passano da 97 a 192. In altre parole ancora, mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57 per cento circa, i delitti passionali sono cresciuti del 98 per cento. Inoltre. Se si guarda la tabella relativa ai rapporti di parentela fra autori e vittime di omicidi commessi in ambito familiare in Italia fra il 2001 e il 2006, nel 66,7 per cento dei casi (due donne su tre) è il coniuge, il convivente o il fidanzato maschio ad uccidere la propria compagna. Infine, se in assoluto sono i maschi a essere vittime maggiori di omicidio volontario, si nota però, che mentre le donne erano il 15,3 % nel 1992, sono arrivate a essere il 26 nel 2006.
Ancora. Nel Rapporto sulla criminalità e sicurezza in Italia 2010, curato da Marzio Barbagli e Asher Colombo per Ministero dell’Interno − Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Fondazione ICSA e Confindustria, i risultati sono così sintetizzati: “Rispetto alla fase di picco del tasso di omicidi, negli anni Novanta, oggi la quota di donne uccise è straordinariamente cresciuta. Nel 1991 esse costituivano solo l’11% delle vittime di questo reato, ma oggi superano il 25%. In Italia, quindi oltre 1/4 delle vittime è donna. La crescita dipende da una relazione ben nota agli studiosi, per la quale la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia − la categoria in cui le donne sono colpite con maggiore frequenza − è invece più stabile nel tempo e nello spazio””
Cosa dicono, invece, i negazionisti? Offrono una costruzione sillogistica inconsistente, per cominciare: sostenere che il femminicidio non esiste perché il numero resta fisso, abbiamo un numero di donne morte inferiore alla media e i dati non sono attendibili non ha consequenzialità logica. Diremmo forse che la mafia non esiste, in base alla constatazione che ormai il numero di morti ammazzati è costante da anni, c’è scarsità di dati e la mafia russa ammazza molta più gente? Quanto al “minimo fisiologico”, colpisce che chi bacchetta l’atteggiamento non scientifico di altri ricorra a sua volta a una vera e propria fola: chi l’ha certificato, questo minimo fisiologico? Sulla base di quali evidenze scientifiche? Facciamo un parallelo: si parla molto di malasanità; mentre l’OCSE colloca il nostro sistema sanitario addirittura al secondo posto dietro quello francese, e soprattutto lo attestano i fatti, con una durata media della vita degli italiani che è seconda solo a quella dei giapponesi. Nonostante questo, tutti i giorni negli ospedali italiani si muore, e non per malattia: si muore per infezioni ospedaliere, per errori medici, per guasti alle attrezzature vitali. Considerando le prestazioni erogate ogni anno, che sono milioni, si potrebbe ben sostenere che gli episodi riportati dai giornali siano un “minimo fisiologico”, che stiamo bene così e nessun intervento è dovuto. Non c’è emergenza. Eppure, nessuno si sognerebbe di dire che è “fisiologico” venire ammazzati in ospedale, sia pur involontariamente; siamo tutti consapevoli che il famoso “minimo fisiologico” probabilmente esiste, ma nemmeno vogliamo conoscerlo (ammesso che sia possibile) e lo stesso pretendiamo che ogni sforzo venga fatto per spostare quel limite il più possibile verso lo zero. La domanda da un milione di dollari è: perché invece parlando di femminicidio tanta gente ritiene che ci si debba accontentare? Non è di vite umane, che stiamo parlando?
Venendo ai dati, vera e propria croce per chi voglia seriamente indagare questo fenomeno, i negazionisti perdono regolarmente l’occasione per sottolineare questa carenza e additarla per quello che è: un problema da risolvere, e non una comoda cortina fumogena utile per avvolgere tutto nella notte in cui tutte le vacche son nere. Dire che i numeri non vengono da una fonte autorevole è giusto; dire che sono sbagliati è un fatto che va dimostrato. I negazionisti non si rendono conto che proprio l’assenza di dati è un fatto in sé gravissimo. Non solo: quando Patruno (da cui sono nati gli altri post, evidentemente) sostiene che l’incidenza percentuale dei femminicidi (che aumenta a fronte di numeri assoluti calanti per gli omicidi di altra natura) conta “assai poco” e che a contare sono “i numeri assoluti e le dinamiche di questi numeri nel tempo”, fornisce un’interpretazione tutta sua, e per nulla scientifica. Le percentuali non dicono “assai poco”: dicono una cosa diversa e complementare rispetto alle frequenze assolute (che in statistica sono sinonimo di numero, n.d.r.), integrando l’informazione. In questo caso specifico potrebbero ad esempio dire che, avendo trovato il modo di ridurre certi tipi di omicidio ma non quello ai danni delle donne, è giunta l’ora di mettere in campo risorse specificamente destinate a questo scopo.
Risorse non significa leggi: la maggior parte delle persone e delle associazioni impegnate nella lotta alla violenza contro le donne non chiede leggi ad hoc, ma semplicemente la rigorosa applicazione delle normative esistenti e, soprattutto, la protezione delle donne che denunciano e il finanziamento di strutture in cui possano essere accolte e aiutate.
Ricapitolando: se abbiamo davanti un’incidenza percentuale che ci dice che, a differenza di altri delitti, il femminicidio esiste e non cala come gli altri crimini, se abbiamo davanti un’assenza di dati e di risorse, si dovrebbe concludere – e sarebbe logico farlo – che abbiamo un problema. Il drappello di fact-checker, invece, conclude che NON lo abbiamo.
Perché? Questa dovrebbe essere la domanda. Le risposte, come è ovvio, soffiano nel vento. Ma una cosa vorrei dire: comprendo che la razionalità (è davvero tale?) degli studiosi (quando sono degni della definizione, naturalmente, e non semplicemente aspiranti influencer) chiami alla freddezza anche quando una ragazzina di sedici anni viene bruciata viva dal fidanzato, ché a noi non interessa, ché l’emotività è roba da “opinione pubblica”. Eppure non è questo che chiediamo a chi studia. Non è questo che chiediamo a chi pronuncia parola pubblica, sapendo bene di usarla come un’arma e di usarla, nella gran parte dei casi, solo per chiamare a sé i riflettori in un momento in cui il dibattito è caldo. Che vengano, i riflettori: abbiateli. Ma almeno sappiateli usare per il bene di noi tutti: e non, semplicemente, per qualche follower in più.
Per questo post un grazie di cuore va a quello che di fatto ne è l’autore, lo statistico Maurizio Cassi, e a Giovanni Arduino per aver suggerito il termine giusto per ribaltare quello, a rischio di abuso, di fact-checking: fact-screwing. Ovvero, incasinare i dati invece di analizzarli.
Questo post appare anche su Disambiguando , Giorgia Vezzoli Marina Terragni Il corpo delle donne.

146 pensieri su “IL FACT-SCREWING DEI NEGAZIONISTI

  1. Il passaggio che più mi inquieta è questo
    “… la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia [sono] invece più stabile nel tempo e nello spazio”
    Se ho capito bene, lo spazio domestico è una zona franca e uno che uccide in casa forse non ucciderebbe mai fuori casa.
    In un Paese che fino a due decenni fa conservava il delitto d’onore, e dove tuttora i femminicidi sono clamorosamente giustificati sui giornali e in televisione, non credo sia superfluo chiedersi perché.

  2. @Giulia S.: non è necessariamente così. Potrebbe anche, ma le informazioni che abbiamo non penso che bastino a dimostrare un fatto del genere.

  3. per rispondere a Loredana Lipperini: il concetto di femminicidio e l’abuso di retorica allarmista e di dati gonfiati all’uopo è la manifestazione della volontà di colpevolizzare un sesso e di vittimizzarne un altro.

  4. Gentile Loredana, l’Emilia Romagna non è la regione più popolosa d’Italia, ma forse quella dove c’è una maggiore presenza territoriale di strutture di assistenza e informazione e una cultura delle pari opportunità. I Paesi scandinavi, molto avanzati su queste tematiche, non sono popolosissimi. La sua intransigenza nell’interpretare il dato soltanto in base alla densità di popolazione forse meriterebbe qualche riflessione in più.
    Sul fatto che ci sia qualche problemino (non solo fra i negazionisti) non c’è dubbio che sia così.
    Sono d’accordo sul fatto che il problema esista e sia piuttosto serio e radicato. I numeri e il trend, però, a mio parere, non sono tali da suggerire che si tratti dell’emergenza dell’ultima ora e quindi che non sia il web il luogo giusto per dibattere dell’argomento. Anche i media hanno contribuito molto a fare del danno esasperando la questione e creando schieramenti contrapposti su una cosa che andrebbe affrontata con lucidità (esempio: tutti sanno delle 3 donne recentemente sfregiate con l’acido. Ma sanno tutti che ci sono anche 2 uomini che hanno subito identico trattamento da parte delle ex?). Perché sono convinto che la stragrande maggioranza desideri fortemente che la violenza contro le donne sparisca. Anche fra quelli che lei chiama “negazionisti”.
    Più utile, invece, mi pare sia scrivere libri, se affrontano le cose in maniera costruttiva. Perciò preso mi dedicherò alla lettura del libro che lei ha scritto con la signora Murgia.

  5. Alex: come scritto sopra, i dati non sono nè gonfiati nè sgonfiati: ci dicono che il fenomeno è strutturale, e questo è un problema. Quanto a colpevolizzazione e vittimizzazione, concordo con lei: non è questa la strada da percorrere. Ma comprendere e prevenire e formare è qualcosa che va fatto, subito.
    Michele. No, l’Emilia Romagna non è la regione più popolosa d’Italia, ma il fatto che i femminicidi si distribuiscano in maggioranza al nord (che è più popolato) non credo debba essere collegato alla presenza delle strutture di assistenza. Ma mi permetta di insistere sul concetto di emergenza: mi sembra che quanto scritto nel post vada in una direzione diversa. Un fenomeno strutturato è qualcosa di più grave rispetto all’emergenza: continuare a farne una questione di donne contro uomini non porta da nessuna parte. Mi farà piacere se leggerà il libro e vorrà discuterne ancora qui: ma i libri, da soli, non bastano. Non se non c’è volontà condivisa di intervenire: cominciando dalla scuola, che è il luogo dove la condivisione culturale nasce. Grazie.

  6. In fondo a questa lunga teoria di commenti, lo statistico che vive dentro me e che ha aiutato Loredana a scrivere questo post si è stancato (pure lui!) di sentir parlare di numeri. E’ una polemica che andava affrontata, dato che i numeri sono l’argomento preferito di chi si ostina non solo a negare il fenomeno, ma spesso a darne una rappresentazione da derby calcistico: uomini contro donne; una polemica che andava affrontata, ma non certo il cuore del problema, al quale inviterei a tornare, mettendomi volentieri da parte. Provo a ricapitolare brevemente quanto secondo me (e sottolineo secondo me) è lecito dire, per mettere (spero) un punto fermo da cui ripartire, senza ogni volta dover rispiegare la rava e la fava a gente che arriva a dibattito concluso pretendendo di elargire perle di saggezza (spesso statistica) che sono già state ampiamente discusse.
    1. Il femminicidio esiste per definizione, dal momento che così designiamo l’omicidio di una donna che avviene in certe particolari circostanze. Poi possiamo disquisire sulla giustezza e opportunità del termine, ma parlare di definizioni non è il mio mestiere, e lo ricordo solo come presupposto per sviluppare il discorso.
    2. Accertata l’esistenza del fenomeno, chi lo nega dovrebbe in realtà, più opportunamente, dimostrarne l’irrilevanza; e questo cercano di fare quanti si cimentano con i numeri. A onor del vero, c’è chi batte anche altre vie per raggiungere lo scopo: argomenti di natura giuridica per lo più, che però non posso discutere per evidente deficit di competenza; mi concentrerò quindi sui numeri.
    3. I negazionisti (altro termine discusso, ma non intendo trasformare questo commento in un saggio di ermeneutica e quindi mi prendo le parole così come sono state finora usate) usano i numeri per sostenere diverse cose, tra cui le più rilevanti sono a mio avviso le seguenti:
    a. I dati sono inaffidabili e non consentono conclusioni certe;
    b. Il dato degli omicidi di donne in Italia è tra i più bassi al mondo ed è stabile (in termini assoluti) da decenni, per cui non abbiamo un problema;
    c. Non tutti gli omicidi di donne possono essere etichettati come femminicidi.
    d. L’aumento nel tempo dell’incidenza percentuale del fenomeno è un’illusione ottica dovuta alla diminuzione degli omicidi di uomini, per cui vale quanto detto al punto b.: ovvero, non abbiamo un problema.
    e. E’ stato fatto dell’allarmismo isterico e ingiustificato per montare un caso, al solo scopo di ottenere visibilità. I numeri (ancora loro!) non giustificano che si parli di emergenza, né di fenomeno in crescita.
    Il post di Loredana, a cui ho contribuito, si proponeva di smentire queste argomentazioni negazioniste; credo che siamo riusciti a mettere in campo argomenti validi, che riassumo:
    a. I dati sono pochi e spesso inaffidabili, è vero; ci sono studi ISTAT e del Ministero dell’Interno, ma hanno carattere occasionale e sono utilizzabili solo parzialmente a fini di confronti che diano conto dell’evoluzione del fenomeno e della sua differenziazione territoriale. Ci sono poi dati meritoriamente raccolti da associazioni da fonti di stampa, e questi purtroppo di scientifico non hanno nulla. C’è quindi un problema di conoscenza del fenomeno, che rende opportuno chiedere agli organismi dotati delle necessarie competenze l’attivazione di una raccolta dati sistematica e standardizzata, utile per uno studio approfondito dei fatti e per la loro interpretazione. Con le scarse informazioni oggi a disposizione è comunque possibile formulare alcune ipotesi di lavoro, che potranno essere sottoposte a verifica se e quando i dati saranno disponibili. Una di queste ipotesi, sostenuta da Loredana Lipperini e da Michela Murgia nel loro libro, vede tra le cause del problema il persistere di modelli di genere arcaici e patriarcali. Io personalmente la ritengo plausibile, ma questo non rileva: ancora una volta, siamo fuori dal mio seminato ed entriamo in campi come la sociologia, l’antropologia, in cui non mi sento titolato a intervenire; quando e se i dati saranno disponibili, sarà forse possibile architettare un’indagine che consenta di testare questa ipotesi, che al momento ha assoluto diritto di cittadinanza ed è anzi piuttosto consistente, alla luce delle argomentazioni finora esibite da chi la sostiene. Ovviamente se ne potranno testare anche altre, di ipotesi, alternative o complementari. La raccomandazione, in questo caso, è di non crocifiggersi alla statistica: i dati potrebbero anche non arrivare mai, ma non è che contro la mafia, per dire, si possa smettere di lottare perché non ci sono abbastanza dati per indagarne le radici culturali. Lo stesso dovrebbe valere per il femminicidio e, più in generale, per la violenza ai danni delle donne.
    b. La stabilità del numero dei femminicidi può e deve, a mio avviso, essere letta come una priorità; qui non parlo da statistico, basta il buon senso: se in passato altri fenomeni, numericamente più rilevanti, chiedevano un impiego di risorse volto al loro contenimento, ora che di quei fenomeni è stata ridotta l’incidenza le priorità possono essere riviste e si possono dedicare maggiori risorse a tante altre cose: morti sul lavoro, certo, come dicono molti; criminalità comune, ci mancherebbe altro; e femminicidio, perché non si dovrebbe? Attenzione, non perché si tratti di un’emergenza, perché tale non è: si ha emergenza se un fatto imprevisto si manifesta in modo eclatante, ma qui siamo di fronte a una specie di rumore di fondo che ci accompagna da tanto di quel tempo da far pensare a molti che sia inevitabile, qualcosa con cui convivere, come la pioggia. E’ l’argomento dei sostenitori della “soglia minima”, che non solo non è dimostrata ma, chissà perché, non viene mai tirata in ballo quando si parla di morti sul lavoro, o altri tragici fenomeni. Ma questa, data per scontata da molti, è una tesi tutt’altro che provata; e, trattandosi di vite umane e di rapporto tra generi, tanto importante nella vita di tutti noi, a mio modo di vedere è opportuno fare quanto è in nostro potere per cercare di abbassare il più possibile quel numero, nello sforzo forse impossibile, ma certo dovuto, di farlo assomigliare il più possibile a zero.
    c. Non tutti gli omicidi di donne sono femminicidi: è vero, ci mancherebbe altro; anche qui, abbiamo un problema di dati: quando i casi saranno classificati in modo continuativo e corretto, inquadrando il movente e la relazione tra vittima (so che a molte donne questo termine non piace, ma io non so come altro definire chi muore per mano di un altro) e assassino, sapremo finalmente quanti sono davvero, i femminicidi.
    d. Che la percentuale aumenti mentre la frequenza assoluta resta costante mi induce a ripetere quanto detto al punto b. E quindi lo ripeto: se in passato altri fenomeni, numericamente più rilevanti, chiedevano un impiego di risorse volto al loro contenimento, ora che di quei fenomeni è stata ridotta l’incidenza le priorità possono essere riviste e si possono dedicare maggiori risorse a tante altre cose, tra cui il femminicidio. La cui incidenza percentuale crescente va essenzialmente letta come un indicatore di priorità.
    e. Sul punto e. mi sento di dire che chi denuncia isteria e sensazionalismo non ha tutti i torti. Però queste persone non fanno mai i nomi dei loro obiettivi polemici e questo è scorretto, perché si accredita l’idea che l’intera discussione sia niente più che una montatura. Io però non ho trovato questi intenti e questi toni né nell’operato di Loredana, né in quello di Michela. Ovviamente, perché in caso contrario uno statistico non avrebbe potuto dare alcun contributo che non fosse quello di richiamare ai fatti. Mi riferisco a bufale come quella che fu diffusa dalla 27^a ora (il femminicidio come prima causa di morte tra le donne di una certa fascia di età), che puntualmente è rispuntata ora su vari blog, rinfacciata come prova di malafede; o al ripetuto accostamento dell’Italia ad alcune realtà internazionali deteriori. Pochi mesi fa diedi fuoco proprio io a una polemica accesissima innescata su FB dal titolo di un giornale della Svizzera francese, che suonava più o meno “in Italia si uccide una donna ogni due giorni”: una certa immagine stereotipata degli italiani, rafforzata proprio da un certo sensazionalismo di stampa sul tema del femminicidio, aveva indotto giornalista e lettori a dare per scontato che qui da noi la situazione fosse quasi messicana; e li aveva del tutto dissuasi dal guardare in casa propria, dove i tassi sono molto simili se non (forse) più alti che da noi. Questo per dire quanto i numeri siano linguaggio al pari delle parole e quanto sia pericoloso un loro uso disinvolto, ancorché spesso fatto in buona fede. Oggi gli errori di ieri, consapevoli o meno, fanno danni enormi, contribuendo all’immagine predatrice e prevaricatrice della donna femminista. Un uomo che mi ha insegnato molto era solito dire che “i numeri si vendicano”, quando gli portavamo qualche conclusione che faticava a stare in piedi. Ed è vero, regolarmente finivamo con lo sbattere contro la realtà, che era molto più complessa della rappresentazione di comodo che la pigrizia e i preconcetti ci avevano indotto a costruire. Questo della comunicazione dei dati è secondo me un punto fondamentale: bisogna stare alla larga e se si può anche correggere pubblicamente chi spara numeri come si fosse al lotto, perché fa danni difficilissimi da riparare. Al contempo, inviterei le persone (passatemi il termine negazionisti e non sentitevi offesi, altrimenti non so come chiamarvi) che negano il femminicidio a farla, questa distinzione tra sensazionalisti e persone sobrie. E vedrete che in questo blog, così come nel libro, non si affronta il problema nell’ottica dell’emergenza, non si criminalizzano gli uomini in quanto genere maschile, non si invocano leggi speciali, non si danno numeri a vanvera. Civilmente, è quindi possibile un dialogo nel rispetto reciproco.
    Nel chiudere questo commento, che alla fine ha quasi assunto la lunghezza di un altro post, vorrei far osservare una cosa a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui: quanto ho appena riepilogato, così come il contributo originale dato a Loredana e Michela, di statistico ha ben poco. Basta il buon senso, per formulare osservazioni di questo genere. Certo, l’abitudine a trattare con i numeri mi ha permesso di farlo con una certa rapidità, ma non credo di aver fatto alcun uso di nozioni statistiche avanzate. Perché non ce n’era bisogno, e perché di fronte a una situazione in cui i dati sono così frammentati uno statistico può fare poco più che chiederne di migliori. E questo è infatti uno dei punti fondamentali che l’eventuale task force (termine che trovo inadatto, proprio perché richiama un’emergenza limitata nel tempo) promessa dalla ministra IDEM dovrebbe secondo me affrontare.
    Mi aspetto, anzi penso sia inevitabile, qualche replica “autorevole”; a giorni, probabilmente, non appena gli ostinati avranno avuto modo di scovare altri dati, o semplicemente riorganizzare i ragionamenti attorno ai pochi che ci sono già. Vorrei dare una mano a queste persone: lasciate stare la statistica, che a questo stadio della discussione ha già detto quanto aveva da dire. Se volete confrontarvi non state a scomodare luminari del calcolo delle probabilità, evitate la fuoriuscita di profluvi di formule: siamo a uno stadio preliminare, se vorremo accapigliarci sui dati e sui modelli potremo farlo quando ci saranno, i dati, e potremo costruirli, i nostri modelli. Interrogatevi piuttosto su cosa vi spinge a tanto accanimento nel contestare tesi sì contestabili, ma senza necessità di acrimonia: perché non intervenite con altrettanta assertività quando il presidente Napolitano denuncia le morti sul lavoro, o quando si parla di malasanità? Eppure potreste. Non dovete pensare che parlare di femminicidio sia un’accusa implicita a tutti gli uomini di essere potenziali assassini, né un modo per spostare verso le donne porzioni di potere da utilizzare magari in tribunale per l’affidamento dei figli o l’assegno di mantenimento. Qui si parla di un problema che esiste, e delle sue possibili soluzioni. Punto. E mi auguro vivamente che da oggi in poi la conta dei numeri serva solo a dare la giusta dimensione al fenomeno, anziché essere brandita come un’arma. Sarei contento di vedere la discussione tornare sul punto, e rimanere – io come statistico – senza niente da dire

  7. @Maurizio
    da anonima navigatrice del web, la ringrazio anch’io dei suoi commenti. è un piacere leggerla. è un piacere sentirla sottolineare ad esempio questo:
    ” Non dovete pensare che parlare di femminicidio sia un’accusa implicita a tutti gli uomini di essere potenziali assassini, né un modo per spostare verso le donne porzioni di potere da utilizzare magari in tribunale per l’affidamento dei figli o l’assegno di mantenimento. Qui si parla di un problema che esiste, e delle sue possibili soluzioni. Punto.”
    Ed ora, osservatorio sulla violenza di genere come da tempo in tante e tanti chiedono.

  8. @Sabbry: grazie per l’apprezzamento, e se crede accetti un consiglio: smetta di tentare di convincere Ugo/hommequirit. E’ persona indubbiamente dalle molte risorse intellettuali, che per qualche suo motivo ha deciso di utilizzare in modo gratuitamente provocatorio. Qui lo conosciamo bene e la maggior parte dei commentatori evita di averci a che fare. Sul blog di Giovanna Cosenza ho cercato di moderarlo solo perché mi sembrava che con il suo fare eternamente polemico stesse generando un po’ troppa confusione su un tema che di chiarezza ha un bisogno fondamentale. Mi sono beccato un’overdose di sarcasmo, ma l’avevo preventivata. Peccato, perché a livello intellettuale sarebbe anche una persona interessante: è colto, sa di epistemologia e di matematica, insomma uno capace di argomenti non banali. Con il cui modo di argomentare, però, preferisco non avere a che fare.

  9. @Maurizio
    consiglio accettato.
    non avevo ancora avuto il piacere di confrontarmi personalmente con il signor Ugo/hommequirit e il suo sarcasmo.ho tentato di oltrepassare i toni e concentrarmi sui contenuti, e confermo che purtroppo in lui c’è una resistenza che non si riesce a superare.peccato si! date le risorse che dimostra di avere ci sarebbe magari qualcosa da imparare,almeno per me, ma a questo livello di discussione mi arrendo!ehheeh
    un caro saluto

  10. Ho letto il post senza rimanerne del tutto convinto. Il fenomeno da valutare non è l’ “esistenza del femminicidio” ma l’ “emegenza femminicidio”.
    L’ emergenza si valuta apprezzando il rischio che corre una donna di restare vittima di femminicidio. Non sembra proprio che sia esploso. D’ altronde, come puo’ esserci emergenza senza fatti nuovi?
    E’ ragionevole obiettare: ma per molti altri soggetti sociali il rischio di rimanere vittima di omicidi è calato drasticamente!
    Ok, ma il femminicidio è un “crimine familiare” e la criminologia ci dice da sempre che questo gruppo di crimini ha dinamiche molto lente se non inesistenti, quindi ha poco senso confrontarle con quelle della criminalità malavitosa, molto più sensibili al contesto (corollario spiacevole: vuoi salvare più vite? investi dove rende di più, ovvero nella prevenzione dei crimini malavitosi).
    Ma chi lotta contro il “femminicidio” che bisogno ha di agitare “emergenze”? Puo’ tranquillamente farlo mostrandosi più sensibile a quel genere di crimini piuttosto che ad altri e condurre la propria battaglia in santa pace senza disperdere energie litigando con i numeri.

  11. @Broncobilly: non ha letto con attenzione, o non ha letto tutto. Se non trova chiaro quello che è scritto nel post, mi permetto di consigliarle la rielaborazione che ne ho fatto poco sopra io, in un commento ahimè lunghetto anzichenò. E lì troverà espresso il pensiero, condiviso dall’autrice del post, sia in merito all’emergenza che alla costanza del numero di femminicidi nel tempo.

  12. @Broncobilly
    “Ma chi lotta contro il “femminicidio” che bisogno ha di agitare “emergenze”? Puo’ tranquillamente farlo mostrandosi più sensibile a quel genere di crimini piuttosto che ad altri e condurre la propria battaglia in santa pace senza disperdere energie litigando con i numeri.”
    Un hobby come un altro, praticamente.
    Vorrei proprio sapere di chi è la “santa pace” che non bisogna infrangere con le emergenze o con i numeri.

  13. Purtroppo non trovo quel che cerco, ovvero: 1) la “legge di Vekkro” non vale e/o 2) il rischio per le donne di essere vittime di femminicidio è esploso in questi anni. Data la prolissità del commento non escludo mi sia sfuggito il punto cruciale, ringrazio comunque per la disponibilità.

  14. Guardi, Vekko era un criminologo finlandese che scriveva negli anni ’50 mettendo in relazione i delitti con concetti come “il carattere nazionale”, e penso che riposerà comunque in pace se decidiamo di andare oltre il suo pensiero. Oltre tutto non è che sia così semplice, nelle scienze sociali, individuare costanti o trend, come invece Verkko pretendeva di fare (non so se utilizzando o no metodologie statistiche di test, ma lo ritengo poco probabile). A mia conoscenza ce ne sono davvero poche, di queste costanti, e riguardano fenomeni demografici, non sociologici e tanto meno criminali. Uno, per esempio, è il rapporto di mascolinità alla nascita (106 maschi per 100 femmine, più o meno sotto ogni cielo e in ogni tempo); un altro è l’aspettativa di vita delle donne, superiore a quella degli uomini da sempre e in ogni paese. Ce ne saranno forse altre che al momento non mi vengono in mente, ma non sono rilevanti per i ragionamenti che stiamo facendo qui. La seconda questione che lei pone (“il rischio per le donne di essere vittime di femminicidio è esploso in questi anni”), in questo contesto non è sostenuta da nessuno. Né nel post né nel libro. Si dice anzi (copio e incollo dal commento prolisso, in modo da evidenziare il punto): “si ha emergenza se un fatto imprevisto si manifesta in modo eclatante, ma qui siamo di fronte a una specie di rumore di fondo che ci accompagna da tanto di quel tempo da far pensare a molti che sia inevitabile, qualcosa con cui convivere, come la pioggia. E’ l’argomento dei sostenitori della “soglia minima”, che non solo non è dimostrata ma, chissà perché, non viene mai tirata in ballo quando si parla di morti sul lavoro, o altri tragici fenomeni. Ma questa, data per scontata da molti, è una tesi tutt’altro che provata; e, trattandosi di vite umane e di rapporto tra generi, tanto importante nella vita di tutti noi, a mio modo di vedere è opportuno fare quanto è in nostro potere per cercare di abbassare il più possibile quel numero, nello sforzo forse impossibile, ma certo dovuto, di farlo assomigliare il più possibile a zero”.
    E ancora, un po’ più sotto: “Che la percentuale aumenti mentre la frequenza assoluta resta costante mi induce a ripetere quanto detto al punto b. E quindi lo ripeto: se in passato altri fenomeni, numericamente più rilevanti, chiedevano un impiego di risorse volto al loro contenimento, ora che di quei fenomeni è stata ridotta l’incidenza le priorità possono essere riviste e si possono dedicare maggiori risorse a tante altre cose, tra cui il femminicidio. La cui incidenza percentuale crescente va essenzialmente letta come un indicatore di priorità”.
    Come vede, nessuno sta agitando l’emergenza: al contrario, si chiede di prendere atto di un fenomeno che esiste da un tempo non quantificabile e presumibilmente si è mantenuto su livelli costanti, venendo spesso messo in ombra da altri fenomeni (come le guerre di mafia); ora invece si sta evidenziando a causa del declino di quei fenomeni, e quindi l’incidenza percentuale cresce mentre la frequenza assoluta non varia o varia poco.
    E’ più chiaro adesso?

  15. Broncobilly: le assicuro che con i numeri ci si cimenta per un solo motivo, ovvero che vengono sbandierati in continuazione non da chi si batte contro il femminicidio, ma da tutti coloro che intendono negarlo o sminuirlo. Per quel che mi (ci) riguarda basterebbe un solo delitto per “agitarsi”.

  16. ma in sintesi e fatta la tara di tutto il processo alle intenzioni, in quei 4 articoli sotto scrutinio c’è un dato, un calcolo o una considerazione che siano falsi o oggettivamente erronei?

  17. @Pippo: direi che il discorso va ribaltato. Erano quei quattri articoli che si prefiggevano di dimostrare una tesi (il femminicidio non è un fenomeno in sé, ma solo il parto di una gazzarra mediatica) che, alla luce dei dati, non sono riusciti a dimostrare.

  18. Ovvero: i dati citati non sono sbagliati. Dicono semplicemente cose dierse da quelle che gli autori pretendono invece che dicano.

  19. E infine: processo alle intenzioni chi è che lo fa? Chi sostiene che il femminicidio è un’invenzione utile a catturare i riflettori e magari un po’ di fondi pubblici o chi si difende con i fatti da questa accusa del tutto campata per aria? Anche lei specialista in frittate rivoltate, signor Pippo?

  20. La parola “emergenza” ha un preciso significato: se i dati dicono che non ci sono oggi più omicidi a danno delle donne rispetto a ieri allora non siamo in “emergenza”, siamo di fronte ad un problema endemico e molto vecchio. Nessuno ha mai scritto che per questi motivi dovrebbe essere meno grave.
    La confusione statistica secondo cui l’aumento percentuale è allarmante denota scarsa conoscenza della statistica: se decrescono gli omicidi a danno degli uomini è ovvio che percentualmente quelli a carico delle donne crescano.
    Ma mettiamo anche il caso che siano aumentati gli omicidi delle donne: dimostrare che questo sia avvenuto a causa del pregiudizio misogino non è banale nè immediato. Siccome esistono analisi che suggeriscono non esserci alcun legame tra l’una e l’altra cosa (qualcuno ha detto Smeriglia?) mi preoccupano le analisi superficiali che individuano cause senza dimostrarle proprio perchè non porta a mettere in atto delle misure efficaci a contrastare il problema, col risultato che non diminuiranno nè gli omicidi a carico delle donne nè gli omicidi in generale.

  21. @dtm: guardi che sta facendo confusione tra un meccanismo matematico banale e un concetto di priorità. Magari avrebbe potuto leggere, prima di postare un commento pieno di dubbi che hanno le loro risposte già nel post, oltre che in una raffica di commenti successivi. Comunque, visto che copiare e incollare costa poco: “Che la percentuale aumenti mentre la frequenza assoluta resta costante mi induce a ripetere quanto detto al punto b. E quindi lo ripeto: se in passato altri fenomeni, numericamente più rilevanti, chiedevano un impiego di risorse volto al loro contenimento, ora che di quei fenomeni è stata ridotta l’incidenza le priorità possono essere riviste e si possono dedicare maggiori risorse a tante altre cose, tra cui il femminicidio. La cui incidenza percentuale crescente va essenzialmente letta come un indicatore di priorità”.
    Le è più chiaro adesso, cosa possono dire o non dire le percentuali se si cerca di interpretarle invece di leggerne bovinamente le dinamiche relative?

  22. Comunque, ragazzi: io mi arrendo. Quello che avevo da dire l’ho detto, credo anche con molta chiarezza. Liberi voi di giudicarlo sbagliato, distorto, ingenuo, quello che credete. Sono parte in causa, come è ovvio; il punto è che non lo sarei, parte in causa, se non fossi convinto delle conclusioni che ho tratto. Voi avete voglia di stare a disquisire su numeri grandi e piccoli, rilevanze e irrilevanze, isterie presunte e vere, censure e protervie, complotti femministi, truffe e fuffe; Loredana vi accorda ospitalità e fate bene a sviscerare così tutti i vostri dubbi. Quello mio di dubbio è un altro: che tanto accanimento, degno senz’altro di miglior causa, scaturisca da qualcosa di diverso dalla semplice voglia di mettere i puntini su una serie di “i” che a giudizio di altri i puntini ce li hanno già. Guardate che non è il derby, nessuno sta accusando gli uomini uno per uno di essere dei potenziali assassini, non c’è bisogno di contrapporre alle morti di donne quelle sul lavoro perché “lì sono invece gli uomini a morire”. Se ritenete che le priorità siano altre basta dire questo, nessuno vi chiede questo accanimento sulle percentuali per giustificare una vostra intima convinzione. Ci confronteremo serenamente e democraticamente se verrà il momento di farlo, direttamente o attraverso i nostri rappresentanti eletti, negli spazi pubblici deputati a questo: il Parlamento, gli organi di rappresentanza locali, la stampa, quello che volete. Personalmente, questa guerriglia di cifre mi ha stancato e penso che non replicherò più a nessuno. Vi inviterei, però, a stemperare l’animosità. Quella no, non aiuta proprio a trovare il bandolo della matassa.
    Un saluto

  23. Maurizio, mi sono permesso solo di porre una domanda di chiarimento, non me ne voglia e le sarò grato se mi risparmierà risposte polemiche che non mi ero (ancora) meritato.
    Se ben comprendo la sua risposta, dunque lei conferma che i dati pubblicati sono giusti, ma sarebbero stati maliziosamente scelti e erroneamente interpretati dai 4 autori. Grazie del chiarimento, mi consenta di soffermarmi allora sulla prima parte del ragionamento: quei dati pubblicati dai 4 articolisti sono giusti. Eppure si beccano da parte vostra gli epiteti di “fact-screwing”, “negazionismo statistico”, “statistici improvvisati” e via discorrendo, ove la sottolineatura semantica della critica sembra insistere proprio sul numerico-fattuale, non lo capisco.
    Lei è presentato in qualità di coautore del pezzo e ancora una volta si sottolinea qua e là la sua formazione da statistico, converrà con me che ciò può implicitamente indurre il lettore a credere falsamente che forse quei dati andavano ricalcolati, invece non è così. Nella fase numerica la sua competenza sarebbe forse servita (ma in fondo lei stesso più sopra ammetteva che son calcoli facili, mi sembra siano tutte statistiche descrittive alla portata di uno scolaro), mentre il suo background di statistico non è quello più solido per garantire sulla validità delle sue interpretazioni sociologiche dei dati.
    Non voglio certo negarle libertà di esprimere pareri in discipline diverse dalla sua, ma da dove le deriva questa ferrea convinzione di aver ragione proprio sul piano politico e di aver scientificamente dimostrato l’insensatezza dei pareri altrui? Prenda atto del mio scetticismo in tal senso.
    Anche lei mi pone una domanda, che spero non fosse retorica: “processo alle intenzioni chi è che lo fa?”. Alla luce di quanto scrive due commenti sopra “Erano quei quattri articoli che si prefiggevano di dimostrare una tesi…”, lei stesso ci toglie ogni dubbio sul fatto che il vostro attacco (di quello parlavo, non degli altri) fosse rivolto alle intenzioni della banda dei quattro. Sbaglio?
    Mi son dilungato, il tema ci appassiona tutti ed è comunque un buon segno, se posso avrei ancora una domanda di chiarimento da porle.

  24. E basta, dai!
    Ma possibile che stiamo qui a litigarci sui numeri?
    Perché tutti questi critici del metodo statistico di Maurizio non impiegano la metà di quelle energie a PROPORRE come arginare e risolvere il fenomeno del femminicidio?

  25. eh, ElenaElle
    è che in questo caso il fenomeno non viene riconosciuto come tale o al massimo è ritenuto ineliminabile, oppure si ritiene che qualsiasi intervento non avrà incidenza, proprio per la “natura” intrinsecamente casuale del fenomeno in questione.

  26. La critica, Pippo, è spiegata nel post. Da uguali considerazioni si arriva a conclusioni opposte: “negare” di avere un problema o a maggior ragione in presenza di un fenomeno strutturale essere consapevoli di averlo. Personalmente non ho nulla contro quella che lei definisce la banda dei quattro, nè avrei dedicato spazio all’argomento numeri se non avessi letto una continua proliferazione di questo tipo di argomentazioni. Volte a dimostrare che il femminicidio non è una priorità.
    La saluto.

  27. Non ho letto tutti i commenti, ne credevo essere tenuto a farlo; nel post una bella parte dell’argomentazione è volta a dimostrare che l’aumento percentuale è il problema. I dati sull’aumentato numero assoluto degli omicidi in famiglia mi sono nuovi e li prendo per buoni. Le altre due mie obiezioni reggono: le parole hanno un significato e le associazioni statistiche non sono necessariamente rapporti causa-effetto (e uno statistico dovrebbe saperlo bene).
    L’invito a stemperare gli animi poi è grottesco: spero si riferisca ai commentatori sopra, perchè ho letto un articolo dal tono polemico che risponde ad affermazioni mai fatte (minimo fisiologico? negazionismo?) pregne di straw man argument, a cominciare dall’ultima affermazione di Lipperini, secondo cui c’è qualcuno che vuol dimostrare che “il femminicidio non è una priorità”. Più di un commentatore ha rilevato che la parola “emergenza” è fuori luogo e che la parola “femminicidio” viene usata per indicare la violenza di genere, ma è comunemente intesa come “omicidio delle donne per cause misogine”, e ciò non inficia assolutamente la priorità del tema.
    Ora: puntualizzare ciò non è un mero esercizio da fighetti della matematica, serve a riportare la questione verso soluzioni efficaci invece di perdersi nel sensazionalismo in stile Barbara D’Urso. Se ha ragione Smeriglia nella sua analisi (se sbaglia ditemelo, non ho ancora trovato qualcuno in grado di smontare le sue argomentazioni) http://incomaemeglio.blogspot.com/2012/12/il-femminicidio-non-esiste_3.html
    allora cercare soluzioni guardando alla misoginia non porterà alcun vantaggio: mettere in campo ingenti risorse per perseguire strategie inefficaci è esattamente quel che vorrei si evitasse.

  28. (commento a alcuni commenti precedenti): Sisi, poveri uomini etc etc come faranno mai ora senza mogli che gli trovano i calzini etc etc e non ci sono più le mezze stagioni e si stava meglio quando si stava peggio. Tutto bellissimo.
    Ho alcune osservazioni da fare, e la prima è l’inusuale comunanza di sentimenti fra personaggi come Paturno e Daniele di Quitthedoner, che nulla dovrebbero avere in comune, il primo appartenendo a quella cricca di liberalisti incalliti sostanzialmente di destra che sono quelli di Noisefroamerika (una risma di gente che personalmente ritengo simpatica come la sabbia nelle mutande-per citare l’amata Simona Ventura). Dite, che c’entra la politica con il femminicidio? C’entra. La politica c’entra con tutto, perché rispecchia la nostra visione del mondo. Ma qui evidentemente le divergenze su questioni socio-economiche e culturali vengono messe da parte in nome di -immagino- una trasversale solidarietà maschile. Evviva. Cominciamo a piangere sui maschietti ammazzati, su. Quanto prima del solito piagnisteo “ma anche le donne sono brutte e cattive mia moglie mi ha tirato un nocchino l’altro ieri!!” ? Poveretti, bisogna capirli: quando si è abituati a stare al centro del mondo cedere il posto può essere difficile. E sì, mi rendo conto che questo è proprio un commento da femminista con la bava alla bocca. Ed è proprio così: la bava alla bocca ce l’ho eccome. Ma proverò a ripulirmi e a fare un commento sensato.
    A chiosa di quanto dicevo, noto anche che quelli che storcono la bocca sul femminicidio sono, perlopiù, uomini: ohibò. Che strano. Uomini che cercano di spiegare alle donne come vivere? Di dire loro cosa è corretto pensare? Come interpretare la realtà? Naaaah! Quando mai succede??? Appunto. Passo al commento serio, o almeno ci provo.
    – In realtà una parte dell’analisi di Daniele la condivido: non c’è dubbio che si sia costruita ANCHE una bolla mediatica, col solito contorno morbosetto, intorno al fenomeno. E che questa bolla raccolga media che la parità di genere ce l’hanno a cuore quanto io ho a cuore il calciomercato, più o meno sottozero. E che non perdono occasione per propugnare ulteriori stereotipi su cosa sia “la donna vera, la donna perbene” e “l’uomo vero, l’uomo perbene” (che non picchia e non ammazza, ovviamente, ma tant’è), e che ha finito per creare una bandiera di blando femminismo trasversale, politicamente parlando. Ecco, riallacciandomi a quel che dicevo prima sulla politica, io non credo nel femminismo trasversale. Poi può essere positivo, strategicamente, che ci sia una presa di coscienza trasversale sul problema, ma la maniera di affrontarlo è e resta diversa. Non voglio sentirmi accomunata a persone come la Santanché perché “c’avemo la fregna”, non voglio essere accomunata a persone per cui i problemi legati all’aborto in italia bisogna risolverli partendo dal presupposto che “l’aborto è un trauma e non dovrebbe accadere”, tanto per dire. Da questo punto di vista condivido le perplessità e le critiche delle ragazze di Femminismo al Sud. Quindi: attenzione a dove si va a parare. Perché il pericolo di cui parla Daniele, e cioè che sull’onda dell’ “emergenza” si arrivi a leggi e/o provvedimenti che poi non aiutano nessuno (inutile farle se poi non trovano applicazione, perché il problema ancora oggi sono i mezzi sorrisi dei poliziotti di cui parlava Franca Rame) esiste, per quanto anche il benaltrismo sia dannoso. Quando vedremo Vespa fare un plastico sapremo che è finita male: io personalmente non voglio arrivarci. Sarebbe il segno di una sconfitta a livello culturale, che è quello che va cambiato. Mia madre ha combattuto per i diritti, io voglio combattere per la testa delle persone, perché i diritti sono nulla se non cambia la mentalità: sono leggi vuote e prive di senso, perché non condivise.
    – Ho trovato molto interessante il paragone con la sanità, e vorrei aggiungere che se possibile è pure peggio: la medicina non è una scienza esatta, e purtroppo la possibilità di morire (tolte le infezioni e le macchine non funzionanti) per malattie e complicanze e errori in buona fede va contemplata. Altrimenti saremmo immortali. Sostenere che il tasso di femminicidi “fisiologico” sia da qualche parte sopra lo zero è, ancora una volta, ricadere nello stereotipo che “oh, gli uomini sono violenti: si sa. Può capitare che ogni tanto uno ammazzi una donna perché ha bruciato la cena”. Certo. Allora mi spiegate perché non li teniamo chiusi in gabbie invece di far loro governare il mondo? Mah. Quando si renderanno conto che il sessismo fa più male a loro che a noi sarà sempre troppo tardi.
    – la parola femminicidio: dice che non è possibile che una donna venga ammazzata “in quanto donna”, e invece è proprio quello che succede. E per non rendersene conto bisogna a tutti costi essere molto impegnati a fare sofismi etimologici. O a cercare il pelo nell’uovo. Anzi nell’uomo.

  29. @ dtm
    provo a risponderti sulle obiezioni di Smeriglia, che non ho letto completamente, poi lo farò e più tardi cercherò di aggiungere altro. Il suo primo “errore”, è interpretativo e metodologico. La definizione “uccisa in quanto donna” è semplicistica e va presa con elasticità. Sbaglia chi la sovrappone al genocidio, come fa Tonello. Il maschilismo stesso è un abito mentale, non è una caratteristica fisica, per tanto non ha senso parlare di uomini maschilisti che uccidono le donne in quanto donne, a meno che non parliamo di serial killer o di organizzazioni criminali che hanno questo scopo. Ma certamente si può riscontrare un modo di agire in questo senso nei casi di aborti selettivi o di ciò che viene definito dowry related femicide, ovvero i casi che credo riguardino soprattutto l’India, in cui per questioni economiche riguardanti la dote, la donna viene uccisa. Per quanto riguarda la situazione italiana ed europea, è ovvio che non ci sono uomini che vanno in giro ad ammazzare le donne purché donne, ma non è di questo che si parla. Ma nella cultura che ci portiamo dietro, nella struttura dei legami affettivi che conosciamo, riscontriamo le concause, sommate ai casi individuali, che concorrono a “determinare” questi delitti. Per questo l’azione che si cerca di mettere in campo, non è unica e non agisce come può ad esempio agire il divieto di fumare in pubblico.

  30. Ah, straw man argument e Barbara D’Urso (nel senso di Lipperini come BdU e Lipperini come colei che usa straw eccetera) erano fra gli argomenti più usati nel commentarium di un paio dei blogger citati, in effetti. Tanto per parlare di animi quieti 🙂 Continuiamo a non capirci: se un fenomeno è strutturale, è evidente che occorre agire con urgenza, invece di sminuire il medesimo e mettere in caricatura chi prova a combatterlo. Ma se i toni sono questi anche qui, dtm, credo che Maurizio abbia ragione a non risponderti più. Quello che si doveva dire si è detto, e ognuno può giudicare dove stiano davvero gli uomini di paglia che intendono questionare per puro piacere del “vinco io”. Arrivederci
    Ps. E prima di parlare di “ingenti risorse” messe in campo, che sembra lo spauracchio che vi agita maggiormente, almeno sappiate che di risorse, al momento, non ne sono state messe in campo affatto. Rallegratevene, se è questo il punto.
    Pps. Come ha detto Lucia, sia nel libro che qui nessuno ha mai negato che i media abbiano narrato MALE i femminicidi. Per questo nel post parlavo di un generale riferirsi a femministe bavose e, come sempre, ma guarda, isteriche, da contrapporre a uomini lucidissimi e razionali. A proposito di “guerra dei sessi”, certo non voluta da me e da altri.

  31. Vede Lipperini, persevera nell’errore di leggere la realtà con un occhio distorto, persino rispondendo al mio commento: chi sminusice il fenomeno? chi mette in caricatura chi? Evidentemente leggiamo articoli differenti, che nè De Luca nè Tonello (nè tantomeno il sottoscritto) si comportano in tal modo; secondo lei le obiezioni che ho mosso sono davvero spinte dal puro piacere della vittoria? Provi a considerare il fatto che la mia ultima frase sia sincera e che sono seriamente preoccupato che chi di dovere prenderà decisione sbagliate sulla base di analisi scorrette. L’ultima poi è meravigliosa: io sarei felicissimo se ci fossero risorse allocate per combattere il fenomeno, altro che “spauracchio che vi agita maggiormente” – che poi: voi chi?
    Non sono arrivato qui dentro a dare della femminista bavosa a nessuno, in compenso mi si risponde come se il mio primo commento fosse un acido attacco alla Donna, mosso da chissà quale sentimento (anzi, da chissà quale spauracchio).
    Saluti.
    @Shane Drinion: certamente il discorso di Smeriglia vale se si considera la definizione che dà lui del fenomeno – quella che trovavo ovunque fino a poco tempo fa, tra l’altro. Altrimenti si parla della violenza sulle donne in generale e il ragionamento cade.
    Quel che presenta però suggerisce l’ipotesi che la ragione principale di quei delitti non sia la misoginia (come invece viene invocato in moltissime analisi) ma qualcos’altro: un’idea ce l’ho e ha a che fare con la violenza pura e semplice.
    Il mio timore è che additando la colpa alla misoginia il risultato non sarà una diminuzione degli omicidi, bensì l’uomo di turno invece di giustificarsi adducendo presunte pretese sulla donna dirà semplicemente che l’ha fatto arrabbiare, o che ha perso la testa: ma sempre ammazzate (o picchiate, o sfregiate) resteranno le donne, e il fenomeno non si modificherà di una virgola.
    Porto un esempio: dopo la guerra nei Balcani negli anni ’90 il tasso di violenza e di omicidi era aumentato di un fattore 30 (vado a memoria, prendete i numeri con le pinze, ma l’ordine di grandezza era quello). Come in qualunque parte del mondo questa violenza si è manifestata in ambito familiare, quindi le vittime erano soprattutto donne e bambini, e i carnefici erano i soldati (padri di famiglia) tornati dal fronte. Ora: c’è qualcuno che oserebbe sostenere come prima concausa la misoginia? Non credo, infatti la correlazione era con lo stress delle lotte alle fronte. Le statistiche però mostravano un aumento assoluto e relativo degli omicidi ai danni delle donne. Quale senso avrebbe avuto combattere la misoginia in una situazione del genere? Quante morti avrebbe evitato? Far notare questo non significa negare le morti di quelle donne, nè l’esistenza di misoginia e maschilismo, nè giustificare gli assassini, significa solo ribadire che correlation is not causation per comprendere la realtà e agire di conseguenza in modo utile.
    Ho paura si stia facendo lo stesso errore.

  32. Intervengo, testardo, per la terza volta. Non uso la parola “negazionista” perché istintivamente non mi piace ma non vedo come non si possa dare una definizione specifica ad un fenomeno tremendamente particolare sotto gli occhi di tutti. Inutile stare a gingillarsi con numeri e dati. Le nostre compagne di vita sono lì, uccise, a ricordarcelo.

  33. dtm. Rilegga non il primo ma l’ultimo commento, a cui ho replicato, inclusi gli uomini di paglia e le barbaredurso. E rilegga anche Tonello e De Luca, che nella sua replica NON ha risposto sul punto. Ripeto, quel che è stato scritto, da me e Maurizio e da Tonello e De Luca, è a disposizione di tutti.
    Ps. Attribuire le violenze post belliche in famiglia allo stress e non ANCHE a una cultura misogina, infine, è francamente sconcertante, e anche avvilente.
    Pps. Fabio, se non si fosse capito, anche se si reagisce punti sul vivo, della questione reale cale molto poco a determinati interlocutori. Preferiscono i distinguo, che fan figo.

  34. Quit the doner:
    “Il fenomeno mediatico dei “femminicidi” ha però anche delle caratteristiche uniche che lo rendono un’interessante case study. Prima di tutto però, giusto per levare un po’ di bava alla bocca alle neo-femministe che stanno leggendo, vediamo le statistiche.”
    “News per le neo-femministe: la stragrande maggioranza degli uomini non è composta di maschi prevaricatori e violenti, sono cittadini perbene, esattamente come la maggior parte delle donne, e neanche loro meritano di morire.”
    “Il termine femminicidio inteso nella sua accezione più oltranzista come “omicidio di una donna in quanto donna” è una palese assurdità logica, sociale e linguistica.
    È talmente evidente che sarebbe anche superfluo dirlo se questo mito non occupasse buona parte del dibattito mediatico. Le donne vengono uccise nei contesti familiari o dai partner perché sono parte di relazioni che finiscono o per gravi tensioni emotive di vario tipo.
    Con buona pace delle blogger e delle giornaliste neo-femministe
    Un ebreo che viene eliminato in una camera a gas e una donna che viene uccisa dal suo ex sono due crimini efferati e ugualmente intollerabili ma non sono assimilabili in alcun modo.
    (Visto che sareste capaci di pensare persino questo: No, non sono ebreo)
    Non è escludibile a priori che in qualche cantina del Maryland ci sia qualche sociopatico che, dopo aver passato la sua infanzia a staccare gambe delle barbie legato ad una catena, abbia sviluppato una violenta forma di misoginia totalitaria e aspetti solo di essere liberato per uccidere una donna qualunque, ma l’incidenza di serial killer di questo tipo non può che essere ultra minoritaria nel novero delle statistiche, ammesso e non concesso che in Italia esistano casi del genere .
    La definizione di “femminicidio” come omicidio di donna in quanto donna è quindi irricevibile. E questo sarebbe vero anche se ci fosse un’effettiva emergenza statistica riguardo gli omicidi con vittima delle donne.”
    Tonello:
    ” Spesso si usa il termine “femminicidio” per chiamare le aggressioni contro le le donne anche quando, fortunatamente, non hanno conseguenze mortali: per esempio uno sfregio con l’acido. Ora, un omicidio è un omicidio, e “lesioni gravissime” sono lesioni gravissime. Dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì. Per di più, il “femminicidio” sarebbe un’espressione impropria anche in caso di morte: a imitazione di “genocidio” si crea una nuova parola che crea una nuova realtà: le donne uccise “in quanto donne”, come gli ebrei, sterminati “in quanto ebrei”.”
    E questi sarebbero gli uomini, miei consimili, che hanno a cuore il problema? dtm, sono indifendibili loro e lei.

  35. @ dtm
    Il problema ulteriore del post di Smeriglia è questo nominare la violenza congenita maschile, che oltre a non voler dir nulla in sé non è neanche convalidato dai dati sugli omicidi che abbiamo a disposizione. Insomma direi di lasciarlo perdere.
    Credo dovresti cambiare il punto di vista, e credo vada fatto in generale. Parto un po’ da lontano e probabilmente dirò cose confuse.
    C’è un fenomeno che possiamo chiamare terrorismo e poi ci sono i terroristi. Le BR non sono un fenomeno, sono un’organizzazione, fermarle è possibile nel momento in cui tutti i loro componenti vengono arrestati o uccisi o muoiono per fatti loro. C’è un fenomeno che possiamo chiamare femminicidio ( possiamo anche non farlo, non è indispensabile ), ma non ci sono femminicidi, ci sono uomini, o donne, che uccidono, che però non fanno parte di un’organizzazione, non agiscono in comune e non possono essere fermati con delle azioni. Non sono uomini particolari. L’espressione “combattere il femminicidio” ha una valenza più che altro retorica. Il classificare stesso i femminicidi anno per anno non ha molto senso, o fare confronti con gli altri paesi. A meno di non considerare questi casi come completamente imponderabili se ne cercano delle cause, analizzando le modalità con cui avvengono e conoscendo le storie che vi stanno dietro. Le misure agiscono su vari piani e hanno differenti effetti. Gli effetti non sono sempre calcolabili in base a un rapporto causa-effetto. La legge sullo stalking produce degli effetti, talvolta positivi, talvolta negativi. Se lo\la stalker non intraprende un percorso di recupero, il carcere serve a poco. Le misure nel caso di femminicidio sono varie, e vertono sulla prevenzione. Però, e questo è importante, le misure non vanno giudicate sulla base del numero delle donne uccise, e neanche sul numero dei tentati femminicidi, e infine non esistono misure specifiche per il femminicidio. È un comportamento che si crede vada inserito in ciò che si chiama violenza di genere. Dobbiamo avere in testa che è un comportamento che subirà cambiamenti sul lungo periodo ( oppure chissà cambierà in breve ). Se in un dato territorio esiste o meno un centro in grado di accogliere una donna, fa la differenza, la fa anche se quella donna sarà uccisa. Capire che dietro queste storie c’è molta solitudine fa la differenza. Fa la differenza anzitutto per cercare di vivere meglio, al di là che poi un uomo uccida o meno.
    Piccolo aneddoto: ad una cena tra uomini, si scherzava di corna e qualcuno disse grossomodo: io c’avrò le corna, ma sono pronto alla galera. Ora quest’uomo non è particolarmente misogino, è piuttosto inconsapevole. Probabilmente non farà mai ciò che ha detto in caso di corna, e magari neanche picchia la sua compagna né mai lo farà. Il punto è che nel nostro modo di pensare è previsto fare una violenza del genere. Ed è prevista l’idea che la coppia è un vincolo e che stare insieme significhi appartenersi. Che l’abbandono o il tradimento sono ferite all’onore. Questo al di là dei delitti. Ora non è che andremo casa per casa a convertire le persone. Si cerca nel tempo, attraverso l’educazione, di formare una mentalità diversa. Penso che queste siano in fondo cose banali, e che magari sarebbe meglio cominciare a parlare meno di femminicidio, e meglio. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di simboli. Mah

  36. Un conto la gravità, un conto l’ emergenza; c’ è invece chi istituisce originali sinonimie. Diciamo allora che se esistono i negazionisti esistono anche i revisionisti (del dizionario). Ma forse trattasi di quisquilie che meritano di essere sorvolate, per la causa questo e altro.

  37. Rompo il silenzio autoimposto per una considerazione telegrafica, visto che l’argomentazione di Smeriglia fa proseliti (http://incomaemeglio.blogspot.com/2012/12/il-femminicidio-non-esiste_3.html). Confutarla in modo serio richiederebbe un tempo che in questo momento non ho a disposizione e uno spazio che non può essere questo blog, i cui commentatori dubito siano interessati alle applicazioni concrete del calcolo delle probabilità. A Smeriglia devo fare i complimenti e glieli farò sul suo blog, perché per qualsiasi appassionato di matematica il suo esercizio è davvero sfizioso; come tutti i modelli, che non sono “la realtà” ma una sua stilizzazione, la plausibilità delle conclusioni poggia sulla verosimiglianza delle ipotesi che si sono assunte per vere e su quanto le semplificazioni (necessarie) adottate siano in grado di cogliere i tratti essenziali del fenomeno. La prima cosa da notare è che Smeriglia non si propone di spiegare i femminicidi, ma la quota di omicidi di donne in generale. Entrando nel merito del modello, un punto non convincente dell’argomentazione di Smeriglia è l’identificazione del maschilismo con il grado di “inserimento sociale” degli uomini, misurato attraverso il rapporto tra quante persone frequenta mediamente un uomo e quante ne frequenta una donna e dimostrato poi essere coincidente (a meno delle approssimazioni fatte) con il rapporto tra vittime uomini e vittime donne di omicidio: in questo modo, Smeriglia può concludere che più le donne accrescono il proprio inserimento sociale avvicinando o superando quello degli uomini, ovvero più il tasso di quello che lui (lei? Non so) chiama maschilismo scende, più la quota di vittime donne sul totale aumenta, in quanto diminuiscono le vittime di sesso maschile. In pratica, le donne si esporrebbero maggiormente al rischio di essere uccise man mano che allargano la cerchia delle proprie frequentazioni. Si propone quindi un modello del fenomeno in cui il rischio di essere uccisi o uccise dipende da quante persone (e quindi quanti potenziali assassini, dato che ognuno di noi lo è, pur con probabilità molto bassa) si frequentano. Questo modello è forse adeguato a descrivere l’omicidio di donne e di uomini in modo grezzo, senza distinzioni di movente, e probabilmente si attaglia (anche se ci sarebbe da ragionarci sopra) a quella quota di femminicidi che affiorano, per esempio, tra le lavoratrici del sesso; ma se restringiamo l’obiettivo agli omicidi in famiglia cessa di essere valido, perché questi omicidi non sono correlati al volume relativo delle frequentazioni di un sesso rispetto all’altro: paradossalmente (rispetto al modello Smeriglia), in quel caso il pericolo potrebbe derivare dalla frequentazione continuativa di un uomo solo, violento. Inoltre, utilizzare le frequentazioni come proxy del maschilismo sociale è un’operazione che avrebbe bisogno di essere validata, e non descrive adeguatamente alcuni tratti del maschilismo tipici di società arcaiche in cui le frequentazioni possono anche essere prossime allo zero per entrambi i sessi, ma comunque il dominio è maschile e il potere dell’uomo sulla donna pressoché assoluto (sopravvivono ancora enclave del genere, anche in Italia, anche se qui le cito solo a titolo di esempio e non intendo contrabbandare questo modello di famiglia come tipologia prevalente). Infine, anche per quanto riguarda l’omicidio in generale, mi sembra un buon modello descrittivo, che non ha però nulla di interpretativo. Ci dice come accadono certe cose, ma non offre alcuno spunto a chi volesse indagarne il perché. Queste le considerazioni di carattere “qualitativo”. So già che qualcuno avrà da ridire, asserendo che una vera confutazione richiederebbe lo stesso rigore matematico messo in campo dalla brava (dal bravo?) Smeriglia; chi vuole questo, si accomodi alla scrivania con carta e penna e si arrangi da sé. Lo farei io stesso, ma purtroppo nella vita si ha anche altro da fare che servire la pizza a tutti quelli che alzano il ditino. E comunque complimenti a Smeriglia: penso che abbia torto nel merito e che non sia riuscita(o) a dimostrare la dipendenza dei femminicidi da una generica (genetica?) violenza maschile, che resta un’ipotesi di lavoro con una sua dignità, da indagare (è anche per questo che servirebbero dati migliori e indagini approfondite, per inciso); ma il suo ragionamento è davvero elegante e fulminante, nella sua semplicità. Penso che quell’approccio gelido non piacerà a molte persone che frequentano questo blog e le posso capire, ma matematicamente è davvero elegante, e penso sia giusto dargliene atto.

  38. @Maurizio. Il modellino mi mancava. E lo dico da una che i modelli sulle relazioni familiari li studia (e prova anche a farli, pensa te. Anzi, ho in ponte di farne uno proprio sulla violenza domestica, pensa te). E la risposta è: ahahahaaha, divertente.. Forse può anche chiedere una mano a Reinhart e Rogoff, che dici? Mah. Ognuno si diverte come può evidentemente.
    Primo: che per confutarlo abbia bisogno dello stesso rigore matematico, è una boiata pazzesca. E ripeto: lo dico da una che con i modellini si diverte. Ma che vive anche nella realtà vera, non in quella addomesticata dei modelli. I modelli partono da delle assunzioni, come dici, e le assunzioni riflettono la visione del mondo di chi li propone, la loro sovrastruttura (ommioddio ho usato un termine marxista! preparate le torce e i forconi!!), quello che io personalmente chiamo “dna culturale”: quest’idea che la matematica sia neutra, o renda neutro tutto, è un’idiozia di cui si stanno rendendo conto perfino gli economisti (quelli più perspicaci e intelligenti, non quelli che devono dimostrare di essere fighi). Nella realtà esistono rapporti di potere, rapporti di forza stratificati in anni, secoli e millenni, e non si può prescindere da questi. Eliminare i rapporti di forza dalle relazioni (economiche e non) è stato sbagliato e si sta dimostrando, e qualcuno comincia a rendersene conto. Il maschilismo, il sessismo sono sovrastrutture culturali radicate, che informano ogni relazione umana, e la prova è proprio nel fatto che la violenza di genere è assolutamente trasversale per istruzione e condizione economica. E’ dura cambiare qualcosa del genere. Per farlo bisogna rimettere in discussione ogni cosa che pensiamo di sapere sui rapporti di genere, dalla narrazione storica, a quella biologica. Voglio dire, fino all’inizio del ‘900 si pensava che le donne non potessero provare piacere in un rapporto sessuale, e quindi non avessero desideri. Da qui l’idea la buffa idea che se te, maschio muscoloso, giri per la palestra senza maglietta, non mi stai provocando perché io, donna, se non ti salto addosso è perché non ho desideri, mica perché ho una corteccia fortale funzionante! Mah.
    Una nota sull’ipotesi del “maschio violento per natura”, che personalmetne ritengo ridicola per quanto ho detto sopra: ma se è vero, perché non vi stiamo tenendo chiusi in gabbia a sbavare in un angolo come tanti cani idrofobi? O anche solo per precauzione? Perché forse non vi rendete conto che se si continua a andare in giro a usare questa giustificazione, prima o poi a qualcunA potrebbe anche venire in mente che è l’ora di risolvere il problema alla radice. E io applaudirei in un angolo mangiando popcorn.
    (Maurizio, non ce l’ho con te 🙂 scusa se nella foga sembra così XD)

  39. Grazie a Maurizio per la spiegazione, è la prima che leggo così argomentata.
    L’aggressività maschile ha forti basi fisiologiche. Non giustifica nessun uomo in nessun caso, ovviamente.

  40. Smeriglia non convince, come al solito le rogne cominciano quando devi “specificare” le variabili.
    Come misurare il tasso di maschilismo di una società? L’ autore ipotizza che in una società meno maschilista le donne subiscano maggiori violenze. Vero: la società maschilista indirizza gran parte della violenza misurabile che produce sugli uomini. Detto questo, cio’ non significa affatto che un maggior tasso di violenza sulle donne implichi che la società sia meno maschilista, cosa che di fatto postula l’ autore per sostenere le sue conclusioni.
    Diciamo, per capirci, che è ragionevole collegare un calo dei miei consumi alimentari a una diminuito appetito. Ma se poi scopri che mi pagano per non mangiare qualche dubbio ti viene. Allo stesso modo, è cresciuta di molto la partecipazione delle donne alla vita sociale, ma probabilmente è cresciuta per questioni di “convenienza” economica più che per un reale calo del tasso di maschilismo.

  41. Ma che state dicendo. Il problema non è di quante donne sono sttae uccise nei periodi storici precedenti, ma la cosa grave è che ora, in paesi civilissimi, o almeno che si ritengano tali, nel 2013,si uccidano donne per un rifiuto. Certo una volta in Italia esisteva il delitto d’onore. Ma ora non è più ammesso. Una volta uno stupro era condannato come offesa contro la morale e non alla ‘persona’. E’ stata cambiata la legge. Ma non cambiano gli uomini che rimangono familisti, edipici e narcisi, reagiscono alla frustrazione coin la violenza. Certola lotta va condotta anche nei paesi islamici, ma come reagire di fronte al fatto che le donne ebree non possano piangere sul muro, o che le cattoliche non siano ammesseal sacerdozio. Certo, nel 2013 c’è qualcosa di malato in questo uccidere e violentare le donne. Non progrediamo in niente. Evidentemente c’è solo sviluppo e mercato. Da poco votiamo, da poco scriviamo ma prendiamo lo stesso botte, veniamo uccise, ci dobbiamo occupare noi delle incombenze domestiche. E’ tutta una questionedi costume , di civiltà,di idea di cittadinanza. Nelle famiglie, e la chiesa incrementa la cultura familistica, i figli sopra tutto e tutti, gli uomini vengono educati ancora a comportamenti retrogradi e violenti. E’ qui il nodo. La casa, la famiglia , La chiesa…..lje religioni fondamentalisti,il possesso e la sopraffazione del corpo della donna….Non ci vogliono statistiche. Dobbiamo ammettere che le donne devono lottare e che gli uomini vanno educati. Non c’è progresso nel 2013.

  42. Non si confuta Vekkro dicendo “bisogna andare oltre” o sulla base della sua data di nascita. Lo si fa con i confronti internazionali. Che invece di confutarlo, lo confermano (oggi e proprio per il crimine che ci interessa).
    Comunque, se affermo 1) “il rischio di subire un femminicidio non mi sembra esploso” e 2) “vale la legge di Vekkro”, mi si risponde con solerzia che “non avrei letto con attenzione” un commento (che essendo molto prolisso sono i primi che si saltano). Armato di santa pazienza lo leggo speranzoso di trovare lì convincenti rettifiche agli asserti di cui sopra, ma dovendo concludere – con qualche diottria in meno – che non c’ è niente di interessante nel merito. Dopodiché mi si conferma che nessuno ha mai considerato Vekkro e che tantomeno nessuno obbietta circa le dinamiche di rischio.
    Ecco, in casi del genere ci si sente un po’ presi per il c. Ma fa parte del gioco, lo capisco.

  43. Riporto dal blog di Patruno, il riesumatore di Verkko (non Vekkro): ” E’ la cosiddetta “legge di Verkko” (dal nome di uno studioso finlandese): gli omicidi in cui un uomo uccide un altro uomo a cui non è legato da particolari rapporti, tendono a diminuire molto più rapidamente nel corso della storia, che non invece le morti di figli, genitori, coniugi, partner, fratelli e sorelle”. Purtroppo non è dato, in rete, reperire la formulazione originale di siffatta perla di pensiero, o almeno io non ne sono stato capace. Ma Patruno è uomo d’onore, e bisogna credergli, se così ce la riporta, così indubbiamente l’autore la vergò. Messa in tal modo, mi sembra accogliere le premesse di Smeriglia, su cui già mi sono espresso. Poi, a proposito del superamento del nostro nume tutelare, potremmo (finché c’è) abbeverarci alla fonte di ogni sapere, la Treccani, che in http://www.treccani.it/enciclopedia/criminalita_%28Enciclopedia-Novecento%29/ recita: “Benché la riflessione e la ricerca criminologiche siano nate in Europa, ‟quivi l’impulso iniziale alla ricerca criminologica sembra essersi in seguito esaurito” (v. Radzinowicz, 1961, p. 169). A partire dal 1920, sono stati compiuti relativamente pochi studi sperimentali sul comportamento criminale in Francia, Germania e Belgio, e pochissimi in Italia, ad eccezione dell’opera di B. Di Tullio e di quella più recente di F. Ferracuti. Negli ultimi quindici anni in Gran Bretagna si è progredito verso una ricerca molto più sistematica, grazie particolarmente all’influenza di H. Mannheim (v., 1961 e 1965) e di L. Radzinowicz (v., 1961), e così nei paesi scandinavi, che sono andati molto oltre le ricerche pionieristiche di O. Kinberg e di K. Sveri in Svezia e di V. Verkko in Finlandia (v. Anttila, 1971).
    In nessun paese la criminologia moderna, basata sull’indagine empirica, è oggi così altamente sviluppata come negli Stati Uniti […] “.
    Dal che sembrerebbe possibile inferire che il Padre Fondatore Verkko (non Vekkro) non fosse esattamente un appassionato del riscontro sperimentale delle sue teorie.
    Broncobilly, se non le va bene neanche così le concedo la vittoria a tavolino, 0 – 2 per abbandono del campo. E’ contento?

  44. @Broncobilly: guardi, le ho trovato questo: http://books.google.it/books?id=3p4br9FRAUgC&pg=PA284&lpg=PA284&dq=verkko+law&source=bl&ots=kulARyLT4K&sig=W4sfzLVEw-UCUwAtcbZjFdmtOfA&hl=it&sa=X&ei=BIeoUfDqA8KStAbdyoCYDg&ved=0CFcQ6AEwBg#v=onepage&q=verkko%20law&f=false. Non posso copiarlo perché Google libri non me lo consente e le confesso di averlo letto in modo molto sommario, perché non mi è sembrato di grandissimo interesse. Magari a lei piacerà di più.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto