IL MIO 25 NOVEMBRE, CON PAROLE ALTRUI

Forse non bastano i nomi. Perché i nomi sono importanti, fondamentali, ma infine si perdono nel vento, né si incidono su una memoria che si fa sempre più labile, e che non riesce neanche ad arrivare fino in fondo alla lista delle donne morte.
Le parole, forse, si aggrappano a noi. Specie quelle della poesia. Specie quelle di Sylvia Plath. Questo è il mio 25 novembre, quest’anno.

L’ho rifatto
Un anno ogni dieci
Ci riesco
Una specie di miracolo ambulante, la mia pelle
Splendente come un paralume nazi,
Il mio Piede destro,
Un fermacarte
La mia faccia un anonimo, pefetto
Lino ebraico.
Via il drappo,
O mio nemico!
Faccio forse paura?
Il naso, le occhiaie, la chiostra dei denti?
Il fiato puzzolente
In un giorno svanirà.
Presto, ben presto la carne
Che il sepolcro ha mangiato si sarà
Abituata a me
E io sarò una donna che sorride.
Non ho che trent’anni.
E come il gatto ho nove vite da morire.
Questa è la Numero Tre.
Quale ciarpame
Da far fuori a ogni decennio.
Che miriade di filamenti.
La folla sgranocchiante noccioline
Si accalca per vedere
Che mi sbendano mano e piede
Il grande spogliarello.
Signori e signore, ecco qui
Queste sono le mie mani,
I miei ginocchi.
Sarò anche pelle e ossa,
Ma pure sono la stessa, identica donna.
La prima volta sucesse che avevo dieci anni.
Fu un incidente.
Ma la seconda volta ero decisa
A insistere, a non recedere assolutamente.
Mi dondolavo chiusa
Come una conchiglia.
Dovettero chiamare e chiamare
E staccarmi via i vermi come perle appiccicose.
Morire
É un’arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale.
Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione.
È facile abbastanza da farlo in una cella.
È facile abbastanza da farlo e starsene lì.
È il teatrale
Ritorno in pieno giorno
A un posto uguale, uguale viso, uguale animale
Urlo divertito:
“Miracolo!”
È questo che mi ammazza.
C’è un prezzo da pagare
Per spiare le mie cicatrici, c’e’ un prezzo da pagare
per auscultare il mio cuore
Eh sì, batte.
E c’è un prezzo, un prezzo molto caro,
Per una toccatina, una parola,
O un po’ del mio sangue
O di capelli o un filo dei miei vestiti.
Eh sì, Herr Doktor.
Eh sì, Herr nemico.
Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creature d’oro puro
Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.
Cenere, cenere
Voi attizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate
Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale.
Herr Dio, Herr Lucifero,
Attento,
Attento.
Dalla cenere io rivengo
Con le mie rosse chiome
E mangio uomini come aria di vento
(Lady Lazarus, nella traduzione di Giovanni Giudici)

4 pensieri su “IL MIO 25 NOVEMBRE, CON PAROLE ALTRUI

  1. beh è una bellissima poesia – molto efficace in certi passaggi. In altri molto intellettuale e soggettificata, quindi non tanto esemplare sul sentirsi delle donne colpite. Però davvero bella.

  2. Innocue e a tratti dolci parole colpiscono come spade chi ha il codice giusto per decifrarle nella loro drammaticità.
    Non so se ha ascoltato la trasmissione “tutta la città ne parla” di questa mattina ma sono inorridita per come hanno trattato l’argomento (dito sul fattaccio, come se da condannare fosse solo quello e non la conseguenza di una cultura maschile spesso violenta) e per l’idea perpetrata da anni, sempre in quello spazio mattutino, che la colpevole è la donna stessa. Lei non si difende abbastanza, lei non decide di abbandonare, lei, lei lei…
    Mai più ascolterò quello spazio radiofonico… niente m’interessa di persone che deformano e pilotano l’informazione. Responsabili di quell’ultima parola che si fissa nella coscienza comune come dato di fatto, vero.

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