IL RITORNO DEL META-POST

La segnalazione, questa volta, riguarda “anche” Lipperatura. Insieme ad altri cinque blog o siti: Carmilla, Il primo amore, Nazione Indiana, Vibrisse, Wuming Foundation. Sono, infatti, i luoghi di discussione e informazione culturale che sono stati al centro dell’attenta, approfondita analisi di Giulia Iannuzzi, ricercatrice milanese, dal titolo L’informazione letteraria nel web. E’ un saggio che vi invito a leggere: anche per chi, come me, viene  a sua volta “letta” dallo sguardo dell’autrice, è stato interessantissimo ritrovare i meccanismi che si sono sviluppati negli anni nel commentarium. E non solo.
Il libro arriva, peraltro, in un momento ancora caldo di meta-discussioni sul blog, su come si parla dei blog, su chi parla dei blog. Eccetera. Lo spunto è stato un articolo di Gilda Policastro per Il manifesto, oggetto di repliche e controrepliche.
Lo so, state per dire “di nuovo?”. Però c’è un motivo per cui vale la pena  perdere un po’ di tempo a leggere: in altri luoghi della rete la querelle è stata semplificata a scontro accademico. Non è nè esatto nè corretto. Perchè nel dibattere mi sembra sia andato fuori fuoco il fulcro di quel che intendeva Gilda Policastro e che ribadisce nel suo ultimo intervento. Questo:
“Esistono spazi, in rete, aperti alla possibilità di commenti interattivi, che vanno a costituire la “discussione” nella prima accezione in cui utilizzavo il termine, cioè quella puramente denotativa: il confronto tra più voci, qualunque ne sia il tono o l’acquisto di conoscenza reciproco; distinguevo poi nel seguito del pezzo questo primo tipo dalla discussione in senso critico, cioè quella che necessita di tempi di elaborazione e di riflessione producenti nuovi articoli invece che commenti estemporanei. Se rinunciare a questi ultimi non è un mutare sostanziale dello spirito dello spazio virtuale deputato al dialogo critico, a me pare comunque la marca distintiva maggiore e in ogni caso lo strumento autoriale (e autorevole) più forte per i gestori di un sito, o di un blog, rispetto alla ben più vaga e alla fin fine inessenziale funzione del “moderatore” (come dimostrato ancora nel mio pezzo con un esempio concreto). È su questo punto che si giocherà il futuro del mezzo come sede auspicabile di un dibattito pubblico libero da pregiudizi, a partire dalla reciproca considerazione delle diverse esigenze: di maggior tutela delle modalità e della funzione del dialogo, che non è esercizio muscolare o aggressione pregiudiziale dell’antagonista, ma confronto aperto e magari anche animato, ma sempre civile, da un lato, e di maggior considerazione della diversa e più ampia ricezione della pagina elettronica rispetto alle riviste cartacee tradizionali, dall’altro”.

15 pensieri su “IL RITORNO DEL META-POST

  1. Messe tra parentesi talune modalità retoriche di Gilda Policastro, non esenti da quanto evidenziato in grassetto [ma il mio riferimento è soprattutto al dibattito su Nazione Indiana di qualche tempo fa, nel quale forse volarono più stracci, ma si dissero anche cose di maggiore spessore], il fine (e, in parte, anche l’analisi) è condivisibile. Così come lo è anche l’approccio del libro di Giulia Iannuzzi.
    Bisogna recuperare lo spirito iniziale di blog e riviste letterarie (e fors’anche dell’informazione in rete: penso ai primi tempi di Indymedia, Information Guerrilla, ecc.): utilizzare i media web non per supplire a quelli cartacei o televisivi (come la vecchia controinformazione anni 60-70, peraltro benemerita fucina di vero giornalismo), ma per fare qualcosa di nuovo, che proprio in ragione del supporto materiale carta e televisione non possono fare in questo modo, con questi scopi, con questi tempi e spazi, ecc. Oggi invece una parte del web sembra preso da un’ansia di passare ai grandi media (o da un rosicamento perché ciò non accade), quasi avesse concepito la rete come la squadra giovanile in cui giocare finché non arriva l’osservatore dei club di serie A.

  2. Per restare sul web, ci sarebbe un grandissimo incentivo.
    Money.
    Appena risulterà chiaro come fare soldi attraverso la rete, soldi non intendo “palate” di soli, ma un “contributo spese”, vedremo che tante firme si fermeranno.
    La natura “a gratise” del www infatti ancora impedisce lo stanziamento. E questo non aiuta.

  3. Sottoscrivo in pieno la necessità di riconsiderare il web per quelle che sono le sue dinamiche, senza naturalmente togliere la possibilità di usarlo come ulteriore supporto ad altri progetti che mirano a una maggiore diffusione, ma bisogna separare le due cose, altrimenti si rischia di creare solo un sacco di confusione…

  4. Su quello che dice Ekerot, però, si potrebbe riflettere, nel senso che il fatto che la rete sia a costo zero in teoria, proprio per quello che dice Ekerot, dovrebbe deresponsabilizzare sia rispetto ai contenuti che alla continuità nell’utilizzo, invece la prassi dimostra che la natura di lavoro volontario che uno dedica alla rete è costante e dotata di impegno. Forse è proprio perché non lo si fa per soldi che si avverte un maggiore attaccamento (di tipo vocazionale) al proprio operato in rete?
    Personalmente gestisco due blog collettivi di puro volontariato e mi sento ripagata del tempo che vi dedico dalla soddisfazione che traggo da questo tipo di collaborazione.
    E poi: non è affatto vero che non si può far soldi attraverso la rete. Ci sono sperimentatissime associazioni di creatività e marketing che fruttano un bel po’. Certo che sperare di ricavare dei soldi pubblicando un romanzo a puntate sul web mi sembra un po’ utopico.

  5. Sono assolutamente consapevole che si facciano soldi attraverso la rete.
    Metà dei più grandi miliardari del pianeta, a 14 anni inventò un software geniale.
    Figuriamoci.
    Mi riferisco al discorso del non pensare che il web siano le giovanili e la carta la serie A.
    Perché quelli che giocano nelle giovanili vogliono migrare in serie A? La fama, forse. Ma soprattutto lo stipendio.
    Ora, è senz’altro vero che nella miriade di volontari ci sono persone – come la nostra ospite – che fanno un lavoro deontogicamente straordinario (oltre che sui contenuti, of course).
    Resta il fatto che finché la pagnotta la prendi altrove, il web con maggiore fatica diventa il tuo campo di battaglia privilegiato. Penso ad uno scrittore. O a qualcuno che si impegna nel sociale, nel politico, nell’ambiente. E via.
    Un giorno bisognerà rivoluzionare davvero tutto il sistema di produzione e ricompense della comunicazione e dell’arte. I libri tanto tanto.
    Pensiamo solo al Cinema e alla tv…Niente panico. Per ora la cosa non mi tange da vicino. Ma è evidente che bisognerà scendere a patti.

  6. Ekerot ha proprio ragione. Mi permetto anche io di linkare il mio blog
    http://laramanni.wordpress.com/2009/11/05/omnia-sunt-communia/
    Perchè il problema è che in rete esistono già luoghi dove la narrazione è condivisa e senza necessariamente avere il fine di passare alla serie A. Il problema è che quei luoghi – il fandom – sono molto spesso guardati con disprezzo più o meno celato da parte degli scrittori su carta.
    Io posso solo dire di aver fatto il “salto” dalla eventuale serie B alla eventuale serie A: ma a mio parere le strane devono essere complementari, e mai alternative. Saluti!

  7. Sono d’accordo su tutta la linea, ma non ho capito, Ekerot, se vuoi dire che gli scrittori su carta percepiscono uno stipendio. A me risulta (ma forse vivo nel mondo dei balocchi) che ci siano gran pochi scrittori che riescono a vivere del loro lavoro, e gran parte dello sforzo se ne va in collaborazioni con quotidiani e riviste. Si dirà: “capirai che schifo! sempre meglio che scrivere aggratis sul web!”. Verissimo, però rimane il fatto che la rete ha una funzione diversa, e che per riuscire a guadagnarci si vira verso il marketing, che diventa un lavoro vero e proprio, lontanissimo dalla scrittura per ispirazione. Però è interessante questa questione, non avevo mai valutato che in effetti le stesse collaborazioni con la stampa, di cui la maggior parte degli scrittori vive, a volte è di qualità infima rispetto a certe riflessioni che si producono in rete, quindi in effetti non vedo perché le une dovrebbero essere remunerate e le altre no. Sempre se era questo quello che intendevi.

  8. Assolutamente sì.
    Io sono del parere che la qualità debba essere premiata. Certo la rete è un luogo sui generis per antonomasia. Per cui non si può pensare di ragionare coi soliti sistemi.
    Ma non vedo perché ci siano milioni di persone che spendono 20 euro al mese per giocare a World of Warcraft e poi se uno scrive una storia ganza non debba vedere manco una lira.
    Non prendo una posizione chiara, perché non vedo al momento un’unica soluzione al problema. Però mi pare ovvio che prima o poi bisognerà mettere la cosa sotto i riflettori. E uscirne fuori.

  9. Forse una soluzione potrebbe essere la creazione di un archivio di racconti in rete ad abbonamento, cosa che si fa già con gli articoli accademici digitalizzati, penso per esempio a JStor o a quelle riviste on-line che permettono di scaricare articoli pagandoli singolarmente.

  10. Sono stanchissima e satò perciò sintetica e quindi grossolana.
    Mi piacerebbe trarre guadagno dal mio scrivere on line. Ma penso che come entrano i soldi nella blogosfera se ne va l’anarchia, ed entrano in scena pericolose gerarchie.

  11. Peccato che la iannuzzi taccia sulla mannaia censoria che la Lipperini adopera contro chiunque contraddica il wmi-lipperin pensiero.

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