INTERVISTA A WU MING: CONTENUTI EXTRA

Su Il Venerdì in edicola oggi c’è un’intervista della sottoscritta ai Wu Ming. Seguendo una consuetudine inaugurata già agli esordi di questo blog, posto qui la versione large dell’intervista medesima, prima, cioè,  che la conversazione diventasse un articolo destinato alla carta stampata.

Dunque,
cinque scrittori italiani decidono di scrivere un romanzo sulle origini della
nazione americana. E non lo fanno semplicemente reinventando la storia, come
moltissimi scrittori americani hanno fatto nei confronti della cultura europea,
ma con una documentazione ferrea alla mano. Non solo. Lo fanno rovesciando non
soltanto l’immagine canonica del rapporto fra cultura indiana e cultura
occidentale di molto immaginario degli anni Cinquanta, ma rinnovando anche la
visione “politicamente corretta” degli anni Settanta.Da dove parte questa avventura, e perché?

In un
certo senso abbiamo rifiutato anche la seconda visione a cui accenni, quella
“alternativa”, un po’ perché riguarda un altro contesto storico e geografico
(la conquista del west durante il XIX° secolo), un po’ perché non ci interessa
il cliché dell’indiano “innocente” e in armonia con la natura, tecnologicamente
arretrato e vittima immolata sull’altare del progresso. Le cose sono più
complicate di così, e abbiamo cercato di non semplificarle.

E’
pienamente nella tradizione italiana ed europea occuparsi dell’America,
forzando la gabbia di archetipi e stereotipi che l’America ha montato intorno
al proprio cuore. E non è certo “poco italiano” l’azzardo di lavorare su un
immaginario trans-atlantico. Sergio Leone e compagnia trovarono la pietra
filosofale dentro il genere western: intervennero sui clichés più logori e li
trasformarono in oro. Un film come C’era una volta il west – scritto,
sceneggiato, fotografato, diretto, montato e musicato da italiani – è una potente narrazione e rappresentazione
dell’America, della sua coscienza, della sua quintessenza.  Alcune delle cose più sagaci e acuminate
scritte sull’America le hanno scritte europei che camminavano sulla fune, in
bilico tra fascinazione e distacco (quello che manca alla maggioranza degli
Americani, incapaci di vedersi da fuori). E’ una tradizione che va da
Tocqueville a Baudrillard, mentre è più inusuale che autori, artisti e opinion-maker americani aderiscano
a rappresentazioni dell’Europa non superficiali o addirittura oleografiche
(quell’immaginario da Torna a settembre, con Rock Hudson e la Lollobrigida). Oggi
più che mai, con l’Atlantico fattosi più largo per via delle scelte
dell’amministrazione Bush, è vitale interrogarsi sul complesso rapporto tra noi
e l’America. Da qui l’interesse per i miti delle origini di questo rapporto.

 

Volendo a tutti i costi cercare
una definizione, Manituana è un romanzo epico, un romanzo storico e ucronico.
Ci sono eroi, quasi tutti – credo- provenienti dalla realtà, in cui il lettore
si identifica. In questo libro, in particolare, aggiungono alla macchina
narrativa consolidata di Wu Ming una carica emotiva senza precedenti. Come si
costruisce un eroe “dalla parte sbagliata della storia”? Quali sono le
caratteristiche etiche e letterarie che avete cercato di dargli?

 

Parlare
di "costruzione di personaggi" è un po’ limitante nel caso di
Manituana. Nella fase iniziale della documentazione ci siamo trovati di fronte
a personaggi storici con biografie complesse, romanzesche, romantiche
nell’accezione settecentesca del termine. Vite di frontiera, personaggi a
cavallo tra mondi e culture, non era difficile trasformare quelle figure in
eroi letterari. Cosi le biografie hanno funzionato come humus e come seme per
far crescere i personaggi non-storici, quelli di fantasia. Abbiamo cercato di
rendere sulla pagina il senso di legami complessi, su più livelli: sociali,
affettivi, abbiamo cercato il senso comune in traiettorie esistenziali
apparentemente divergenti e i motivi di stacco e differenza in destini
apparentemente simili; abbiamo giocato molto sull’idea di alter-ego, di doppio
animico, di ombra- le relazioni tra i personaggi seguono così un’economia
emozionale e spirituale prima che di meccanismo narrativo, ed è forse questo a
conferire alle pagine la carica emotiva di cui parli.

 

In Manituana, in modo molto più rilevante
rispetto ai romanzi precedenti, i personaggi femminili svolgono un ruolo
determinante. E non soltanto perché detengono la sapienza antica delle donne,
la capacità di mettere in contatto il mondo del trascendente con il mondo
reale, come Molly (e come Esther). Ma perché, nei fatti, reggono e gestiscono
anche le regole sociali. O, nel caso di Esther, sanno spezzare le regole in cui
sono cresciute per cercarne altre. Raro, nel panorama letterario contemporaneo:
a cosa si deve l’omaggio?

 

Sappiamo
bene di essere un collettivo tutto maschile, siamo coscienti della difficoltà
di dare il giusto spessore ai personaggi femminili e sappiamo che non è facile.
Per noi è una sfida aperta. Miglioriamo, si spera, e vogliamo continuare a
farlo. Questo anche grazie a una riflessione svolta insieme ai lettori, le
lettrici in particolare, che non si è mai interrotta nel corso di questi anni.

In questo
caso ci è venuta in soccorso la realtà storica. La società irochese aveva
componenti di matriarcato molto forti e radicate. L’appartenenza ai Clan, –
pilastro dell’organizzazione sociale irochese perchè trasversale alle tribù e
alle nazioni, – era determinata per discendenza matrilineare e le donne
gestivano il potere dei Clan. In tempo di pace l’influenza dei Clan era
superiore a quella tribale, mentre durante le guerre era determinante per
stabilire le alleanze e smussare i conflitti. Inoltre le donne irochesi
gestivano un potere prezioso e strategico: l’adozione. La sorte dei prigionieri
di guerra dipendeva da loro: potevano deciderne la morte, come risarcimento per
i figli e i mariti caduti in battaglia, o chiederne l’assimilazione alla tribù,
per lo stesso motivo. Molto più spesso avveniva così. Non erano popolazioni
numerose, avevano bisogno di braccia che lavorassero la terra, oppure andassero
a caccia o a pesca. Ma l’adozione rendeva il prigioniero a tutti gli effetti
figlio della nazione e del Clan, con ogni diritto o dovere che ne conseguiva.
Molti importanti capi erano stati prigionieri adottati.

 

Nei romanzi di Wu Ming, qualunque sia l’epoca in cui
sono ambientati, il nostro presente è continuamente richiamato. Mi viene in
mente, per esempio, l’apparizione londinese di Frederic W.Maugham, il venditore
di informazioni. O l’esibizione degli artificieri italiani dal conte di
Warwick. Ma, a parte i singoli casi, quale lettura del contemporaneo fornisce
l’intera vicenda di Manituana?

 

E’ difficile
ridurre un romanzo a una chiave di lettura univoca. In un certo senso
raccontare la nascita degli Stati Uniti significa già occuparsi del presente e
dell’America come problema mondiale. Si può dire che Manituana racconta
la storia della scomparsa di una realtà meticcia, schiacciata dalla logica
dello scontro di civiltà e dalla nascita di una nuova nazione. La fondazione
degli Stati Uniti non avvenne a scapito dei "buoni selvaggi", come
vorrebbe una certa olografia, ma di una cultura ibrida, interetnica,
politicamente complessa e piena di contraddizioni. Se poi consideriamo che gli
americani dell’ultimo quarto del XVIII secolo non erano altro che europei
emigrati oltre Atlantico, si fa presto a sbattere contro i pilastri della
nostra stessa civiltà, quindi del nostro presente globalizzato. L’America di
allora, come quella di oggi, rappresenta l’estremo occidente non soltanto in
senso geografico, ma anche politico, culturale. Rappresenta cioè le estreme
conseguenze dell’impatto "bianco" sul mondo.

 

Il
lavoro sulla lingua, in Manituana, si svolge a più livelli,
apparentemente senza che il lettore se ne accorga: penso alla differenziazione
tra la narrazione “indiana” e quella “europea”, che si intreccia clamorosamente
nelle scene di guerra. Penso anche all’omaggio dichiarato all’Anthony Burgess
di “A clockwork orange” nei capitoli dove appaiono “gli indiani metropolitani”,
i Mohock di Londra. Ovviamente, non posso non chiedervi come la vostra prassi
di scrittura collettiva abbia portato ad un’operazione che sarebbe decisamente
complessa anche per un solo autore.

 

Citiamo
sempre un’immagine di Paco Ignacio Taibo II°, secondo cui la sperimentazione
dovrebbe essere la “cucitura invisibile” che tiene insieme la storia. Non c’è
niente di inconsapevole nel nostro modo di disporre parole e frasi, a volte ci
rompiamo la testa per ore su un pronome o un infinito sostantivato, ma il
nostro obiettivo non è la “bella pagina”. Se si guarda con attenzione ai nostri
periodi, si vedrà che cerchiamo di ottenere una sottile alterazione della
sintassi, ed estendere il campo semantico delle parole, anche di pochissimo,
slittamenti quasi impercettibili: spesso basta togliere un “mi” o un “ti” o
spostare un inciso per ottenere una frase che “vibri” e rimanga sospesa come un
hovercraft, un millimetro sopra la pagina. Questo non deve mai essere fine a se
stesso, ma funzionale a quello che vogliamo raccontare, e il più possibile discreto.
Meno il lettore si accorge della stranezza di alcune scelte, meglio è. La
controprova della “bizzarria” della nostra lingua ce la danno sempre i
traduttori, che trovano molto difficile rendere certi effetti nelle loro
rispettive lingue.

 

Manituana non è soltanto questo
romanzo. So che ne deriveranno altri libri. Già lo accompagnano altri racconti
“paralleli” che sono stati pubblicati sul web, e che altri ne verranno. Non
solo vostri, però. Per la prima volta nella storia delle patrie lettere, viene
chiesto ai lettori di inserirsi attivamente nel mondo di Manituana scrivendo
quelle che potremmo chiamare “fan fiction”. Non solo: il sito di Manituana
integra la scrittura con suoni, immagini, derive. Qual è l’obiettivo? E quale
strada multi-livello prefigurate, grazie al web, per la letteratura stessa?

 

Raccontare
una storia è scoprire un mondo. Le pagine di un libro sono uno degli ingressi
magici che lo dischiudono.  Si può scegliere di tenere chiuse le altre
porte o si può cercare di spalancarle in tutte, in segno di ospitalità. Ecco,
gli esploratori giungono e si aggirano tra gli anfratti della narrazione.
Ancora una volta si tratta di scegliere se offrire loro un universo da
contemplare, intoccabile nella sua pretesa bellezza e perfezione, o se
invitarli a trasformarlo, a svilupparne le potenzialità. Non si tratta solo di
estetica: se crediamo che uomini e donne assieme possano migliorare il mondo,
faremo di tutto perché lettori e lettrici possano migliorare le nostre storie,
con ogni mezzo necessario.

 

 

34 pensieri su “INTERVISTA A WU MING: CONTENUTI EXTRA

  1. bellissima intervista. wu ming è uno degli “esperimenti” letterari più particolari e interessanti degli ultimi anni.
    leggerò questo Manituana, appena ammazzo la fila di libri che mi salta adosso nella notte dal comodino.

  2. Intervista splendida, sia per le domande che per le risposte. Intelligente, appassionata, equilibrata.
    Sto già abbandonando ogni altra lettura per Manituana.
    Scusate l’eccesso di complimenti, ma mi sono scappati. A volte ci vogliono.

  3. da lettore e lettore di recensioni mi è venuta voglia di leggere il libro, sopratutto per poter poi tuffarmi nella “deriva” (?) web, nella ramificazione dei fan racconti, delle immagini, dei materiali che si vanno ad aggiungere. Mi viene però al tempo stesso un’inquietudine su questo infinito intrattenimento che mette in azione questa scelta narrativo-artistica. Quasi che il romanzo possa impadronirsi di me, di tutto il mio tempo di fruizione. Migliaia di pagine, documenti,immagini.il romanzo e poi i “fan racconti” e poi i documento o altri controdocumanti. Un universo. Proietto dentro di me l’ombra di un romanzo totalitario. Una macchina narrativa “concentrazionaria”…

  4. “Manituana” è immersione immediata, odori e suoni da un tempo lontano. Leggere i libri di tutta la band Wu Ming al completo continua a riportarmi alla fuga dal presente delle storie lette nei libri in cui mi perdevo da bambino, o di quelle assorbite dai film visti e rivisti in VHS. C’è davvero qualcosa di ‘bambinesco’ nella narrazione di WM, un ritorno calamitante al cuore della magia narrativa. Sarà anche banale, ma il primo fascino della loro produzione io credo risieda proprio qui.

  5. dalla cornice della mia condizione di mandarino in esilio volontario posso dirlo:siete l’ultimo baluardo mobile,una pattuglia acrobatica d’entomologi,contro la cattiva atarassia e i comitati d’affari(ehm..viaggiate leggeri)

  6. non ho ancora letto manituana, ma mi chiedo quanto Mason & Dixon abbia influenzato Wu Ming. Innanzitutto viene scelto un periodo storico immediatamente successivo all’arco temporale esaminato da Pynchon: se qui siamo a ridosso della rivoluzione americana, manituana potrebbe essere quasi un “sequel” del romanzo di Pynchon; dal punto di vista spaziale Mason e Dixon si spingono nell’esplorazione degli stessi luoghi in cui è ambientato Manituana; s’incontrano gli stessi personaggi: anche se tra l’eccentrico George Washington pynchoniano e il generale, il cui nome basta a far tremare donne e bambini c’è, sicuramente, un abisso.
    ciao
    peppe

  7. Peppe, che io sappia nessuno di noi ha letto “Mason & Dixon”, quindi non so dire se ci siano somiglianze, anche se ne dubito fortemente perché le nostre influenze sono diverse, noi scriviamo romanzi d’avventura e Pynchon non è tra gli autori su cui ci siamo formati. Anzi, io ammetto tranquillamente di non aver mai terminato la lettura di un suo libro. E’ una lacuna piuttosto grave, me ne rendo conto, ma è la verità e non vedo perché nasconderla. Ad ogni modo, se non sbaglio i cartografi Mason & Dixon si mossero molto più a sud, appunto lungo la linea di confine che prende i loro nomi (Delaware, West Virginia etc.) “Manituana” si svolge in tutt’altre zone: sui Grandi Laghi, e in Canada, oltreché in Inghilterra.

  8. mason & dixon è ambientato tra usa e inghilterra, con brevi parentesi al capo di buona speranza e a S. Elena. cmq si accenna a dei luoghi che, per quanto ho letto, costituiscono anche l’ambientazione del vostro romanzo. Pynchon accenna alla lega delle Sei nazioni. Oppure episodi come quello dei Paxton Boys, che vedono una cruenta quanto inspiegabile soppressione degli indiani da parte degli abitanti di Philadelphia, credo che abbiano qualcosa in comune con il vostro romanzo. Avevo pensato ad una continuità sia per il periodo temporale preso in considerazione sia per i personaggi storici coinvolti. Beh, si vede che mi sono sbagliato 😉

  9. Peppe, scusa la pignoleria: “Mason & Dixon” non può svolgersi negli USA, per ovvie ragioni 🙂
    Comunque, dopo che hai letto “Manituana” fammi sapere se – si parva licet componere magnis – hai trovato punti di contatto tra i due libri, e personaggi in comune.

  10. Ho quasi finito di leggere Manituana. Era da tempo che lo attendevo e non sono stato deluso. E’ un romanzo meraviglioso, avvincente, toccante. Il personaggio di Molly Bratt è eccezionale, pari solamente al Gerrit Boekbinder di Q.
    Grazie mille ad majora..

  11. A proposito dell’articolo sul Venerdì: chi ha scritto le didascalie alle foto? in una si dice che i moicani (sic) erano una delle 6 nazioni. Il Venerdì è famigerato per queste cose

  12. Capita, ma non è molto bello che capiti…
    Al momento ho letto Irochirlanda, e non so perché ma in certi punti mi sono tornate in mente le Cronache dal Grande Gioco, ma forse è solo un’associazione della mia mente.

  13. Curiosità per Wu Ming: “Wheeling” di Hugo Pratt l’avete letto? L’ambientazione è esattamente la stessa e wheeling è uno dei capolavori di Pratt. Comunque non ho ancora letto il libro, lo inizierò a breve.

  14. Facciamo così: letto il libro, ciascuno di voi ci manda una mail con tutte le cose e opere e suggestioni e reminiscenze che gli sono venute in mente 🙂 Noi poi le mettiamo nel “Livello 2” del sito.

  15. Angelini, chiunque siano i tre soggetti rappresentati nella foto sul tuo blog, una cosa è certa: non sono i Wu Ming! Nessuno dei tre.

  16. Sto leggendo Manituana con lo stesso immenso trasporto che mi travolse al tempo di “Q” e “54” (e un po’ anche “Asce di guerra”). “Q” o “Manituana” dovrebbero farli leggere nelle scuole al posto dei noiosissimi “Promessi Sposi” (gran libro, ma a 15 anni…). Sempre romanzo storico è, i ragazzi si divertirebbero e si appassionerebbero, ed intanto verrebbero messi in circolazione contenuti non mainstream… A proposito, Wu Ming, voi definireste le vostre opere “romanzo storico”?

  17. Lucchese, i Wu Ming si battono da una vita (cominciano ad avere una certa età anche loro:-) ) per l’abbattimento delle barriere tra generi e tu poni loro una domanda del “genere”? A’ n vedi questo…

  18. Per prima cosa, grazie a tutti per le opinioni espresse. Poi, per la domanda, io dico che non bisogna farsi troppe pippe, e sì, i nostri si possono definire anche “romanzi storici”. E’ vero che proviamo a fare un lavoro che i generi li usi e li attraversi, ma non si può storcere il naso se qualcuno li definisce così. I nostri romanzi collettivi “usano” la storia.
    State bene.
    wm3

  19. Manituana (la prima cosa che leggo di Wu Ming) è un film molto coinvolgente, mi sembra di udire la colonna sonora… non sembra un romanzo, forse un saggio filosofico ma non un romanzo…è un ambiente spirituale, una meditazione guidata, una doccia fredda rivitalizzante, un digiuno dopo l’indigestione di immagini violente, una lezione di arti marziali, una celebrazione cavalleresca, un’operazione molto nobile…come il bellissimo Ronaterihonte che vivendo solo in un capanno di tronchi nei boschi come un Thoreau ante litteram (“da oltre dieci anni si costringeva ad un ritiro inusuale per un indiano”) si isolava e al contempo si purificava dalle bassezze del mondo…

  20. terribilmente prevenuto sull’argomento (indiani? oh no!!) mi sono immerso in Manituana fino al collo, ovviamente ne è valsa la pena. le assonanze con il ciclo messicano di Evangelisti sono volute?? già era possibile intravedere Q negli ultimi episodi dell’inquisitore Eymerich..

  21. Ho letto “Q” (voto 10) e “54” (voto 9,5). Cavolo, non vedo l’ora di leggere Manituana! Soprattutto dopo i vostri commenti e le puntualizzazioni di Wu Ming. Spargerò la voce per farlo leggere. Ciao

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto