IO MOLTIPLICHERO' GRANDEMENTE LE TUE PENE

A proposito di sacralità del materno, e di brividi. Su L’Unità di ieri è apparso questo articolo di Manuela Trinci. Se siamo ancora al dolore che allena alla fatica di essere genitori, quasi mi arrendo.
Erano gli anni 70 del secolo scorso  e persino nei più piccoli centri di provincia  i «corsi di preparazione alla nascita» iniziavano a farsi strada. Per la verità già dagli anni 50 circolavano e si moltiplicavano tecniche per «preparare» al parto; tecniche che avevano quale fine dichiarato la riduzione dei tempi del travaglio e del parto nonché l’attenuazione e l’eliminazione del dolore, sebbene non fosse difficile scorgere in tutto questo preoccuparsi la necessità di rispondere a eventi fisiologici in termini di produttività.
Anche i primi libri sulla «preparazione al parto» erano per lo più scritti da ginecologi e per lo più così ricchi di imperativi, divieti e permessi nella vita della gestante da connotarsi alla fine come libri di patologia volgarizzata.
Sul tappeto, dunque, grandi temi e indubbiamente il viraggio che portò a parlare di «preparazione alla nascita» anziché al «parto» segnalò il desiderio di occuparsi di quella frattura che portava il segno del «doversi preparare» a un momento particolare della vita come se fosse scisso dagli altri momenti, tentando di dare voce al desiderio di un recupero della naturalità del parto, di un parto che pur non disconoscendo gli apporti offerti da scienza e tecnica per diminuire i tassi della mortalità materna e infantile fosse diverso da quello istituzionalizzato nei reparti di maternità, con una discussione serrata che non eludeva certo le questioni di potere delle figure sanitarie al parto preposte.
Nascere senza violenza (dal gettonatissimo libro di Leboyer, Bompiani,1975) fu dunque il motto delle donne di allora, allargando con questo il senso del nascere alla coppia e al proprio bambino.
Che cosa rimanga oggi di tanta rivoluzionaria e dissacrante fattività è il compito assunto da Benvenuto tra noi. Pratiche e riflessioni intorno al parto e alla nascita, l’ultimo numero della rivista Gli Asini (diretta da Luigi Monti, direttore responsabile Goffredo Fofi, Edizioni degli Asini, pagg.135, Euro 8,50; www.gliasinirivista.org).
È un confronto serrato quello proposto dagli «Asini», avviato da Sara Honneger e concluso sapientemente dalla montessoriana Grazia Honneger Fresco; un confronto che vede neonatologi, ostetriche ginecologi come pure intellettuali, dibattere con passione, tocchi d’ironia e talvolta delusione, in quale maniera «il misteriosissimo alieno» attraverserà il confine «tra la protezione totale del grembo materno e gli urti inevitabili» del vedere la luce.
Per prima cosa, annotano quasi all’unisono gli autori, fra i grandi cambiamenti che vanno dall’aumento dell’età delle future mamme sino all’altissimo numero di coppie che terrorizzate dallo spettro della sterilità fa ricorso alla procreazione medicalmente assistita, il filo rosso diviene il ruolo che la «programmazione della nascita» ha assunto nella nostra cultura. Così, contrariamente agli auspici anni 70, la mappa che si presenta oggi agli occhi della gente comune è connotata da enfasi del concetto di rischio insito nel parto, da un’adesione acritica alla diagnosi prenatale, da un uso del taglio cesareo (auspicato «parto del futuro») in percentuale tale che fa dell’Italia il paese d’Europa e il terzo nel mondo con il più alto tasso di cesarei. Le donne, dunque, hanno completamente assorbito l’idea che la tecnologia garantisca sicurezza, e fra «previsioni di rischio» prenatali e proposte di check-up, il bambino atteso già nel grembo materno è un portatore di rischi, che viene misurato e valutato in base alle sue potenzialità.
Fra i temi rilanciati da Gli Asini, non poteva mancare il «dolore nel parto», oggi quasi tramontato nel suo significato fisiologico, nella sua funzione di allenamento alla fatica di essere genitore; e non potevano mancare note amare su un dibattito al femminile anestetizzato e languido che si accontenta di «un diritto all’epidurale», senza riaffermare la necessità di operatori capaci di «assistenza» e non solo di «intervento», o senza riflettere sulla subdola cultura «eugenetica» che in filigrana ammorba l’attesa del bebè.
Perché, scriveva Hannah Arendt di fronte alla meraviglia del neonato, «questo nuovo inizio non è pianificabile o calcolabile… si verifica sempre contro la tendenza prevalente delle leggi statistiche e della loro probabilità…quindi è infinitamente improbabile…alla stregua di un miracolo».

38 pensieri su “IO MOLTIPLICHERO' GRANDEMENTE LE TUE PENE

  1. posso dire che citare Hannah Arendt alla fine di questo articolo, subito dopo un riferimento assai ambiguo all’eugenetica, ha un che di… amaro? pretestuoso? scivoloso?

  2. Cercherò di tenermi nei limiti della civiltà e quindi non esprimerò i terrificanti improperi che ho in mente.
    Alcune questioni.
    1. Quando il parto era naturale e demedicalizzato schiattavano mamme e bambini come mosche. Si facevano un sacco di figli, a culo e cominciando assai presto. Non contava tanto la vita nè delle une nè degli altri. Mi spiegano persone che vivono in paesi come l’Olanda, che oggi ha la fissa dei parti naturali, che gli indici di mortalità neonatale sono piuttosto alti- magari mammamsterdam verrà e vi racconterà lei.
    Io amo la medicalizzazione della gravidanza – e la amo anche perchè ho studiato dall’interno almeno per la parte che compete la mia professione anche se solo marginalmente alcune questioni che si occupa di prevenire. Le analisi del sangue per la toxoplasmosi e la rosolia e il citomegalovirus, come la stessa amniocentesi, rispondo a un rischio concreto di patologie gravi nella formazione del bambino, ora l’amniocentesi diagnostica problemi credo quasi sempre insolubili, ma una toxoplasmosi diagnositicata in tempo – permette di intervenire farmacologicamente in modo tempestivo acciocchè il bambino che nasca stia bene per tutta la vita. E le varie ragioni del cesareo – a parte che io sogno un paese in cui se io donna dico voglio un cesareo perchè mi garba così me lo facessero – spesso rispondono a una diminuzione dei rischi per la donna, e dei probllemi a cui può andare in contro.
    Il problema di fondo è che la nostra qualità della vita e il valore che attribuiamo ad essa è cambiato, e se una donna ha la possibilità di scrivere su un giornale, grazie al fatto che nessuno ha pensato da bambina che doveva chiavare e sposare a dodici anni, che nessuno le ha precluso delle visite mediche, e gli occhiali con cui novanta su cento ora guarderà il suo computer, e il sistema sanitario nazionale di cui si serve per quelle cure che non le sembrano – a cazzo probabilmeente ma va beh – il segno della paura del dolore, se questa donna non ha 13 figli al momento attuale non se ne può uscire con un brandello di ideologia dei primordi. Non so se mi spiego. Se cambiano tutti i tasselli, uno solo vecchio non si incastra più.

  3. Grazie grazie, del mio ci metto un commento al titolo: inquadriamo correttamente il contenuto del testo da cui è tratto, e ci renderemo conto che, per chi ha creato il mito della cacciata dall’Eden, le pene e sofferenze umane (distinte per genere e ruolo sociale corrispondente quelle addebitate agli uomini e quelle addebitate alle donne) non sono un dato originario, bensì il risultato del reprensibile comportamento della coppia progenitrice, che in tal modo veniva punita. Quindi, chi vi si appella dall’interno di un pensiero religioso o para-religioso si da’ pure la zappa sui piedi.

  4. E oltre “l’altissimo numero di coppie che terrorizzate dallo spettro della sterilità fa ricorso alla procreazione medicalmente assistita” ricorderei tutte quelle vanesie smidollate che si fanno impiantare una protesi mammaria dopo la mastectomia, e pure chi pervicacemente si fa togliere il tartaro per non perdere i denti a quarant’anni. Perché non si rassegnano tutti a fare una vita di merda, ma insistono nel voler usare i mezzi a disposizione per averne una migliore, non lo capirò mai… Per fortuna che ci pensano i giornali di sinistra a spiegarlo così bene… 🙁

  5. Mah questo articolo più lo rileggo e più mi sembra “un gran minestrone indigesto ma insapore” dove si mescola assieme tutto e il suo contrario senza che si capisca dove si vuole andare a parare davvero.
    Qual è il succo vero del discorso mi sfugge. A grandi linee mi pare che la diagnosi prenatale è considerata una forma di celata eugenetica, se non fosse che questi accertamenti non obbligano i futuri genitori a compiere nessun epurazione, semplicemente danno loro la possibilità di scegliere e ognuno sceglie secondo la propria coscienza, volontà e capacità, ma sceglie in modo più consapevole che in passato e non vi trovo nulla di male.
    Così come mi domando se chi scrive da adulto non si sottopone a esami clinici, controlli o terapie mediche per garantirsi uno stato di salute accettabile? Tutti coloro che vengono messi di fronte alla scelta di affrontare operazioni rischiose o lesive o che sono costretti a scegliere per i loro cari compiono eugenetica allora?
    Che la medicina ci offra la possibilità di scegliere è sempre una conquista sta a noi poi compiere la scelta che più ci si confà.
    Così allo stesso modo trovo piuttosto ridicole le righe in cui si dice che la donna “si accontenta di un diritto all’epidurale senza riaffermare la necessità di operatori capaci di assistenza e non solo di intervento”.
    Ma che significa? Prima di tutto sarebbe stato meglio informarsi su quanto l’epidurale sia davvero un diritto e una scelta concessa a tutte e non un privilegio per poche, secondo non si capisce come l’intervento anestetico escluda la volontà di essere assistita sotto ogni aspetto medico, fisico e anche psicologico!
    Povera Hannah Arendt tirata per i capelli dentro ogni discorso e usata come parafulmine.
    Infine mi unisco al desiderio di Zauberei perché davvero ogni donna possa sognare di scegliere il parto che ritiene più giusto per se, aiutata e supportata nella scelta dal personale medico, dalla propria famiglia e dalla società intera.
    Ho amiche che per convinzione personale rifiutano ogni aiuto chimico o farmacologico e assistite e tutelate nella loro salute e nella salute del neonato hanno affrontato oltre venti ore di parto senza problemi e amiche che hanno richiesto il cesareo al proprio ginecologo il giorno stesso che hanno scoperto di essere incinta. Si può dire che esiste un comportamento giusto e uno sbagliato?

  6. Certo che giusto su una rivista che si chiama “Gli Asini” potevano pubblicare una perla come questa: “l’altissimo numero di coppie che terrorizzate dallo spettro della sterilità fa ricorso alla procreazione medicalmente assistita”.
    Ma questa c’è o ce fa? Ma come si permette di scrivere di cose di cui con ogni evidenza non capisce una beata ceppa, pontificando come se stesse leggendo direttamente dalle Tavole della Verità, scolpite davanti ai suoi occhi? Ma quale sarebbe la coppia di pazzi che va a farsi inseminare senza aver effettuato almeno un anno di più piacevoli tentativi naturali? E dov’è il ginecologo che ti insemina senza preventivamente raccomandarti almeno – e sottolineo almeno – un anno di quei più piacevoli giochini? Vi prego, ditemi che sto sognando…

  7. Per correttezza, non sappiamo se quella frase venga dagli Asini o sia l’interpretazione che ne ha data l’Unità. e in particolare Manuela Trinci, che è psicologa e psicoterapeuta infantile 🙂 Sul resto, concordo, e questo fa il paio con quanto detto più volte sull’atteggiamento dei “fertili” nei confronti della procreazione assistita, purtroppo.

  8. “l’altissimo numero di coppie che terrorizzate dallo spettro della sterilità fa ricorso alla procreazione medicalmente assistita”.
    ma ha mai sentito parlare della legge 40??
    ART. 4.
    (Accesso alle tecniche).
    1. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico.
    Inoltre non mi risulta che nessuno codice penale alla mano costringa le donne a fare la villocentesi e solo una profonda ignoranza puo´negare che la tecnica medica ha enormemente ridotto i rischi legati alla gravidanza, ma Lei puo´parlare cosi perche’ e´una intellettuale e delle donne vere in carne ed ossa (quella e´pura natura che non esiste)
    non si occupa.

  9. Alla luce della mia (nostra) esperienza personale, l’articolo mi (ci) ferisce. Non credo che io e mia moglie siamo gli unici a sentirci vilipesi, a prescindere di chi abbia la responsabilità reale di ciò che è stato riportato.
    Ciao.

  10. E scusate la consecutio accidentata e l’uso improprio della preposizione semplice. Sono inferocito e quindi scrivo peggio dei miei consueti standard, già piuttosto bassi.

  11. Quando si parla di maternità a me viene voglia di essere mamma. Non voglio mica aspettare tanto. Così, a sensazione, temo di più i problemi di sterilità, le complicazioni della gravidanza, che i dolori del parto. Ma credo che potrei cambiare idea con l’avvicinarsi dell’evento.
    No, confermo, l’idea di diventare una delle “coppie terrorizzate dallo spettro delle sterilità” ha l’impatto emotivo più forte.

  12. @Amfortas: sono assolutamente solidale con te, provo quello che provi tu. Mi pare di capire che abbiamo vissuto lo stesso calvario, per me a lieto fine, per te non so ma te lo auguro, e finalmente trovo un altro uomo che ne parla e si espone e mi permette per una volta di confrontarmi con un mio congenere. Che sollievo!

  13. *Conta fino a 10, respira profondamente* Prima di tutto, quoto pienamente Zauberei: il parto era sempre, sempre un rischio; mia nonna, classe 1900, di figli ne fece 8 e ogni volta, parole sue, preparava “l’abito da bara” con cui avrebbe voluto eventualmente essere seppellita. Secondo: alla nascita della mia prima figlia ho rischiato di lasciarci le penne e il dolore provato non mi ha affatto allenata ad essere genitore, anzi mi ha lasciata priva di forze e svuotata per i primi tre mesi di vita della mia bimba. Terzo: massima solidarietà ad Amfortas e sua moglie. Quarto: cara Loredana (posso chiamarla così?), la reazione è, direi, significativa e, sì, decisamente sconfortante.

  14. Ci piacerebbe, a noi che abbiamo costruito questo numero della rivista Gli Asini dedicato al parto e alla nascita (Benvenuto fra noi), che prima di giudicarlo lo si leggesse. Se non tutto, almeno in parte. Lo sforzo, tutto laico, è stato quello di andare al di là della dicotomia naturale/medicalizzato, centrando l’attenzione su quel che dicono gli studi, le evidenze scientifiche. E a partire da queste, discutere, se necessario anche assumendo una posizione valoriale, ma provando ad allargare il cerchio, a cercare il significato più ampio che la nascita e la sua cultura ha o potrebbe avere nella nostra vita, sociale prima ancora che individuale.

  15. Sara, come credo di aver detto e ripetuto, il post non si riferisce alla rivista ma all’articolo, in quanto ingeneroso nel raccontare la cultura e soprattutto la realta’ della nascita e delle donne e degli uomini che la vivono. A livello sociale, oltre che individuale. Ribadisco ancora che voglio leggere il prima possibile la rivista e che voglio tornarci sopra. Cari saluti.

  16. Mi chiedevo anche. Ma esattamente, perchè le donne, che dall’anno in cui ebbero l’accesso ai pubblici atenei partecipano alla strutturazione del sapere, lo fanno proprio e lo esercitano, perchè le donne dovrebbero rifiutare la logica probabilistica che è legata alla prevenzione? Perchè questo deve essere codificato come l’idiozia della sicurezza acritica? C’è sempre la reductio ad cojonam quando una donna propone una logica di vita diversa da quella che si propone, e una segreta svolta maschilista. Eh si fa fare le analisi perche aderisce criticamente, povera cretina. Eh fa il cesareo perchè la stupida si crede che con un diametro grande del cranio del bambino si potrebbe fare male (a proposito, una mia amica, a cui un ospedale cattolico aveva intimato di fare il parto cesareo per via della macrocefalia del figlio, ha voluto seguire il materno arcaico, ha partorito naturalmente altrove – ed è stata in coma per dieci giorni. L’ospedale poi è stato incriminato e chiuso)… le donne sanno cosa è la vita e sanno l’incognita a cui vanno incontro. Si proteggono parzialmente con i mezzi che hanno acquisito e che in parte hanno cocostruito.

  17. Ecchime, interrogata rispondo:
    – nei Paesi Bassi c’ è il mito del parto naturale, è vero confortato da decenni di politiche e interventi adeguati. Mi diceva un’ ostetrica italiana con 16 anni di esperienza, che quando si sarebbe trasferita qui per motivi di famiglia, avrebbe dovuto imparare tutto da capo perché le ostetriche hanno una formazione specifica nell’ affrontare situazioni che in Italia sarebbero di competenza del ginecologo. La superostetrica esegue con un’ assistente parti in casa o policlinici, questo secondo il desiderio della partoriente (io di corsa policlinico). Ma in qualsiasi momento la gravidanza possa presentarsi a rischio, la paziente viene di corsa trasferita al ginecologo che la segue per tutta la gravidanza e il parto. Detta così, bella, buona e cara.
    I vantaggi, se hai culo e va tutto bene: una grandissima comodità per la famiglia, un notevole risparmio per il servizio sanitario, gioia e felicità e intimità, che di questi tempi, buttiamoli via.
    Se partorisci in ospedale e va tutto bene, tempo di ricurcirti, attaccare il neonato al seno e farti la doccia e vieni dimesso. Due miei amici a mezzanotte.
    Il bello, per tutti questo, è che lo stesso servizio sanitario ti manda a casa per una settimana un’ assistente che ti misura, ti pesa, ti accudisce, accudisce il resto della famiglia, ti insegna a occuparti del neonato e aiuta se allatti al seno ad avviare la cosa, che non è né naturale né scontata in un sacco di casi. Ti manda a casa l’ ostetrica a controllare che tutto vada bene, ti manda a casa l’ infermiera di quartiere a fare i prelievi necessari a controllare il pupo. Non so voi, ma a me starmene tranquilla a casa mia e nel mio letto accudita e curata sembra il massimo, altro che sala travaglio. In ospedale ci vai solo a un tot di dilatazione, che l’ ostetrica ti viene a controllare a casa.
    Poi se esiste la medicalizzazione del parto, evidentemente, è perché non sempre la natura fa bellamente il suo corso e tutto quello che è stato detto qui sopra su mortalità nel passato è semplicemente vero. Quindi ben venga, anzi la contraccezione, la pianificazione familiare e tutto quello che abbiamo a disposizione per viver meglio.
    Questo ci elimina la necessità dell’abito da bara? Ma neanche per sogno, le morti per parto ci sono sempre, anche se in misura enormemente minore. Per questo spesso ci attacchiamo al mito del parto perfetto dell’ epidurale e cesareo su ordinazione ed è cosa buona e giusta pure questa.
    Ora, giorni fa con Zauberei si parlava appunto se in olanda grazie al parto naturale e quel che ne consegue la mortalità perinatale fosse maggiore rispetto all’Italia. Mi sono andata a cercare le cifre, no, non tanto. Ma non ci scordiamo che ogni paese ha la sua definizione di “still birth” e che i dati che si registrano, e che poi vengono raccolti per compararli con quelli di altri paesi in realtà non possono essere paragonati con quelli raccolti con criteri diversi.
    Detto ciò, io ho partorito due volte in Olanda, e se paragono la mia situazione con le amiche qui e in Italia e quello che mi raccontano, non vorrei fare nulla di diverso. L’ assistenza sanitaria qui è ottima se non sei caduta nel mito del parto naturale a casa, che è meraviglioso, ma non necessariamente l’ ideale.
    Ma tanto questo è anche il paese dove nel bible belt la gente non vaccina i figli eprchè dio non ha mai parlato di vaccinazione. Non si spiega poi perché gli occhiali se li mettono, visto che se la volontà di dio era che ci vedessi poco, ma a ognuno il suo dio.
    Per me la gran fortuna è stata l’ amica grande che prima ancora di volere figli mi ha indottrinata con la sua visione del parto trionfante come apoteosi del tuo potere di essere umano. E la ringrazio ancora per questo. Il parto con dolore lo lascio a chi si diverte di più a soffrire.

  18. Certo, ho un’ amica che dalla prima doglia al partoi ci ha messo venti minuti, in casa, con il marito che l’ assisteva al telefono con l’ ostetrica che stava arrivando di corsa ed è entrata giusto quel mezzo minuto più tardi, Felicissimi, poeticissimi, l’ esperienza più bella della loro vita che li ha cementati come coppia e come famiglia, dicono. Se potessero, ci rimetterebbero la firma. Ma io, col cavolo. Tutta questa poesia non fa per me.
    Lipperini, mi sono allargata enormemente, se le sembra il caso, cancelli tranquillamente, perché secondo me qui non si parlava di parto felice ma dell’ articolo citato, ma io purtroppo ho gli entusiamsi facili e logorroici.

  19. “da un’adesione acritica alla diagnosi prenatale”: in qualità di “gente comune” citata dall’articolo, vorrei dire che invece nella mia esperienza di gestante nlla sanità pubblica italiana l’opzione di diagnosi prenatale mi è stata proposta in modo tutt’altro che acritico. Soprattutto per le tecniche invasive (amnio e villocentesi, che nel SSN sono proposte automaticamente alle gestanti di oltre 35 anni di età, gratuitamente): nell’ospedale dove ero seguita le donne venivano informate con grande completezza dal punto di vista tecnico e scientifico (finalità, modalità, rischi ecc.). Ma soprattutto veniva ribadito che non c’è una scelta più giusta di un’altra, ma che ciascuna deve sceglire dopo attenta riflessione a seconda delle proprie esigenze, convinzioni, ecc. il tipo di diagnosi prenatale che ritiene più adeguato; anche nessuna. Insomma mi sono stati dati tutti gli strumenti per una scelta consapevole e non certo acritica.

  20. Sì, pure questa dell’adesione acritica alla diagnosi prenatale è una bella perla. Nella rabbia insorta durante la prima lettura mi era sfuggita. Sarebbe davvero giunta l’ora che la gente la smettesse, di pontificare in base a congetture ispirate da una visione del mondo soggettiva, per non dire autistica, non supportata da alcun dato. Dove sono le informazioni di base che dovrebbero rendere solida un’affermazione del genere? Tra le coppie che conosco io, amniocentesi/villocentesi sì-no è stato sempre un dubbio devastante sfociato in nottate intere passate a compulsare siti e tomi, quando non in terrore puro per i rischi (bassi, ma ci sono) che queste pratiche comportano per il prosieguo della gravidanza. Per noi fu un incubo, l’idea di mettere a rischio quelle vite che così faticosamente stavano finalmente germogliando. E questa se ne esce con l'”adesione acritica”… ma un confronto con la realtà, prima di scrivere? No, eh?

  21. ecco, invece nei Paesi Bassi per motivi etici le ostetriche non possono iniziare loro a parlare di diagnosi prenatale, ma solo informarti se lo chiedi tu. non ho mai capito perche (il bible belt?)

  22. Scusate, volevo mettere qui questa parte del mio commento: probabilmente sbaglio, ma ho l’impressione che sia altamente dannoso e doloroso, specialmente per le donne, mettere in guerra Natura e Storia-Culture, Parità(o Uguaglianza) e Differenza, i diversi studi e le diverse esperienze che coinvolgono le donne, la genitorialità, l’infanzia… Credo sia indispensabile e urgente trovare una dialettica tra le differenti posizioni…

  23. Ovviamente sì, Sara: è dannosissimo e dolorosissimo. Infatti, quel che personalmente contesto a questo articolo è di aver implicitamente indicato la Via Giusta. E non ce n’è mai una sola, e neppure soltanto due.

  24. Come qualcuna propone negli ultimi post che precedono, converrebbe fare un po’ di ordine e uno sforzo riflessivo perché gli argomenti sono ricchi, complessi e toccano nel vivo donne e uomini. Se anche il primo impulso è quello di polemizzare, di vedere subito messa in discussione la propria scelta e la propria immagine, di esprimersi con livore perché si tratta di questioni etiche ed esistenziali che ci scuotono identitariamente, è meglio controllarsi e riconoscere che la foga non serve per pensare e cercare.
    La prima distinzione da fare, come già ha ripetuto Lippe, è che quella di Trinci è solo una segnalazione di poche righe sul quotidiano: genere che di per sé non è adatto a entrare nel merito di temi complessi. Non ci si riesce a fare un’idea di chi e di che cosa abbia scritto sul n della rivista quindi bisogna leggerselo, dato l’argomento decisivo in epoca di biopolitica, bioetica e tecno-domìni. Le autrici sono professioniste legate al mondo della maternità ed è meglio verificare di persona se le loro posizioni siano ideologiche o meno e quale quadro generale dello stato dell’arte presentino.
    Detto ciò, riconosciamolo dai: c’è moltissimo da pensare, da dire, da desiderare sui modi in cui oggi nasciamo, muoriamo, ci ammaliamo e curiamo, siamo madri e figli. Proprio perché c’è la tecnologia e c’è tutto l’inedito della nostra epoca più che gridare una piccola viscerale verità bisogna riflettere assieme. Non possiamo essere pigri, né lente, né paurosi ma leggiamo, pensiamo, fatichiamo un po’ per articolare il pensiero. Soprattutto su questi argomenti che ci toccano nella carne e nelle scelte esistenziali decisive. Perché questa furia polemica circa i modi del parto? Proprio in questi aspetti residuali, carnali, si collocano i conflitti etici e culturali più creativi e importanti. Ad esempio perché non ricordarci che l’immagine sociale delle donne era così fragile fino a ieri, che parlare pubblicamente e articolatamente di queste cose è una pratica recente e da mettere a punto? Il parto, la cura del neonato, la gestazione sono state a lungo questioni estranee al mondo della speculazione, della rappresentazione, del dibattito delle idee. Erano lo sporco lavoro di cura che si perde nella schiuma della storia e invece adesso possiamo discuterne e farne oggetto di filosofia, politica, creatività. Perché non mettere assieme la ricerca etica e culturale con quella scientifica? Fare la fatica di interpretare i numeri e le parole della scienza, discernendo l’ideologia, l’economia, l’immaginario, la politica, la filosofia? Non possiamo ignorare le acquisizioni della scienza sul ruolo formativo decisivo che hanno la vita intrauterina e le modalità della nascita. La Arendt usa filosoficamente una verità fisiologica. E moltissime narrazioni comuni e della psicoanalisi ci dicono come il parto sia un evento capitale per una donna, che effetti di scoperta crescita benessere o malessere ha su di lei. Osiamo di più, riguardo il percorso nascita così come riguardo le forme delle città, delle economie, delle istituzioni.
    Davvero mi pare che né la Trinci né Gli asini, dicano che diagnosi prenatale o procreazione assistita sono sì o no, bene o male e sparino giudizi calpestando la vita concreta delle persone. Anzi se leggerete la rivista troverete tanti interrogativi e grandi delicatezze. E mi pare anche che nessuna e nessuno pensi davvero che il modo unico o migliore di partorire sia quello che si vede nei reality americani, nelle stanzette ipertecnologiche e affollate del grande ospedale. Possiamo avere molto più benessere, giustizia bellezza di così in tutto, anche nel parto che comunque è fondativo e decisivo per chi nasce e per la donna che partorisce e negarlo non serve anche se tanti distinguo sono necessari. Perché il massimo supporto della tecnologia deve essere in conflitto con la nostra crescita di individui e società dal punto di vista culturale? È un problema come sempre di risorse e utilizzo della ricchezza, ma se ci fosse vero benessere le donne e i neonati potrebbero avere il massimo della cura e anche un ambiente rispettoso, prossimo all’ideale, per un omento così importante. Cosa dice la scienza al proposito, si sono chiesti Gli asini? Come si può essere informate, come si può essere responsabili, supportate, aiutate e preparate a vivere la nascita? Sono questioni importanti per noi e per il nostro futuro. Le paure e le aspettative di una donna incinta nascono nella sua storia familiare tanto quanto nel complesso di rappresentazioni sociali diffuse che incontra nella sua storia. Lo stesso accade a chi si ammala o a chi si trova a educare i figli o a cercare, scegliere, accettare un lavoro. Non chiediamo a poche righe di un articolo di segnalazione di affrontare tutti questi argomenti. Magari alcune espressioni erano sbagliate, magari non è giusto essere sbrigative sul tema del dolore nel parto: c’è tutta una cultura e un mondo di riflessioni da fare e scoprire sul tema. L’epidurale deve essere un diritto garantito e smepre più perfezionato e nessuna deve essere giudicata per la sua scelta. Altrettanto avremmo diritto ai mezzi che ci sono per conoscere, controllare, vivere questo dolore se lo vogliamo, se crediamo per mille motivi. Ci sono modi di respirare, ginnastiche, visualizzazioni, situazioni concrete di assistenza durante il travaglio in posizione libera che lo riducono enormemente e per tanti aspetti è utile. Dire questo cosa toglie al fatto che per alcune di noi è meglio avere l’anestesia? Però c’è ancora da parlarne e cercare, senza voler attentare all’autodeterminazione delle donne che ci è carissima e irrinunciabile, sopra a tutto. Ma non si può buttare tutto solo in autoffermazione e difesa del proprio, perché c’è in ballo un modo di organizzare la conoscenza e le risorse che riguarda il complesso della nostra vita odierna e la sua dimensione politica nel senso più alto del termine. Anche dire che il dolore prepara alla fatica essere genitori è di certo un’espressione poco, anzi pochissimo, felice. Però non ci può impedire di pensare e discutere del fatto che tante persone arrivano oggi alla maternità e paternità senza sapere che fatica comporta accudire bene un bebè in un mondo organizzato quanto a tempi, case e lavori come il nostro. Adesso partirà un’altra raffica di grida o meglio sarebbe affrontare la fatica di un ragionamento su cosa vuol dire accudire ed educare nei primi mesi di vita, sui conflitti, le bellezze, le assurdità che ci propone? Da Lippe ce n’è di lavoro e tu ci metti del buono, e Gli asini pure e tante e tanti altri anche, grazie, ciao Franca

  25. Io sono femminista (e cara Lipperini ti apprezzo da sempre). Detto ciò, vorrei raccontare una cosa: io HO PARTORITO CON DOLORE – e tanto, in un modo che non auguro a nessuno. Dopo varie ore di travaglio ho implorato un cesareo che per fortuna non mi hanno fatto; la faccenda è andata avanti per 14 ore, seguite da un parto di 45 minuti, stavo così male che se mi avessero detto che il bambino era morto non mi sarebbe importato. Eppure, quando è nato, e sono uscita da quel delirio, mi sono rea conto di avere vissuto un’iniziazione, una cosa che mi ha tolto la paura di morire. Da allora sono molto più critica sulla medicalizzazione dei parti (anche se non consiglierei di far le cose in casa e di sottovalutare i rischi): parlo dell’eccesso di cesarei e della mistica dei parti indolori: giusto che chi ha paura possa ricorrere a tutti i sistemi possibili per salvaguardarsi, ma devo dire che per la mia esperienza si il dolore può avere un senso; può essere un’esperienza evolutiva. Non dico che lo sia: può esserlo; stiamo attente a non buttare via tutto, esistono tante verità e sono tutte importanti.

  26. Emy, è positivo che tu dica “può” e non deve”…se pensi che il dolore fisico del parto ti sia stato utile bene..qui nessuno vuole vietare il parto naturale..a me interessa che chi vuole partorire in ospedale possa farlo in sicurezza e che i medici non rifiutino per motivi ideologici di fare l’epidurale a chi la chiede

  27. Esistono tante verità e sono tutte importanti è senz’altro frase da incorniciare. Per questo, anche alle poche (non così poche) righe di un quotidiano è giusto chiedere di dar conto di tante possibilità. Nessuno si è sognato di dire, qui, che una scelta è migliore dell’altra. Purché sia davvero una scelta: purché, ovvero, esistano quei servizi e quelle possibilità (epidurale, fecondazione assistita) a disposizione delle madri e dei padri. Finché questo non c’è, nessuna scelta libera è possibile, non fino in fondo.
    Ps. Lippe?

  28. buongiorno, come fratello di una persona con disabilità gravissima mi stupisco sempre dell’approssimazione di chi ancora parla di “adesione acritica alla diagnosi prenatale”. il problema reale è l’adesione, questa sì acritica, a un modello che vede nel portatore di disabiltà reale, e non quello che potrebbe venire al mondo, un oggetto di politiche compassionevoli e non capace di diritti individuali. questo si traduce in una vita spesa alla ricerca affannosa di sostegni e a combattere con amministrazioni pubbliche ad ogni livello. consiglio a chi non la conoscesse l’ultima pubblicazione di marta nussbaum, “giustizia sociale e dignità umana”, anche per le interessanti implicazoini con il pensiero femminista. quanto alle paure della medicalizzazione della maternità e della salute in genere, presto sarà una delle cose che, se non si invertirà la tendenza delle spending rewiew, sarà una cosa che un giorno potremmo rimpiangere. avevo letto a fine 2012 sul corriere del veneto, una notizia significativa: nella regione del nord est, nei nuovi prontuari per un grave tumore metastatico della mammella, la prescrizione di un farmaco specifico viene riservata alle donne over 65 anni, anche contro il parere degli oncologi che considerano il farmaco generico proposto in alternativa, meno efficace e con effetti collaterali più pesanti. provate a parlare con una ginecologa di un ospedale pubblico non solo del centro sud e vedrete la fatica per garantire quei sostegni che alcuni guardano con sufficienza, in nome di non si sa quale concetto di naturalità.

  29. mi scuso per il refuso. la prescrizione del farmaco antitumorale nel veneto cui facevo riferimento nel post sopra è in realtà riservata alle donne fino a 65 anni … non siamo un paese per vecchie

  30. La lotta è quella: una ripartizione di risorse e di possibilità più equa, un’altra maniera di usare e consumare per tutti. anche nelle famiglie, anche tra uomini e donne. Negli ospedali e nell’uso della tecnologia. ma anche nella scuola. Poi si cerca di pensare a ogni ambito per bene. e le tattiche adoperiamole tutte: la cultura, il discorso intellettuale, le storie di vita, le azioni concrete, le notizie, i reportage, i dibattiti pubblici in concreto o virtuali come questo.

  31. In un commento qui sopra Antonio scrive che, essendo fratello di una persona con disabilità gravissima, si stupisce dell’approssimazione di chi ancora parla di “adesione acritica alla diagnosi prenatale”. La Lipperini lo ringrazia più volte, dicendo che “una cosa sono, davvero, gli intellettualismi, e un’altra, la vita delle donne e degli uomini “.
    Ora non è che leggendo tre righe di commenti si possono tranciare giudizi, però diciamo che da questo breve scambio qualcuno potrebbe concludere che chi ha a che fare quotidianamente con la disabilità, sia portato ad avere posizioni favorevoli all’aborto terapeutico, per evitare problemi e vicinanze con i disabili .
    Nel caso vorrei testimoniare che non è sempre così. Oddio,.. quando si porta per strada un bambino sulla sua carrozzella capita, che i conoscenti si volatilizzino all’improvviso; li vedi in fondo la strada, abbassi gli occhi per scansare qualche buca dell’asfalto e quando li rialzi non ci sono più, spariti, oppure hanno fatto inversione di marcia. magari si erano dimenticati qualcosa… Anche questo isolamento è un problema, ma si può capire e si prova anche un po’ di tenerezza; come l’adolescente timido cambia strada per la fifa d’incontrare la ragazzina dei suoi sogni, pensando “ e poi cosa gli dico?” Così fa chi evita la vicinanza con i disabili, le paure sono un po’ le stesse. paure.
    Mi piace invece come i bambini ( quelli sotto i sei sette anni) superino con facilità la barriera e si avvicinino istintivamente al disabile senza pietà e senza nessun tipo di pregiudizio e ci stanno insieme finchè ne hanno voglia, a volte si affezionano. Comunque volevo dire che per mia esperienza, questa vicinanza con il limite della disabilità, non mi ha portato a pensieri, diciamo pure eugenetici, anzi nel momento in cui per forza o per amore uno è costretto a questa prossimità , scopre similitudini e somiglianze che aiutano anche per relazionarsi con i limiti propri e quelli degli altri. Certo non è che sia tutto un gaudio di letizia , ma a parte che di letizia non se ne vede tanta in giro, credo sia giusto
    ciao,k.

  32. Una delle cose che mi lascia stupefatta dei cattolici “no choice” è l’abilità di rigirare i discorsi a proprio favore. Sei a favore dell’aborto terapeutico? Allora discrimini i disabili. Carissimo K, quello che voi non capite è che non è demonizzando chi fa scelte diverse dalle vostre che si vive: libertà di scelta, per tutte e tutti. Chi decide di seguire una strada, chi decide di seguirne un’altra. Senza per questo essere santi o dannati. Chiaro?

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