Da Zeroviolenzadonne.it, intervento di Valeria Palumbo.
Perfino Achille, credo, si rigirerà nella tomba. Perché il Corriere della Sera, in un editoriale, ha addirittura tirato in ballo l’Iliade e l’ira di Achille per parlare di Massimo Merafina, l’uomo che il 23 giugno ha accoltellato a morte l’ex moglie, Monica Morra, in via Cova, a Milano, dopo averla picchiata davanti al figlio di due anni. Achille? Che eroe, quale epica? Quale poeta potrà raccontare (nemmeno giustificare, ma anche solo raccontare) l’assurdità di un uomo che, per quanto alterato da droghe e alcol, considera l’ex compagna una “cosa” così sua da non riconoscerle il diritto di abbandonarlo e sottrarsi così alla sua violenza? Ci sono tre elementi che, in quest’ennesimo assassinio di una donna, da parte di un suo partner o ex partner, non tornano.
Perché il secondo punto è: dov’è finita la tanto sbandierata legge anti-stalking? La ministra Mara Carfagna non ha fatto ancora in tempo a imparare la corretta pronuncia in inglese che già la legge non funziona: Monica Morra, soltanto cinque giorni prima, aveva chiamato la polizia perché Merafina l’aveva minacciata di morte e poi aveva firmato la denuncia. Adesso l’uomo è indagato per stalking. Accidenti che prontezza. Possibile che la legge non preveda, in caso di una denuncia per minacce di morte, l’allontanamento forzato? Invece il nuovo 612-bis del codice penale lo prevede, altroché. E prevede pene severe per i “molestatori”. Magari ci si concentrasse meno sulle ronde e più sui provvedimenti…
Mi chiedo anche perché, se c’era tanta gente ad assistere alla scena e se una madre è riuscita a portar via il bambino prima dell’accoltellamento, nessuno abbia fermato il pestaggio. Certo, solo nel febbraio scorso, un padre, Mohamed Barakat, era riuscito ad accoltellare e a sparare al figlio di nove anni davanti al personale del Centro dei servizi sociali di San Donato Milanese. La paura farà pure la sua parte, ma avendo più volte assistito alla totale indifferenza della gente in metropolitana, sui bus o per strada quando una donna viene infastidita, derubata o aggredita, potrei pensare che gli italiani, da qualche tempo, hanno i riflessi lenti (li ritrovano tutti quando entrano a far parte delle ronde? O avremo ronde lente? O il termine “rumeno” risveglia i riflessi?).
Terzo punto: i riflessi lenti anche nelle reazioni successive (editoriali epico-omerici a parte). L’Europeo, il mio giornale, pubblicò nel 1960, a firma di Giorgio Bocca, il racconto del linciaggio, in quel di Cremona, di un ubriacone, Renzo Bottoli, colpevole solo di essersi diretto barcollando verso una ragazza, salvo poi inciampare in una moto e cadere. Forse voleva toccarla: non lo sapremo mai. Ma i compaesani, che lo conoscevano da sempre e sapevano che era innocuo, lo uccisero di botte. Quando la gente si lamenta dei tempi cupi che viviamo, dimentica che l’Italia è sempre stata un Paese violento. Non è “passato di moda” lo stupro. Non è passato di moda il linciaggio. E soprattutto se uno picchia la moglie fino ad ammazzarla la prima reazione è: «chissà lei che gli ha fatto», o gli ha detto… Dramma della gelosia, intitolano quasi sempre i quotidiani. Come se si parlasse di uno spettacolo di tango. E nella parola “dramma” non c’è soltanto la comprensione per il “poveretto” accecato dall’ira, ma, sotto sotto, l’idea che una donna i “guai” se li va sempre a cercare. Ma se li cerca fuori casa tocca agli uomini di famiglia o al branco ripristinare l’onore perduto della famiglia, o del paese o del quartiere. Se ad ammazzarla è il marito, be’… non dimentichiamoci che il “delitto d’onore” l’abbiamo cancellato dal nostro ordinamento soltanto nel 1981. E che i mariti assassini (le mogli un pò meno) uscivano impuniti dai tribunali tra gli applausi della folla. Chi applaudiva ieri (ed era soltanto ieri), oggi gira la testa. Una fiaccolata per Monica? Ma scherziamo?! Le fiaccolate si fanno, come quella del marzo 2007 a Milano, sindaco Letizia Moratti in testa, per la sicurezza. In strada. Se poi tuo marito ti picchia e poi ti ammazza per strada e nessuno interviene e le forze dell’ordine non ti hanno protetta nonostante le tue denunce, e i passanti guardano altrove, e il giorno dopo non accendono neanche un cerino in tuo ricordo… be’ in fondo, sei solo una donna.
Sottoscrivo in pieno l’articolo.
Io ho il dente avvelenato con il Corriere della Sera sui temi della violenza alle donne, e in genere sulle donne, ce l’ho in ragione della stima che ho per il giornale, che è quello che leggo quotidianamente, per il suo direttore e per molte delle sue firme – maschi eh le femmine al corsera scrivono di corsetti da sera. Ma è pazzesco come un giornale di norma serio e misurato, non proprio connotato da grande senso dell’umorismo, si sbrachi davanti ai temi della violenza sessuale, della disparità di genere, dei drammi della cronanca, quando coinvolgono le donne. Lo compro proprio per non trovare il titolismo compulsivo in stile Manifesto – che mi incazza – e sono soddisfatta salvo poi essere costretta alla bestemmia, quando ospita pagine dedicate a scienziati discutibili che dicono che le donne o non sanno far ridere o se fanno far ridere nun trombano (ci feci un vecchio post) o quando fanno la scarpetta in storie tragiche e private, che hanno come protagoniste appunto donne, indugiando nei più terribili e poco sofisticati luoghi comuni.
Scusa, non c’entra assolutamente niente con l’articolo, ma volevo ringraziarti per la tua lucida postfazione a Io credo nei vampiri.
Ringraziarti perché, come lettrice, un apparato critico che, tanto per cambiare, sa di che cosa sta parlando ed è in grado di approfondire mi ridà fiducia nella categoria.
Quindi, ecco, grazie.
Non c’è solo sessismo, c’è pure il razzismo giornalistico. Questa storia io l’ho sentita la prima volta al telegiornale. Mi lasciò senza parole. Mentre feci fatica a capire dove era accaduta (nessuna indicazione topografica di Milano fu data durante il servizio), il giornalista, non avendo a disposizione un marito violento magrebino o terrone che avrebbe fatto la sua porca figura s’era inventato questa definizione: “il marito, originario di Quarto Oggiaro, Milano”. ora: Essendo Quarto Oggiaro un quartiere di Milano quella precisazione NON AVEVA SENSO. Ché se il marito abitava in Porta Venezia o in via Montenapoleone credete forse che l’avrebbero specificato? (“il marito, originario di Porta Venezia, Milano”; fa ridere, no?). Ma volete mettere la ghiottoneria di dire, in prima serata “Quarto Oggiaro” giusto per rinverdire il pregiudizio su un intero quartiere popolare?
Metto qui il link all’articolo del Corsera perché merita davvero, come tutti gli altri peraltro, una lettura attenta. A cominciare dal titolo: Padri irati e figli orfani.
La madre, lo si può dedurre, è morta (ammazzata). La donna non c’è.
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