In effetti, la discussione su Alessandro Piperno sembrerebbe non avere mai fine: e i commenti al post di ieri ne sono la riprova. Personalmente, mi piacerebbe che si ponesse un fermo biologico e che si tornasse a ragionare sulla vicenda con la freddezza che si richiede non ai lettori, ai critici e ai cronisti, ma ad una categoria in apparenza demodé come gli antropologi: perché quel che è accaduto va sinceramente oltre la qualità letteraria di un libro, che è l’unica cosa di cui sarebbe pertinente discutere (poi, il libro medesimo può piacere o non piacere, come avviene per la maggior parte dei libri, peraltro: ma questa è altra faccenda).
Sarò anche relativista e postmodernista (altre categorie che rischiano di diventare, di questi tempi, specie protette), sarò persino ottimista (e, per la miseria, mi stanno scippando anche questa, di categoria, connotandola politicamente) e tutto quel che volete: ma a me il concetto che qualcuno imponga a qualcun altro di leggere “a comando” continua a non convincermi completamente. Date un’occhiata alla discussione su Neuronal, e scorrete i titoli che vengono citati da chi vi partecipa, per fare un esempio.
Ciò detto: certo che, come avviene da molto prima di Piperno, esistono meccanismi perversi nell’editoria. Uno su tutti, la sagra dei premi e delle relative compiacenze reciproche. Due su tutti, la ricerca affannosa dell’esordiente anche qualitativamente nullo, purchè si inserisca in filoni consolidati (e no, i nomi e i cognomi non li faccio, stavolta: ma non parlo di Piperno quanto di un caso molto, molto recente e qui mai citato).
Non vorrei, insomma, che accanto al marketing che ci è noto e su cui discutiamo ormai da mesi, nascesse il marketing del rigorismo, o del purismo, o del dogmatismo o chiamatelo come vi pare: laddove ci si accredita esibendo un’anima immacolata.
Che poi, da cosa si riconosce la purezza? Per un critico, è occuparsi soltanto di autori che non pubblicano presso case editrici “griffate”, come scriveva ieri Iannox ? E perché mai, se una casa editrice “griffata” mi propone un buon libro? Giunge molto, ma molto a proposito un post di Stefano Massaron che ricorda cosa succedeva una decina di anni fa, quando la “conventicola” era composta da esordienti o aspiranti tali , quando Carlo Lucarelli pubblicava presso Theoria e Isabella Santacroce e Aldo Nove presso Castelvecchi, e quando, se andiamo sul personale, la sottoscritta scriveva di quei primi libri che di griffe non odoravano affatto.
Poi, se vogliamo, avviene anche che non poche piccole case editrici di oggi si accoccolino e si appiattiscano nella ricerca del filone fortunato: ma anche stavolta, da brava ottimista, mi riservo di tacere.
Be’, Lippa, però adesso ti faccio un esempio: se la Taylor (Elizabeth, Giano editore, “La gentilezza in persona”, “Angel”, “Colpa” soprattutto) l’avesse pubblicata Einaudi, invece che Gianotti – che peraltro neanche mi ha dato i libri da recensire per ilpostodeilibri.it – direi che qualche lettore in più l’avrebbe visto che non ha niente da invidiare che ne so…alla Munro, che pure amo molto. C’è da dire, che ha avuto lo stesso tante recensioni, ma la solita commessa, ieri midiceva che non vende, lei stessa non la conosceva. Ecco, in questo caso, la “critica” ha recensito tanto la Taylor, – io ho visto tante recensioni -ma poi al “pubblico” non arriva. Uno/a stanco/a, va al solito bancone, anche per rassicurarsi, sceglie un libro di quelli bianchi, perchè si fida, con la copertina rigida, (Struzzi) così…perchè non ha voglia di spendere, e ha ragione 16 euro. Li spende uguale, ma almeno ha la speranza che si tratti di un libro di qualità… 🙂 però allora ho ragione io: “Le recensioni non cambiano la vita”, lo userò come titolo per un altro romanzo.
Cara Loredana,
sicuramente occuparsi di critica non è facile, quasi mai per nessuno. Comunque, al di là di questa banalità qui da me esposta, io credo che dovere del critico sia quello di occuparsi dell’editoria, ma a trecentosessanta gradi, e non esclusivamente dei romanzi – per così dire – griffati. A me sta benissimo che si parli di tutti gli editori, grandi piccoli o medi che siano: però se m’imbatto in qualcosa che è solo una vetrina per grandi editori o per libri griffati, allora, mi permetto di storcere il naso. Con ciò non voglio assolutamente dire che la grande editoria proponga al pubblico esclusivamente delle porcate: tutt’altro. Spesse volte propone ottimi autori, difficili anche e non facilmente smerciabili; ma la mia impressione è che il più delle volte la grande editoria faccia la parte d’un Creso che distribuisce al popolo dei lettori – ovviamente bisognerebbe capire se c’è veramente un popolo di lettori – una quantità industriale di libelli e libercoli che hanno valoro nullo. Mi verrà contestato che proprio questi libercoli, o libelli che dir si voglia, sono poi quelli che vengono maggiormente venduti. Non nego che così è: si vendono soprattutto le cavolate, ma se si vendono la colpa non è solo dell’acquirente, ma anche di chi introduce sul mercato libri che valgono nulla. Così, ammettiamo che l’Editoria è anche un business – e nessuno nega che lo è -, io ho spesse volte l’impressione che al business editoriale si sia aggiunto “un andare oltre il business”, creando così circoli viziosi fintamente culturali per cui se non leggi un dato autore di moda, allora vieni preso a sassate o peggio. Sicuramente, almeno per me, l’editoria non è nella posizione di poter scagliare la prima pietra e dirsi senza peccato; ma questo da sempre, o meglio da quando ha cominciato ad esistere il libro e il libro inteso come prodotto, come merce. Perché, in fondo, i libri sono anche merce, o meglio ancora sono anche merce buona per lo “spaccio”. Il lettore acquista – quando acquista -, in molti casi prende il vizio, e l’editore-spacciatore continua ad ingigantire il vizio che ha instillato tra i lettori. Per quanto mi riguarda, i libri migliori li ho trovati presso piccoli o medi editori, raramente nei cataloghi dei “griffati”; ma anche simile osservazione non è del tutto vera, perché anche l’editoria grande propone ottimi titoli, però dedicando attenzione che rasenta quasi lo zero quando si tratta di autori nuovi. A me fa strano che in questo paese che è pieno – e strapieno – di scrittori ed editori, alla fine si finisca sempre col parlare dei soliti cinque o sei editori griffati e dei soliti venti, trenta (?), autori che vanno per la maggiore. Sono quaranta? cinquanta? Sempre siamo di fronte a numero ridicolo, sempre gli stessi nomi. Eppure ci sono tantissimi editori, tantissimi scrittori pubblicati – e assai validi – da piccole o medie case editrici. Il problema è vecchio quanto annoso: la piccola e media editoria hanno una visibilità pressocché uguale a zero, pubblicizzazione poca o nulla, e pubblicità inesistente, perché pubblicizzazione e pubblicità sono due cose diverse e ben distinte. A me sta benissimo che si parli di autori pubblicati da grandi editori – ma per dio! -, avrei almeno il desiderio che si parlasse anche di autori pubblicati da editori più modesti che purtroppo non possono avvalersi né di campagne pubblicitarie né di una ben ramificata distribuzione. Ad ogni modo, siamo invischiati in un paese che ha fatto sue tante contraddizioni e paradossi, per cui, “In the End”, si finisce, bene o male, col parlare sempre del problema “editoria”, però senza mai venirne a capo. Sin tanto che non si prenderà coscienza che l’editoria non è solo quella “griffata” – o grande che dir si voglia -, resteremo fermi, impantanati dentro ai soliti nomi, condannando ad un ingiusto oblio autori ed editori assai meritevoli che meriterebbero almeno almeno un po’ di considerazione e da parte dei critici e da parte del pubblico. E sono cosciente che, oggi come oggi, queste mie osservazioni sono la scoperta dell’acqua calda; eppure era necessario, almeno per me, riscoprire l’acqua calda, anche se poi, già lo so, non cambierà nulla, perlomeno non nell’immediato.
Cari saluti.
Giuseppe Iannozzi
Ilposto, Giano, infatti, è un editore che amo molto, e di cui scrivo. Ma tu lo dicesti: le recensioni non cambiano la vita. Ed è assolutamente vero.
Ienax, tu dici una cosa vera. “Esci a cena la sera e se non hai letto il libro del momento quasi ti rimproverano”. ma quello non è un “problema di editoria”, quello è un fatto diverso, e si chiama “conformismo”, che non è necessariamente una cosa negativa. E’ vero, ci sono situazioni in cui uno si scoccia di dire, “Non ho visto quel film e non me ne frega un cazzo (Biondils, io sono una signora – chissà se lo sono! – e dico cazzo!) di vederlo!”, e allora dici, “Sì, bo, non lo so, lo vedrò…”. Una cosa è certa. Un libro – un film – che “vende” oltre un determinato numero di copie – biglietti – ha “colto qualcosa” di cui c’era bisogno. e’ come per l’innamoramento. “Aha, ma lui/lei, così ricco/a (interessante), perdersi con una/o così….”. “che cos’avrà quella/o, che io non ho?” . Lui/lei ha per quel lui/lui/lei/lei qualcosa di cui aveva- ha bisogno 🙂
Saludos
Giuseppe Iannozzi
Ma infatti, gentile Lipperini, infatti. Il dogmatismo rischia di diventare esclusivismo al contrario: un po’ come mi succedeva al Liceo (Virgilio di Roma, molto di sinistra) che era vietato sfoggiare griffe perchè “siamo di sinistra”, e poi se tanto tanto non ti vestivi pantalone sdrucito con cavallo a livello ginocchia e kefiah eri fuori dal giro di quelli che la sapevano lunga. Escluso, ma al contrario.
Voglio dire che l’attenzione ossessiva solo per i prodotti dei “valenti, puri, coraggiosi piccoli editori” diventa snobismo al contrario, e miopia culturale, e che la partigianeria in quest’ambito è un atteggiamento sbagliato.
Tra l’altro denota anche una certa dose di malcelata invidia: sono convinto che la maggior parte degli scrittori (o aspiranti tali) che sparano a zero, su questo e altri blog, contro i soliti noti colossi editoriali… se a questi polemisti Mondadori o Rizzoli proponessero un gran contratto, ne sarebbero ben felici. E in seguito, fidatevi, sarebbero molto meno intransigenti.
Non sono sicuro di aver capito. L’idea che non ti convince riguarda l’orientamento del gusto da parte dei critici? (o l’imposizione). Se è questa, e resta vaga, oltre che poco convincente è scriteriata. A costo di ripetermi, una critica dell’industria culturale impone l’individuazione di un responsabile, di una missione di addestramento culturale, e di uno scopo sociale come prodotto finale (altrimenti è teoria suprema della paranoia)
@ ilpostodellui/lei.it
Esiste anche il conformismo, purtroppo. Ma forse, come dici bene, potrebbe non essere del tutto sbagliato. Ma può diventare assolutamente sbagliato quando sfocia nell’ossessione di leggere esclusivamente le novità e dimenticare che la cultura non è fatta e non si basa solo sulle novità editoriali, cinematografiche, discografiche, ecc. ecc. Eppure c’è gente che legge esclusivamente le novità, ostentando quello che io definisco un “dannunzianesimo perverso ed ignorante”, perché è all’asciutto di tutto il resto e neanche sa un po’ di Dante o Manzoni o Leopardi. Una cultura che ha radici solo nelle novità, a mio avviso, è una finta cultura, utile ai salotti, utile per far quattro chiacchiere tra amici, ma nulla di più.
Saludos
Iannox o Ienax o come preferisci, per me è lo stesso
IL POSTO, dì pure quel CAZZO che vuoi… 😉
Biondils, quando riesco a far sì che qualcuno si senta più…come dire libero, e asuo agio sono una donna…come dire, sazia! 🙂 cn un po’ di fatica ce l’abbiamo fatta. ah!
Sul marketing del dogma sono del tutto d’accordo.
Non succede solo in letteratura,succede un po’ ovunque, oggi.
E mi preoccupo.
“Tutti dicono che pubblicare è difficile, che gli editori sono schizzinosi,
che ci sono più scrittori che lettori o, se mi consentite la metafora, ‘più
santi che nicchie’. E allora spiegatemi perché, per me, le cose sono state
così facili: non faccio in tempo a completare la mia prima ‘fatica
letteraria’ (‘Come farsi pubblicare al primo colpo da un grosso editore’)
che subito ricevo una proposta di pubblicazione da un grosso editore. Sarà
solo fortuna o magari anche genio? C’è chi deve aspettare decenni prima di
trovare uno straccio di editore. Io invece, al mio primo tentativo, ho
subito trovato un grosso editore. Vi pare poco? Correte, dunque, festosi ad
acquistare il mio primo lavoro. Si intitola ‘Come farsi pubblicare al primo
colpo da un grosso editore’, Grosso Editore.”
…ti preferivo quasi come anonimo 🙂
Grande sensazione di discorsi lambiccati invano: dopo adeguata distillazione (mi riferisco ad alcuni commenti particolarmente verbosi) mi ritrovo in mano “esattamente niente”. Si dirà: ma tu eri partito dicendo di non avere capito: sì, ma non ambisco ad una stupidità eterna (finirà a monologo tra me e me, altrove, ritengo l’argomento interessante).
Ciao
qualche anno fa rispondendo sullo stato di salute del cinema italiano Nanni Moretti disse che era ora di farla finita col vittimismo.Che si facessero film migliori.Credo anch’io che il talento trovi la strada da solo.E ora,dal bussolotto la citazione della sera:”non è colpa tua,non è colpa di nessuno.Così sono uscite le carte”(mezzogiorno di fuoco).Domani Sabato
Visto? Malgrado i tuoi disperati tentativi di nobilitare il tuo scrittore di culto (G.Biond.), Nico Orengo ti ha messa a posto, oggi su La Stampa:-)
Rispetto agli scrittori per ragazzi di un tempo, alcuni scrittori di oggi hanno il merito di proporre storie in cui vi sono più punti interrogativi che esclamativi, meno risposte già date e più incitamenti a cercarsele da sé.
Mi auguro di appartenere a questa schiera.
Sono certo che i tuoi figli amerebbero “Quella bruttacattiva della mamma!”, ormai reperibile solo al mercato nero. Se vuoi, posso mandargliene una copia:-/
Senti, Fake, fuori dai denti: tu che sei uno scrittore per ragazzi, pensi in tutta coscienza di trasmettere positività ai tuoi lettori?
Io non ti conosco: ma se devo giudicare dalla serenità dei tuoi interventi, son più tranquilla a mettere in mano ai miei figli i libri di Clive Barker…
So che non c’entra (quasi) nulla. Ma sulla (ex) letteratura di (ex) genere, hai troppo ragione tu. E Nico Orengo puo Tuonare e Fulminare altrove.
http://cletus1.clarence.com/permalink/193821.html
… ora, mi pare che ci sia bisogno di “metterla giu’ dura” e cominciare davvero a mettere i paletti – dove decidetelo voi – su queste lunghissime argomentazioni sull’industria culturale.
Visto che l’editoria in senso moderno in Italia ha almeno 60 anni, ci possiamo permettere uno sguardo all’indietro: a me pare, obiettivamente, che la letteratura che conta di questo Paese, quella di Vittorini, Pavese, Levi ,Meneghello, Calvino, Moravia etc etc… – è inutile fare elenchi tanto ci siamo capiti – persino Satta e D’Arrigo..!.., è stata pubblicata da medio-grandi editori. Insomma, NON E’ LA PICCOLA PICCOLA EDITORIA AD AVERCI CONSEGNATO LA NOSTRA CULTURA PIU’ SOLIDA.
Questo perché, com’è noto, il genere romanzesco in questo Paese è stato a lungo considerato un genere di minore diginità, anche a dispetto di chi, come Manzoni, D’Annunzio e Verga, aveva già dato grandi dimostrazioni nell’Ottocento/inizio Novecento. Il primato della lirica, della scrittura elegante, degli elzeviri sulla “terza”, passava proprio per alcune gerarchie che furono spazzate via dagli EDITORI e non dagli scrittori più in voga e capaci di quel periodo. Furono I GRANDI EDITORI a spingere per il romanzo, genere moderno per eccellenza, perché ne intuirono le enormi potenzialità – anche in termini di profitti, ovvio – favorendone la pubblicazione, inaugurando una “moda” – che allora poteva passare per commerciale, brutale – che prese di contropiede l’ufficialità letteraria, spesso rifugiatasi proprio nelle paginette degli editori preziosi, delle collane d’elite.
I grandi editori, in questo paese, ci hanno dato l’unica letteratura moderna che abbiamo. Quindi, secondo me, la funzione della piccola editoria, alla luce della storia della letteratura italiana del ‘900, ne esce MOLTO RIDIMENSIONATA.
Voi cosa ne pensate..?
Ma è vero che tu avresti scritto la prima stesura di “Aldo Dieci” (l’immonda per il culo di Aldo Nove) per Castelvecchi? (Forse l’ha scritto Parente da qualche parte). Lellox.
Certo, Lello, naturale: e già che ci siamo sono anche Elena Ferrante, Richard Bachman e Melissa P 🙂
Quanto ai Fulmini di Nico Orengo: non mi sento troppo fulminata, se posso dirlo. Siamo semplicemente in disaccordo sullo “stereotipo” fondatore del genere, ma mi sembra un modo estremamente civile per approcciare l’argomento.
Angelini: temo che i miei figli stiano effettivamente per passare a Clive Barker, ma io leggo volentieri.
Io, in effetti, da preadolescente leggevo King e Barker, ehm. Non so se questo sia un bene, alla luce…
🙂