LA SPIRALE DELLE MADRI E LE ELEFANTESSE DI DUMBO

Ieri abbiamo parlato di madri, a Fahrenheit. E per fortuna si comincia a parlare anche delle cosiddette “cattive madri”, quelle che coltivano sentimenti ambivalenti verso la maternità, una volta diventate madri, però. Lo abbiamo fatto con Brenda Navarro (“Case vuote”, Pequod) e Fuani Marino (“Svegliami a mezzanotte”, Einaudi). Ma cominciano a circolare diversi romanzi che affrontano il tema: su tutti, segnalo “Maternità” di Sheila Heti (Sellerio), che è un testo complesso e importante, molto discusso negli Stati Uniti. Traggo la citazione da Rivista Studio, in un bel pezzo di Valentina Della Seta.
«I nuovi libri sulla maternità sono un contro-canone», sostiene Lauren Elkin su The Paris Review. «Si oppongono al canone letterario che non si è mai interessato alla vita interiore delle madri, agli scaffali di manualistica sull’educazione dei figli, all’egemonia strisciante della maternità perfettina da social media».
Il problema è con i social le cose si sono complicate, invece di semplificarsi (la solitudine delle madri di oggi, a chi può fare riferimento?).  C’è una vecchia teoria, quella della spirale del silenzio, che Elisabeth Noelle-Neumann formulò negli anni Settanta in un testo che arrivò in Italia nel 2002 (La spirale del silenzio – Per una teoria dell’opinione pubblica). Neumann, in poche parole, sostiene che l’afflusso continuo di notizie da parte dei media può disorientare il pubblico fino a renderlo incapace di comprendere non solo le stesse notizie, ma il grado di attendibilità dei media stessi (e infatti).  Il disorientamento è insieme un cedimento del singolo, che vive nel timore di essere minoranza rispetto all’opinione pubblica e tende a conformarsi alla medesima anche se parte con un’idea diversa. Un senso statistico innato, sostiene Noelle-Neumann, che porta la maggioranza a ritenersi più vasta di quel che in effetti è. Provando ad applicare la teoria alla rete, ci si trova davanti a tante maggioranze dove però tende a verificarsi un fenomeno molto simile: il dissenziente all’interno di un gruppo viene raramente sostenuto, molto più facilmente espulso. A meno che non decida di tacere.
E questo è appunto un problema, per quanto riguarda il materno. Perché si può essere “culturali” quanto si vuole, ma infine il concetto di sacrificio – concetto cattolico radicatissimo nella nostra vita – è quello che ti morde il cuore. Se non ti sacrifichi, non sei. Questo, temo, è il vero punto della “diversità” italiana: un paese che santifica le madri, e dove le madri sono talmente intrise del concetto di sacrificio, volenti o nolenti, che nei fatti hanno ottenuto pochissimo in termini di riconoscimento sociale. Perché comunque quello è il “loro” compito, e perché, se si chiama in causa la Natura, non si può che riferirsi alla donna, tagliando fuori il padre se non come colui che vigila sulla simbiosi madre-figlio. Dunque, si re-genderizzano i ruoli, e pesantemente. Anche ignorando la storia e insistendo che “prima” (prima del consumismo, prima della “perdita dei veri valori”) si faceva così: invece, almeno per il periodo che va dalla fine dell’Ottocento alla fine della seconda guerra mondiale le contadine allattavano circa fino al dodicesimo mese e poi smettevano passando direttamente ad alimenti solidi. Le classi alto borghesi, tranne qualche eccezione, usavano ancora la balia. Le operaie – spesso impegnate in piccole realtà industriali – smettevano di allattare quando tornavano al lavoro. Di media una settimana dopo il parto.  Vallo a dire oggi.
Specie per la depressione post-partum, ancora tabù.
Penso alle elefantesse di Dumbo sono quelle che dicono “Tesoro” all’elefantino, tranne poi bisbigliare perfidie quanto scoprono che le sue orecchie sono più grandi del normale.
Le madri-elefantesse farebbero oggi qualcosa in più: direbbero che la colpa di quelle spropositate orecchie va ricercata in qualche debolezza, o errore, o inadeguatezza, della mamma di Dumbo. Le cattive madri, additate in ognuna delle centinaia di migliaia di discussioni in rete (o davanti alla scuola all’ora di uscita, o al parco, o sul luogo di lavoro, o dove volete) sono quelle che prendono tempo per sé. Che danno ai figli gli omogeneizzati “per poter fare altro”. Che li piazzano davanti alla televisione “per poter fare altro”. Che fumano. Che, anche, lavorano.
Le cattive madri sono quelle che soffrono di depressione post partum. Dicono che siano il 10% delle mamme, ma sembra che si arrivi invece a otto donne su dieci, e che neppure un terzo di loro chieda aiuto. Il baby blues, o maternity blues dovrebbe riguardare almeno il 70% delle puerpere, che spesso, spessissimo, non sanno a chi parlarne, perché i luoghi di ascolto e cura sono rarissimi, e il ruolo dei consultori, come abbiamo visto, è sempre più esile.
Infine, le donne fanno fatica a parlarne e ad ammettere che non si sciolgono di radiosa felicità davanti all’esserino che urla tutta la notte. E a volte rischiano nel farlo: nel giugno 2010, dopo l’uccisione di un bambino da parte della madre, Giorgio Vittori, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), e Antonio Picano, presidente dell’Associazione Strade Onlus e responsabile del progetto ‘Rebecca’ per la prevenzione e il trattamento della depressione in gravidanza e nel puerperio, propongono al ministro della Salute il Trattamento Sanitario Obbligatorio extraospedaliero per le donne affette da depressione post partum, “a rischio di infanticidio”. “Il trattamento sanitario obbligatorio extraospedaliero, ricorda una nota della Sigo, consente di adottare limitazioni della libertà personale per ragioni di cura, all’interno dell’abitazione del paziente. Un’equipe specializzata potrebbe occuparsi continuativamente 24 ore su 24 delle donne con comportamenti potenzialmente omicidi”. Giovanni Battista Cassano, padre della Fondazione Idea, uno dei maggiori psichiatri italiani, si dichiara contrario e propone, invece, l’elettroshock: “Speriamo di liberarci presto dai lacci del ’68 in modo da praticare la strada dell’elettroshock anche nella depressione post partum. Non utilizzare questo trattamento è una gravissima omissione perché tutte le linee guida internazionali lo indicano come la cura efficace per prevenire gesti drammatici.”
Il pericolo è anche nello scherno, non soltanto nell’elettrochock: perché se scampi al secondo, il primo ti taglia le gambe.
Quando la scrittrice Debora Papisca raccontò il proprio baby blues in Di materno avevo solo il latte, il critico Giorgio De Rienzo la recensì su Vanity Fair. Così: “Deborah inaspettatamente scopre di essere incinta di una bambina che non vuole, partorisce e va in depressione. Che razza di madre sarà? Si sente colpevole perché non prova affetto per la figlia: ma attraverso peripezie recupera il senso della maternità. Peccato, ci si aspettava un bell’infanticidio.”
Quando Cristina Comencini trae un film dal suo romanzo Quando la notte, riceve un trattamento simile alla Mostra del Cinema di Venezia. Guai raccontare di una madre in crisi, che arriva a picchiare il figlio per uno stress non compreso e non curato e aumentato dal pianto continuo del bambino. Raccontava Cristina: “La maternità può anche essere solitudine, proprio per il legame viscerale tra la donna e la sua creatura. Ma esiste, o dovrebbe esistere, anche il padre, il cui compito non è cambiare i pannolini, ma spezzare quel rapporto simbiotico spesso pericoloso; entrare nel cerchio, dare amore al figlio e alla donna, non facendone una intoccabile Madonna”. Durante la proiezione, sghignazzi e fischi. Non va raccontato che le donne si sentano accerchiate, spaventate, raggelate dal pianto che non cessa mai. Che desiderino tornare indietro. E non necessariamente finisce con la morte, per acqua o lama. A volte è la morte dentro, la sottrazione, l’indifferenza, il raggelamento, la disapprovazione. In alcuni casi, per tutta la vita.
Is it possible? – Isn’t there some mistake? Just look at those, those E-A-R-S. Those what? Oh, ears! These! Aren’t they funny? Oh! – Oh, my goodness! (Sceneggiatura di Dumbo: le elefantesse).

3 pensieri su “LA SPIRALE DELLE MADRI E LE ELEFANTESSE DI DUMBO

  1. Grazie mille per queste importante contributo. E grazie per la trasmissione di ieri. La retorica sulla maternità è insopportabile e schiacciante. Ho visto madri disperate, con lo sguardo perso, anche per l’incomprensione e la tacita, ma mica tanto, disapprovazione degli altri.

    1. Scusi, sta bene?
      Ps. Vedo che lei è Andrea Cornali, quello che insulta Atwood e insulta le donne con epiteti violenti e volgari, già bannato su Facebook, ora bannato qui. Un consiglio: si curi.

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