LASAGNE

A proposito di modelli e di maternità. Anais Ginori, su Repubblica di oggi, parte dalla “classifica” del Wall Street Journal basata sul mercato editoriale che alle madri si rivolge.
E alla fine il campionato mondiale l´ha vinto l´Italia. O meglio le italiane, nella veste di supermamme, con atletica prestanza sempre prime al traguardo. Amorevoli, premurose, indulgenti e presenti in ogni momento, angeli custodi da zero anni fino all´eternità. Una figura di maternità assoluta e ideale secondo il Wall Street Journal che ieri ha messo a confronto i tanti modelli proposti alle donne dal mercato editoriale, una produzione sconfinata di manuali, con teorie e consigli non sempre richiesti, ma che speculano sull´insicurezza di ogni nuova madre.
Ha incominciato la professoressa americana Amy Chua, con il suo elogio della “mamma tigre”, che cresce i figli a pane e dovere, legandoli alla sedia per studiare russo e violino e poi li caccia di casa appena passata la maggiore età. Insomma, il ritorno alla vecchia autorità dopo la parentesi lassista del Sessantotto. Qualche settimana fa, è toccato alla giornalista statunitense Pamela Druckerman. Dopo aver vissuto dieci anni a Parigi, nel suo libro Bringing Up Bébé ha decretato il primato delle madri francesi, meno drastiche ma pur sempre severe. Le maman transalpine, sostiene Druckerman, riescono ad accudire i pargoli senza sacrificare la loro femminilità, indossano il tacco alto spingendo il passeggino, insegnano ai pargoli le buone maniere ma anche a cavarsela da soli.
Ora pare che sia in uscita un´altra ondata di titoli sulla maternità perfetta, che notoriamente non esiste. Il quotidiano americano citava ieri il saggio di una mamma boliviana, Atahualpa Vargas, che s´ispira addirittura alla saggezza delle donne inca, mentre secondo lo studioso Addfwyn Griffith la superiorità è delle abitanti del Galles, nel Regno Unito, perché «evitano di ripetere continuamente ai loro figli quanto siano speciali». Tralasciando altre novità editoriali in arrivo, quello sulle mamme della Mongolia che vivono in branco e senza uomini o quelle delle isole Fiji che non conoscono la pioggia, la sentenza finale del Wall Street Journal è netta. L´affetto che viene da un cuore di “Mammà” non ha eguali al mondo, scrive il commentatore Joe Queenan, ricordando ancora l´invidia per i manicaretti che cucinava la madre italo-americana di un suo amico d´infanzia.
L´eccellenza italica rischia però di essere un cliché e forse una trappola. «È un modello un po´ datato» commenta la psicologa Silvia Vegetti Finzi, autrice di molti saggi sul tema tra cui Il romanzo della famiglia appena ripubblicato negli Oscar Mondadori. «L´identità materna si sta ridefinendo anche da noi», continua. «Le donne stanno uscendo dal calco ideale cattolico, rifiutano una figura tradizionale e santificata». Lo stereotipo della mamma dolce e tollerante deve fare i conti con le nuove coppie, l´emancipazione femminile, tensioni crescenti tra professione e famiglia. Oltre alle coccole e alla pastasciutta, i figli italiani ricevono ormai un´educazione varia e ricca di stimoli. «Più che l´antica mamma-chioccia, parlerei oggi di una mamma-allenatrice» conclude Vegetti Finzi che vede prove di questa modernità nei tanti blog di donne che bocciano vecchi schemi da replicare.
«Le mamme italiane non vogliono essere definite tigri, in carriera o iperprotettive» spiega Flavia Rubino, blogger di “Vere Mamme”. «Lottano quotidianamente per trovare, con autonomia e indipendenza di spirito, il modello che funziona per loro, ciascuna sulla base della propria situazione professionale e familiare». L´Italia che celebra il mito materno è anche il Paese dove non si fanno più figli. Non c´è troppo da festeggiare. Anche Chiara Cecilia Santamaria, autrice di un libro sulla sua maternità controcorrente e di un popolare blog “Ma che davvero?”, è critica. «Questa idealizzazione del ruolo della madre da noi è diventato bagaglio culturale ed emotivo pesante da gestire. Le giovani madri vorrebbero tornare al lavoro, leggere qualche libro o continuare a uscire la sera senza essere giudicate o sentirsi in colpa». Il “bimbo-centrismo”, racconta Chiara, è una sindrome tipicamente italiana, non sempre benefica. «Forse su questo ci potremmo un po´ aggiornare». Si continuerà a discutere di vincenti o perdenti. Ma per fortuna non è una gara.

14 pensieri su “LASAGNE

  1. La maternità in Italia (grazie allo stereotipo sacrificale cattolico) è stata talmente esaltata, santificata, proclamata come elemento fondante dell’identità femminile tanto che, appena sono stati introdotti i contraccettivi c’è stato il crollo delle nascite. Ci sarebbe molto da riflettere su questo dato

  2. Sì Alessandra, a un certo punto però c’è un limite anche allo stereotipo dello stereotipo (dell’influenza della orrenda cultura cattolica). Argomento stralogorissimo, riproposto sistematicamente e quasi per dovere in molti ambienti come un ritornello, straprevedibile ormai, dunque noioso .
    Nessuno è realmente obbligato a farsi condizionare dalla cultura cattolica e se non la si approva o la si detesta la si può ignorare, su tutti i fronti.
    Certo che se i battezzati continuano a essere la stragrandissima maggioranza, hai voglia a togliere potere al Vaticano! E magari, ma magari sul serio domattina ci svegliassimo con un 5% di battezzati al posto degli attuali 90% e passa!

  3. il livello della discussione sulla maternità che c’è sui blog è secondo me infinitamente più basso di quello che c’era su molti forum di genitori di dieci anni fa.
    come se si fosse dimenticato quello che avevamo elaborato a suo tempo, e si ricominciasse sempre da capo… e di nuovo, e di nuovo e di nuovo.
    comunque si, sarebbe il caso di ricominciare ad uscire di casa, ma non solo per essere madri migliori, ma soprattutto per diventare cittadine migliori.
    una piccola osservazione. dopo il post di ieri, più che condivisibile, era proprio necessario, fra i mille blog di mamme che ci sono, citarne uno che è pieno zeppo di pubblicità?

  4. Ci sarebbe molto da riflettere su certi sillogismi.
    Le donne italiane sono battezzate al 90 per cento
    le donne italiane sono vittime dello stereotipo che identifica il femminile col materno
    quindi basterebbero meno battesimi per emancipare le medesime
    Però funzionerebbe altrettanto bene così:
    Le donne italiane mangiano spaghetti al novanta per cento
    e donne italiane sono vittime dello stereotipo che identifica il femminile col materno
    quindi basterebbero meno spaghetti – ecc
    Mi aspettavo di più dal “pensiero della differenza”
    Questo mi sembra pensare a spanne.
    Poi mi si dice che in effetti il cattolicesimo è sempre meno praticato e condizionante visto che la pillola ha prodotto il crollo delle nascite.
    Però meno battesimi va bene lo stesso, così il Vaticano perde potere.
    Si potrebbe ricavarne che se mangiamo meno spaghetti riusciamo a raddoppiare l’ICI a Barilla e Voiello.
    No, non mi sono fatto una camma di prima mattina.
    E voi signore?

  5. Più che la “cultura cattolica”, che poveretta ormai è chiamata in causa a ragione o a torto per ogni nefandezza, penso che questo emergere delle mamme sia in realtà dovuto in gran parte a quel fenomeno che Pietropolli Charmet definisce “il cucciolo d’oro”. Nella nostra società la natalità è talmente bassa che il bambino viene visto quasi come un’entità rara e quindi preziosa, da adorare, e via con le fotografie, i post sui dentini e l’allattamento e i suoi problemi intestinali (bello eh? Sapere che tutto il mondo (potenzialmente) può sapere quanto vai di corpo durante il giorno), queste mamme che non dormono la notte perché a ogni Uèè devono essere lì pronte con la tetta nuda… Ma voi ve le vedete le nostre mamme o nonne a scrivere su internet (se lo avessero avuto) tutti ‘sti sacrifici inutili fatti per immolarsi per il proprio bambino d’oro? Penso che in base ai criteri di oggi mia mamma e le mamme dei miei amici sarebbero considerate da “servizi sociali” (e ho trentanni, non ottanta): venivano prima loro di noi, se c’erano più bambini in famiglia poi, figuriamoci, potevi cadere e grondare sangue e nessuna madre si agitava più di tanto. Adesso ti nasce un bambino e devi “morire” per lui, devi dargli tutto, lo vedi come il tuo principe/principessa, altro che cattolicesimo…

  6. Più seriamente (di prima).
    Una cosa che mi chiedo spesso è come mai ci sia questa attenzione ossessiva all’immaginario di riferimento (che si vorrebbe meno santificato e sacrificale e più laicamente estetico e psicologico, e sarei anche daccordo), e così poca consapevolezza del fatto che linguaggi e ammennicoli (dell’uno o dell’altro tipo) possono in realtà rivestire comportamenti materni puramente mimetici, cioè incapaci di trasmettere al bambino l’unica cosa di cui il bambino ha realmente bisogno, cioè una conferma della propria “bontà” a contatto di una maternità vissuta, partecipata emotivamente e non semplicemente “recitata”. Perchè il vero e drammatico problema è questo, e non se si spinge il passeggino con gli zoccoli o con i tacchi a spillo. E te ne accorgi non appena frequenti i ragazzi, ed entri in rapporto con comportamenti diffusi come i disturbi alimentari, o le tossicodipendenze, o i bullismi vari.
    La costruzione di un sè buono passa attraverso l’intimità e la parola dei genitori, e senza ridurre il ruolo materno al lato “corporeo” e quello paterno a quello “culturale”, direi che almeno in origine la prossimità corporea con la madre è determinante. Vogliamo dirlo o no che le proiezioni sul “principino” o la “principessina” possono appagare l’immaginario narcisistico dei genitori nascondendo una glaciale distanza rispetto a quelli che sono i bisogni emotivi reali del bambino? E che le abbondanti profferte dell’industria della nursery sono pure e semplici opzioni merceologiche, per cui rifiutare lo schematismo del rosa in favore di un look più variegato non mette al riparo dal fallimento di funzioni genitoriali sempre più compromesse, proprio come guepieres e preservativi alla fragola non garantiscono una sessualità libera e felice?

  7. Ma no, @ilaria, non credo sia questo, col cavolo che io voglia “morire” per lui/lei. Col cavolo che proietto “principessità” sui figli. Ogni tanto anche un calcio in culo e pedalare. Però esiste un termine interessante che, almeno io ho “scoperto” con piacere, da padre: consapevolezza. E, aggiungo, responsabilità. Non la faccio lunga oltremodo.

  8. E poi, scusami Loredana, ma secondo me si parla troppo di madri e poco di padri. Se ormai le madri sono diventate una pura categoria merceologica, da quest’altra parte ci sono ancora abissi da colmare. Abissi emotivi, abissi di responsabilità, abissi di rispetto. Talvolta anche, mi permetto, abissi di stupidità.

  9. Penso che la maternità sia incomprensibile alla definizione del pensiero, soprattutto alla linearità del linguaggio, per cui i vari tentativi di descriverla sono sempre destinati a fallire.
    Certo che un articolo come questo ci mette anche del suo. Ho provato a leggerlo e a rileggerlo e non mi è riuscito di trovarvi altro che un collage di clichè contraddittori esposti con finta equidistanza, anzi direi con una vaghezza piuttosto sospetta. Alla fine l’articolo non dice niente, e il niente è il nemico della maternità (e della vita). Non mi sorprende quindi che uno scritto simile trovi asilo, in un giornale come repubblica.
    Per cui l’unica cosa che quest’articolo mi può insegnare è la conferma dei sospetti che nutro su questo tamarro quotidiano.
    Se mi è concesso inviterei invece le lettrici e i lettori di questo Blog, ad acquistare e leggere Avvenire che (per me) è miglior quotidiano in Italia, e comunque a tutti quanti può offrire argomenti notizie, realtà diverse dal meinstrim che alla fine viene anche annoia.
    ciao,k.

  10. k
    il quotidiano Avvenire io lo leggevo anni fa e sinceramente perché in quel periodo (abbastanza lungo) mi arrivava a casa “a gratis”; prima di allora ero prevenuta e non lo leggevo.
    Io penso sia di sicuro un giornale interessante; non più di altri però e non il migliore …. io di giornali “migliori” non ne conosco a oggi e preciso che per me l’interesse che mi suscita un quotidiano è inversamente proporzionale alla coincidenza delle idee che lì vengono proposte con le mie.

  11. @ilaria magari le nostre nonne e le nostre mamme non avevano siti internet a cui rivolgersi, ma in compenso avevano una fitta rete di relazioni familiari su cui fare affidamento in caso di ansie dubbi e problemi. Per carità, è vero che il bimbocentrismo esiste e che, come tutti gli eccessi, non porta benefici nè ai bambini nè ai padri/madri preda di tale smania, mi sembra comunque che sia scorretto fare di tutte le erbe un fascio e buttare tutto in un calderone di riprovazione contro chi vuol fare solo la mamma.
    Non parlo per esperienza perchè sono una mamma che lavora a tempo pieno ma mi piace pensare che ci sia posto per tutti, purchè sia una libera scelta: per le donne e gli uomini che vogliono realizzarsi nel lavoro, per quelli che si barcamenano tra il lavoro e la famiglia e per chi si sente realizzato solo in quest’ultima (e anche se sono pochissimi ci sono uomini che lo sono). Mi sembra più che giusto combattere perchè ci sia un adeguata rappresentazione della donna nell’immaginario collettivo che vada oltre l’aspetto materno in modo da eliminare i condizionamenti della società ed arrivare ad una libera scelta, davvero consapevole.
    Mi da fastidio però il messaggio sotterraneo che “mi sembra” passi in molti dei post che leggo qui e cioè che non si debba considerare la realizzazione nella famiglia come una possibile alternativa.
    Una donna o un uomo che desiderino occuparsi della famiglia sono da condannare come obsoleti? Io non credo.

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