LEGGERE (E RILEGGERE) TOMMASO LABRANCA

Due giorni in cui le riflessioni sul trash sono state, a vario titolo, al centro di almeno un paio di articoli: sabato è stato Michele Serra, nella sua rubrica su Repubblica, ad invocare il silenzio sul medesimo (perché forse così, diceva,  fenomeni come le Lecciso sister non troverebbero giustificazione), oggi è Ranieri Polese sul Corriere della Sera a notare come alcuni fenomeni aborriti anni fa conoscono adesso altri onori (ad esser giusti, il suo era comunque un discorso più sul “popolare” che sul trash vero e proprio).
Per evitare confusioni,  sarebbe forse il caso di andare a rileggere il libro da cui, almeno in Italia, tutto partì: giusto dieci anni fa, Tommaso Labranca pubblicava Andy Warhol era un coatto, presso Castelvecchi. E Tommaso era davvero uno dei primi non solo a cercar di capire cosa significassero, per dire, i calendari con le modelle scosciate sopra i vari modelli di bara (sì, già nel decennio scorso, posso testimoniare), ma anche a studiare il fenomeno con molta serietà, e non con l’affascinato e occasionale disgusto con cui i melomani incalliti ascoltano, fra una Callas e una Sutherland, i dischi di Sylvie Vartan.
Quel discorso è stato ripreso e approfondito da Labranca in un libro del 2002, Neoproletariato (Cooper&Castelvecchi), dove si diceva una cosa vera quanto tremenda: il popolo finisce nel momento in cui i suoi esponenti dichiarano di non farne più parte. Questa non-appartenenza – diceva Labranca – viene espressa negando uno dei valori principali dei popoli, ossia l’unità, e aspirando invece alla definizione della propria presunta singolarità. Dopo la fine del popolo la lotta non è più quella proletaria in cui una massa di diseredati combatte contro pochi potenti, ma è una guerra intraproletaria per la conquista dei pochi posti di vip rimasti liberi.
In altre parole. In una dimensione realmente proletaria dieci persone controllate, spiate, gestite da un solo e invisibile potente si sarebbero unite per abbattere il tiranno. Nella dimensione neoproletaria, ossia dopo la fine del popolo, le stesse dieci persone, nelle stesse condizioni, hanno lottato invece singolarmente tra loro per ottenere il consenso del potente invisibile. Lo fanno da anni, in prima serata su Canale 5.
Ora il Labranca-pensiero ha dato vita ad un altro libro, scritto con Dea Verna e diverso dai precedenti, anche se l’oggetto sono sempre i neoproletari di cui sopra: si chiama Grazie fratello, è appena uscito per Kowalski e analizza i tipi umani del reality show più famoso della televisione. Fa ridere, sì, ma mettendolo nel contesto delle riflessioni precedenti sul trash e sul popolare, porta anche qualche riflessione più inquietante, e molto meno sbrigativa, dei tanti articoli sulla Lecciso che spuntano ora come pratoline.

14 pensieri su “LEGGERE (E RILEGGERE) TOMMASO LABRANCA

  1. Sarei tentato di dilungarmi sul tema, ma scelgo questa scorciatoia: il “vippismo” è semplicemente diventato un bene posizionale come tanti altri.

  2. Loredana egregissima
    Io non so chi sia questo Labranca perché vivo in un mondo stratosferico o speloncale( a scelta) appartato assaissimo e mi sorprende il titolo che mai conobbi di un Warhol coatto: e curiosità mi punge di sapere che voglia dire cotesto “coatto” appiccicato all’empio Andy.
    Io ci ho una, la fissa inverenconda, forse, e moralista di pensare che Andy fosse un furfante, un birbone esemplare; esemplare dico nel senso che fu preso ad esempio da mille epigoni dediti più che mai alla devozione a Mammona, al successo tout court, al vendersi al migliore offerente, al trasformarsi in cesso vivente.
    Che poi al mondo piaccia così, ciò né mi queta né mi convince.
    Detesto le sue frasi ed il suo farsi, per quanto un po’ dada, cioè divenire denaro personificato: “Io sono il denaro”.
    In questo senso forse potrebbe dirsi “coatto” soltanto se costretto da un psiche malata, deteriorata da svitanti traumi infantili, inconsapevole di qualsiasi suo atto, quasi automa ad impulsi.
    Pare che il detto “artista” fosse discretamente conscio di quanto stesse facendo ed operando e trovò terreno fertile in mercanti più che adeguati ed in un pubblico totalmente scimunito, ingenuo o bue( senza offesa per i bovini).
    Tanto più che il detto personaggio faceva immagini molto verosimili: foto colorizzate.
    Diciamo pure: “Il prodotto giusto al momento giusto nel luogo giusto…”
    Che momento e che luogo, caspitazza, dico io!
    Suo devotissimo
    Anodino.blog
    (in parte fuori tema)

  3. A forza di dire sul trash ripetutamente e ripetutamente, solo si finisce col sublimarlo. Ecco il motivo per cui non ne parlo: per non dargli visibilità più di quanta non è abbia già.
    Saludos.
    Iannox

  4. Se capisco bene il trash è un sottoprodotto della televisione che lentamente sta invadendo il piccolo schermo diventandone quasi l’emblema.
    Tutte le discussioni sull’audience e sui programmi tv fanno riferimento al pubblico, cioè a chi guarda la tv.
    Io mi domando, e spero, se per caso non ci siano sempre più persone che lentamente ma inseroabilmente si stiano staccando da questo pubblico. Non guardano più la tv, o selezionano fortemente, lasciando il trash da parte.
    Anche se così fosse, chi nel mondo media-pubblicitario se ne accorgerebbe?
    e dopo quanto tempo?
    Auguro la buona notte con questa segreta speranza.
    Vittorio

  5. di frone a questa pressione sempre più forte,di tutto il brutto del mondo ,o il cattivo gusto del mondo,ci sarebbe da suicidarsi..o lasciare che le cose vadano anche peggio..certo non c’è da porre nessuna difesa verso unasocietà che promuove sorelle lecciso o grandi fratelli,nel giornalismo,nella letteratura,nel cinema ,nel teatro,nella pittura…
    arrendersi a mani alzate.
    O combattere ma una partita persa

  6. Ne approfitto, magari ci legge 😉 :
    T-La aveva parlato di ripubblicare online i suoi libri, sul suo sito. Andy Warhol é stato pubblicato, ma gli altri?
    Attendiamo (anche una ristampa cartacea non mi dispiacerebbe eh).

  7. Il problema è che adesso assistiamo probabilmente al trash del trash (se questo va inteso come emulazione fallita di un modello alto).
    Anodino (ben ritrovato, a proposito), Andy Warhol era uno squisito pretesto per quella dotta e divertentissima prima teorizzazione del trash.
    Se qualcuno vuole ascoltare un breve riassunto della definizione, in rete si trova un video, datato 1998, dove Labranca la fornisce. Qui
    http://www.frame-tv.com/labranca_warhol.html
    Vittorio, il trash non è soltanto televisivo. Viene citato molto da chi si occupa di tv, ma spesso a sproposito.
    Stefano, non so se la partita sia persa: non credo, a dire il vero. I “Giovani Salmoni” ideati da Labranca si prefiggevano proprio di risalire le correnti del trash, invece di farsene trascinare via.
    Darkripper, mi associo senza riserve.

  8. Il “trash” acquisisce interesse solo quando riguarda comportamenti di un passato lontano. A posteriori, infatti, si può mettere sotto una diversa luce fatti e/o comportamenti (televisivi e non) che un tempo erano giudicati esclusivamente (o quasi) in modo negativo. Non esiste, invece, un valore del “trash”, per così dire, contemporaneo. Trattasi in questo caso più semplicemente di banale “spazzatura”.

  9. Ciao, grazie di essere passata. Ti lascio anche qui la risposta che ti ho lasciato sul mio blog, così partecipo alla discussione.
    Ciao
    a LaLipperini:
    diciamo che c’è un buono scambio di linfa tra Labranca e “il sistema”. a tal punto che lui stesso deve averne assimilato i modi.
    La mia provocazione tendeva a sottolineare più che altro l’invasione/evasione della tv nei modi della vita reale, argomento di punta dello stesso T-La. Cioè la solita storia: se la vita reale (per finta) va in tv, la tv di rimando (per davvero) va nella vita reale. E non solo la ricalca, ma la legittima. Gli adolescenti dal pianto facile come i loro coetanei di Saranno famosi. Oppure le tabaccaie isteriche, o per intero la nostra generazione di “rutti” e “vaffanculo” che per Labranca è figlia del trash anni ‘8o, Alvaro Vitali, Thomas Millian e co. Tutta la serie dei comportamenti “sboccati” non più nascosti, ma liberati da questa osmosi bilaterale. Quando Labranca si è alzato in piedi per andar via, l’altra sera, pareva una butade isterica da Costanzo Show, con tanto di battutina sul personale alla “quanno ce vo’ ce vo'” che avrebbe strappato l’applauso estatico di tutto il Parioli. La tv è dentro Labranca. Per fortuna gli anticorpi che dici tu, tengono fuori Labranca dalla tv (non completamente, visto che mi pare sia anche autore mediaset, ma non vorrei sbagliare), quel tanto che basta perchè lui la possa scarnificare per noialtri che lo ascoltiamo, illuminati, con doverosa gratitudine.
    Quindi, per finire, mi pare di essere d’accordo con te.
    Saluti.
    Jaco.

  10. @anodino.blog: l’unica cosa coatta associata a warhol sono i diritti d’autore acquistati per farne magliette e capi d’abbigliamento….
    @la lippperini: noi possiamo levare di mezzo solo quello che altri nostri contemporanei considerano trash. ma che mi dici del trash che noi stessi produciamo, magari incosapevolmente? che ne so, i blog fra qualche decennio potrebbero essere considerati trash…
    shymay.splinder.com

  11. Shymay, se ci atteniamo alla definizione originale del Trash (emulazione fallita di un modello alto), i blog ne producono già: evidentemente non in quanto mezzo, ma per quel che riguarda alcuni contenuti. Così come ne producono la televisione, la radio, i giornali, i libri, eccetera. Per quanto riguarda Tommaso, il fine ultimo di quel saggio era quello di combattere il “pregiudizio estetico” che al trash è legato e di snidarlo laddove veniva confuso con un prodotto elevato. Infatti, Andy Warhol venne da lui usato provocatoriamente per spiegare come un’icona intellettuale riconosciuta come tale a livello planetario avesse, a suo dire, una filosofia di base assai simile a quella di Eros Ramazzotti. Il saggio, comunque, è on line in formato pdf, sul sito http://www.labranca.co.uk (momentaneamente “al nero”, ma suppongo e spero in via di schiarimento).
    Quanto alla domanda sulla produzione spontanea e inconsapevole di quotidiana spazzatura, credo che sia inevitabile. Basta accorgersene, e correggere il tiro (o decidere di non correggerlo affatto, a piacere dei singoli).
    Jaco, sì, siamo molto d’accordo: soprattutto quando parli di assimilazione di modelli televisivi nella vita reale. Credo che i mali provocati in decenni di Costanzo Show debbano ancora essere analizzati, e sicuramente, per smaltirne gli effetti, non basterà una generazione.

  12. La Lecciso ha un sacco di successo PROPRIO PERCHE’ non sa fare niente, e non a dispetto di questo. Dà l’impressione che il successo si possa conseguire semplicemente con un paio di plastiche e parecchia sfacciataggine, anziché con il duro lavoro. È una metafora della scorciatoia.
    Qui potrei citare i Tiromancino, ma non lo farò.
    Dirò invece che il senso di tutto è racchiuso nel capitolo di Neoproletariato in cui si segue il flusso dei pensieri dell’aspirante Velina.

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