LO STRANIERO

Riflettevo, ieri, sul lungo articolo di Ilvo Diamanti per
Repubblica, dedicato ai giovani e alla sensazione- in verità non nuovissima-di
estraneità che i medesimi suscitano negli adulti. Sul banco degli imputati,
come di norma avviene, i frammenti di cronaca: la violenza negli stadi, il
bullismo, certo narcisismo erotico spesso sbrigativamente imputato ad un
surplus di polimedialità. Scrive Diamanti:

I ragazzi, peraltro, oggi sfuggono a ogni controllo degli
adulti. Inutile vietare. Hanno due pollici così: diteggiano sul cellulare
(ultimo modello, comprato dai genitori). Per tenersi in contatto. Sempre.
Dovunque. Senza fare rumore. Nessuna suoneria. Solo la luce che si accende.
Nessuna parola. Un fiume di sms, smile, mms. Non li puoi controllare. Hanno una
superiorità tecnica nei nostri confronti, incommensurabile. Per cui sono sempre
altrove, anche se li abbiamo davanti agli occhi. A casa, a scuola, in Chiesa
(se ci vanno), al cinema, in autobus, per strada, in auto, durante le
assemblee, di fronte alla tivù. Cellulare in mano. Impegnati in relazioni
senza empatia
. Per questo ci inquietano. E´ che non li conosciamo. Ci
sfuggono. Anche se sono sempre con noi. Non comprendiamo i loro silenzi. Le
loro trasgressioni. La loro indifferenza verso l´autorità, che noi stessi
abbiamo contribuito a demistificare, a combattere. Noi: volevamo cambiare il
mondo. E invece abbiamo cresciuto una generazione senza genitori, insegnanti e
sacerdoti. Senza nome. Perché noi, adulti, rifiutiamo di crescere e di
invecchiare. E ci crediamo per sempre giovani. Per definire i nostri figli: ci
mancano le parole.

Riflettevo e pensavo che se Diamanti ha perfettamente
ragione su diversi punti (quello della superiorità tecnica, per esempio), c’è
una questione su cui anche lo sguardo degli osservatori più attenti tende a
scivolare via. Ed è il presupposto per cui il tecnicismo esasperato porterebbe alla
semplificazione dei contenuti, e non, viceversa, al saper gestire la loro
accresciuta complessità. Non so se Diamanti intendesse questo, o anche questo,
quando parla di relazioni senza empatia.

Il discorso, comunque, torna ciclicamente, e somiglia
molto all’altrettanto ciclica accusa rivolta al cosiddetto common reader
(che-come ho sentito ripetere anche di recente da un paio di colleghi- non
riuscirebbe più a sottrarsi alle sirene del successone commerciale) o al
pubblico televisivo tutto.

Curiosamente, la lettura dell’articolo si è andata però a
intrecciare con qualche vecchio testo sui fanwriter: in particolare, sulla
partita doppia che si era venuta a creare fra Chris Carter, l’autore di X files, e il fandom. Laddove, dopo la
diffusione di un gran numero di fan fiction che ipotizzavano relazioni
sentimentali fra determinate coppie di personaggi, la sceneggiatura cominciò a
prevedere episodi che alimentavano quelle ipotesi. Ci fu, insomma, un gioco di
rimandi tra autore ufficiale e autori-spettatori.

Gioco che continua: tanto per fare un solo esempio, in Lost:
sulla cui già notevole complessità vanno ad innestarsi accorgimenti pensati
appositamente per suscitare l’interesse e l’elaborazione dei fan (vedi qui)
e che presuppongono da parte degli autori la consapevolezza che lo spettatore
passivo sta diventando minoranza rispetto a tutti coloro che decostruiscono e
ricostruiscono continuamente il testo
originale. E che, comunque, sono questi ultimi i destinatari privilegiati  di quel testo.

Torno da dove ero partita: le relazioni empatiche, per
esempio, sono quelle che vengono tessute ogni giorno nel fandom, specie in
quello che continua a creare masse enormi di contenuti, spesso di valore anche
letterario. Semplicemente, mi chiedo come mai continuino ad essere così pochi
gli osservatori italiani che ci mettono il naso, magari una sola volta: per
cercare di fare almeno un piccolo passo verso gli stranieri. E per trovarle, infine,
queste benedette parole.

14 pensieri su “LO STRANIERO

  1. Ciao Lippa,
    sono talmente d’accordo con te (tanto per cambiare…) che, come piccola provocazione, copioincollo qua sotto uno stralcio di chat che a volte uso per mostrare quanto sia poco interessante parlare di “relazioni senza empatia” semplicemente – e automaticamente e banalmente – facendo riferimento all’uso delle tecnologie informatiche della comunicazione.
    E’ una conversazione fra due ragazzi sui 20 anni (nomi fittizi, ovviamente), innamorati a distanza.
    La potremmo intitolare “Fammi un sorriso”.
    Senza empatia???
    Ciao,
    Giò

  2. Mi pare che Diamanti stia ripetendo l’eterno, tristissimo, “Signora mia, i giovani d’oggi!… Dove andremo a finire, con tutte queste diavolerie?!…” Ovvero, come direbbe Troisi, gli sms, la minigonna, il grammofono…

  3. Non ho ancora capito se è l’ultimo dei giovani a tenere in ostaggio il primo dei non giovani o viceversa…Non so se occorra possedere un passaporto di empatia per definire una generazione, molto spesso le definizioni sono prigioniere semplicemente di se stesse. Forse occorre individuare altrove le radici della comprensione, di questi tempi l’empatia non è più il collante dei rapporti neanche tra chi giovane non lo è più. Forse siamo semplicemente tutti in ostaggio di questa nuova fase temporale, dove i rapporti umani anche attraverso la tecnologia hanno assunto una dimensione bulimica, dove magari l’unica traccia grafica di empatia è il faccino con il sorriso da postare con la e-mail.

  4. Concordo con Alessandra.
    Non ho la pretesa di fare un’analisi sociologica con dati statistici precisi, tuttavia, non dimentico la mia adolescenza, circa trent’anni fa, e ho il fondato sospetto che la mia esperienza sia comunissima e, quindi, indicativa.
    Non mi sto riferendo a un degradato istituto di una qualche degradata periferia urbana, ma a un liceo di una sonnolenta cittadina di provincia, con tasso di criminalità prossimo allo zero.
    VIDEOGIOCHI: non erano ancora diffusi “playstation” e PC, ma ricordo INTERI pomeriggi allucinati e frenetici passati nei bar a giocare a flipper.
    FOTOGRAFIE A SCUOLA: ricordo tentativi vani (vista la povertà dei mezzi di allora, basti ricordare che le fotocamere non avevano il flash integrato) di fotografare compagne in bagno o, durante le gite scolastiche, in camera da letto; ricordo inoltre una fotografia di una professoressa ritratta con alle spalle una lavagna sulla quale col gesso era stata disegnata una stella a cinque punte, a imitazione delle tragiche foto di rapiti che circolavano in quegli anni.
    Pensare di fare la foto, comprare il rullino e caricarlo, nascondere nello zaino una macchina fotografica voluminosa, aspettare di finire il rullino, portarlo dal fotografo per avere le stampe dopo qualche giorno… e se avessimo avuto un cellulare con fotocamera, che avremmo fatto?
    IMPEGNO SOCIALE E POLITICO: ricordo gioiose danze dionisiache davanti alla scuola, agghiaccianti nel loro cinismo, in occasione del rapimento o dell’uccisione di qualche uomo politico, specie se concomitante con compiti in classe, visto che avremmo fatto sciopero per “dimostrare la solidarietà e l’indignazione degli studenti ecc. ecc.”
    NONNISMO/BULLISMO: gli studenti del primo anno erano regolarmente sottoposti a (per carità, blande) angherie da parte di quelli dell’ultimo.
    STUPEFACENTI (“leggeri”) E ALCOOL: non pochi ne facevano uso; probabilmente in percentuale minore rispetto ad oggi, ma credo dipendesse semplicemente da una più scarsa disponibilità di denaro. Inoltre, erano gli anni tragici dell’eroina, ma questo è un altro discorso.
    VESTITI FIRMATI E ACCESSORI: non di rado, l’impossibilità (o la scelta) di non vestire in una certa maniera era motivo di esclusione da gruppi o di scherno.
    Diamanti “non capisce” i giovani di oggi. Io faccio l’insegnante nelle superiori da vent’anni e non faccio molta fatica a “capirli”, dato che, nella sostanza, la maggior parte di loro, ovviamente generalizzando, è sostanzialmente simile a come eravamo io e molti miei compagni di classe trent’anni fa.
    L’unica differenza che riscontro, forse, è una maggiore, probabilmente eccessiva, “protezione” da parte dei genitori, ma anche questo è un discorso vecchio.
    Io, comunque, un febbraio così caldo non me lo ricordo.
    Torno a lurkare.

  5. Due considerazioni volanti: 1) l’incredibile energia degli adolescenti è pari solo alla quantità di cose che riescono a TRASCURARE nelle loro analisi delle situazioni. Alla fin fine, neanche gli adolescenti saturnini fanno eccezione.
    2) La cosa che è difficile capire da adulti è che non potremo mai proteggerli, perché oggetto della protezione e oggetto da cui proteggerli (passatemi il temine oggetto) il più delle volte coincidono >__

  6. @ Lucio Angelini:
    la conversazione che ho postato è melensa, certo, come lo sono tante. E’ anche per questo che l’ho scelta.
    Di esempi simili ne ho centinaia, per una ricerca che ho fatto un paio d’anni fa sulla comunicazione mediata da tecnologie: l’età di coloro che mi hanno gentilmente regalato le loro conversazioni va dai 12 a 65 anni.
    Là dentro c’è di tutto: banalità e melensaggini, ma anche intelligenza, poesia, originalità.
    E non si tratta solo di storie d’amore, naturalmente, ma c’è dentro di tutto: litigi, scambi d’informazioni, chiacchiere a perdere. La normalità, insomma.

  7. @ Lucio,
    Sicura sì, è il mio mestiere.
    Ma il discorso si fa lungo e non mi pare il caso né il luogo.
    Un caro saluto,
    Giò

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