NEL NOME DELLA LETTERATURA

Israele ospite della Fiera del Libro di Torino 2008
Con queste firme esprimiamo una solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del Libro di Torino, nel momento in cui questo evento di prima grandezza della vita letteraria nazionale viene attaccato per aver scelto Israele come paese ospite dell’edizione 2008.
L’appello a cui aderiamo s’intende apartitico, e politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine. Non intende affatto definire uno schieramento, se non alla luce di poche idee semplici e profondamente vissute.
In particolare, l’idea che le opinioni critiche, che chiunque fra noi è libero di avere nei confronti di aspetti specifici della politica dell’attuale governo israeliano, possono tranquillamente – diremmo perfino banalmente! – coesistere con il più grande affetto e riconoscimento per la cultura ebraica e le sue manifestazioni letterarie dentro e fuori Israele. Queste manifestazioni sono da sempre così strettamente intrecciate con la cultura occidentale nel suo insieme, e rappresentano una voce talmente indistinguibile da quella di tutti noi, che qualsiasi aggressione nei loro confronti va considerata un atto di cieco e ottuso autolesionismo.
Raul Montanari
Prime adesioni:
Sergio “Alan” Altieri, Alessandra Appiano, Alessandra C., Andrea Carraro, Gabriella Alù, Cosimo Argentina, Sergio Baratto, Paola Barbato, Antonella Beccaria, Silvio Bernelli, Gianfranco Bettin, Daria Bignardi, Gianni Biondillo, Riccardo Bonacina, Laura Bosio, Elisabetta Bucciarelli, Gianni Canova, Fabrizio Centofanti, Benedetta Centovalli, Piero Colaprico, Giovanna Cosenza, Olivia Crosio, Sandrone Dazieri, Francesco De Girolamo, Girolamo De Michele, Donatella Diamanti, Paolo Di Stefano, Luca Doninelli, Riccardo Ferrazzi, Marcello Fois, Francesco Forlani, Gabriella Fuschini, Giuseppe Genna,Michael Gregorio (Daniela De Gregorio, Mike Jacob), Pietro Grossi, Helena Janeczek, Franz Krauspenhaar,Nicola Lagioia,Loredana Lipperini,Valter Malosti, Antonio Mancinelli, Valentina Maran, Federico Mello, Antonio Moresco , Gianluca Morozzi, Gianfranco Nerozzi, Chiara Palazzolo, Gery Palazzotto, Piersandro Pallavicini, Paolo Pantani, Leonardo Pelo, Sergio Pent, Andrea Pinketts, Guglielmo Pispisa, Laura Pugno, Luca Ricci, Andrea Raos, Roberto Moroni, Mariano Sabatini, Rosellina Salemi, Flavio Santi,Tiziano Scarpa,Beppe Sebaste, Gian Paolo Serino, Luca Sofri, Monica Tavernini, Annamaria Testa, Maria Luisa Venuta, Andrea Vitali,Vittorio Zambardino,Zelda Zeta (Pepa Cerutti, Chiara Mazzotta, Antonio Spinaci)
Ps. Potete aderire nei commenti. L’appello appare contemporaneamente su Nazione Indiana, Ilprimoamore.

160 pensieri su “NEL NOME DELLA LETTERATURA

  1. Sembra di vedere “Invasori spaziali”.
    Probabilmente hanno anche la valvoletta dietro l’orecchio!
    arrivano,
    non discutono,
    non hanno niente da dire,
    non rispondono a nessuno stimolo,
    non si chiedono niente,
    non hanno dubbi.
    “Aderisco!”
    e se ne vanno.

  2. Senti, cinefilo attempato. A me sembra che di dubbi, in due o tre topic sulla questione, se ne siano giustamente sollevati e che siano stati discussi, e che si continui a discuterne. Qui, su Nazione Indiana, su altri siti e blog. Mi sembra che le argomentazioni portate siano interessanti e meritino attenzione, da entrambe le parti, se di parti bisogna parlare. Mi sembra, infine, che la discussione che è nata da questo appello sia importante, e che la Fiera del Libro, per esempio, dovrebbe tenerne conto.
    Poi, se a te piace arrivare, postare la tua cagatina e andartene, che dirti? Bravo, bene, continua così.

  3. Appunto: visto che la discussione nel frattempo si è fatta interessante, e che anche persone che hanno firmato l’appello ne hanno riconosciuto i molti limiti, e che la situazione si è rivelata più complicata di quello che credevano quelli che l’hanno scritto e messo in circolazione, che senso ha a distanza di giorni limitarsi a questi piatti “aderisco”, come se non fosse stato detto niente?

  4. Cinefilo, ma lo sa che me lo stavo chiedendo anch’io da qualche giorno? è il bello dei blog: sei lì a disagio e non sai cosa c’è che non va poi arriva uno e lo spiega dieci volte meglio di come avresti fatto te.
    Aderisco.

  5. Aderisco pienamente. Con la scusa dell'”equivicinanza” (solo la patetica mediocrità della politica italiana poteva creare un neologismo così imbevuto di cretinismo ipocrita e fintamente buonista) si intende mettere a tacere lo Stato d’Israele intero. Perché è pur curioso che d’Israele si apprezzino, si accolgano e si difendfano solo quegli intellettuali che, a torto o a ragione, contestano Israele. Mi chiedo che chance abbiano di farsi pubblicare, invitare, coccolare tutti coloro che, per qualche motivo, apprezzano lo stato d’Israele (che, si sa, è guerrafondaio, nazista, sanguinario, repressivo) o ne illustrano gli aspetti positivi, la vita culturale straordinaria, la fenomenale creatività, la democrazia e via discorrendo.
    Gianni Morelenbaum Gualberto

  6. Aderisco, ovviamente. Come enti culturali di Torino e Milano abbiamo assunto una posizione comune che metto in calce alla mia adesione:
    Fiera del libro: rompere gli schemi, scegliere il confronto
    L’invito a partecipare come ospite d’onore, rivolto ad Israele dalla Fiera del Libro, nel 60° anniversario della sua fondazione, pare aver aperto una spirale perversa di riflessi condizionati, di stampo pavloviano, da cui sarà difficile uscire.
    Gli appelli a boicottare la manifestazione sono giunti non solo dall’Unione degli Scrittori Giordani, o dal discusso intellettuale islamico Tariq Ramadan, che nella sua fatwa ha definito Israele come uno “Stato che pratica l’omicidio e la distruzione”, ma anche da personalità come Suad Ameri, la sensibile scrittrice palestinese, che non può certo essere accusata di antisemitismo, o di antisraelianismo preconcetto, in quanto veterana del dialogo con gli israeliani, avendo fatto parte della prima delegazione palestinese che portò avanti il negoziato a Washington dopo la Conferenza di Madrid.
    Le risposte pervenute dall’altro campo non hanno lasciato spazio ad equivoci: non si può mettere in discussione il diritto di Israele a esistere e essere riconosciuto come Stato legittimo. Ma resta un senso forte di insoddisfazione e di regressione a periodi di scontro ideologico che si consideravano superati.
    Le proposte di boicottaggio e di delegittimazione di Israele sono certamente da respingere. Ma proprio perché l’invito cade nel 60° della fondazione di questo Stato, non si può ignorare o comunque dare per scontata la complessità dei problemi politici, culturali e identitari con cui esso oggi deve misurarsi.
    All’inizio di gennaio, il suo Premier Olmert ha dichiarato, in una intervista al Jerusalem Post: “Se la soluzione dei due Stati non è realizzata – e Israele dovrà confrontarsi con la realtà di uno Stato per due popoli – questo potrebbe portare alla fine dell’esistenza di Israele come Stato ebraico. Questo è un pericolo che non si può negare; esso esiste, ed è anche realistico…”.
    Se questo è l’ordine dei problemi, non ci si può limitare a un approccio meramente celebrativo, ma è necessario fare uno sforzo in diverse direzioni, con una visione aperta e critica.
    D’altronde non si può certo affermare che gli uomini di cultura non debbano impegnarsi anche con le tematiche più strettamente politiche, ed anzi essi possiedono, spesso, la capacità di guardare lontano, “oltre l’orizzonte”. E proprio i più grandi intellettuali israeliani sono maestri in questo.
    In questa ottica pare utile indicare alcune prime linee di intervento, che aiutino a fuoriuscire dall’attuale vicolo cieco.
    § Innanzi tutto, il problema delle storie e della memoria. Non esiste una sola storia, esistono storie parallele, opposte ma a volte anche complementari. La nascita di Israele è percepita dai palestinesi come una Naqba, una catastrofe. Pensiamo, in particolare, al recente libro di Shlomo Ben Ami, “Palestina, la storia incompiuta”, che credo abbia dato un contributo essenziale in questa direzione, per non parlare degli oramai classici testi di Benny Morris.
    Ci sono importanti esperienze di storici israeliani e palestinesi che su questi temi si confrontano e a volte collaborano, con risultati importanti, e significative esperienze anche nel campo della didattica.
    § Vi è poi tutta la tematica della lotta contro la disumanizzazione del conflitto: una disumanizzazione che pervade chi la subisce e chi la pratica. Esperienze come quelle dei parent’s circle, i genitori israeliani e palestinesi di vittime del conflitto, che collaborano per superare la spirale dell’odio e della vendetta; o quelle dei gruppi di psicologi israeliani e palestinesi che cooperano per affrontare i problemi connessi al trauma della guerra in atto; o quelle degli ex-generali delle due parti che insieme cercano di costruire la pace, sono testimonianze di vita contro una prassi di morte, da conoscere e valorizzare.
    § Un altro aspetto è quello del negoziato in atto sull’accordo finale, dopo la Conferenza di Annapolis, e l’approfondimento che questo comporta. Non si possono ignorare le difficoltà sul terreno e le resistenze interne ai due campi, e gli stessi processi di degrado della situazione sul terreno. Ma non si può ignorare che il tentativo negoziale in atto è il più serio dopo il fallimento di Camp David II, nel 2000, e ciò mal si concilia con la demonizzazione di una delle due parti, con la sua messa all’indice. Su questo terreno, si può tentare di avanzare una richiesta alle forze e agli intellettuali palestinesi ed arabi più consapevoli perché contribuiscano a superare le attuali contrapposizioni.
    § Ancora, vi è proprio il problema posto dal premier Olmert: il futuro di Israele, la sua identità ebraica (anche, aggiungiamo noi, il rapporto con la sua minoranza araba), la prospettiva di arrivare alla creazione dei due stati, israeliano e palestinese, se si vuole evitare quella di uno Stato binazionale (si veda in proposito il recente saggio di Sergio Della Pergola, Israele e Palestina: la forza dei numeri, pubblicato da Il Mulino, ma anche il libro dello sociologo palestinese Jamil Hilal, Palestina quale futuro? La fine della soluzione dei due stati, pubblicato da Jaca Book).
    § Infine, la questione del posto di Israele nel contesto arabo e mediterraneo, alla luce anche del Piano arabo di pace, che postula una normalizzazione delle relazioni con Israele da parte di tutti gli Stati arabi in cambio di una restituzione dei territori occupati nel ’67, della creazione di uno Stato arabo con capitale Gerusalemme Est e di una soluzione “equa e concordata” del problema dei rifugiati. Un piano importante per le possibilità che esso offre di una stabilizzazione dell’intera regione, inclusi i conflitti ancora aperti con Siria e Libano. Tutto ciò nell’ottica più generale dei nuovi equilibri che si sviluppano a livello regionale, del confronto Iran – Arabia Saudita e del connesso confronto tra sciismo e sunnismo; e del nuovo approccio statunitense al problema Iran, da una prospettiva di confronto a breve termine a quella di un contenimento a medio termine.
    Avanzando queste proposte di riflessione tematica (solo alcune tra le tante possibili, a titolo esemplificativo), non si è affatto sicuri che esse siano sufficienti a superare le difficoltà che si sono manifestate. Le cose oramai sono andate assai avanti, e sarà difficile invertire la marcia. Ma bisogna almeno provarci, anche individuando specifiche iniziative di merito. In ogni caso, una riflessione su questi aspetti può servire almeno a svelenire il clima, a spostare l’asse del confronto dalla demonizzazione ideologica, con la correlativa cristallizzazione dei ruoli e la reiterazione delle posizioni, al concreto terreno su cui si sta sviluppando oggi la dinamica del conflitto e dello stesso negoziato.
    Febbraio 2008
    La presente nota è stata redatta da: Marco Brunazzi, Janiki Cingoli, Vicky Franzinetti, Stefano Levi Della Torre, Claudio Vercelli.

  7. Mi chiedo se dopo il massacro di Gaza (più gli altri 500 palestinesi uccisi tra 2008 e 2009) e l’articolo di Yehoshua del 9 gennaio 2009 sulla Stampa (Israele è obbligata ad ammazzare molti palestinesi perché sono insensibili a punizioni meno cruente) a qualcuno degli “aderiscos” sia venuto qualche dubbio..Sebastiano Comis

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