…leggete anche le opinioni di chi non concorda con l’appello qui sotto: per me, è importante che si confrontino idee anche totalmente opposte, ma espresse con lucidità e profondità. Per esempio: Marco Alderano Rovelli, il post di Andrea Inglese su Nazione Indiana, con relativi commenti.
Aderisco anch’io.
Deprimente dover constatare che ne giri così poca, di gente così…
E’ importante distinguere la cultura di un paese dal governo che è in carica in un determinato momento. Il salone del libro di Torino però non ha mai fatto questa distinzione. Ad esempio mi chiedo che cosa ci facciano alla Fiera gli stand di tutte le forze armate italiane.
Carissimi amici e colleghi,
sebbene apprezzi moltissimo le vostre misurate parole, non solo non aderisco al vostro appello, ma spero che altri scrittori ne sottoscrivano uno completamente contrario. Sono totalmente d’accordo col boicottaggio del Salone del Libro di Torino, che non celebra la cultura ebraica – magari – ma la fondazione dello Stato di Israele. Il muro, e il ghetto che costruisce, gli espropri di case, acqua, risorse e diritti, l’umiliazione a cui è costretto il popolo palestinese, gli omicidi mirati, (condanne morte senza processo), e il razzismo etnico e religioso praticato da Israele sono ragioni sufficienti per giustificare qualsiasi atto di contestazione nei confronti di quello Stato. Il fatto poi che Israele sia uno stato ebraico non è un attenuante ma semmai un’aggravante, e non perché consideri gli ebrei peggiori – per antisemitismo – o migliori – per aver subito l’olocausto, e quindi più “sensibili” – di altri, ci mancherebbe, ma perché considero qualsiasi stato religioso un’aberrazione. La religione di per sé è razzista, e se qualcuno non se ne accorge, soprattutto al giorno d’oggi, c’è poco da fare, raffinato intellettuale che sia. (Ho detto religione, non fede.) Lo ammetto sono contrario allo stato di Israele, perché credo che l’unica soluzione vera al problema sia quella di un unico stato in Palestina. Utopia, forse, o magari realismo visto che sono 40 anni che due stati non riescono a convivere, mentre ebrei, musulmani e cristiani hanno convissuto pacificamente per secoli in quei territori.
Forse è vero, il boicottaggio è desueto, e presenta molte controindicazioni, anche se ha già avuto il merito di far discutere. E gli scrittori israeliani invitati e che hanno ac-cettato, tutti almeno inizialmente favorevoli alla recente guerra contro il Libano, hanno un notevole credito internazionale – grazie anche al fatto che fa molto comodo che lo abbiano – e comunque non sono certo degli sciocchi. Ma ribadisco che comunque non si tratta di boicottare scrittori, ma le celebrazioni ufficiali di uno Stato, e io che sono un cultore della letteratura egiziana, mai parteciperei a celebrazioni che fossero, anche solo minimamente, una giustificazione della brutale politica di Mubarak – come preannunciato nel 2009 per esempio.
Ma questo non è il punto della questione. I punti sono altri.
Chi è favorevole al boicottaggio viene tacciato di essere contro la cultura e di confondere politica e letteratura. Personalmente non credo esista buona letteratura che non sia anche politica, ma qui si tratta di altro. Chi ha confuso letteratura e politica sono stati gli organizzatori del Salone che in un momento così delicato della Storia hanno deciso di parteggiare per Israele, invitandolo proprio in occasione di un anniversario politico. Non hanno invitato degli scrittori, ma uno Stato, e gli scrittori che hanno accettato di partecipare sono lì a sostenere quello stato. Proprio perché amo la letteratura mi disgusta che sia usata come arma politica.
Altra accusa ai sostenitori del boicottaggio e che così si rifiuta il dialogo.
Innanzitutto è falso che a Torino sia possibile il dialogo. O meglio a Torino verrebbe-ro riproposte le stesse condizioni di sempre del dialogo fra Israele e Palestinesi. Una parte in posizione di superiorità e l’altra d’inferiorità. Uno stato che viene celebrato, se non osannato, con alcuni scrittori di grande successo sostenuti dai mass media, da potenti case editrici e uffici stampa, e dal solito seguito di politici ossequiosi, locali e non, di sicuro bipartisan, e magari con ambasciatori, consoli e parlamentari al segui-to. Dall’altra pochi e assai meno noti e celebrati scrittori, in posizione di inferiorità, almeno ufficialmente parlando.
E ai sostenitori del dialogo chiedo: a chi giova Torino in queste condizioni, alla causa di Israele o a quella palestinese? E ha questo a che vedere davvero coi libri e la cultura?
Se ne può discutere, ma dovrei essere molto più ingenuo di quello che sono per non sapere che sarà un’altra occasione per riaffermare la superiorità intellettuale dei buo-ni, raffinati e tolleranti scrittori israeliani e quindi di Israele e dell’occidente, (a cui Raul Montanari tiene molto evidentemente) rispetto agli arabi intolleranti, o che comunque non hanno scrittori di così grande successo. E non ci dimentichiamo che nell’attuale società del successo, chi ha più successo e riflettori addosso ha la verità. Ed è perlomeno avvilente che nessuno ci abbia riflettuto un momento.
Se mi permettete poi, da scrittore disincantato, vorrei anche ricordare che il Salone del Libro di Torino è un evento culturale solo per chi crede che la cultura si faccia nei salotti e si esalta vedendone uno così grande che in realtà non è altro che una grande bottega e un evento propagandistico e di marketing per alcune, poche , case editrici.
Ma al di là del fattore contingente, c’è un aspetto della retorica del dialogo che mi preme sottolineare. E’ vero, si deve dialogare anche e soprattutto con il nemico, e il debole ci rimette sempre a chiudere il dialogo con il più forte. Ma quando ci si accorge che il dialogo, dopo anni e anni di promesse non mantenute, di menzogne e di razzismo praticato e sostenuto, è semplicemente una presa in giro, un modo del più forte per ingannare il più debole e il mondo, per mostrare come sono buoni i binachi, così tolleranti e ragionevoli, al più debole resta solo una cosa da fare, sottrarsi al gioco, per mantenere l’unica cosa che gli resta: la dignità. E questo non vuol dire necessariamente il martirio, visto che è solo la grande dignità del popolo palestinese che permette a quegli uomini e donne, a quei corpi, di sopravvivere. Ed è stato sempre per dignità che molti intellettuali hanno chiesto a BenedettoXVI di non parlare alla celebrazione ufficiale della Sapienza.
Ma forse oggi che il dissenso è terrorismo, la dignità diventa intolleranza. Mi rammarica, però che sia così difficile far capire che se la sinistra vorrà sopravvivere dovrà riprendere ad agire con dignità, con la dignità almeno di dire “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo.”
Alessandro Golinelli Scrittore
Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli…e dei bavagli.
Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli.
Non è un nostro pensiero originale. Il primo a dirlo è stato Emilio Salgari; e noi dopo di lui.
Scrivere e viaggiare sono come due vecchi amici con la passione per le storie che si incontrano sulla testata di un molo davanti a un mare di gente che viene e che va.
C’è lo scrittore viaggiatore, e lo scrittore che è per forza viaggiatore. Perché se uno è viaggiatore non è detto che sia scrittore; ma se invece è uno scrittore, allora dev’essere per forza anche un viaggiatore.
Ma senza la seccatura dei bagagli.
Ecco, noi del Festival di letteratura per ragazzi Tuttestorie di Cagliari, noi organizzatori, autori, illustratori (e ci aggiungiamo quanti condividono con noi lo spirito di libertà, di tolleranza e di dialogo che anima da sempre la nostra attività) siamo dalla parte di quei viaggiatori senza la seccatura dei bagagli, di quegli autori che portano per il mondo nient’altro che la loro voce, nient’altro che la propria grazia creativa e la propria idea di mondo. E che se portano qualcosa dentro la valigia, allora fanno in modo che quel bagaglio sia uno strumento di pace e di dialogo.
Allo stesso tempo noi del Festival di letteratura per ragazzi Tuttestorie di Cagliari, noi organizzatori, autori, illustratori e via discorrendo, siamo contro tutti coloro che aspettano qualcuno da boicottare stringendo in mano valigie piene di preclusioni. Siamo contro chi oppone alla letteratura inaccettabili considerazioni di ordine politico.
Ci schieriamo perciò a difesa del diritto da parte degli scrittori israeliani di partecipare alla Fiera del Libro di Torino, convinti come siamo che la letteratura rappresenti una forma inviolabile di espressione umana e di diffusione del pensiero.
Un forte abbraccio al nostro Presidente del Festival Tuttestorie David GROSSMAN.
Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli…e dei bavagli.
Cristina Fiori, Manuela Fiori, Claudia Urgu, Bruno Tognolini, Bianca Pitzorno, Angela Tognolini, Pier Paolo Falco, Andrea Pomella, Alessandra Carta, Davide Carta, Vittoria Negro, Alberto Melis, Andrea Mameli, Esther Grandesso, Francesca Succu, Marisa Del Rio, Flavio Soriga, Gianni Biondillo, Angela Nanetti, Associazione Linea Armonica, Pina Tromellini, Anna Vivarelli, Francesco Cavalli Sforza, Gilberto Ganassi, Emanuela Nava, Otto Gabos, Angela Ragusa, Cristina Lavinio, Janna Carioli, Associazione Hamelin, Serena Masala, Maura Picciau, Antonio Ferrara, Pino Boero, Walter Fochesato, Chiara Carminati, Manuela Salvi
Cari amici,
non posso che aderire con piacere esprimendo, per quanto poco possa valere, anche la mia solidarietà agli organizzatori della fiera del Libro e le mie fortissime perplessità di fronte all’idea del boicottaggio. Francamente, le osservazioni di Alessandro Golinelli, secondo il quale l’invito, essendo rivolto allo Stato israeliano, comporterebbe un sostegno acritico alla sua linea politica, non mi sembrano convincenti. Trovo che in effetti sia proprio lui a confondere letteratura e politica, e che non gli riesca di rilanciare l’accusa contro il mittente; e credo che se dalla Fiera dovesse venire un sostegno ad Israele ciò non significherebbe un attacco alla Palestina, per la semplice ragione che la causa israeliana è ANCHE la causa palestinese, e proprio scindendole l’una dall’altra nascono i problemi. Comunque, il boicottaggio contro i liberi autori che esercitano la loro opera come cittadini (e nella lingua) di uno Stato democratico mi pare, in conclusione, l’arma peggiore per chi vuol sostenere con limpidezza una causa pur certamente giusta.
Cordiali saluti
Jacopo Marchisio
il dialogo è retorica, ed il dissenso terrorismo, solo se li facciamo diventare così. i valori sono ciò in cui crediamo, non quello che l’opinione corrente ci dice che devono diventare. imho. sergio.
E’ dal 1997 che Il Salone del Libro invita un paese ospite. cominciando con la Francia. Si e’ sempre invitato un paese, credo per motivi squisitamente organizzativi, perche’ l’invito a un paese con la caratteristica di ufficialita’ che ne deriva credo faciliti il reperimento dei fondi e il coinvolgimento ufficiale. Quindi e’ giusto invitare Israele, come nel passato avvenne per altre nazioni. E discutere della sua cultura, dei suoi scrittori, delle sue colpe, delle sue ragioni.
Il fatto che commettano questo errore di impostazione dal ’97 non lo rende meno erroneo, anzi. La letteratura non deve sventolare bandiere nazionali, non deve servire patrie, non deve identificarsi con eserciti e stati. Mai. Lo scrittore deve sentirsi a casa ovunque, perché ovunque è straniero.
Non aderisco all’appello e da anni boicotto Israele, comprese alcune
sue istituzioni culturali. Non nel senso che ho a che fare con esse,
ma difendendo le università europee, statunitensi e around the world
che lo fanno.
Il boicottaggio è una forma pacifica non solo di rifiuto, ma anche di informazione e analisi. Promovuono, da anni, questa campagna
intellettuali ebrei e palestinesi (Ilan Pappe, Oren Ben Dor, Barguti, Atzmon e molti altri) supportati da organizzazioni per la pace in Palestina tra cui molte già schierate contro l’apartheid in Sudafrica (Desmond Tutu è tra i promotori). Boicottiamo le merci, ma anche gli atenei. Perchè? per costringere gli israeliani a ripensare le politiche del loro paese e per spingere Israele verso l’abolizione del regime di aparthed e la fine della politica coloniale. Sia gli ebrei che i palestinesi che promuovono questa campagna vogliono un unico Stato in cui sia
possibile vivere alla pari (spero che tutti siate al corrente che i
palestinesi israeliani non godono degli stessi diritti degli ebrei, se sposano la persona sbagliata, dei territori per es., possono perdere la cittadinanza)e con i medesimi diritti. La fiera di Torino, oltre a essere uno scippo nei confronti dell’Egitto (se sbaglio correggete) in celebrazione dell’anniversario dello Stato d’Israele che cade quest’anno, non prevede voci di palestinesi, ma molti scrittori (Grossman, Oz, Yehoshua http://www.carmillaonline.com/archives/2006
/12/002049.html#_ftn32) palesemente schierati con le scelte del
governo o blandamente critici. Noi la boicottiamo e prendiamo spunto
dalle polemiche sorte in questi giorni per diffondere anche in Italia (disinformata in questo senso) le ragioni del boicottaggio internazionale. Forse Israele con la sua abilità comunicativa riuscirà comunque a guadagnare immagine e consensi, a noi interessa riuscire a parlare delle nostre motivazioni (anche con gesti clamorosi, ma sempre non violenti) e instillare dubbi e domande. Chiudo con un sincero affetto rivolto a tutte le popolazioni oppresse e a quegli Umani (compresi scrittori e intellettuali) che stanno pagando con l’ostracismo del loro Paese il coraggio delle proprie scelte. Ricordo che Pappe, Oren Beb Dor, Atzmon hanno dovuto lasciare Israele, Tanya Reinhart nei suoi ultimi anni insegnava solo all’estero, suo marito Aharon Shabtai non credo che abbia avuto vita facile e non la avrà certo dopo il suo rifiuto a partecipare alla Fiera di Parigi. Un saluto particolare agli anarchici contro il muro che, non essendo scrittori continueranno a combattere la battaglia contro l’occupazione a Bil’in insieme ai palestinesi.
le ragioni di Shabtai : http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio
/05-Febbraio-2008/art24.html
Io non ritengo che uno Stato che mantiene un’occupazione, commettendo giornalmente crimini contro civili, meriti di essere invitato ad una qualsivoglia settimana culturale. Ciò è anti-culturale; è un atto barbaro mascherato da cultura in maniera cinica. Manifesta un sostegno ad Israele, e forse anche alla Francia che appoggia l’occupazione. Ed io non vi voglio partecipare.
Cordiali saluti,
Aharon Shabtai”
Pappe e Ben Dor spiegano perchè si deve boicottare
http://www.assopace.org/news.php?id=94
http://electronicintifada.net
/v2/article3880.shtml
Aldo,
ti do ragione (forse non del tutto, lo scrittore è uomo di carne e di sangue, anche se si chiama Cervantes o Melville, e da qualche parte è di casa). Una impostazione orientata al paese e non alla cultura è discutibile, aldilà dei vantaggi organizzativi che comporta, ma l’invito ad Israele non è un unicum, è coerente con quanto fatto con un’altra dozzina di paesi,
…forse con la differenza che gli altri paesi, quando invitati, non stavano ponendo d’assedio un’intera regione col preciso intento di far morire di inedia donne e bambini per far pagare a un’intera cittadinanza le colpe di una precisa organizzazione politica… Un po’ come se avessimo deciso di bloccare Palermo e affamare donne e bambini per liberarci di Cuffaro…
Non ho firmato l’appello a favore degli organizzatori della Fiera del libro,perché il testo mi pare troppo generico, glissa su alcuni punti… Le ragioni le ho spiegater sul primoamore.com ( http://www.ilprimoamore.com/testo_788.html)
Di certo sembrerà strano a un’altra genìa di… “semplificatori” e manichei vari, ma in quest’occasione sono d’accordo con Carla Benedetti. Le sue riserve sull’appello sono anche le mie, anzi, le nostre, perché è una decisione dell’intero collettivo WM). I motivi per cui non l’ha firmato sono anche i nostri.
L’unica divergenza è su questa frase: “Credo anche che la Fiera del libro di Torino abbia il diritto di invitare Israele come paese ospite.”
Sicuramente ne ha il diritto, ma è giusto? E’ fruttuoso seguire queste logiche?
Io ritengo, e l’ho sempre ritenuto e quindi non vale soltanto per Israele, che gli inviti e gli omaggi vadano fatti non ai paesi, cioè agli stati, ma alle scene letterarie, alle comunità di scrittori, alle koinè linguistiche e culturali. Mentre i confini tra stati sono netti e presidiati militarmente, quelli tra koinè sono liquidi, sono correnti marine, cambiano con l’alzarsi del vento o il compiersi dei cicli lunari.
In quest’epoca in cui c’è disperato bisogno di un nuovo cosmopolitismo, trovo sempre meno tollerabile stabilire frontiere interne a un’attività come la letteratura, che per sua natura tocca i comuni denominatori dell’esperienza umana ed è quindi universale. Se continueremo a dividerla in base a entità politiche e amministrative, anche solo per semplicità e in assenza di malafede, finiremo per tradirla. Quando la letteratura e l’arte si sono piegate a rappresentare gli interessi di questo o quello stato, ne sono nati disastri.
Devo dire che stavolta la Benedetti ha scritto un intervento che condivido, con due eccezioni. Della prima ha parlato wm1 e non potrei usare parole migliori, la seconda invece riguarda la proposta verso un eventuale nuovo testo completo di informazioni riguardo le ragioni di chi boicotta. Vista la mia posizione in merito non condivido il freddo distacco, quasi che informando dell’esistenza di chi boicotta e delle sue ragioni si esaurisse il compito di una nuova, eventuale, petizione firmabile. Forse ho capito male o forse sono troppo sensibile all’argomento (corriggetemi), ma a mio avviso non ci sono motivi per cui gli scrittori non possano schierarsi per il boicottaggio anche della letteratura ‘nazionale’ qualora questa sia usata in eventi strumento di propaganda. Se lo fa, a chiare lettere Shabtai, mi spiegate perchè uno scrittore italiano non può o non deve?
La domanda è provocatoria, ma non coercitiva, siete liberi anche di mandarmi a quel Paese. Insisto nel desiderare un discorso più articolato che non sia una semplice firma sotto una frettolosa petizione.
besos
[OT]. Ciao Spettatrice. Non ti ho più sentita. Mi vuoi ancora bene?
(OT)
Lucio, spero che Loredana perdonerà l’uso improprio.
Purtroppo non riesco a intervenire spesso. Solo di tanto in tanto e se un argomento mi prende davvero. Leggo, anche il tuo blog, quasi quotianamente. Pesco chicche di alterna simpatia e vedo che non hai perso l’abitudine di maramaldeggiare per la rete 🙂 Mi sei simpatico comunque, anche quando finisce che fai qualche pestata. Don’t worry 🙂
besos