NON PRESUMO DI SAPERE, DUNQUE COME POSSO PARLARE?

Ma come posso aggiungere una sola parola a quanto detto e scritto e visto già nelle settimane che precedono il quarantennale dalla morte di Pasolini? Io? Io che la mattina dopo la  sua morte ero in macchina con un fidanzatino coatto di Tor Pignattara che si chiamava Peppe, e ascoltando la radio che dava la notizia ci guardammo e ci dicemmo, oddio, ma davvero? E fu una giornata e poi una settimana triste, perché allora, quarant’anni fa, i fatti duravano giorni in chi vi assisteva anche da molto lontano, e non venivano bruciati con il commento rapido, la condivisione, il dovere di essere e dire.
Altri hanno scritto (leggete Wu Ming 1 su Internazionale, per esempio), e c’è una bibliografia sterminata uscita negli ultimi mesi, e servizi e articoli e film. Quel che viene in mente a me non c’entra, non direttamente, con Pasolini. Penso alle reazioni di due giorni fa, alla notizia della chiusura della sede romana di Panorama e allo smantellamento della redazione. I commenti sono stati nella gran parte di soddisfazione e condanna: giornalisti di regime, è stato più o meno scritto, editore di regime, annegate pure, voi che non avete parlato degli altri che hanno perso il lavoro. E a chi faceva notare che è esattamente questo il punto, è l’atomizzazione del nostro sguardo (io, la mia cerchia di familiari e amici) a ucciderci prima ancora del Jobs Act, la risposta è stata, più o meno, ognun per sè.
Cosa posso dire io, su Pasolini? Che ogni mattina, nella metropolitana che viaggia dalla mia periferia verso il centro di Roma, lo vedo, quell’ognun per sé che viene scambiato per libertà ed è, di fatto, la negazione della libertà. Che i poteri sono diventati molto più sottili di un tempo, e molto più difficile è contrapporsi, perché si viene assimilati senza neppure accorgersene, e con stupefacente letizia sotto la maschera – appena una maschera – dell’indignazione momentanea.
Nulla, posso dire. Riportare qui una frase di un poeta che con lui ferocemente polemizzò, e che pure, negli ultimi anni della sua vita, subì non l’attacco frontale ma un invernale e definitivo isolamento. E ascoltare, certo. E leggere, certo.
“Quanto in lui e in me si agitò in quelle occasioni non può non apparire alcunché di incomprensibile, quasi al confine della mania, per un giovane d’oggi. Ma non eravamo né pazzi né fanatici. Eravamo, a poco più di dieci anni dalla fine della Seconda Guerra, nel cuore del secolo, ancora ricchi di qualcosa che — scrisse Pasolini — ci faceva piangere guardando Roma città aperta. Le lacrime non sono affatto un buon criterio di giudizio. Eppure mi piacerebbe sapere che cosa possa oggi far piangere un uomo di trent’anni, che tanti allora Pier Paolo ne aveva. E a uno o due di quei giovani anche vorrei dire: come si impara una lingua straniera, cercate di capire la lingua nostra, solo in apparenza simile a quella che ogni giorno impiegate conversando o pensando. Se ritenete che non valga la fatica, chiudete in fretta i nostri libri e l’età che li produsse; e buona fortuna”.
Franco Fortini, Attraverso Pasolini

3 pensieri su “NON PRESUMO DI SAPERE, DUNQUE COME POSSO PARLARE?

  1. ” ogni mattina, nella metropolitana che viaggia dalla mia periferia verso il centro di Roma, lo vedo, quell’ognun per sé che viene scambiato per libertà ed è, di fatto, la negazione della libertà ”
    “La libertà / non è star sopra un albero / non è neanche il volo di un moscone / la libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione “

  2. C’è qualcosa di magico nei numeri rotondi che io non comprendo. Un anno fa erano trentanove, tra un anno saranno quarantauno; che importa? Io non festeggio i capodanni.
    Ieri hanno ucciso un poeta a reti unificate. Ieri hanno bruciato l’eretico di mille e una eresia in diretta. Oggi possiamo riprenderci la sola libertà concessaci: girare la testa dall’altra parte, non vedere, non sentire e sopratutto non parlare. Oppure…
    Il poeta tra i suoi tanti insegnamenti ci costringeva ogni giorno a parlare con i fascisti prima che noi o loro fossimo andati troppo lontani: “ma anche se sei un morto, io ti parlerò.”
    A un fascista ha lasciato le sue ultime parole in Lingua Madre:
    “A è quasi sigùr che chista a è la me ultima poesia par furlàn;
    e i vuèj parlàighi a un fassista
    prima di essi (o ch’al sedi) massa lontàn.
    Chi si occupa di lingue madre ne può comprendere sino in fondo il perché, vorrei scriverla tutta Gentile Loredana, ma è troppo lunga. Già. Troppo lunga.
    A un fascista ha affidato il compito: Tu difìnt, conserva, prea, non a noi, pietro pusillanimi, avezzi a tradire e pentirsene, senza il coraggio di Giuda. Tradire per sempre. Nò, non a noi, sapeva già che saremmo arrivati fin qua e ci ha disconosciuti. A voi giovani fascisti che abusate del nome di un altro poeta, ai voi giovani leghisti dei trattori e dei campi a voi il Saluto e Augurio di Pier Paolo Pasolini Poeta. Leggetelo ve ne prego.
    A lei gentile Loredana Lipperini chiedo scusa di questa mia inutile intromissione. Andrea

  3. Mi piace quel “gentile Loredana”, è bello. Fa respirare l’aria di un mondo che rifiuta di contaminarsj, anche nei modi. La ringrazio per i suoi, per quello che scrive, che di tanto in tanto, per essere poco avvezzo al mezzo, leggo.
    Leggevo gli interventi di Pasolini quando io, trentenne di un altro tempo, sconfitto dalla restaurazione politica, mi rifugiavo nel mio privato a cercare di spuntarla con la vita, nell’amore di mia moglie e per mia figlia. Quando seppi della sua morte mi si inumidironon gli occhi e piansi. Ne ero capace, come diceva lui e lo faccio ancora, ogni volta che muore un poeta.

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