Non posso
fare a meno di tornare sui temi. Anzi “sul” tema. Quello definito “sulla
globalizzazione”, quello che prende le mosse da un brano del sociologo Giuseppe
Tamburrano: "L’industrializzazione ha distrutto il villaggio, e l’uomo,
che viveva in comunità, è diventato folla solitaria nelle megalopoli. La
televisione ha ricostruito il ‘villaggio globale’, ma non c’è il dialogo corale
al quale tutti partecipavano nel borgo attorno al castello o alla pieve. Ed è
cosa molto diversa guardare i fatti del mondo passivamente, o partecipare ai
fatto della comunità" (da "Il cittadino e il potere", in
"In nome del Padre"). “La traccia – leggo – chiedeva di discutere
l’affermazione citata, precisando se in essa potesse ravvisarsi un senso di
nostalgia per il passato l l’esigenza di intessere un dialogo meno formale con
la comunità circostante”.
Orbene.
Non posso
fare a meno neppure di riportarvi quanto ne scrive oggi Stefano Rodotà. Avercene.
La mia reazione di fronte a questa
traccia? Vorrei leggerli tutti i temi che sono stati consegnati ieri, perché le
ragazze e i ragazzi intorno ai vent´anni sono essi stessi la globalizzazione.
Sono immersi in un flusso continuo di comunicazioni, scaricano musica e film,
alimentano YouTube, attingono conoscenze alle fonti più disparate, producono e
subiscono modelli di comportamento, fanno e disfano comunità virtuali, assumono
identità molteplici. Avranno parlato di questo? Quanti di loro saranno rimasti
impastoiati nello schema un po´ burocratico che la traccia propone? Il popolo
di Internet, di cui le persone giovani costituiscono il nerbo, è al di là della
logica televisiva. Frequenta il più ampio spazio pubblico che l´umanità abbia
conosciuto, che non può essere analizzato e compreso con lo schema, pur così
forte, della "folla solitaria" che consentì di capire che cosa era la
metropoli moderna. Siamo di fronte a una nuova condizione umana, che certo può
produrre inedite forme di solitudine e di esclusione, che può imprigionare la
vita nello schermo di un computer, ma che deve essere considerata come elemento
essenziale della dinamica complessiva che stiamo vivendo.
Si può dire, allora, che la scelta dell´argomento sia stata buona, ma che
l´indicazione per la discussione non ha tenuto conto dello spirito che percorre
le persone alle quali era rivolta. Gli studenti dovevano farsi giudici di una
nostalgia che non gli appartiene? D´altra parte, essi già vivono un dialogo che
nulla ha di formale, come testimonia lo sconvolgimento prodotto dalle immagini
che proprio dalla scuola sono arrivati negli ultimi tempi su YouTube. E a quale
comunità "circostante" dovevano pensare? La loro esperienza è già
quella, intensa o effimera, che produce il "popolo di Seattle" o la
convocazione per un rave party. Quei temi saranno riusciti a catturarla?
= SPOILER: QUESTO POST PARTE IN TEMA E FINISCE IN OT =
Anche a me piacerebbe leggere le prove dei miei ragazzi, il che non mi è dato perché non sono commissario d’esame. I miei ragazzi sono, nella sfortuna, fortunati: nella fortuna, hanno studiato la globalizzazione, lo avranno sicuramente saputo interpretare. Nella sfortuna: fanno parte di quel 20% di studenti che NON AVEVA DANTE nel piano di studio del V anno e NON POTEVA cimentarsi nell’analisi testuale, non essendo previsto un testo alternativo.
Proprio come due anni fa, proprio come ai tempi della Moratti.
No, peggio: almeno la Moratti non s’è mai azzardata a dare come prova d’esame l’argomento di un’omelia papale della settimana precedente. Il prossimo anno tutti a preparare l’esame sull’Avvenire, colleghi!
La traccia è interessante, ma sinceramente la formulazione sembra essere un po’ fuori tempo, non solo per i motivi indicati da Rodotà, ma anche perché l’idea stessa di “villaggio globale” oggi mostra i suoi limiti, e già da un bel po’ di anni molti studiosi preferiscono parlare di “metropoli globale” per indicare i tipi di relazioni che si stanno creando. Se la riflessione si basa su questo equivoco di fondo, non so quali possano essere i risultati
P.S. Girolamo, in quale traccia c’è una omelia papale recente? Di fronte alle due paginate di tracce e documenti mi sono perso…
San Francesco, di cui Ratzinger ha lungamente parlato pochi giorni fa…
bello, ma occorre riflettere su quel che scrive rodotà.
ci son ragazzi e ragazzi.
ci son (da considerare anche) problemi di relazioni interpersonali uccise da chat e videocamere. c’è che è più facile comunicare guardando uno schermo che non guardando una persona, in faccia.
internet è una grande apertura e una grande chiusura, anche.
allora, io sono un perditempo. e anni fa, di birreria in birreria vidi i primi punti internet, la sera affollatissimi.
gente sola, giovani, che comunicavano con altri giovani chattando ma che non avevano il coraggio di guardare in faccia il vicino di pc.
poi.
bello quanto scritto da girolamo, la parte finale soprattutto. dai diesse alla lega tutti a omaggiar le esternazioni vaticane. quasi quasi rimpiango i tempi della dc: allora almeno, per lo meno a sinistra, un po’ di senso critico c’era.
Insomma, niente vietava a uno spirito libero di evidenziare la nostalgia sottesa al testo e poi prenderla a martellate evidenziando la pochezza e la genericità delle affermazioni contenute: sentire non è consentire né acconsentire. La traccia dantesca è, a dir poco, pastorale. E il fatto ce sia pastorale E PURE ERRATA la dice davvero lunga. Un terribile autogol!
Ennesima prova del ritardo della scuola sulla vita…
“La formulazione sembra essere un po’ fuori tempo”, dice Anghelos. Direi proprio di sì. “In nome del padre” è del 1983. Se si guarda a cos’era il mondo 24 anni fa, sembra piuttosto passato un secolo. 24 anni in cui è successo di tutto. Pensiamoci. Si sciolgono i nodi che ci avevano catturato dalla fine della guerra mondiale, dalle grandi utopie totalitarie alla guerra fredda. L’Europa cambia la sua geografia politica, il marxismo entra in crisi, crolla il muro di Berlino, prende avvio la deriva liberista con l’accelerazione finale a un’etica della competitività e della sopraffazione, i partiti che avevano dominato la scena politica si dissolvono, cambiano identità, inizia la grande migrazione dal terzo mondo verso il benessere e l’Europa si avvia alla sua trasformazione etnica (con relative conseguenze sociali e politiche del caso), infine prende il via l’immensa rivoluzione del sapere conseguente all’entrata in scena del personal computer prima, della rete poi.
Ripeto, ennesima prova del ritardo della scuola sulla vita.
Per non parlare poi di tutti questi accenni nostalgici alla comunità e al passato. Hanno un’aria che non mi piace. Non so, sarà l’affinità con la tradizione del pensiero reazionario, col pensiero della Tradizione. Ma potrei anche essere paranoico, eh…
Mi trovo perfettamente d’accordo con quanto dice Giuseppe Tamburrano (per quanto può valere: mica so’ un esperto!).
Il difetto delle comunità piccole e “vecchio tipo” era che però, in genere e tendenzialmente, limitivano la libertà dell’individuo, necessitando strutturalmente di molta omologazione. Insomma: in un qualsiasi paesino (per dirne una) pugliese, centocinquant’anni fa, c’era certamente molta partecipazione e senso di comunità e di gruppo, ma non vorrei avervi abitato essendo un “diverso”: puttana, gay, “matto”, libero pensatore, “tipo strano”, eccetera.
Oggi è vero che c’è solitudine e mancanza di senso di gruppo – il che è GRAVISSIMO, a mio avviso, è una mancanza che personalmente sento molto – però puoi essere più o meno come ti pare senza che la società ne abbia a ridire.
Mah, il discorso è lungo e davvero interessantissimo.
Marco
Livermore, non confondere la scuola – cioè chi concretamente la popola, la sostanzia, ci vive e ci lavora – con chi la dirige.
Ero giusto giusto venuto a vedere se se ne parlava.
L’intervento di Rodotà è correttissimo: di tutti i “tagli” che si potevano dare (e debbo dire, anche di tutti i documenti al di là di Tamburrano) è stato scelto il più alieno ad un ragazzo di 18 anni.
Anziché domandargli COME vive la sua contemporaneità gli si è voluto chiedere se prova NOSTALGIA pe run passato mai vissuto.
Girolamo scrive:
“Livermore, non confondere la scuola – cioè chi concretamente la popola, la sostanzia, ci vive e ci lavora – con chi la dirige”.
Non confondo i due livelli, Girolamo. Insegno anch’io, ma se parlo di scuola devo necessariamente ragionare al di là dei discorsi (giustissimi) sulla dignità, la “buona volontà” e l’abnegazione di gran parte degli operatori che la animano, spingendomi a un’analisi più fredda e complessiva che interessa il livello istituzionale e culturale, perché sai bene che eventuali “vuoti” a questo livello ricadono poi su chi popola e vive concretamente la scuola tutti i giorni.
Dirò di più: anzi, lo faccio dire a Gianfranco Giovandone, a proposito dell’”iper-attivismo, il senso di “missione”, lo spirito di sacrificio, l’ “eroismo” di tanti che, dimentichi di uno specifico e di una dignità professionali non accomunabili a crocerossine e dame di San Vincenzo, fanno alla fine il male della scuola, coprendo con la loro abnegazione gratuita il vuoto e l’assenza sia dei colleghi più furbi, sia della politica e dei sindacati”.
Ma rischiamo l’off topic…
…Giovannone, non Giovandone.
certe cose possono succedere anche per il mancato esercizio del potere di sciopero al momento giusto(capisco che lo stesso attualmente non goda di buona reputazione ma rimane una formidabile matrice di mutazioni)
Sto disperatamente cercando l’articolo di rodotà del 21 (come si menziona qualche post più avanti) ma non riesco proprio a trovarlo. Su repubblica non ce ne è alcuna traccia.
Vi prego riusce a darmi qualche indicazione o ancora meglio il link corretto per la sua visualizzazione? Ringrazio di cuore chiunque voglia aiutarmi.