PAROLE ALTRUI

(Natalia Aspesi, su Repubblica di oggi)
Si sa, le notizie ripetitive annoiano, e infatti si liquidano in poche righe, nelle sole pagine locali: come l’ennesima tragedia della povera donna al nono mese di gravidanza uccisa a randellate e poi bruciata, dal marito o dalla di lui amante che in prigione si incolpano a vicenda. Questi ammazzamenti stanno diventando per i giornali eventi inevitabili, quindi meno interessanti di quel che twitta qualsiasi scemo della politica. E poi: mentre centinaia di donne vengono pestate “per amore” dal loro uomo o ex uomo e non ne sono affatto contente, arriva prima nelle classifiche letterarie di tutto il mondo la trilogia “Cinquanta sfumature (di grigio, di nero, di rosso)”, in cui per 1500 abbondanti pagine una fanciulla è tutta contenta di farsi torturare da un cretino però bellissimo, ricchissimo e con triste passato. Sono le donne a leggerlo estasiate, perché si tratta di un Romanzone Rosa, l’immortale letteratura per signore, e le bastonate e staffilate punitive non sono che un virtuoso corollario del Grande Amore.
(Catharine A. MacKinnon, Le donne sono umane?, a cura di A. Besussi e A. Facchi, collana: «Sagittari Laterza»)
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo definisce che cosa è un essere umano1. Nel 1948, essa disse al mondo ciò cui una persona, in quanto persona, ha diritto. Sono passati cinquant’anni. Le donne sono umane?
Se noi donne fossimo umane, saremmo trasportate come merce pronta a essere venduta dalla Thailandia ai bordelli di New York2? Saremmo schiave sessuali, usate a fini riproduttivi? Saremmo allevate come bestie, costrette a lavorare per tutta la nostra vita senza essere pagate, bruciate nel caso i soldi della nostra dote non siano abbastanza, o nel caso gli uomini si stanchino di noi, fatte morire di fame quando i nostri mariti muoiono (se sopravviviamo alla loro pira funebre), vendute per sesso, perché non siamo apprezzate per nient’altro? Saremmo date in sposa ai sacerdoti, in cambio di denaro per espiare i peccati della nostra famiglia, o per migliorarne le prospettive terrene? Nel caso ci fosse concesso di lavorare dietro retribuzione, saremmo costrette a svolgere i lavori più umili e saremmo sfruttate fino al punto di essere ridotte alla fame? I nostri genitali sarebbero tagliuzzati per «purificarci» (le membra dei nostri corpi sono impure?), per controllarci, per marcarci e per definire le nostre culture? Saremmo smerciate come cose destinate all’uso e all’intrattenimento sessuale, in tutto il mondo, e in qualunque forma resa possibile dall’attuale tecnologia3? Ci sarebbe impedito di imparare a leggere e a scrivere4? Se noi donne fossimo umane, avremmo così poca voce in capitolo nelle decisioni pubbliche e nel governo dei paesi in cui viviamo5? Saremmo nascoste dietro a veli e imprigionate nelle case, ci lapiderebbero o ci sparerebbero, perché ci rifiutiamo? Saremmo picchiate a morte, o quasi, dagli uomini con i quali siamo intime? Saremmo sessualmente molestate all’interno delle nostre famiglie? Saremmo stuprate durante i genocidi per terrorizzare, espellere e distruggere le nostre comunità etniche, o stuprate durante la guerra non dichiarata che si svolge ogni giorno e in ogni paese del mondo nel cosiddetto tempo di pace6? Se le donne fossero umane, la nostra violazione sarebbe goduta dai nostri violatori? E, se fossimo umane, e queste cose accadessero, non ci sarebbe praticamente nulla da fare in proposito? Ci vuole un bel po’ d’immaginazione – e un’attenzione risolutamente concentrata sulle eccezioni privilegiate – per vedere una donna reale dietro alle maestose garanzie di «ciò cui ognuno ha diritto». Dopo più di mezzo secolo, quale parte di «ognuno» significa noi? L’altisonante linguaggio dell’articolo 1 incoraggia ad agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Dobbiamo essere uomini perché questo spirito ci includa? Ma forse questa è un’interpretazione troppo letterale. Se tutti dovessimo comportarci, gli uni verso gli altri, in spirito di sorellanza, gli uomini capirebbero che questo riguarda anche loro? L’articolo 23 prevede, in modo incoraggiante, un’adeguata retribuzione per chiunque lavori. E continua affermando che questo assicura una vita umanamente dignitosa per lui e per la sua famiglia. Le donne non sono pagate per il lavoro che svolgono all’interno delle loro famiglie: perché non sono ognuno, o perché ciò che fanno per le loro famiglie non è lavoro o, più semplicemente, perché noi non siamo lui? Le donne non hanno famiglie o le donne non possono avere una famiglia senza un lui? Se quel qualcuno che non è pagato affatto, o che è pagato molto meno rispetto alla giusta e favorevole remunerazione garantita, è quella stessa qualcuna che, nella vita reale, è spesso responsabile per il sostentamento della sua famiglia, quando è privata della possibilità di assicurare alla sua famiglia una vita umanamente dignitosa, non è umana? E ora che, a partire dalla promulgazione della Dichiarazione universale, ognuno ha ottenuto il diritto di partecipare al governo del proprio paese, perché la maggior parte dei governi sono gestiti degli uomini le donne rimangono in silenzio nelle stanze del potere perché non abbiamo una voce umana? Un documento che adotta misure specifiche per la formazione dei sindacati, e a favore di ferie periodiche e retribuite, avrebbe potuto appellarsi alla specificità delle donne non soltanto per fare riferimento, ogni tanto, alla maternità, che tutto sommato è più riverita che tutelata. Se le donne fossero umane, la violenza domestica, l’abuso sessuale dalla nascita alla morte, prostituzione e pornografia incluse, e la sistematica denigrazione e reificazione sessuale delle donne e delle ragazze sarebbero state semplicemente omesse dal linguaggio ufficiale di questo documento? Certo, la discriminazione sessuale è proibita. Ma come è possibile che sia stata proibita per tutto questo tempo, anche se solo come aspirazione, e che, ciononostante, tutte queste condizioni non siano state ancora concretamente immaginate come parte integrante di ciò cui ha diritto un essere umano, proprio in quanto umano? Perché il diritto delle donne di vedere la fine di queste condizioni è tuttora apertamente dibattuto sulla base di diritti culturali, diritti di espressione, diritti religiosi, libertà sessuale, libero mercato – come se le donne non fossero altro che significanti sociali, discorsi da ruffiani, feticci sacri o sessuali, risorse naturali, beni di consumo, tutto tranne che esseri umani? Le omissioni della Dichiarazione universale non sono semplicemente semantiche. Essere una donna «non è ancora il nome di un modo di umanità», nemmeno in questo che è il più visionario tra i documenti sui diritti umani. Se misuriamo la realtà della situazione delle donne in tutta la sua varietà sulla base delle garanzie della Dichiarazione universale – anche se la maggior parte degli uomini non fa nemmeno questo – è molto difficile intravvedere, nella sua visione dell’umanità, il volto di una donna. Le donne hanno bisogno di un pieno stato umano nella realtà sociale. Perciò, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo deve interpretare le modalità attraverso cui le donne sono deprivate dei diritti umani come una deprivazione di umanità. Affinché il glorioso sogno contenuto nella Dichiarazione universale si avveri, affinché i diritti umani siano davvero universali, sia la realtà che essa sfida, sia gli standard che essa afferma devono essere cambiati. Quando le donne saranno umane? Quando? (…)”

15 pensieri su “PAROLE ALTRUI

  1. Entrambe le citazioni importanti stimoli alla riflessione. Al primo pezzo aggiungerei anche il disagio che ho provato a guardare in televisione la registrazione della donna uccisa dai talebani sotto gli occhi di tutti. Orribile il gesto e la cultura che lo sottende, ma a che è giovato mostrarlo? Chi già crede nei diritti delle donne ne è uscito, come me, sicuramente inorridito, ma per quelli che non considerano la libertà delle donne è certamente apparso come un gesto violento, certo, ma plausibile per la cultura e giustificato dal comportamento della donna. Quel genere di libri, poi, non li sopporto (mi scuso con chi ha parere diverso), ma perché mai ridurre sempre la donna a un languido fumettone rosa dove un po’ di sesso “subito” dona quel pizzico di “malizia”che fa vendere di più?
    I diritti delle donne… esistono in teoria ma sono più forti le discriminazioni e i troppi occhi chiusi su ciò che non si vuole guardare perché è scomodo. E’ terribile dover ammettere che troppo spesso le donne non sono considerate umane e, a volte, mi sembra che le donne stesse non si considerino tali. Penso, per esempio, solo all’ultimo delitto terribile, la donna incinta, suo marito, l’amante, i figli… Dell’uomo si può dire solo il peggio, ma quell’amante… è donna, ma è forse umana?
    C’è un silenzio pericoloso degli uomini, ma mi sembra che anche quello femminile stia, per alcune, cambiando il suo aspetto. Non più, cioè, il silenzio della paura e della solitudine, ma quello di chi ha assunto modi che ritornino al personale egoismo più che al “diritto” per tutte. Ci sono donne che apprezzano il proprio sfruttamento, lo cercano, ne definiscono i criteri economici dimenticando tutte le lotte, ancora in atto, per affermare il proprio diritto essenziale… essere una persona ed essere donna.
    Molte altre, per fortuna, non hanno smesso di lottare, nonostante le difficoltà accresciute dalla confusione generata dal nuovo silenzio femminile. E c’è di positivo che anche alcuni uomini stanno cominciando a rompere il silenzio. Quando saremo considerate umane? Non lo so, vorrei poter dire domani.

  2. a dare un approccio antropologico alla questione viene da dire che l’orrore viene da lontano.Le donne del congo hanno un terrore atavico dei rapporti sessuali.Per..ammorbidirle..le rinchiudono in una capanna isolata insieme a delle mezzane bovine lasciate a verminare.Quando le portano via sono prossime alla follia e quando vengono lasciate sole con lo sposo promesso diventano docili come agnellini(l’ho letto tra le digressioni di un romanzo.E temo sia vero..)

  3. … riflettendo ancora… perché il filmato sulla donna uccisa in pubblico è stato ripreso a più non posso e poca pubblicità ha avuto la notizia delle donne che hanno manifestato senza il velo?

  4. però ecco, perché continuare con l’idea di “noi donne”? non si può parlare a nome di un genere. e onestamente, la retorica non si capisce a cosa serva in questo caso.
    Cosa vuole dire Natalia Aspesi?

  5. Infatti il genere maschile parla di norma anche a nome delle donne, e con molta retorica anche e, onestamente si capisce proprio bene a cosa serva in tutti i casi. Forse voleva sire questo la Aspesi?

  6. Intanto, trovo quasi impossibile che la signora Áspesi (detta anche ‘Áspita) possa introdurre un’analisi così serrata, lùcida e pragmatica… Mi sa che è tutta farina del sacco della MacKinnon.
    Poi, e mi fa un tantino specie, alcuni dei commenti soprariportati son talmente presi dal loro paradigma sostanzialmente “borghese”, da non riuscire a far mente locale alla verità di fondo: occorre rimodulare a tutti costi atteggiamenti e parole. Occorre farlo prepotentemente e subito. Occorre presentare il conto IMMEDIATAMENTE a chi vive di queste patenti contraddizioni: non si può stare dentro le cosiddette nazioni unite e sopportare il peso VIOLENTO di tanta discriminazioni.
    Occorrre CAMBIARE LE REGOLE! Occorre iniziare a pensare in modo del tutto diverso, fino ad arrivare, se caso, a sostituire la totale assenza di pensiero a qualunque visione del mondo che veda negli idoli, nel culto della personalità, nel rispoetto fatuo del potere coercitivo, una qualche forma di “rispettabilità”. Il RE (da tempo) è NUDO!

  7. Premetto che sono convinta che l’oppressione di genere esista prima di ogni altra oppressione, la preceda, e la trascenda, ma nella situazione storica attuale mi chiedo: queste spinte convergenti per imprimere un moto di arretramento alla posizioni conquistate dalle donne nei paesi cultura europea, e anche altrove, e per impedire gli avanzamenti, in altri casi, non sarà funzionale ad un riassetto degli equilibri economici (questa volta capitalistici) mondiali, che hanno bisogno che le donne tornino nei loro ruoli tradizionali? Oppure che in quei ruoli ci rimangano ben bene rinchiuse? E cioè: riproduzione, servizi e accudimento gratuiti, da una parte, e corpi da macelleria sessuale dall’altra, destinati ad alimentare le nuove imprese globali dello sfruttamento. Rileggiamo a confronto “ancora dalla parte delle bambine” di Loredana Lipperini e “Bambole viventi” di Natasha Walter. E’ una guerra, e come andrà a finire non è già scritto, ammesso che ne prendiamo coscienza.

  8. @paola m: secondo me una lettura politica dell’arretramento del fronte dei diritti conquistati delle donne è necessaria, ma penso che la chiave marxista ed economicista in questo caso rischi di essere riduttiva. Le forze economiche che operano in questo periodo storico spingono in direzioni contratstanti: da un lato la produzione, per espandersi, continua ad aver bisogno di braccia, e ben vengano quelle femminili che notoriamente costano meno; dall’altro, che la crescente automazione dei processi produttivi compensi i posti che si perdono con altri a maggior valore aggiunto è un mito, come ha ricordato lo stesso Prodi pochi giorni fa; e quindi, in un ipotetico futuro (o è già vero oggi?) in cui non ci sarà posto per tutti nella catena produttiva, potrebbe in effetti far comodo risospingere metà e più dell’umanità tra le pareti domentiche. Ma, qualsiasi forza finisca per prevalere, non credo che ci sia dietro un disegno consapevole. Io penso, molto più semplicemente, che la controffensiva conservatrice che ormai da trent’anni ha occupato menti, anime e sedi di potere ha portato alla riaffermazione di un’economia predatoria, generatrice di disuguaglianze, quale non si vedeva dagli anni venti del novecento (è la tesi di Krugman, “The conscience of a liberal”). In un simile contesto ipercompetitivo, è fatale che i soggetti più deboli paghino i prezzi più alti: le donne come le minoranze, i migranti, i bambini, gli homeless, gli anziani e, in generale, tutti coloro che non dispongono di ricchezza e strumenti in misura adeguata per potersi autotutelare. E’ contro questo stato di cose, io credo, che dovremmo misurarci: la discriminazione delle donne non è un fatto a sé stante, ma una delle infinite facce di un fenomeno mostruoso, che sta spingendo verso la marginalità tutti i soggetti deboli della società.

  9. @maurizio, niente disegni:ho scritto “spinte convergenti”, “tendenze” convergenti, non “intenti” convergenti. Se sia più utile licenziare le donne e farle tornare a casa, oppure reclutarle come manodopera sottopagata, distinguerei per contesti locali, ma in entrambi i casi io ci vedo la riduzione e l’arretramento delle conquiste delle donne, o no? Lo stesso per l’erogazione monopolistica dei servizi di cura gratuiti, che possono essere dispensati in contesto familiare anche da donne occupate in un lavoro esterno (sotto)retribuito. Per altro, quanto a forze in campo: la nascita e l’operato del movimento dei lavoratori ha smentito le previsioni di Marx, che non aveva calcolato sé stesso, quindi niente è ineluttabile. Ma adesso siamo ad un altro giro.

  10. a me sembra di vedere che saranno le donne a fare politica, e gli uomini la finanza e che da quel mondo continueranno a fare la loro guerra, gli uomini.

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