Premessa: se mi sto occupando in diversi post dell’amministrazione capitolina, non è perché faccio parte del Grande Gomblotto contro il sindaco Marino. Nei confronti del quale non nutro sentimento alcuno: anzi, potrebbe esserci chiunque sulla sua poltrona e il tenore delle mie parole sarebbe identico. Scrivere di come si vive a Roma non è neanche l’astuto riposizionamento nel momento in cui i discorsi sui femminismi si fanno (ma ne parlerò di nuovo) molto difficili da portare avanti, per responsabilità equamente distribuite. Scrivere di come si vive a Roma significa, insomma, provare a raccontare che al di là dei colori delle giunte cittadine si è arrivati a un’impossibilità del vivere comune che rischia di vanificare qualsiasi altro progetto. In altre parole: come si fa a lavorare per i diritti, non solo di genere, per la scuola, per la cultura in una città paralizzata e inferocita in ogni suo settore (incluso quello, di cui si è detto, del morire)?
Ieri sera Riccardo Iacona ha dedicato Presa diretta ai trasporti pubblici: consiglio vivamente di guardare la puntata, dove si capisce molto bene che il caos mobilità non è solo faccenda che riguardi i cittadini rassegnati o disperati, ma è il sintomo più profondo di quel vacillare generale del centro, direbbe Yeats, che riguarda ogni settore del vivere comune (dunque, del vivere).
Questa mattina, misteriosamente (o forse non troppo, visto che i famigerati scioperi bianchi del personale, non annunciati, son sempre in agguato), alle 7.30 del mattino, la linea B era ferma a Rebibbia. Alle 8 la banchina di via dei Monti Tiburtini straripava di studenti e lavoratori, senza che un solo annuncio di ritardo venisse dato. Ci si informava con i telefonini e con le fotografie che i compagni di scuola dei ragazzi postavano dal capolinea, con scene di panico e follia sulle banchine. Un classico, ma certo, un classico del lunedì. Come un classico è la risposta dell’addetto Atac nel gabbiotto della fermata, che alla richiesta di spiegazioni ti sbatte la porta in faccia urlando “Datte foco”.
Un classico, ma sicuro. A cui nessuno risponde: come ogni giorno, come sempre.
Ps. L’invito a fare un giro in metro è sempre valido, signor sindaco.
Bellissima, la nested citation di Yeats in frame “Hyperion”… in un post sui trasporti, poi, rende perfettamente 🙂
Forse il carissimo sindaco capitolino è alle prese più con la nostalgia del bisturi che delle marce,a piedi o coi mezzi nei rioni della capitale. E chissà che,( anche ) non la senta sua neppure data in regalo o in prestito oerchè vi fruttassero grano e vigne e non sono monumenti seduti in buche di voragine. E pensare che uno dei primi voti è stato proprio il mio! Bianca 2007
Sconforto. Tutte le strade x migliorare questo mondo qualcuno di noi le ha percorse. L’idea di darsi fuoco non è male.
Non essendo romana ho una conoscenza superficiale dei problemi, a parte l’aggressività diffusa che quella colpisce effettivamente chi non è abituato ma apparentemente ha superato il livello di guardia http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Aggressione-bus-a-Roma-autista-al-Tg1-Pensavo-mi-avrebbero-ammazzato-a03fad0b-5130-4a18-9c5b-32f09e9cc450.html
ho deciso che non mi fiderò mai di un sindaco di Roma che va in motorino o in biciletta.
Lo vojo véde coll’auti.
p.s. quando vado a Milano mi fanno crepare i milanesi indispettiti perché gli tocca aspettare 3 minuti il nove e poi magari non c’è posto a sedere! Giornata rovinata, arrivano in ufficio inversi.