PICCOLI PASSI, MA PROPRIO PICCOLI

Così, reduce da una lunga puntata radiofonica dedicata ai padri, mi infilo in metropolitana e, sugli schermi che trasmettono notizie, trailer e pubblicità, mi imbatto nello spot di un antinfluenzale. Il protagonista è un papà. La moglie è fuori per lavoro, e dunque (visto il caso eccezionale) spetta a lui accompagnare i figli a scuola. Peccato che non ne combini una giusta: l’elastico per i codini della bambina è più inestricabile dei capelli di Medusa, e il povero padre fallisce nel tentativo di fargli fare i famigerati due giri che permettono l’acconciatura perfetta. Quando si cimenta con i lacci delle scarpe del figlio la situazione peggiora. Per fortuna, scopriamo che la colpa è dell’influenza: pastiglietta, sollievo, finalmente può “fare il padre”.
E’ interessante, lo spot, perché da una parte è davvero animato dalle migliori intenzioni, e vuole dare valore e risalto a una mutazione effettiva del ruolo paterno. Dall’altra, però, non resiste al conformismo pubblicitario che rappresenta i padri, con poche eccezioni, come goffi e poco inclini alla pratica dell’accudimento, nonostante la buona volontà (e l’influenza, mettiamoci pure quella). Alle nostre spalle abbiamo centinaia di immagini dove uomini sostano perplessi davanti all’oblò di una lavatrice chiedendosi a cosa serve (le ha usate, rimuovendole poi con la velocità del fulmine, l’astuto Dash nella sua pagina Facebook), o perduti in un corridoio di un supermercato con l’aria di chiedersi da dove si comincia (rimossa anche questa). Questo  spot è un piccolo passo. Forse, però, un po’ troppo piccolo.

24 pensieri su “PICCOLI PASSI, MA PROPRIO PICCOLI

  1. “Faccio” il padre da undici anni e, considerate le tenere goffagini di genere, forse segno di un avvicinamento alle donne in fatto di accudimento,vedo con favore questi segnali pubblici di superamento dei ruoli fissi e retrogradi. Ieri sera ho visto il film “quel grasso matrimonio greco”, bruttofilm secondo me, e, soprattutto, inutile nella sua ironia da commedia scialba,e giocando con quei terribili e tristi stereotipi fermi agli anni cinquanta.
    Sarà che c’è una gran voglia di arrestare questo processo evolutivo per motivi culturali, che riemergono quando meno te lo aspetti? un po’ come Berlusconi ancora candidato…

  2. Buongiorno e grazie per il pezzo. Quello spot mi tormenta in metro da qualche giorno, e credo che solo la locuzione “fare il padre”, che mi ha colpito particolarmente, meriterebbe un pezzo a sé. L’Uomo depone l’armatura, si cambia d’abito e “fa” il padre. Il risultato è (almeno per la mia esperienza) a distanze siderali dalla realtà, forse.

  3. Loredana, io mi sto rendendo conto sempre di più di quanto questo paese sia arretrato. Cioè tanto ecco. La pubblicità l’ho apprezzata per iltriate discorso che oramai mi trovo a sposare per cui qui, per combattere una situazione arcaica servono strumenti arcaici, perchè più evoluti non attaccano. Allora va bene secondo me una pubblicità moderatamente progressista, perchè troppo viene rifiutata dalle più come dai più come semplicemente non credibile, fuori dalla realtà. Il che intanto per quello la che vende l’antiinfluenzale è na iattura, ma tutto sommato anche per gli scopi di un cambiamento sociale.

  4. Forse, nell’universo che ruota attorno alla paternità, seria e responsabile, ci sono delle questioni, eternamente gestite dalle madri, che meriterebbero un’attenzione che va ben oltre le pubblicità. Quali spazi oggi hanno i padri che vogliono e sanno stare bene coi loro figli? Quelli che meriterebbero o quelli che le madri, depositarie di saperi indiscutibili concedono?
    C’è un diritto alla paternità che fa i conti, con la maternità indiscussa, dovuta, biologicamente santa, che è determinante e concede poco al padre. Concede poco, ma richiede un tutto generico.
    Nel caso delle separazioni, spesso il padre diviene un accessorio, triste e muto per non indisporre giudice.

  5. Anch’io sono rimasto colpito dallo spot, ma fatico un po’ a vederci il piccolo passo; è che bastava pochissimo, sarebbe stato sufficiente non dire che il protagonista ‘fa il padre’ perché la mamma non c’è.
    Se vedo un padre legare le scarpe al figlio, la scena mi è chiara, non mi fermo a chiedermi: dove sarà la madre? come mai proprio oggi è lui a legare le scarpe?
    Ok, sarà un piccolo passo, ma a dirla tutta lo spot non mi sembra tanto diverso da “I piatti col tale detersivo li può lavare lui”, o dalla scopa elettrica “per l’amico single”…

  6. A me invece, pur coi limiti che evidenzi Loredana, aveva colpito di più la componente “rivoluzionaria” dello spot: il suo accennare a una intercambiabilità tra madre e padre come normale evenienza nella vita familiare.
    Dà per scontato che anche il papà abbia delle incombenze pratiche nella cura dei figli, che il suo ruolo non si limita a giocarci quando torna dall’ufficio o scarrozzarli in macchina. Incombenze banali e quotidiane, ma fondamenali, a cui non può sottrarsi e: proprio come la madre! Che nello spot non compare mai. E poi, anche nel claim, dice proprio: “e puoi tornare a fare il papà”, non “tornare attivo” o altre espressioni più ampie: cioè definisce il protagonista esclusivamente col suo ruolo di papà, che gli basta per essere fiero, senza accennare alla vita professionale o altre cose ganze tipo sport ecc. Una cosa che nelle pubblicità in genere è appannaggio delle mamme…

  7. “Alle nostre spalle abbiamo centinaia di immagini dove uomini sostano perplessi davanti all’oblò di una lavatrice chiedendosi a cosa serve (le ha usate, rimuovendole poi con la velocità del fulmine, l’astuto Dash nella sua pagina Facebook), o perduti in un corridoio di un supermercato con l’aria di chiedersi da dove si comincia (rimossa anche questa)”
    Questo sarà vero per le generazioni passate ma sfido lei a trovare un’alta percentuale di coppie sotto i 40 anni in cui i suoi stereotipi, che va cercando ossessivamente a ogni angolo di strada (letteralmente), trovino conferma. Vede, Lipperini, purtroppo le persone campano in media 80 anni, perciò i costumi culturali acquisiti risentono dell’effetto inerzia fino a che quelle persone non sono morte. Sul campione statistico delle disparità di genere pesano purtroppo tutti coloro che per motivi anagrafici la lavatrice non l’hanno mai usata e continueranno a non usarla. Perciò vorrei capire l’efficacia di una politica culturale che generalizza gli stereotipi di genere senza fare importanti distinzioni: se il suo messaggio è rivolto agli under 40 risulta pleonastico poiché le giovani coppie conoscono già una distribuzione dei compiti moderna, sempre che lei non veda il mondo dall’oblò(di una Eboli). Se invece è rivolto a quelli della sua età (e oltre) è un’arma spuntata in quanto l’abitudine atavica ai ruoli di un tempo non cambierà certo grazie alla sensibilizzazione delle terze età a sentirsi equi nei confronti della partner di una vita attraverso un rimescolamento dei ruoli casalinghi e coniugali, dove per un lui che impara a fare il ricamo lei ci dà dentro con la zappa nell’orto. Un uomo di mezza età gratificato finalmente per aver imparato a non mandare all’ospedale la nipotina equivocando per ghiottonerie gli optalidon dell’armadietto; aver capito come farle la treccia ai capelli senza il rischio di ritrovarsene lo scalpo in mano; o aver azzeccato la temperatura acconcia per i maglioncini della moglie senza doversi giustificare a posteriori dicendo che voleva fare un regalo alla creaturina con un capo della sua taglia.
    Mi sono sempre chiesto se il detersivo “Omino bianco” sia stato chiamato così per una subliminale esortazione alla parità di genere alla voce “lavanderia”.

  8. Ecco appunto il video linkato da diamonds, per dire mi sembra più convenzionale e furbetto. Il papà sembra più come un simpatico baby-sitter, e la volta che sta a casa col pupo lo fa divertire, e si diverte, con mille giochi scatenati e buffonate (cosa che si suppone la madre non faccia: forse perchè nel mentre bada al pupo deve anche preparare la cena, fare la lavatrice ecc.?): e poi mettono tutto a posto da bravi prima che arrivi la mamma…

  9. Omino bianco, io sono del ’73, vivo in provincia nel norditalia, e conosco molte famiglie e coppie di trenta-quarantenni con figli (cioè quelle rappresenate nlle pubblicità a cui si fa riferimento), la maggiorparte di ceto medio e medio basso. Le assicuro che la distribuzione dei compiti è, salvo eccezioni, tutt’altro che “moderna”. Ma tutttaltro, eh. Vada se mai a sbirciare qualche forum di bambini, cucina, casa. Si farà un’idea più precisa di chi fa cosa nelle coppie giovani e meno giovani, in Italia, almeno fuori da un’elite di privilegiati.

  10. Mi aggiungo a Francesca Violi e confermo che anche qui a Milano i ruoli pur nella loro complessità sono ancora molto rigidi. Sono del ’70 ma capita di frequentare coppie più giovani. Basta sostare davanti alle scuole, fare un giro ai giardinetti e andare dal pediatra: prevalenza di mamme, tate e nonne.
    Qualche papà c’è, qualche appunto…
    Mi sembra di capire che solo una forte precarietà di entrambi i genitori porta ad una quasi eguaglianza nella distriubuzione dei compiti famigliari.
    Crederò alla parità raggiunta – se sarò ancora viva!- quando vedrò un buon numero di “tati”, babysitter e educatori nido e materna maschi. 🙂

  11. “poi mettono tutto a posto da bravi prima che arrivi la mamma…” bè mi pare il minimo! Comunque lui gli cambia pure il pannolino mi pare. In ogni caso, sarà anche furbetto ma il video non mi è dispiaciuto

  12. Dal Corsera :
    Via un altro super pediatra
    «Milano non ha strutture»
    Fiocchi a Roma. «Qui manca un vero ospedale per i bimbi». Raccolte mille firme di protesta tra le mamme
    Sicuramente ci saranno dei papà tra i firmatari però il titoletto ammicca sempre alla cura femminile. (A onor del vero nella prima frase dell’articolo la giornalista si corregge parlando di genitori)
    http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_gennaio_17/super-pediatra-lascia-milano-mancano-strutture-medico-bambini-2113582263981.shtml
    Tanti, troppi esempi di questo genere di comunicazione; anche le parole hanno un potere.

  13. Qual è la morale dei video postati da Loredana e da Diamonds?
    Che il papà si occupa dei bambini perché la mamma è via per lavoro nel primo; che il papà si può divertire col bambino e buttare tutto per aria, ballare e suonare perché non c’è la mamma rompiscatole pronta col ditino a dire che bisogna rimettere a posto e pulire nel secondo.
    Aspettiamo altri spot…

  14. Paolo avevo frainteso, siccome si parlava di spot ecc. credevo che questo video fosse sponsorizzato (da un’azienda di arredamento, pensavo), che fosse una specie di viral: invece è un video amatoriale privato! Ovviamente il mio commento non ha nessun senso.

  15. Libera, il video postato da Diamonds pare non sia uno spot ma un video privato realizzato da un papà vero..ma al di là di questo in entrambi i casi non vedo “morali” (sarò ingenuo io..), vedo la rappresentazione di una quotidianità familiare plausibile tutto sommato..certo nel caso dello spot iodosan è subordinata al messaggio pubblicitario trattandosi di comunicazione commerciale con tutti i limiti del caso

  16. Grazie della precisazione Paolo, quello che non mi va giù è il commento che accompagna il video, cioè “Se mamma non c’è, papà scatena il divertimento
    Chi l’ha detto che i genitori abbandonano i loro figli davanti alla tv? Questo tenero time-lapse, realizzato da un giovane papà, riassume circa tre ore di gioco con il suo bambino. In assenza della madre. Quando mamma non c’è, insomma, padre e figlio suonano, ballano e trasformano la casa in un parco giochi, dando vita a un disordine che nessuno, dopo aver visto questo filmato, potrebbe mai rimproverargli.”
    E’ così difficile immaginare una madre che fa casino insieme a loro o che quando torna si rallegra di vedere che si sono divertiti senza rimprovare il disordine? Della serie “quando il gatto (la mamma) non c’è, i topi (bambino e papà) ballano” senza rompimenti di scatole. Perché mamma=ordine, pulizia, ecc.

  17. capisco, Libera..certo è possibile che si rallegri poi a me sembra plausibile anche che un genitore (uomo o donna) tornando a casa e trovando quel casino non faccia proprio i salti di gioia.almeno io non credo li farei quindi se fossi stato al posto del papà del video avrei rimesso tutto a posto come del resto ha fatto lui.
    Comunque non avevo capito che la tua critica era alla didascalia, grazie per il chiarimento.

  18. Ma sì, è ovvio riordinare dove si è fatto casino, ma non per fare un favore alla moglie/mamma visto che la casa è di tutti… Se il casino lo fai tu, e sei lì, ovvio che riordini tu, che vuoi la medaglia? Vado avanti sul punto non per il video, ma perchè nella vita reale mi capita di sentir dire per esempio se un ragazzino aiuta a sparecchiare ecc.: che bravo, che aiuti la mamma! 😐

  19. Mi è piaciuto il commento di Davide, che sottolinea l’assedio pubblicitario cui siamo sottoposti. La stazione di Milano centrale ne è un caratteristico, orribile esempio.
    Ma visto che i maxischermi ci sono, perché non approfittarne per educare le masse con messaggi giusti politicamente corretti?. Immagino che su lipperatura lo spot del padre ideale avrebbe dovuto rappresentare un virile maschio adulto indaffarato che mentre prepara la cena con una mano, con l’altra stende i panni sul balcone finchè alla fine stanco ma felice, prende in collo il bebè offrendogli il proprio petto villoso. Magari a qualcuno non sarebbe piaciuto, chissà.
    Col solito ingenuo ottimismo mi viene da sperare che un uomo e una donna che stanno insieme e si vogliono bene, le faccende in casa se le sanno sbrigare da soli senza le prediche dei maxischermi.
    Ciao,k.

  20. Lascio indietro per il momento la faccenda dei lavori domestici e mi concentro sul tema principale del post: si parla di cosa significa essere padre.
    Che non è offrire un ‘petto villoso’, né doversi necessariamente occupare dei figli esattamente tutte le sere. Il tempo speso con la propria famiglia, spesso, dipende dai fatti della vita – ho in mente un numero abbastanza alto di uomini che conosco che, causa disoccupazione, per dei periodi, sono rimasti a casa coi figli diversi mesi, riuscendo a gestire gli aspetti materiali ed affettivi della vita domestica degnamente anche se il loro contributo economico alle spese della famiglia era temporaneamente azzerato o quasi. Ci sono, ovviamente, fin troppi esempi della situazione ribaltata, specie in Italia.
    Quello che il post cerca di indagare riguarda il modo in cui il padre decide di relazionarsi alle proprie figlie e ai figli nella vita di ogni giorno. Se deve essere per forza ‘distante’ per essere rispettato e anaffettivo per essere normativo. Siamo in un esercito? La gerarchia e i ruoli devono essere rispettati rigidamente o possono essere flessibili a seconda di quello che i casi della vita richiedono? Se i figli vedono il padre fare, banalmente, i mestieri di casa decideranno che è ‘una femminuccia’ e dunque indegna di rispetto? Le femminucce sono tutte indegne di rispetto – non è che magari sarebbero degne di rispetto pure loro? E se tocchi il piumino per spolverare il tuo dna subisce una mutazione e diventi femmina? Ma soprattutto siamo proprio sicuri sicuri sicuri che sia una buona idea crescere un bambino con la vecchia tecnica del good cop/bad cop, dove il poliziotto ‘buono’ è sempre una madre-santa, permissiva, accogliente e spesso squisitamente passivo-aggressiva e quello ‘cattivo’ è il padre che impone regole dall’alto ma che puo’ serenamente evitare di vivere la vita familiare nella sua quotidianità dell’allacciar scarpe ed aiutare a far la cartella, per lanciare occasionalmente massime platoniche sui grandi temi dell’etica e della vita? queste massime platoniche saranno effettivamente ascoltate se il padre non partecipa agli aspetti piu’ banali e materiali della crescita dei suoi figli, quelle esperienze condivise che mostrano il carattere dei bambini e ci aiutano a conoscerli meglio? o i ragazzini si sentiranno semplicemente far la morale da un semi-estraneo che ‘da buoni consigli perché non puo’ piu’ dare il cattivo esempio’? se i vari Malcom Gladwell e Anders Ericsson ci dicono che per diventare maestri in qualunque attività servono almeno 10 mila ore, e questo pur senza essere brocchi in partenza, non ci vorranno almeno altrettante ore per diventare esperti di quella delicata attività che è conoscere un altro essere umano e prepararlo alla vita?
    io un’idea mia ce l’ho e me la sono fatta sia osservando la mia famiglia che la situazione delle persone che mi circondano. chi alza la voce e fa il bullo senza sporcarsi le mani con un rapporto con la propria famiglia fatto anche di quotidianità e di piccole cose fatte insieme, potrà pure essere autoritario ma molto, molto raramente risulta autorevole ed in grado di guidare davvero il propri figli (materiali o spirituali) verso la vita adulta.
    detto questo, che credo sia molto importante, si puo’ anche tornare alla faccenda ‘divisione dei lavori domestici’ – se è cosi’ ovvio che si dividano piu’ o meno equamente e cosi’ banale, perché la gente si irrita cosi’ tanto quando se ne parla? e si sente tanto in dovere di tirarsene fuori e specificare che no, A CASA LORO, sono tanto progressisti e nessuno opprime nessun altro in quanto giovani/colti/fichi/di sinistra/coppia sottomessa cattolica? se cio’ che tutti dicono sia ovvia scalda tanto gli animi e causa tanto sarcasmo e tanta acredine, allora forse tanto ovvio non è – anzi forse sarebbe anche il caso di guardare oltre il proprio grazioso naso, farsi un bel reality-check su quel che succede oltre il pianerottolo di casa, abbandonare la sindrome del 00187 (copyright di Guia Soncini) e vedere se le sorti del nostro paese e dei rapporti famigliari in esso sono cosi’ magnifiche e progressive. E, si’, riparliamone un attimo di chi fa da cuscinetto per la mancanza di welfare, di cosa significa essere padre per la maggior parte degli italiani, dato rispecchiato dalla pubblicità che certo non prova ad essere né normativa né prescrittiva ma semplicemente cerca di captare l’opinione piu’ popolare e assecondarla. Pensiamoci un po’ – magari tutte queste piccolezze che riteniamo troppo banali per il nostro intelletto che solo si dedica alla m-theory (o alla tomistica, per par condicio), magari dicevo, scopriamo persino che queste banalità sono un argomento cruciale per buona parte del paese e per la sua crescita e che se queste questioni non si risolvono l’economia italiana potrebbe implodere tirandosi dietro l’europa intera (la lingua combatte dove il niente duole).

  21. Anche se un po’in ritardo aggiungo una riflessione sui libri per l’infanzia.
    Mi baso esclusivamente sulle mie frequentazioni librarie. Per i più piccoli, ci sono diversi begli albi dedicati alla figura del papà, recuperato negli aspetti affettivi e relazionali. Ad esempio Pietro Pizza di William Steig e Papà, mi prendi la luna? di Eric Carle (vecchiotti, vero) fino ai più recenti P di papà, papà diventa re, Indovina quanto bene ti voglio…e ce ne sono molti altri. Sulla mamma? Di gustoso conosco solo Urlo di mamma, edito da Salani. Mi viene anche in mente lo stucchevole Un giorno di Alison Mcghee. Per il resto…le mamme sono ancora le eterne presenze invisibili, quelle che curano la casa e le ferite dei figli. Mai co-protagoniste in storie appositamente dedicate come per i papà. Anche le mie libraie mi hanno confermato questa impressione. Ah, sempre sullo sfondo, ma valido per entrambi, negli albi di Mireille D’Allancè Quando avevo paura del buio e Che rabbia! Compaiono rispettivamente la mamma e il papà, appena all’inizio, quasi di sfuggita. Il papà è in un cucina tra i fornelli e brandendo uno sbattiuova chiede al figlio, rientrato da una partita molto di cattivo umore, di “togliersi quelle scarpacce” con cui ha imbrattato casa… Di solito sono le mamme ossessionate dalla pulizia…invece qui il papà è rappresentato sullo sfondo, incorniciato dalla porta della cucina, in un quotidiano banale, occupato come una mamma qualunque e spero presto si possa dire “un genitore qualunque”.

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