Sarà stato ottobre, credo. Ottobre 2013. Ricevo un messaggio da Massimo De Nardo di Rrose Sélavy, che mi chiede se ho voglia di scrivere un Quaderno Quadrone per loro. Insomma, un racconto per ragazzi. Ma certo che ho voglia, mi dico, e lo dico anche a lui.
Passa qualche giorno, e apro un file. Giusto, ma cosa scrivo? “Hai una buona storia?”, mi aveva chiesto Roberto Santachiara nel suo tono sono-burbero-ma-sai-che-non-è-così. Mica lo so, se ho una buona storia. Così, comincio a scrivere qualche frase.
Cammello.
Era una delle prime cose che mi aveva raccontato mia madre, quella del cammello di Bengasi, dove lei era arrivata a neanche un anno di età. Cosa sapevo io del suo tempo di colona? Le fotografie, per esempio. La bambina col costume da bagno a calzoncini (erano pur sempre gli anni Venti) accanto alle signore con l’ombrellino, le gambe in acqua. La bambina più grande con un mazzo di fiori fra le braccia. La ragazza vestita di bianco in altalena, oppure seduta in cima a una duna di sabbia, la faccia buffa, quei capelli meravigliosi come onde scure spettinati dal vento. L’adolescente con le amiche, col sole negli occhi.
E il cammello. Quello che si affacciava la mattina dalla sua finestra, mettendo il muso dentro. E sputacchiando, naturalmente.
Nella storia ci voleva un cammello, dunque. Però doveva essere un cammello speciale. Un po’ dinosauro, per esempio. A mia madre i dinosauri piacevano perché piacevano ai miei figli bambini, quelli di “Fantasia” e quelli di “Jurassic park”, anche. Dunque il cammello doveva essere, in effetti, un Dinello.
Alla seconda riga ho scritto Jinn, lo spirito del fuoco. Come si diceva fuoco quando eri bambina, mamma? E acqua? E uovo? Acqua si dice Mā, mi sembra di ricordare. Comunque doveva esserci uno spirito, un genio protettore.
Riga dopo riga, diventava chiaro che la storia che volevo scrivere doveva parlare di mia madre, che in quell’ottobre era nei suoi novant’anni e raccontava ancora storie. Dunque il libro si sarebbe chiamato Pupa, come era sempre stata chiamata e come ancora la chiama il suo unico parente rimasto. Pupa.
Pupa è diventato un libro, un anno fa. La Pupa vera ne è stata felice (mi ha solo rimproverato di aver confuso le patelle con le cozze, ma ridendo).
Dentro c’era la sua storia, e non solo.
Dunque, questo post è per ringraziare Paolo D’Altan per aver reso splendido il racconto con i suoi meravigliosi disegni e Rrose Sélavy per avermi permesso di raccontare. E per quello che ha scritto poco fa nella sua newsletter:
“Pupa è nella terna del Premio Letteratura per ragazzi Città di Cento, edizione n. 36. Significa che un premio lo ha già vinto (primo, secondo o terzo posto, è pur sempre un cin cin. Deciderà poi una numerosa giuria composta da studenti).
Pupa è nella cinquina del premio Soligatto per i libri illustrati (per lettori da 8 a 11 anni), a cura dei Comuni Farra di Soligo e Pieve di Soligo (Treviso).
Pupa è nella cinquina del premio Leggimi forte (sezione bambini), a cura dell’associazione culturale For Children di Pomigliano d’Arco in collaborazione con la rivista Andersen”.
E’ bello che la Pupa del libro sia stata amata, e ne sono felice più che per ogni altro libro che ho scritto o scriverò. Per me, la cosa più bella è che le avventure della Pupa vera arrivino a bambine e bambini che non l’hanno conosciuta, e la conosceranno così.
Grazie, davvero.
Che bello! Hai fatto un regalo bellissimo alla tua mamma e a noi lettori 🙂 Un abbraccio
<3
Ho fatto in tempo a farglielo, Roberta, ecco.
Ho conosciuto la tua mamma attraverso le pagine del tuo bel libro, e ho imparato così a voler bene a quella Pupa bambina. Penso che “voler bene” sia qualcosa che arricchisce l’anima e la vita, e quindi ti sono grata per questo arricchimento. Ed è bello, anche, pensare che con il tuo racconto Pupa vivrà per sempre anche nel cuore dei lettori.
Ora che vedo la foto di tua mamma con il libro, capisco perché a Civitanova Alta dichiarasti con tanto entusiasmo che la Pupa immaginata da D’Altan ERA Pupa!
E dopo aver perso due persone care in 6 mesi, capisco molte delle cose che dicesti e che scrivesti a margine del libro.
E qui c’è una pupetta che aspetta di conoscere chi ha scritto un libro che lei ha divorato e amato 🙂
“Pupa” sarà anche bellissimo, ma il dramma dell’editoria italiana è tutto nelle parole: “Ricevo un messaggio da Massimo De Nardo di Rrose Sélavy, che mi chiede se ho voglia di scrivere un Quaderno Quadrone per loro”. Come dire: si pubblica per inviti riservati agli amici, piuttosto che fare del vero scouting aperto a tutti.
Gian Luigi, non eravamo amici, se la cosa può consolarla. Aveva letto alcuni dei miei libri. Siamo diventati amici solo dopo. Ma penso che nulla possa consolarla, me ne rendo conto. 😀
@Gian Luigi.
Questa volta, per fortuna, più che un “dramma dell’editoria italiana” è una favola a lieto fine. Rrose Sélavy (che nasce nelle Marche, profondo centro) ad ottobre del 2013 era la più piccola casa editrice d’Italia; non aveva ancora compiuto un anno, e aveva pubblicato due soli Quaderni quadroni: miei racconti con disegni di Tullio Pericoli (del quale avevo presentato una mostra) e racconti di Franco Arminio illustrati da Simone Massi. Per il terzo Quaderno, che volevamo “al femminile”, abbiamo coinvolto Loredana, scrivendole su Facebook. Non avevamo il suo numero di telefono. L’abbiamo scelta per la sua scrittura, per l’intelligenza critica, per la sensibilità al sociale. Sono i criteri con cui Rrose Sélavy sceglie i proprio autori. Tanto più perché questi autori devono raccontare a bambini e ragazzi. Così Pupa è diventato il nostro terzo Quaderno quadrone e Loredana è diventata nostra amica. Su una cosa però ha ragione: Pupa è davvero bellissimo.