Perché ripostare articoli vecchi di quasi trent’anni? Non è solo per offrire letture estive a navigatori affranti dal caldo. Ho chiamato memorabilia i post di questi giorni affidandomi al senso letterale: cose da ricordare, da tenere nella memoria. Sono, quelli che vi ripropongo, articoli su cui io mi sono formata. Articoli che ho letto, ritagliato, studiato, cercando di carpirne i segreti. Come me, lo hanno fatto molti della mia generazione: forse, anzi certamente, una generazione piena di falle ed errori. Ma che sapeva di avere qualcosa da imparare. Anzi, tanto da imparare. Credo che l’aspetto mefitico dello spirito del tempo che ci intorbida, e intorbida inter-generazionalmente, colpendo vecchi, giovani e mediani, sia l’idea che non ci sia nessuno da cui imparare, invece, perché nessuno è più bravo di noi, e a noi viene sottratto quel che di diritto ci spetta dal fato avverso, dal complotto degli astri e degli umani corrotti. Non è così, ma è consolatorio e contagioso pensare che sia così.
Dunque, Carmelo Samonà. Il 24 dicembre 1987 scrive questo articolo su Mozart, che alla sottoscritta apre un mondo, e che, attenzione, può essere riferito a molto altro, non al solo Wolfgang Amadeus. Buona lettura.
Che sta accadendo, in questi anni, al fenomeno della diffusione di Mozart? Da ogni parte piovono su di noi nuove immagini del musicista salisburghese. Si infittiscono i saggi, i ritratti, le biografie, le edizioni, le esecuzioni, i lanci editoriali, teatrali, cinematografici. Cade il bicentenario della prima del Don Giovanni, ed è subito una sagra sfarzosa di ammiccamenti, un’ occasione ghiotta per riletture e rievocazioni, per blande curiosità erudite e anche (non sono pochi i casi) per futili stravaganze intellettuali. Amante, benchè inesperto, di musica, non posso che rallegrarmi che si allarghi lo spazio riservato al grande compositore nella cultura contemporanea, e che si estenda, e si affini, la conoscenza della sua opera.
Eppure non mi sento a mio agio. Malgrado la quantità, e non di rado la qualità, dei contributi, non sono affatto sicuro di vivere in un’ “età dell’ oro” del mozartismo. Anzi: confesso che tanta abbondanza di voci, da un po’ di tempo, mi rende perplesso. Avverto intorno a me un’ impalpabile dispersione, un cicaleccio, un clamore che mi sembra abbiano poco a che fare con l’ autore del Flauto magico. Di che stoffa è tessuta una popolarità come questa? Forse conviene parlarne ancora. Persino il recente volume di Gernot Gruber sulla fortuna del musicista (che Andrea Frullini ha menzionato su questo giornale il 3 dicembre scorso, in uno stimolante articolo sulla figura di Don Giovanni) può ingenerare o perpetuare equivoci, e invita a qualche riflessione ulteriore soprattutto per ciò che riguarda gli ultimi decenni. Mi tornano alla mente gli albori del mozartismo di oggi: gli anni dei primi fulgori di Karajan con Figaro e Così fan tutte, della prima, scorretta eppure amabile edizione einaudiana della biografia di Paumgartner. E mi accorgo che ho dei rimpianti. La sporadicità dei contatti, la rozzezza delle incisioni discografiche, le lacune ancora frequenti nella confidenza con l’ opera del maestro non bastano ad appannare il fascino di quell’ epoca di scoperte faticose, di riproposte febbrili, spesso contraddittorie ma intense, di un nuovo universo di Mozart.
Forse divento vecchio, e la mia non è altro che nostalgia della giovinezza. Certo è che il ricordo di quella schiettezza di modi (era la travagliata cultura del dopoguerra) mi fa guardare al presente con qualche disagio. Mi sembra lecito affermare che non c’ è solo un arricchimento del gusto nella fortuna attuale di Mozart: c’ è anche un sottile logorio della qualità dell’ ascolto, e c’ è un sentore – e a volte una chiara impronta – di nuove mistificazioni, di falsi. Si tratta di un dato obbiettivo, entro certi limiti; il problema è cercare di valutarlo e di individuarne le cause. Non mi pare che Gruber dia, in proposito, risposte esaurienti: tocca, sì, la questione nell’ ultimo capitolo del suo libro, ma si arma di un eclettismo che finisce per livellare i valori, e che forse tradisce, sull’ argomento, un’ incertezza di fondo. Nelle sue pagine le nuove esecuzioni, gli arrangiamenti, gli abbozzi di biografie, le riduzioni cinematografiche si susseguono come annotazioni tolte da un inventario che aspetta d’ essere sistemato. E al suo interno, perfino gli esempi della mercificazione di Mozart non sono che un pacchetto di schede accanto alle altre: si parla, con bonario distacco, di singoli casi, mai d’ una condizione storica. Io credo che il discorso debba essere affrontato, invece, nella sua generalità.
In ogni epoca, ovviamente, la musica di Mozart ha avuto ali per imporsi da sè. Ciò non significa che non sia stata accolta con intensità e modalità diverse e non abbia soggiaciuto agli imprevisti e ai favori, o disfavori, dei gusti correnti: il libro di Gruber ce ne offre un repertorio vistoso. Ebbene, tra i motivi per cui il gradimento di Mozart ha raggiunto vertici così elevati nel mondo attuale, c’ è una componente che occorre mettere nel giusto risalto a partire, almeno, dagli anni Sessanta: la cosiddetta “crisi delle ideologie” – e la conseguente rimozione del punto di vista ideologico nell’ approccio all’ opera d’ arte – quale s’ è venuta configurando, in forme diverse, nella cultura contemporanea. Non sono il solo a pensare che il declino di quella mentalità abbia aperto di fatto la via a un nuovo incontro con l’ autore del Don Giovanni; a credere che esso abbia favorito, sulle ceneri del vecchio culto legato a forzature romantiche o classiciste, la scoperta di un Mozart molteplice, ambiguo, autore di una creazione più rivelata che indotta (e però linguisticamente complessa, e impeccabile), sempre splendidamente estranea all’ egemonia di precetti e di moralismi. Notevoli, in una simile prospettiva, le conquiste sul piano interpretativo; indiscutibili quelle che riguardano l’ apprezzamento dei valori formali. E’ come se il nuovo atteggiamento avesse ridato all’ ascolto autenticità e varietà di penetrazione: l’ orecchio è divenuto più inquieto, più mobile, più attento ai chiaroscuri sonori, ai languori, ai misteriosi connubi di oscurità e iridescenza, di densità e leggerezza sui quali si fonda, in buona parte, il segreto della polisemia mozartiana.
Ascoltatore dilettante, osservatore, in certi casi, del costume musicale corrente, non ho mancato di apprezzare i buoni effetti che un tale rinnovamento del gusto ha avuto anche sul pubblico medio-colto, al quale appartengo io stesso. L’ acuita sensibilità, però, mi ha reso più vigile sui rischi che possono insidiarne l’ integrità col passare del tempo. Ho gli occhi aperti sull’ epoca in cui viviamo, e so che quello zenit dell’ immagine mozartiana può avere il suo contrappasso. Mi guardo attorno. Mi accorgo che un po’ dovunque, su questo Mozart rigenerato degli ultimi anni, si allestiscono futili pantomime. Uno sciame di piccoli illeciti, vezzi, riecheggiamenti, allegre affabulazioni lo molce, lo accarezza da ogni parte, pretende di arrotondarne le forme. E in questo brusio già intravedo dei guasti. Anche se in primo piano, ora, sembra esserci l’ uomo, col cosiddetto “mistero biografico” (ce n’ è per tutti i gusti: il figlio di Leopold, il fanciullo prodigio, il massone, il giovane artista di Salisburgo e di Vienna), sono convinto che è sempre la musica – ossia la qualità della ricezione – a pagare il maggiore scotto al carosello celebrativo. Non ripeterò la solita geremiade sulla civiltà dei consumi. Non sto alludendo ai casi plateali (come lo sfruttamento pubblicitario), che mi sembrano giustamente blasfemi e, tutto sommato, innocenti. Ciò che mi preoccupa è il filone alto, la serie delle mezze verità che si impongono all’ attenzione coi filtri della cultura e dell’ arte. Può darsi che il famoso Amadeus sia un film di buona fattura, o una brillante pièce teatrale: a me è sembrato più modesto di una caramella con l’ effigie del musicista; e non perchè stravolge la verità storica (cosa assolutamente lecita), ma perchè banalizza oltre misura le menzogne che racconta su Mozart. E’ molto istruttivo che questo guaglioncello in costumi settecenteschi, parto frettoloso dell’ incontro fra la cultura dei media e gli ultimi intingoli (si fa per dire) della vecchia cucina irrazionalista, abbia catturato le folle nel nome di Mozart con più clamore di una esecuzione di Muti o di Karajan. E non è cosa tanto innocente: non si può aggregarla alla bibliografia ragionata con sobrio compiacimento, come fa Gruber.
Io parlo a nome di un pubblico medio non sono un musicologo, non posso arroccarmi nei fortilizi aurei dei competenti. A me l’ immagine vulgata di Mozart interessa; e questo andazzo ferisce i miei sensi quanto un’ esecuzione sciatta della sinfonia in sol minore. I pericoli che corre oggi la fortuna di Mozart sono inversamente proporzionali ai vantaggi che le ha fruttato la lettura in chiave “non ideologica”. A quella acquisita libertà di giudizio rischia di subentrare una povertà smagata, un culto ancorato a suggestioni servili, a passerelle fugaci. I nostri nonni veneravano un Mozart apollineo, avvolto nel mito della classicità, dell’ assoluta purezza; o ne intuivano l’ altra faccia, e se ne esaltavano, definendola preromantica. Noi, da giovani, conoscemmo un Mozart ambiguo: ne scoprimmo il gioco, la sensualità, la consolazione, l’ oscurità, la coscienza della disfatta. Erano approcci diversi e talora opposti; ma una cosa li accomunava: in ciascuno di essi potenti sollecitazioni animavano l’ ascolto. Forse è ciò che manca all’ esperienza di oggi. Si parla molto di Mozart, ma si ascolta la sua voce distrattamente. Il contatto è magari quotidiano, confortato da tecniche raffinate e da repertori esaustivi; ma è povero di eccitazione, di fantasia: non ha motivazioni profonde. Io credo che bisogna ritrovare il senso del legame con Mozart anche a costo di imporsi, intorno alla sua immagine, un temporaneo silenzio. Sogno anni di concentrazione severa sulla difficoltà, sulla densità, sulla trama sottile della parola di Mozart; e che sia un’ epoca iconoclasta, che eserciti, sull’ immagine, una rigorosa censura, e vieti che si diffondano storielle, e figurine, sul personaggio. Forse il silenzio su Mozart sarebbe il modo migliore di prepararsi alle celebrazioni del ‘ 91, che sono ormai alle porte.
E oggi? Cosa è accaduto a Mozart, alla sua musica?
Samonà usa nel suo scritto il termine polisemia e così eccoci di nuovo a fare i conti con la semantica, il linguaggio.
Polisemiche sono quelle parole che hanno più significati, e io ho sempre trovato curioso che ce ne siano molte nel linguaggio matematico, ma torniamo a Mozart, alla sua musica.
Oggi i nuovi modi di comunicare generano linguaggi veloci, “semanticamente e sintatticamente poveri”, linguaggi il cui uso porta a percezioni anch’esse semplici. L’ infelice frase di Allevi sul ritmo mancante in Beethoven e presente in Jovanotti ha comunque un riscontro nelle nuove generazioni, nuove generazioni che non sono ingrado di comprendere anche la “polisemia” di Mozart. Certo, non bisogna fare di tutta un’erba un fascio, ma oggi anche nell’ascolto della musica assistiamo a una semplificazione, alla mancanza della capacità di cogliere tutte le dimensioni. Tutto ciò non credo sia dovuto all’ assenza di una educazione formale, ma è quasi come se i sensi, la capacità di percepire, siano stati in qualche modo attenuati. Qui mi fermo, il mio è solo un osservare, non ho certo gli strumenti per indagare, ma sento un po’ di nostalgia per il recente passato, sarà la vecchiaia che incombe… 🙂
Non so perché a molti intellettuali, anche musicologi ovviamente, il film di Forman non andò a genio. Io l’ho trovato splendido. Nel suo stravolgimento storico, ha creato una narrazione avvincente, con due attori in stato di grazia, costumi e scenografie ottime e un’overdose musicale di Mozart adatta al pubblico americano (praticamente solo brani famosissimi). Il vero Mozart era un altro? Sicuramente. Ma sappiamo che è impossibile raccogliere quel genio in un’unica direzione. Come è noto, dopo il film, i CD e i vinili di Mozart conobbero un’impennata di vendite. Il pubblico li ascoltò davvero? Da cima a fondo? Questo non è dato saperlo.
Però il fatto che Forman fosse riuscito là dove tanti altri avevano fallito, rilanciare Mozart tra il grande pubblico, ha dato fastidio. Forse sarebbe bene non mettere in contrapposizione le due occasioni. Karajan e Forman non sono in antitesi. Hanno svolto due funzioni artistiche completamente differenti. E io li vedo meglio in sinergia piuttosto che in opposizione.
Ad essere sincero, non mi è molto chiaro l’articolo di Samonà. Si sentiva circondato da un clamore assordante? Temeva che quel clamore finisse per “rovinare” Mozart?
Non penso si possa rovinare Mozart. Nel suo multiforme, anche polisemico, genio Mozart si adatta ad ogni epoca e ad ogni esecutore. L’Eine kleine nachtmusik è finita, come sappiamo, persino nelle curve degli stadi. Continueranno ad infilarlo in ogni pubblicità, anche quando non c’entra nulla. Ma non finiranno mai neanche di studiarlo approfonditamente.
Mozart è oltre la nostra portata.
Letteralmente, peraltro. Fa da ambasciatore della razza umana e del pianeta Terra sul “voyager golden record”. E cosa scelse Sagan? L’aria della regina della notte.
L’Amadeus di Mozart è molto popolare fra gli aspiranti artisti del tutto e subito perchè dimostra che il genio ce l’hai o non ce l’hai di natura e che non serve tutto quello studio e allenamento o anche saper leggere la musica (a differenza del Mozart storico che un padre tirannico e ambizioso mise a suonare ore e ore al giorno a tre anni e che alla fine si ritrovò, volente o nolente, con un favoloso patrimonio di pura tecnica); inoltre dimostra che il vero genio è maleducato e infantile ma crea lo stesso musica celestiale (intanto comportiamoci come vogliamo, che poi la musica sarà bella a prescindere); inoltre il fatto che il genio è odiato dai mediocri (cioè gli altri musicisti e i critici) e amato dai potenti (tipo l’Imperatore). Insomma, un film che ha confermato nell’ammirazione per se stessi milioni di pseudo-artisti falliti; un film molto citato da chi non sopporta la musica classica ma vorrebbe per sè un po’ di quel prestigio (quando uscì si diceva che Mozart era una ‘rockstar del Settecento’, oggi che è un ‘rapper del Settecento’); un film, in breve, che ha fatto del male.
L’articolo è molto bello e soprattutto stimola riflessioni profonde in coloro che amano la musica classica e lirica in particolare. C’è sempre – e, da sempre – un grande dibattito intorno alla divulgazione dell’Arte. Molti temono che per rendere più popolare un compositore (la sua musica) si debba pagare lo scotto bruciante della semplificazione e, alla fine, della banalizzazione o peggio ancora della spettacolarizzazione. Probabilmente hanno ragione nella maggior parte dei casi. Però io ho la sensazione che il passare del tempo e, per certi versi, il progresso che impone tempi di vita incompatibili con l’opera lirica, renda indispensabile un ripensamento sui modi della divulgazione musicale. Ben vengano quindi le regie teatrali dissacranti, come in un certo senso dissacrante fu il film di Forman.
Trovo straordinaria la lapidaria frase di Ekerot, qui sopra: “Mozart è oltre la nostra portata”. Vero, ma cercare di avvicinarci al suo genio è un dovere e se qualcuno peccherà di buongusto, beh, pazienza.
Un saluto a tutti voi.
“Il contatto è magari quotidiano, confortato da tecniche raffinate e da repertori esaustivi; ma è povero di eccitazione, di fantasia: non ha motivazioni profonde.”
Come tutti i migliori scritti saggistici: attraverso il loro oggetto, si parla (anche) d’altro.
Dalle mie parti si dice: piglia, pesa, incarta e porta a casa.
Io ho adorato Amadeus, e a differenza di quanto sostiene Sascha, che evidentemente lo ha compreso al contrario, quel film. Salieri era tutt’altro che un artista fallito. Era un artista di successo. E sapeva riconoscere il genio altrui. A differenza di molti wannabe contemporanei. Quelli sì, che fanno tanto male.
Posso ammettere di averlo capito male ma sono assolutamente certo che la gran maggioranza degli spettatori l’ha inteso nel senso che ho indicato. Almeno, è sempre in quei termini che vi viene fatto riferimento nei media.
Come esempio, allego questo post di un blogger e personaggio televisivo non privo di intelligenza: http://www.freddynietzsche.com/2013/05/19/i-particolari-non-contano-quasi-un-cazzo/#more-13495
Da quando in qua Matteo Bordone è la gran maggioranza degli spettatori? E come si misura la gran maggioranza degli spettatori? Ora, il discorso di Samonà è coerente e intelligente. L’ho riportato nel libro che senza quell’articolo non avrei scritto, confutando solo la parte del film. Che, a mio parere, ha invece aiutato a capire molto della musica di Mozart. Se poi ci si vuol vedere solo l’aspetto “genio incompreso”, temo che il problema stia negli occhi di chi guarda.
Per dire, anch’io ho capito che Salieri non è uno stupido e che anzi ha capito la grandezza di Mozart. Mi chiedo se questa è l’opinione prevalente fra gli spettatori.
In Italia, recentemente, il romanzo ‘La solitudine dei numeri primi’ ha avuto un enorme successo anche grazie al titolo azzeccato e scelto non dall’autore ma dell’editor. Ho da tempo notato che il romanzo, o meglio il suo titolo, viene continuamente citato in contesti del genere ‘in Italia c’è troppa invidia per chi ha successo’ o ‘in Italia il merito non viene riconosciuto e vanno avanti i raccomandati’, cioè temi che nel romanzo non ci sono proprio. Quel che viene citato è il titolo.
In Amadeus credo che vi sia stato un grosso fraintendimento da parte del pubblico (un altro esempio che mi viene in mente è sono Il Sorpasso e La Dolce Vita, due film molto critici verso il loro tempo che oggi sono visti come un’esaltazione di quel tempo).
Chiedersi e affermare con certezza sono, appunto, due cose diverse. E, davvero, Forman non è il marketing Mondadori. I tempi erano tutt’altri. Forman, inoltre, non è responsabile delle citazioni fuori contesto, nè delle tristi parole d’ordine pentastellate 🙂
Io quando è uscito Amadeus ero giovane abbastanza per essere soprattutto sensibile alla prima rappresentazione ‘pubblica’ (disponibile) del libertinismo storico, e per quanto questa fosse rozza e ‘hollywoodiana’ io e i miei amici avevamo già competenze sufficienti in fatto di analisi filmica e televisiva per separare il grano dalla pula,
e usare ‘il grano’ come punto di partenza per una presa di coscienza politica dei nostri corpi e del rapporto di questi coi sistemi di segni (e una presa di coscienza, vista l’epoca rappresentata – già fortemente orientata, per quanto rozzamente, ripeto; ma questo ilm, appunto, è stato uno dei punti di partenza).
aggiungo che io e molti altri siamo cresciuti ascoltando molti generi diversi di musica occidentale (e per alcuni non solo quella), spesso suonandola (più o meno seriamente), spesso studiando simultaneamente al conservatorio, in strada e nelle sale prova, confrontandoci con strumenti appartenenti a varie epoche tecnologiche, e ragionando sull’interazione fra musica e rappresentazione visiva, su scena o no, in versione registrata o no, in un modo che forse è stato sconosciuto a tanti cultori ottonovecenteschi (quelli che più spesso di altri hanno ‘ascoltato, suonato e cantato ‘da soli’).
il risultato di tutto questo è un approccio secondo me diverso alla musica in generale e all’opera (e ovviamente alla musicologia) di quello che possono avere avuto generazioni immediatamente precedenti alla nostra – risultato che dipende, in gran parte, dagli enormi numeri di registrazioni (e per alcuni anche di messe in scena, di spartiti, di documenti, e di strumenti) che per noi sono stati disponibili simultaneamente, il che ci ha davvero forzati a storicizzarli fin nella pratica quotidiana (più o meno consapevolmente), e comunque ingaggiare lotte multiple con autori/esecutori, opere e strumenti che non mi stupisco possano suonare come un ‘cicaleccio’ per i musicisti/cultori che sono cresciuti in un rapporto tutto sommato meno movimentato e più ‘concentrato’ colla musica.
Detto questo, confesso di aver risposto piuttosto a certi commenti (tanto ingenui che mi sembrano un po’ strani su Lipperatura) che all’articolo di Samonà, di cui non credo di capire bene il senso, purtroppo (se non è, appunto, quello di capire che ‘i tempi sono cambiati’, e pero’ allora certo non solo per quanto riguarda Mozart).