SIMULAZIONI

Simcity Su Il Manifesto di ieri, una recensione di Francesco Mazzetta su Gli strumenti del videogiocare, a cura di Matteo Bittanti.

Da Costa & Nolan è stato recentemente pubblicato Gli strumenti del videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie (p. 330, € 23,40), un volume collettivo di critica «videoludica» curato da Matteo Bittanti. Per quanto il titolo sia pretenziosamente d’impatto, è il sottotitolo che espone il contenuto del libro. Che è insieme interessante ed irritante. E conviene subito allora partire dalle note negative. All’interno della disciplina dei game studies si riscontrano infatti due correnti di pensiero: quella che li collega alla narrazione e quella che mantiene «centrale l’idea che i videogiochi debbano essere studiati come "spazi" o "ambienti" che consentono il gioco o l’esplorazione, anziché come "testi" che raccontano una storia», come efficacemente argomenta Mia Consalvo, autrice all’interno del testo di uno studio su The Sims Online. Una prospettiva, quest’ultima, dominante in questo libro. Il risultato è che i giochi appartenenti al filone avventure grafiche, delle vere e proprie avventure testuali interattive, vengono ignorati.

Ma al di là di tale mancanza, l’approccio delineato rischia comunque di non cogliere adeguatamente gli aspetti essenziali di giochi in cui pure la funzione narrativa riveste un ruolo apparentemente minore. I due giochi in cui tale approccio è maggiormente dichiarato sono The Sims/The Sims Online a cura della già citata Mia Consalvo e SimCity in un saggio scritto dal curatore Matteo Bittanti.

Bittanti infatti dichiara: «Tanto Cortazar quanto SimCity ci dicono che la contemporaneità non può essere raccontata: tutt’al più può essere simulata», sottolienando l’analogia tra videogioco e mappa come strumento di comprensione del territorio/realtà. Perdipiù nel saggio di Aki Järvinen dedicato a Grand Theft Auto: Vice City , la simulazione viene considerata, in quanto rappresentazione grafica, come un sottoinsieme della realtà con tanto di assi «complessità», «ortogonalità», «fotorealismo» per misurarne il discostamento. Ma, come sa qualsiasi giocatore, in un videogioco l’«insieme gioco» non è mai semplicemente un sottoinsieme del contesto di riferimento: ad esempio nei videogiochi di calcio possiamo impersonare tutti i giocatori della squadra di cui assumiamo il controllo, e nei giochi di corse (automobilistiche, motociclistiche, ecc.) un incidente non compromette mai la continuazione della corsa stessa. Per questo il videogioco non è un sottoinsieme del «contesto simulato», quanto un insieme che lo «interseca», avendo però dalla sua qualcosa di più e diverso dal «contesto simulato». In primo luogo, perché un videogioco deve tenere sempre conto dei meccanismi dell’ambiente virtuale. Inoltre, se nella vita fuori lo schermo una mappa non è un’opera d’arte ma qualcosa di utile per raggiungere un risultato, in un videogioco invece «crea» una realtà per «divertire». Non uno strumento dunque, bensì un fine. In questo senso è dunque possibile una critica videoludica. Anche in giochi apparentemente poveri di narrazione come Sims o SimCity, l’appeal per il giocatore è quello di costruire egli stesso le proprie storie, individuali o sociali. Lo stesso Bittanti quando scrive che vuol ricostruire mediante SimCity una propria Milano ideale da contrapporre a quella reale fatta di quotidiane invivibilità e di degrado, non fa altro che narrare, attraverso il gioco, una città possibile, riscrivendo la storia di quella reale.

Conflittiapache2 Il videogioco è qualcosa di più di un’imitazione; una caratteristica paradossalmente spiegata bene proprio da Gli strumenti del videogiocare: sebbene sia considerato un medium neutro, è comunque veicolo ideologico, tanto più che l’industria videoludica è saldamente in mano al cartello capitalistico dei produttori che lascia agli sviluppatori/autori infinitamente meno autonomia di quanto invece ad esempio accada in ambito musicale. Il videogioco Delta Force: Black Hawk Down, racconta ad esempio la missione americana in Somalia: nel volume è giustamente difeso dalla accusa di chi lo vede indegno di rappresentare – in quanto videogioco – un momento tragico della storia, ma è a ragione accusato di veicolare l’ideologia dell’egemonia statunitense sul mondo. Nel saggio V-ideologia o la Macchina da Guerra l’autore illustra esaurientemente il ruolo crescente del videogioco nella guerra globale. Non solo merce da vendere, non solo strumento usato dall’esercito americano per l’addestramento militare, ma anche mezzo di propaganda verso i giovani. L’esercito si fa semplicemente publisher di videogiochi che propongono di combattere contro i «terroristi» globali. Una prerogativa, però, che appartiene anche ai giochi sviluppati dagli «antiamericani» per illustrare la «loro» realtà (come il palestinese Under Ush). E la forza propagandistica di questi giochi sta nel mostrare un solo punto di vista (generalmente statunitense) calando il giocatore «in prima persona» nei panni dei soldati che combattono per quella parte, senza la possibilità di fare domande o di mettere in dubbio il contesto motivazionale delle attività belliche esperite. Trasformando infine la guerra stessa in videogioco.

Al di là dei suoi limiti, questo volume rimane comunque uno strumento utile per considerare il videogioco un prodotto culturale adulto. Che i game studies diventino un ambito di studio e di riflessione serio ed accettato è anche l’unico modo perché il videogioco possa cominciare a diventare consapevole di sé stesso: non solo veicolo di ideologie imposte, ma anche strumento consapevole di critica sociale. Come accade infatti al saggio di Bittanti su SimCity, riesce ad essere una stimolante analisi critica dell’odierna urbanistica milanese.

11 pensieri su “SIMULAZIONI

  1. I Sims sono anche un modo di analizzare le relazioni fra gli uomini e di verificare la condanna al lavora-produci-consuma-crepa.

  2. la prima volta che ci giocai, il mio sim non aveva casa, se ne stava in giardino a deambulare dal divano al frigorifero, non faceva che lamentarsi e mi aveva preso in antipatia, per cui quando, dopo essersi pisciato abbondantemente addosso, è arrivata la morte colla falce a portarselo via, non è che mi sia dispiaciuto così tanto…

  3. Il mio secondo Sim si suicidò facendo troppe vasche in piscina. L’avevo fatto troppo maniaco della forma fisica: vorrà pur dire qualcosa, immagino.

  4. per non parlare di quei cagacazzi dei figli: a un certo punto li facevo stare tutto il pomeriggio a spiare il cielo col telescopio, sperando che arrivassero gli alieni a portarseli via.

  5. Su questo, e a causa di questo, ho scritto il mio ultimo romanzo, “La porta degli innocenti” (Dario flaccovio Editore, 2005). Sarei curioso di sapere che ne dici.

  6. grazie d esistere mammina!!!
    nn sò come avrei fatto se come mamma avrei ad esempio quella d silvia…..buuu…menomale ke c 6 tu!!!!!
    baciotti
    Lotta
    ps-ha appena kiamato la segretaria del dottor. house!!!

  7. Quando leggo Mario Bianco, io rimpiango il Cenacchi. Lotta, da quel che ho capito seguendo il link, è la figlia della Lipperini.

  8. SimCity? L’unico gioco che mi permetto di tanto in tanto. Proprio perchè alla base vi sono dei modelli di simulazione che sono una interessantissima rappresentazione sintetica della realtà. Strabiliante per il suo realismo.
    Ossequi,
    NdA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto