STAGIONI IN CORSO: IL PROBLEMA DEI TRE CORPI, OVVERO DI CHI LEGGE, DI CHI SCRIVE, DI CHI PUBBLICA

Come alcuni sanno,  ho una passione per gli esergo: anche per questo vivo un periodo di profonda frustrazione dovuta al fatto che gli esergo, da ultimo, vanno pagati, e non tutti gli editori sono disposti a sborsare parecchi euro per due righe. Ma di questo si tornerà a parlare.
Dunque, in On writing,  King  pone in esergo due frasi contrapposte: la prima, di Miguel de Cervantes, ricorda che l’onestà è la condotta migliore. La seconda, anonima, avverte che i bugiardi prosperano. Entrambe sono vere. Solo se si è onesti nel racconto si può essere bravi scrittori. Ma è anche vero che chi mente sul proprio libro, e asseconda una tendenza, prospera. Almeno, io interpreto così la scelta.
Partiamo dal punto due, e cerchiamo di capire perché, quando un romanzo viene premiato, o quanto vende molto, si attira non pochi strali.
Riporto qui due passaggi che vengono da Facebook, sempre sulla scia della questione Alma di Federica Manzon.
Scrive Gianluigi Simonetti:
“Mi pare che l’opposizione moderna, novecentesca, tra arte complessa e innovativa vs. arte semplice e convenzionale stia per essere surrogata, o integrata, da un’opposizione in parte diversa, che interroga il rapporto col senso comune (un senso comune storicamente determinato: democratico, progressista, di sinistra – quello che in Italia si associa alla cultura). Ci sono libri (e autori) che lo agitano, e libri (e autori) che lo assecondano. Storicamente, i premi letterari andavano ai primi, facili o difficili che fossero; ormai vanno quasi sempre ai secondi, facili o difficili che siano. Per questo per riuscire popolari conta sempre di più – al di là dei bruti rapporti di forze editoriali – il valore in senso lato politico del “tema” del libro, e dell’immagine stessa dell’autore.”
Risponde Helena Janeczek:
“Dunque oggi la popolarità, in Italia, è raggiungibile solo se si assecondano i lettori (e le lettrici) “democratici, progressisti, di sinistra”, senza agitarli. Andando incontro a quell’orizzonte di attesa sarebbe poi irrilevante se quei libri sono “difficili o facili”. Traduco: se un libro tocca il “tema” giusto diventano secondarie le scelte di stile, di strategie narrative e compositive, di rapporto consapevole con la tradizione letteraria, e, infine, il complessivo percorso autoriale di chi scrive. Mi sembra un discorso poco nitido, da parte di chi dovrebbe tenere distinto il piano sociologico (o critico culturale) da quello sostanzialmente critico-letterario, altrimenti tutto si confonde, tutte le vacche sono grigie. E alla fine si cancella persino la differenza tra chi – a tutti livelli, anche se magari con esiti non convincenti – segue un proprio percorso di ricerca letteraria e chi racconta semplicemente una storia che piace e che vende”.
Infatti, c’è una questione di differenze che viene sempre saltata a pié pari, o quasi sempre. Sono andata a guardare la classifica dei libri più venduti del Sole 24 ore, settimana dal 9 al 15 settembre. Al primo posto c’è Una conquista fuori menu di Felicia Kingsley: che è un romanzo di amore e cucina in trama gialla. Al secondo posto, un testo giovanile di Lucinda Riley, La ragazza nascosta (amore e Storia, diciamo così). Al terzo, il saggio di Yuval Noah Harari, Nexus. Dobbiamo arrivare al quarto, Come l’arancio amaro di Milena Palminteri, per rientrare nel discorso protagonista femminile forte-storia familiare-libro popolare. E al quinto per trovare l’effetto premio, con L’età fragile di Donatella Di Pietrantonio, Premio Strega 2024.
Sembra fin banale, ma non esiste, diciamo così, un solo campionato nel mondo dei libri: c’è una parte, anche folta, di lettori, che vuole una storia “popolare”, si tratti di un giallo o di un romance. E non da oggi. Ma anche qui, sarebbe ora di cominciare a riflettere sul fatto che quella parte di lettori e lettrici non è qualcosa di mostruoso che soggiace al mercato, e forse bisognerebbe anche ragionare che il vecchio stigma su ciò che vende e dunque non è di qualità andrebbe quanto meno analizzato nuovamente. Perché esiste la qualità anche nei gialli e i romance, ed esiste lo stile ed esiste la lingua anche in molti testi che appartengono a quei filoni (non mi sto riferendo a singoli libri presenti in classifica: intendo che è una possibilità e neanche così rara).
Il luogo comune è che chi legge Memoriale di Volponi non potrà mai leggere Felicia Kingsley: ma è un errore, perché sempre di più la categoria, questa sì novecentesca, di alto-basso, di qua il lettore colto, di là quello di bocca buona, è sempre più ibrida, e si può passare da uno all’altro con maggior frequenza, sospetto, di quanto non si creda.
E’ vero però quel che scrive Janeczek, ovvero che ci sono difficoltà crescenti nella lettura:
“oggi un numero crescente di lettori incontra una difficoltà altrettanto crescente nell’aderire alle ambiguità, alle elissi, ai salti prospettici e temporali, ossia a tutte quelle strategie di “straniamento” che novecentescamente definivano ciò che è letteratura (e arte). Questo vale molto più per i libri che per i “racconti per immagini” anche sofisticati (film, serie tv), visto che un grande numero di persone – incluse quelle più giovani – hanno continuato a fruire di film e quella dimestichezza rende loro più facile capirne il linguaggio”.
Mi affascina, e non da oggi, il fatto che le narrazioni per immagini complesse vengano amate da un larghissimo pubblico: per fare un solo caso, penso alla serie televisiva Il problema dei  tre corpi, peraltro tratta dal romanzo di Liu Cixin. E mi chiedo perché la stessa cosa non funzioni, o funzioni in parte, per i libri. Certo, ovvio, guardare e leggere non sono la stessa cosa. Però, però, però.
Però vorrei tirare in ballo la questione dell’onestà citata in apertura. Uno dei grandi problemi di chi scrive e pubblica oggi è che sembra venir meno il principio, altrettanto novecentesco ma sacrosanto, per cui un libro più letterario, o complesso, si pubblicava ugualmente anche se si sapeva che avrebbe venduto poco, perché c’erano le vendite di testi più appetibili che avrebbero compensato.
Non funziona quasi più così. Nella maggior parte dei casi, si chiede a ogni libro di fatturare, di ripagarsi da solo e in fretta: altrimenti, addio, è stato bello, passiamo ad altro.
Quando, ciclicamente, si forniscono le cifre di vendita e qualcuno sbigottisce perché ormai si sottrae uno zero alla medietà recente di 3000 copie (che dieci anni fa sarebbe stata considerata un fallimento e oggi è una meta), non ci si rende conto di quanto sia complessa questa storia, di quanto sia difficile inoltrarsi nella questione della distribuzione, della direzione non artistica ma economica dei grandi gruppi editoriali, di un management che spesso non ha idea di cosa significhi “fare libri”, e di tutta una serie di fattori di cui, secondo me, chi scrive e parla di libri DEVE tenere conto.
Chi legge è cambiato, forse è cambiato anche chi scrive, sicuramente è cambiato chi pubblica. In tutto questo, non ho ancora chiarito cosa si intende per onestà: è semplice. Per me non sono onesti i libri che INTENZIONALMENTE rientrano nel filone di compiacimento della borghesia di sinistra di cui si parla. I libri che parlano di donne che fioriscono il 25 novembre, per dire, o quelli che parlano di mafia nell’anniversario dell’assassinio di Giovanni Falcone, e così via. Ma esistono autrici e autori che quei temi li trattano perché fanno parte della loro storia e della loro poetica, invece. E a quelli occorre dare fiducia, anche se i bugiardi prosperano.

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