STORIA DI MONICA

Per rispondere qui a tutte le persone che mi hanno scritto, in pubblico e in privato,  dando la loro disponibilità per future iniziative: anzitutto grazie.  Poi, una conferma: credo che serviranno tutte le competenze, legali, psicologiche, di idee. Per ora, posso solo anticipare che stiamo provando a organizzare un incontro a Roma per le prime settimane di febbraio dove cercare di fare il punto.
Poi, la storia di Monica.

Era il 1992 e avevo 21 anni. Posso dire ero giovane? A che età si finisce di esserlo per giustificare un aborto agli occhi di questa società? Avevo una relazione stabile con un ragazzo più grande di me di 7 anni, un bravo ragazzo emigrato dalla Calabria, fino a Milano, con cui stavo insieme già da 3 anni, che aveva un lavoro stabile all’interno della Guardia di Finanza. Usavamo gli anticoncezionali, sempre. Pillola prima, preservativo poi. Tranne quell’unica volta. Quando si dice sfiga.. capodanno, casa di un’amica comune, veglione, rumori, alcool, ubriachi entrambi. Ricordo poco, successe in un attimo, al piano di sopra mentre tutti ballavano al piano di sotto. Una cosa svelta, inutile per entrambi. E rimasi incinta. Mi crollò il mondo addosso. Andai dal medico di famiglia e commisi il primo errore: apparteneva a Comunione e Liberazione e cominciò subito a dire che essere incinta era una cosa bellissima, un dono del signore. Gli dissi che vivevo ancora a casa dei miei genitori, che non avevo un lavoro, che studiavo ancora all’università, lui rispose da copione “questo bambino non ha colpa, non buttarlo via, dio vede e provvede, stai tranquilla”. Uscì da lì ancora più confusa e disperata. Ne parlai con il fidanzato che rimase più agghiacciato di me, si disse pronto a prendersi “le sue responsabilità” ma che lasciava a me la scelta. Una mossa furba che soltanto anni dopo riuscì a comprendere: si scaricava la coscienza, gettando sulle mie spalle, ed unicamente sulle mie, il peso di una scelta difficile. Non partecipò mai a tale scelta. Non proferì mai una sola parola, io parlavo, mi sfogavo, urlavo tutte le mie ansie e lui ascoltava, in silenzio, in religioso silenzio.

Ho netti ricordi di quei silenzi pesantissimi, in cui l’unica voce che udivo era la mia. Una sola volta, la prima, mi disse che nel caso avessi scelto di tenere il bambino mi avrebbe sposata. Questa cosa, ovvero l’ipotesi di un matrimonio, mi faceva paura quasi come l’essere incinta.

Mi sentivo sola. Così presi il coraggio a piene mani e misi in pratica i dettami educativi che mi erano stati impartiti dalla mia famiglia: quando ti serve aiuto, chiedi prima ai familiari più stretti. Andai una notte piangente nel letto di mamma e papà che si svegliarono di soprassalto. Non la feci lunga, dissi solo “sono incinta”. Mia madre mi abbracciò. Negli occhi di entrambi lessi la sofferenza ma vidi anche una profonda comprensione. Cominciarono a dirmi subito ciò che volevo sentirmi dire: che non ero in condizioni di avere un figlio, che non ero in grado di mantenerlo e che mi sarei rovinata la vita. Mia madre mi disse che un figlio deve essere una scelta consapevole e non un incidente. Bevevo le loro parole come un nettare salvavita, mi dissetavo con le loro argomentazioni. Accompagnata da mia madre andai al consultorio dove una gentilissima ginecologa mi visitò, confermò lo stato di gravidanza alla 6 settimana e senza nessun discorso, nessuna parola mi scrisse il foglio per un IVG, l’interruzione volontaria di gravidanza. Mi presentai in ospedale, ma la lista d’attesa era lunga e dovetti aspettare fino alla 12esima. Furono settimane infernali. L’unico prezzo in famiglia che dovetti pagare è rispettare il divieto assoluto di raccontarlo a mio fratello che aveva all’epoca 17 anni, con la scusa che era ancora troppo ragazzino per comprendere situazioni come questa. Una bugia per nascondere un’altra bugia.

Dell’intervento, effettuato in un ospedale pubblico e in anestesia generale, ricordo pochissimo. Ricordo il risveglio nel reparto maternità, ricordo una frase canticchiata detta da un infermiere “abortin, abortin, dove lo metto il filettin” e poi “questo mezzo chilo di filetti li porto io giù?” Credo si riferisse ai grumi umani raschiati dai nostri uteri che dovevano essere portati in qualche posto per lo smaltimento.. ero sveglia da poco quando udì chiaramente tutto questo e vomitai subito. Qualcuno mi disse che era l’effetto dell’anestesia. Certo. Tornai a casa in serata e stetti malissimo fisicamente e psicologicamente. Ci misi molto a rimettermi. Ma mi sentivo anche libera, scampata ad un pericolo, non più in trappola. E’ aspro, lo so, ammettere queste sensazioni, ma era così. E cominciai ad odiare il fidanzato. Fu una lunga storia travagliata che si concluse nel 1999 in un tira e molla infinito. Non parlammo mai più dell’aborto. O meglio io cercai più volte di tirar fuori nuovamente l’argomento, ma lui reagiva sempre nello stesso modo: silenzio assordante. Potevo insultarlo, umiliarlo, ferirlo ma lui non reagiva mai. Stava in silenzio. Finché io, sfinita, ero costretta a cambiare argomentazioni.

A volte negli anni è capitato di pensare al figlio non avuto. Chissà perché l’ho sempre immaginato maschio. Fisicamente non l’ho mai immaginato. A volte superati i 30 anni e incontrando vecchie amiche o compagne di classe con carrozzine e passeggini mi è capitato di immaginare come sarebbe stato, quanti anni avrebbe avuto..

Di quest’aborto ho parlato solo a mio marito, l’uomo che ho conosciuto dopo aver lasciato il ragazzo di prima, quello troppo zitto. E al figlio non avuto ho smesso di pensarci quando a 36 anni ho partorito la mia unica figlia. Una femmina., si. Se tornassi indietro? Ripeterei l’aborto.. anzi no. Farei di meglio: non mi ubriacherei quel capodanno di secoli fa. In ogni modo, quel figlio non nato, rimarrebbe senza nascere. Questa consapevolezza lucida e concreta non mi toglie un peso dalla coscienza. Ma mi fa stare meno peggio di quello che sarei stata se me ne fossi pentita.

96 pensieri su “STORIA DI MONICA

  1. Grazie – credo ci sia poco da aggiungere senza entrare nel privato di una persona così tanto esposta nella sua testimonianza.

  2. Grazie anche da parte mia. E aggiungerei che, da figlia ( quale sono)risultato di un incidente di percorso, quando crescendo ti rendi conto che ciò che univa due persone che non avevano nulla in comune eri solo tu e quell’ostinato volerti far vivere a tutti i costi, ecco, ammiro molto chi riesce a riflettere così bene – a 21 anni – sulle conseguenze che un errore può avere, conseguenze che inevitabilmente incideranno in modo negativo anche su una terza vita. Forse dirò una cavolata o una cosa poco scientifica ma è come se un figlio ormai nato, in qualche modo, non so bene come, riesca a sentire se è stato desiderato, voluto oppure sia stato semplicemente accettato, come fosse una delle tante cose che accadono nella vita. E quindi ti rimane sempre lo sgradevole dubbio e il desiderio di sapere se sei stato una cosa bella o una cosa brutta nella vita dei tuoi genitori.

  3. Storia molto vera di cui ringrazio anche io. 21 anni sono pochissimi per una donna – si è giovane. Posso anche capire la grande difficoltà per il compagno arrivato dalla Calabria, certamente di scarso appoggio, ma credo che per lui già delegare la scelta pur rimanendo insieme sia stato all’epoca nel limite delle sue possibilità. Mi sa che non ce la faceva a fare di più.
    Poi ho avuto un moto di schifo e disgusto e raccapriccio alla narrazione del risveglio veramente – trovo che questo tipo di commenti siano degni di una sospensione disciplinare – se certo la disciplina fosse capace di avere un’etica linda. Sono contenta di leggere che monica ha avuto dalla famiglia un sostegno forte, e che sono stati sintonici coi suoi bisogni di allora (anche se forse io sarei più cauta. Ho un’amica che è stata malissimo perchè sua madre ha reagito in questo stesso modo – in lei è intervenuto un processo mentale opposto) però mi è molto dispiaciuto leggere che psicologicamente monica è stata lasciata un po’ da sola, non dalla casa ma dalle istituzioni. Mi sbaglierò ma io ho comunque letto un sacco di dolore in questa vicenda, una conflittualità che si protratta nel tempo e sciolta faticosamente.

  4. Leggendo tutte le storie ed unendo la mia esperienza personale mi sento di affermare che il diritto all’ igv si trasformi in una sorta di condanna con inquisitoria ed espiazione della pena. La scenografia che viene descritta è in qualche modo quella appartenente alle carceri, e la fine della degenza è spesso descritta come una fuga liberatoria. Penso che le condizioni che vengono a crearsi dicano chiaro che la donna che fa certe scelte non sta esercitando un diritto ma commette un reato per il quale deve in qualche modo pagare, c’è quindi una pena che va espiata.

  5. Come tutte le altre, anche Monica avrebbe potuto far nascere il figlio e non riconoscerlo. A cosa è dovuto il fatto che in nessuna di queste testimonianze si parli di questa strada? Io credo che il problema venga fuori dalle parole di Monica. E’la gravidanza la colpa. L’aborto è il male minore (e non l’abbandono). Una società ipocrita (che conosce a grandi linee Malthus ma non sa nemmeno chi è la Boserup) è molto, molto peggio, e anche molto più ignorante e superficiale, di un medico di cl. E anche di un infermiere demoniaco.

  6. Non so gino – partorire un bambino per farlo adottare è una scelta che garantisce quasi sistematicamente due vite infelici. E’ una strada percorribile ma ha dei costi altissimi, ora – chiederlo con tanta disinvoltura e dire uh ma perchè non se ne parla mai? Mi fa pensare che con troppa disinvoltura non ti sei soffermato sul costo, per la madre e per il bambino. Ma c’è probabilmente un problema a monte per cui il tuo commento non riesce a intaccare molto: si, per la maggior parte delle persone che partecipano a questo dibattito il benessere di una donna è più importante del feto perchè la donna e il feto non sono vita allo stesso modo. Ho rispetto per la tua posizione, ma capisci che è olio nell’acqua irriducibile al dibattito, pleonastica negli interventi. Quando il feto diventa bambino per noi nascono la madre e il figlio e rompere questa diade è un atto patologico e patogeno, che ben conoscono per altro i genitori che fanno la scelta dell’adozione. Prima non si spezza una diade, si spezza altro – una rottura grave e dolorosa, ma che non a caso per la madre è di entità minore.

  7. Questa storia mostra più di tante altre quanto sia importante l’ambiente prossimo (il compagno, i genitori) e la cultura di riferimento a far decidere per la gravidanza o la sua interruzione, quando entrambe le opzioni sono praticabili. E’ questo il motivo per cui la pedagogia resta non solo indispensabile ma è inevitabile. Infatti essa viene comunque esercitata, in un senso o nell’altro. Una delle ambiguità che ritornano in questi thread è che dà una parte c’è l’antiabortismo che fa pressione pedagogica, mentre dall’altra c’è chi rispetta. Minimizzare l’esistenza di ciò che viene soppresso e stabilire che è meglio non far nascere che accettare i problemi di una gravidanza imprevista è pedagogico eccome.

  8. Vorrei aggiungere che mi è capitato di assistere periodicamente a servizi giornalistici in televisione dedicati proprio al “caso” della donna che aveva fatto la scelta di partorire in anonimato. Era palpabile l’atteggiamento sanzionatorio verso la sciagurata che non aveva nemmeno voluto vedere la creatura… insomma mi domando sinceramente se una donna che poi faccia sul serio questa scelta, una volta in ospedale non si troverebbe di fronte pressioni ancora più grandi a tenere il figlio. O quantomeno, potrebbe essere anche questo timore una delle componenti della scelta.

  9. Mi sembra una storia molto limpida, sia narrativamente che per i meccanismi che racconta, e che ancora una volta sottolinea come questo genere di scelte vengano fatte con responsabilità, per se e per gli altri.

  10. Il discorso, Zauberei, non ha nulla a che vedere con le nostre relative visioni del mondo e della vita e ha un senso logico e razionale indipendente dalla soggettività e quindi sempre valido. Perciò non si tratta di esercizi pleonastici. Si stanno dimenticando delle informazioni da cui non si può prescindere se si intende fornire ragioni per una scelta che potrebbero tranquillamente valere anche per un’altra nella stessa esperienza (il non riconoscimento). “Non posso permettermi di allevare un figlio”, “sono troppo giovane”, “vado all’università” etc, non sono ragioni sufficienti per spiegare perché si abortisce, perché sarebbe meglio abortire che disconoscere un figlio. Dici che un bambino adottato è quasi sempre sistematicamente infelice? Questa è un’affermazione falsa. Si può verificare. Dici che una donna che non riconosce il figlio è più infelice di una donna che abortisce? Mah. Tutto da dimostrare. E leggendo le testimonianze qui, mi sembra un po’dubbio.
    Inoltre fornire informazioni è sempre utile. Non è un male ricordare che una donna “incinta per errore”, con una gravidanza avanzata, può avere più di due strade. Non è utile “dimenticarlo” se l’obiettivo è quello di favorire la più ampia libertà di scelta che si fonda, appunto, sulle alternative e dunque sulla conoscenza (contrapposta all’ignoranza), dunque sulla possibilità di giudicare meglio (e quindi di essere più consapevoli). Nelle regole non scritte della dialettica, selezionarle per esprimere un giudizio che si può fondare soltanto sulla parzialità è sinonimo di manipolazione (e non di persuasione). E questo non ha a che vedere con la libertà e tanto meno con la felicità.
    Non mi sono addentrato nelle differenze filosofiche tra un feto di dodici settimane e un essere umano fatto e finito per un motivo molto semplice: l’unica differenza non relativa è quella biologica: si può dire che è una vita umana, un essere umano che si sta formando. Altre considerazioni tipo: quello è un cumulo di particelle, ha una dignità, si possono applicare a qualsiasi cosa. Dire invece che è una vita presunta è una castroneria antiscientifica. Altro discorso è la legge, la persona etc. Ma queste sono cose che, come dici, due persone possono pensare in maniera molto diversa.

  11. Chi continua a negare la soggettività della donna, della sua esperienza di essere umano, difficilmente può comprendere l’interruzione di gravidanza come scelta.

  12. giusto, barbara.
    Solo una riflessione sul ruolo dei maschi. Moltissimi anni fa, ero ragazzina, ma ebbi una discussione con uno che riteneva inammissibile che le donne potessero abortire senza il consenso dei loro compagni + o meno stabili. Io avevo zero esperienza, ma l’istinto mi fece rispondere che si trattava di una decisione che doveva spettare solo ed esclusivamente alla donna.
    Rileggendo la storia di Monica, sono sempre più convinta di questo fatto. E ripensandoci forse si trattava di un argomento al limite della misoginia.

  13. @valter binaghi
    però un conto è una pedagogia che comprende i reali intendimenti dei figli, un’altra cosa è ostacolarli sopratutto se i figli, per quanto giovani, sono abbastanza grandi da prendere delle decisioni anche importanti . Leggendo questa storia penso che Monica avesse in cuor suo già deciso di non voler portare avanti la gravidanza perciò ha accolto come salvifiche le parole dei genitori che, credo, capendo ciò che la figlia voleva le sono andati incontro, lei stessa dice che quei discorsi (“sei troppo giovane” “ti rovinerà la vita..”) erano ciò che voleva sentire, viceversa, se avesse avuto in animo di tenerlo forse quei discorsi l’avrebbero gettata nello sconforto. Alla fine, scusate se sono banale, una regola di cosa in assoluto “è giusto” fare non c’è, penso che sopratutto in situazioni come queste, un genitore deve capire, certamente consigliare ma alla fine sostenere,in ogni caso, ciò che la figlia decide

  14. Caro Paolo, uno non può telefonarsi da solo. Se chiede un consiglio ma in cuor suo ha già deciso di non accettarlo fa a meno di chiederlo. E non mi pare il caso di Monica. Lì c’era un reale disorientamento. Un fidanzato meno codardo magari l’avrebbe aiutata a vedere le cose in modo diverso.

  15. Io trovo che quel che sarebbe bello avere, più che dei consigli, è un accompagnamento alla scelta. Figure, in famiglia, ma anche professionali, in grado di sostenere e fare chiarezza, nell’assoluto rispetto della soggettività della donna e della sua totale libertà di scelta. E sottolineo:accompagnamento e sostegno, e non consiglio e)giudizio.
    Valter, tu scrivi: “minimizzare l’esistenza di ciò che viene soppresso e stabilire che è meglio non far nascere che accettare i problemi di una gravidanza imprevista”, altrove si è parlato di “processo di formazione”. Io davvero non credo che si possa mettere sullo stesso piano un essere umano dotato di volontà e una potenzialità che del corpo di quell’essere umano ha bisogno per svilupparsi, ma non solo: anche e soprattutto del suo desiderio. Hai scritto “gravidanza”, e hai fatto bene, perché se non è scelta, non è una maternità.
    Quanto alle considerazioni di Zauberei, mi trovano molto concorde. Aggiungo che mi pare che Monica sia stata molto forte, capace di guidarsi nel tempo a rielaborare e ricostruire che la sua è stata una scelta, la migliore possibile per lei. Ha scelto a quale potenzialità dare la possibilità di svilupparsi: ed è quella famiglia felice di oggi, quella figlia, che altrimenti ora non ci sarebbero. Questo io davvero non lo vorrei sminuire, brava!
    E sì, una regola non c’è, appunto, ci sono le scelte.
    A propostito di gravidanza e maternità, mi sembra importante sottolineare, pensando al commento di Michi, che io penso che si possa scegliere in molti momenti di essere madre, e come esserlo, la mia distinzione si riferiva a chi ha compiuto la scelta di interrompere la gravidanza. Ma se ti interessa, proprio oggi mi è stato prestato un libro che non ho ancora guardato, “Gravidanza senza maternità”, di Maria Acciaro. Dalla quarta di copertina: “Che cosa capita, nei nove mesi della gravidanza, se la madre rifiuta violentemente e, d’altra parte, per vari motivi non giunge alla soluzione dell’aborto?”.

  16. @Gino
    le tue affermazioni mi lasciano davvero perplessa: davvero credi che per una donna, nel caso di una gravidanza non voluta, la scelta dell’aborto o di partorire e abbandonare siano equivalenti? Hai mai seguito da vicino una gravidanza? Sai cosa vuol dire dal punto di vista fisico e psicologico sentirsi muovere dentro un bambino di 8 mesi che non vuoi? (Senza stare a parlare di quello che una dovrebbe subire dal contesto sociale, familiare e lavorativo). Sei davvero convinto che una donna scelga abortire a cuor leggero e, con lo stesso stato d’animo, abbandoni un bambino?
    A quanto pare tutto, il dolore, il disagio e le sue mille implicazioni, sono e devono essere sacrificabili davanti all’ipotesi di vita rappresentata da un embrione. Posizione, se permetti, personalissima di chi discute il problema in astratto, ma totalmente assurda se proposta come alternativa concreta all’aborto.
    Quello che non capisco è in che modo un embrione di 6 settimane, in quanto potenziale vita, debba avere più diritti e più tutele di una vita che c’è già, quella della donna: non è forse quella donna viva, quindi sacra, degna di rispetto e di comprensione?
    Non sono domande retoriche o provocatorie queste, vorrei solo capire come una visione “pro-life”, cattolica o dettata da altri motivi che sia, è importante sempre e soltanto l’ipotesi di vita (ipotesi, vorrei sottolinearlo) rappresentata da un grumo di cellule, mai la vita già esistente ed autonoma.

  17. Frà, non c’è nulla per cui essere perplessi, a parte le volute o meno omissioni di queste testimonianze e i giudizi fondati sulla parzialità delle informazioni contenute nelle stesse. Mi sono limitato a dire che c’è un’altra strada e che siccome la gravidanza è un’esperienza fisica che fanno la donna e il concepito, è la singola donna incinta che deve poter giudicare al meglio. E per farlo deve sapere tutto quello che c’è da sapere. Altrimenti non si tratta di persuasione ma di manipolazione, come ho già detto.
    Le ragioni che dai, sul perché la donna preferisce abortire e non, sono condivisibili, comunque. E come si vede servono a far capire che il potere di pressione psicologica non lo detiene il cattolicesimo (come qualcuno continua a ripetere), ma il contesto sociale in cui si è collocati che può essere qualsiasi. Il problema per la società non è il permesso di abortire ma restare incinte fuori programma, perché questo costringe la gente a rendere conto del proprio affetto, delle proprie idee, senza alibi (il medico, il compagno, la famiglia etc). Se non si capisce quale sia il problema reale alla fine non si fa un servizio a nessuna ma ci si serve della vita di altri per attaccare qualcuno e promuovere un’idea fondata sulla parzialità, quindi senz’altro sbagliata.
    Un embrione di 6 settimane di… cosa, Fra? Di vita potenziale? Ti rendi conto di quante anomalie si contano nel vostro modo di esprimervi? E’normale secondo te che una persona informata e consapevole, che pensa di dire la verità, che ha studiato, si dimentichi, in buona fede, di questi piccoli “particolari”?
    Comunque nessuno ha mai detto che l’embrione valga più della donna che sta diventando e che diventerà. Non c’è contrapposizione. E’, per la logica, la stessa cosa.
    Ma non è di quest’ultima cosa che ho parlato.

  18. Quindi in sostanza le testimonianze che la Lipperini sta ospitando sul suo blog, esperienze individuali e personalissime, perdono valore perché omettono la fondamentale informazione che volendo una donna può decidere di abbandonare il bambino dopo il parto? Eppure mi semba piuttosto evidente che l’intento di queste testimonianze non sia quello di dare informazioni su quali sono le opzioni da tenere presenti in caso di gravidanza non voluta, nè tantomeno di manipolare nessuno.
    Le ragioni sul preferire un aborto ad un abbandono me le posso solo immaginare, non ci sono mai passata, ma mi sembra di aver messo l’accento più che sul contesto sociale, sul fatto che comunque l’embrione cresce nove mesi nella pancia di una donna (non del medico, del compagno ecc).
    Non ho capito la seconda parte del commento, il mio modo di esprimermi è mio soltanto, non parlo a nome di nessuno, e anche rileggendo non ho davvero quali anomalie ho messo in campo o quali piccoli “particolari” ho omesso.

  19. Sono Monica, quella della storia. Gino scrive: “comunque nessuno ha mai detto che l’embrione valga più della donna che sta diventando e che diventerà. Non c’è contrapposizione. E’, per la logica, la stessa cosa”. Non mi sono mai sentita uguale all’embrione. La mia scelta all’epoca partì da questo presupposto. Ecco perchè, PUR SAPENDO BENE della possibilità di far nascere e non riconoscere un bambino, lasciandolo in ospedale, scelsi l’IVG. Nella mia mente, fino ai pensieri più profondi, che ti piaccia o meno, ho sempre tenuto ben distinte le due entità “vita potenziale, disegno, progetto di vita” (chiamalo come vuoi) e “vita”. Un embrione appartiene alla prima categoria. Un bambino alla seconda. Ecco perchè una gravidanza non voluta, non cercata viene spesso risolta con un IVG piuttosto che con un abbandono in ospedale. Interrompere un “progetto di vita” è un atto di rinuncia doloroso e molto faticoso da elaborare e con cui farci i conti, ma sostenibile, e spesso superabile, perchè resti nella sfera dell’ipotetico, di quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Con una nascita e un abbandono la realtà è tangibile, materiale, viva. Comprendi il termine “vivo”?. Stai parlando di un bambino che pensa, comprende, sente, giosce o soffre. Un embrione di 8 settimane questo non lo fa, non lo sente, non lo percepisce, a discapito di ciò che sostengono le associazioni prolife o dell’integralismo papale. Che ne dicano si tratta di un grumo di cellule che racchiude in sè, potenza della genetica, tutto il progetto di un essere umano, ma che ancora non lo è. Io, essere umano, a 21 anni lo ero già. Ecco perchè ho avuto la precedenza. Mi sono data la precedenza. Ho scritto 8 settimane, per correggere un errore di trascrizione del racconto della mia storia: l’IVG non mi fu praticata alla 12°, ma alla 9° settimana. Spero che nella mente di Gino questo sia un pò meno drammatico. Per me invece non fece e non fa tuttora differenza.

  20. Per amore di chiarezza.
    Il termine vivo è onnicomprensivo rispetto a senziente.
    Quando Monica scrive che l’embrione ciò che fa un neonato “non lo fa, non lo sente, non lo percepisce”, sembra identificare il sentire e il vivere.
    Le piane vivono e non sentono.
    Ma forse sognano.

  21. So che il commento sopra, con i due link, che ora è in moderazione, può sembrare un o.t. ma è per evitare derive: le piante non sognano e non soffrono. Allo stesso modo l’embrione ha uno sviluppo costante che solo alla fine porta alla nasciata di un bambino: tutto intero.
    .
    Trovo il commento di Monica esaustivo e la ringrazio per questo.

  22. anch’io trovo il commento di monica molto esaustivo, oltre che sincero. e niente, ho l’impressione un po’ stanca che la cosa andrà avanti così, a colpi di “pensieri”, e non di cose concrete. perchè se stamo ancora a parlà de piante, uff…le piante vivono, ok. monica identifica vivere con sentire, ok. e quindi? il fatto che una pianta viva, eppure non senta nulla, ma non per questo non viva, ma che c’entra con sto discorso qua? vogliamo fa che l’embrione è vivo? ok. è persona? ok. è quello che ve pare?, ok. e quindi? boh, non lo so, a me a un certo punto viene di essere superficiale. abbiamo detto e stadetto che è una cosa dolorosa, sofferta e bla bla. resta che è una decisione della donna. ma non un potere da ostentare, semplicemente, una cosa che, legalizzata o no, si farebbe comunque, se uno la volesse fare. che volete de più?
    io sinceramente non capisco più de che se sta a parlà, per dirla alla padre pizarro, stamo a parlà de tutto e de niente (tra l’altro in tema).
    Laura.

  23. Fra, mi riferivo al fatto che un embrione ha 6 settimane di vita e non 6 settimane di vita potenziale. Un embrione non è un progetto di vita. E’una vita umana. E’una questione logica e biologica non una libera interpretazione. Poi si può chiamare anche come si pare e interpretare. Resta il fatto che prima di tutto è quello che è. Che lo si voglia o meno.
    Il termine “uguaglianza” è soggettivo. Non esiste in natura. Il termine la “stessa cosa” si usa per dire che l’embrione umano-Monica e l’essere umano-Monica sono la stessa cosa. Basta guardarsi l’ombelico per ricordarselo. Che poi vogliamo dare diversa dignità alla nostra vita da embrione, a bambino, a uomo, a vecchio, siccome è un riconoscimento, dipende tutto dal soggetto e dalla cultura che ci circonda.
    Io ho obiettato su quello che è oggettivo e non interpretabile. Fare affermazioni come: dovevo fare l’università etc (che sono una costante di queste testimonianze), senza mai ricordare che non è questo a determinare un aborto (perché c’è anche il disconoscimento che è un’alternativa che non ha soltanto difetti ma anche ovvi pregi) non soltanto è una dimenticanza ma una dimenticanza che disinforma e che distorce la realtà e dunque induce a un giudizio parziale, quindi errato. Questo non serve alla donna che vuole tutelare la propria libertà di scelta. Che non è il diritto all’aborto, ma la libertà di potervi ricorrere e di poter ricorrere a altre cose come al disconoscimento, senza incorrere a sanzioni di alcun tipo.

  24. Se Monica fosse un embrione non potrebbe vivere autonomamente.
    Gli embrioni sono INCONTROVERTIBILMENTE connessi all’organismo della madre. Dire che l’embrione è umano non significa dire che l’embrione è un essere umano, ma solo che è l’embrone di un essere umano, ma gli esseri umani vivono FUORI dal corpo che li ha generati.
    E non mi si venga dire: allora quelli in statovegetativo? Quelli in stato vegetativo sono prima nati, poi sono finiti, da esseri umani, in stato vegetativo, subendo un danno.
    La disinformazione la fa chi confonde le acque.

  25. al 31/12/2008 in Italia vi sono un totale totale di 26.095 minori fuori dalla famiglia, 11.909 dei quali accolti in servizi residenziali, cioè case-famiglia.
    10.06.2011 Sono 400 i parti anonimi e ogni anno aumentano del 20%
    Il 70 per cento delle donne è composto da immigrate, il restante 30 da italiane giovanissime, spesso del Sud Italiane e immigrate.
    La legge non funziona e le adozioni restano un miraggio.
    Domande di Adozione Nazionale 2007: 15.610
    Adozioni Nazionale Effettuate 2007: 1.815
    2011: In Italia ci sono oltre 20 mila giovani ospitati da strutture di accoglienza. Solo uno su cinque di questi ospiti viene assegnato (con adozione o affido) dai tribunali alle famiglie che ne fanno richiesta (più di 10mila). È una media bassissima, tra le più scarse d’Europa.
    penso che questi dati si commentino da soli
    scusate il frettoloso copia e incolla qui i link
    http://www.agaonline.org/statistiche_adozione_nazionale.html
    http://www.ibambinidelcuore.it/Lastampa/lastampa2011.asp
    http://www.repubblica.it/cronaca/2011/04/29/news/inchiesta_italiana-15507476/
    http://159.213.226.43/minori_fuori_famiglia

  26. penso che il mio commento sia andato in moderazione per i link allegati, scusa loredana se lo riposto senza link, spero non sia un errore!
    al 31/12/2008 in Italia vi sono un totale totale di 26.095 minori fuori dalla famiglia, 11.909 dei quali accolti in servizi residenziali, cioè case-famiglia.
    10.06.2011 Sono 400 i parti anonimi e ogni anno aumentano del 20%
    Il 70 per cento delle donne è composto da immigrate, il restante 30 da italiane giovanissime, spesso del Sud Italiane e immigrate.
    La legge non funziona e le adozioni restano un miraggio.
    Domande di Adozione Nazionale 2007: 15.610
    Adozioni Nazionale Effettuate 2007: 1.815
    2011: In Italia ci sono oltre 20 mila giovani ospitati da strutture di accoglienza. Solo uno su cinque di questi ospiti viene assegnato (con adozione o affido) dai tribunali alle famiglie che ne fanno richiesta (più di 10mila). È una media bassissima, tra le più scarse d’Europa.
    penso che questi dati si commentino da soli

  27. La conclusione è chiara: l’obiezione di coscienza impedisce alle donne di usufruire di una legge dello stato, la quale ha ragione d’essere per la salute delle donne stesse e delle famiglie, i tempi sono maturi perchè si chiuda questa parentesi.

  28. Valter, io non credo che loredana abbia riportato in questo luogo tutte le testimonianze fino ad oggi lette e condivise per aprire un dibattito etico-morale sull’aborto, sinceramente. quelle testimonianze parlavano di ingiustizie subite, di reali ingiustizie subite, e non di vittimismi. non di donne gaie e spensierate, di donne che hanno vissuto umiliazioni di gradi diversi, ma pur sempre umiliazioni. e in ogni caso all’inizio c’è stato un reale scambio di pensiero, molto ancorato però ai fatti. dove io ad esempio ho espresso puntualmente e in maniera articolata il mio PENSIERO, perchè credevo fosse utile. difatti lo scambio avuto, complice anche la particolare tensione legata ad un tema così civile, ha sortito in me effetti positivi. ho sicuramente ampliato il mio modo di vedere la cosa, approfondito, aggiustato il tiro.
    ora.
    se il tutto però deve si deve sintetizzare e concludere sulla domanda se l’embrione sia o meno vita, beh, allora preferisco, come dire, uscire dalla speculazione solipsistica e basata su ragionamenti quasi sofistici, e dire SI/NO con una certa leggerezza.
    Laura.

  29. Non volevo fare una polemica su queste cose.
    Comunque, parlo dell’oggetto per quello che è, e non delle considerazioni su quello che ha o che non ha.
    Il fatto di essere connessi ad un organismo non significa dire che è qualcosa piuttosto che un’altra, ma che è un essere dipendente da un altro.
    La stessa cosa significa che è la stessa cosa, e basta. Non ha senso specularci sopra. Si può dare un valore all’embrione-Serbilla e un altro alla donna-Serbilla. Ma questo non significa che non siano la stessa cosa. L’embrione è un essere vivente, una vita umana embrionale con un progetto per svilupparsi ulteriormente. Che poi non sia una persona, che sia un cumulo di cellule etc, sono considerazioni che ognuno può fare per conto suo. Ma le considerazioni non eliminano il dato oggettivo.

  30. I feti a partire dalla 24^ settimana hanno possibilità di vita autonoma al di fuori del corpo materno, eppure normalmente stanno in utero fino alla 38^. Come la mettiamo Serbilla?

  31. Inoltre chi considera l’embrione persona umana non nega affatto l’evidenza del legame di dipendenza con il corpo materno.
    Nega che la donna possa spezzare questo legame interrompendo il processo di sviluppo del nascituro.
    Vede in questa azione un abuso di potere della donna e la mancata tutela del diritto a nascere dell’embrione/feto.
    Data la delicatezza ed il carattere controverso del problema etico in questione, è molto saggio lasciare libertà di coscienza.
    Inoltre l’art. 9 della 194/78 sancisce l’obbligo anche per il medico obiettore di eseguire l’IVG nel caso in cui la donna sia in imminente pericolo di vita.

  32. “La mettiamo che quando esce dal corpo della madre e sopravvive nasce.
    Molto semplice.”
    Perfetto. Questo però dovrebbe far intendere bene che embrione/feto e donna sono due corpi distinti e la donna non possiede l’embrione/feto e dunque non può disporne liberamente.

  33. Scrivo per l’ultima volta in merito a ciò perchè è evidente che che vuoi giocare a palla e non mi sembra il caso.
    Quello embrionale è uno stadio antecedente a quello fetale, entrambi sono antecedenti alla formazione finale del bambino che nasce quando esce fuori dalla donna. Il fatto che esistano settimini, cioè bambini che escono fuori al settimo mese, non cambia questo processo di formazione del bambino, tanto è vero che il settimino viene messo nell’incubatrice, perchè normalmente non è completamente autonomo e ci sono forti rischi che non sopravviva. L’incubatrice fa quello che avrebbe fatto il corpo della madre se il feto, che ora, uscendo dal corpo della stessa, è diventato un bambino PREMATURO, avrebbe continuato a fare per il tempo rimanente della gestazione.
    Dunque l’embrione e il feto restano subordinati per il loro sviluppo al corpo della madre o a strumentazioni che ne continuano le funzioni.
    .
    Occhei, lo so che ci sono cascata di nuovo. Chiedo scusa a tutte le altre persone che partecipano a queste discussioni.

  34. quoto laura:
    “io non credo che loredana abbia riportato in questo luogo tutte le testimonianze fino ad oggi lette e condivise per aprire un dibattito etico-morale sull’aborto”
    e mi ripeto:
    queste testimonianze sono, appunto, testimonianze, non diamo consigli, non diciamo quello che deve essere fatto. semplicemente portiamo la nostra storia alla vostra conoscenza perchè in Italia di storie di aborti e di contraccezione di emergenza purtroppo non si parla.
    quasi nessuno parla di quello che succede negli ospedali, nei consultori, in tutte quelle strutture che esistono anche per tutelare la donna ma che di fatto non la tutelano e che a volte fanno addirittura danni.
    poi possiamo analizzare i linguaggi usati da chi scrive e da chi commenta, possiamo analizzare i pensieri. inoltre ognuno può avere la propria opinione e uno stuolo di scienziati alle proprie spalle per avvallare quell’opinione su bambini feti embrioni piante (piante??) ecc ecc…
    ma purtroppo tutto ciò è parlare di altro, e, per come la vedo io, sterilizza questo utile dibattito/confronto
    tutto questo straparlare mi lascia un pò allibita
    e spero che nessuno si offenda per il termine straparlare

  35. Serbilla,
    La invito a moderare il suo linguaggio e a non insultare, anche perché da un punto di vista strettamente scientifico è evidente che le sue informazioni riguardo l’embriologia umana sono a livello liceale.
    Io non gioco a palla. Ho esposto alcuni ragionamenti che possono contribuire alla discussione, sempre che la si voglia laica e scevra da fanatismi di vario tipo.

  36. Il linguaggio con cui si raccontano le cose esprime e produce un certo atteggiamento verso le cose stesse.
    Fatto salvo il diritto della gestante di decidere della propria gravidanza, se l’aborto è considerato da evitare o da incentivare, si danno narrazioni diverse. Per me è importante la ricerca di una narrazione condivisibile dall’intera comunità e non solo dalle gestanti in attesa di risolvere una gravidanza non voluta. Visto che, in ogni caso, è la comunità (tramite il compagno, le condizioni di vita e gli amici che uno ha) ad influenzarne le scelte.
    Invece contarsi, appellarsi, convocarsi, sottoscrivere, fanno numero, più che verità.

  37. Vorrei solo fare notare che una gravidanza, per una donna a qualsiasi età, non è una passeggiata. Il corpo cambia, spesso non si sta bene, per non parlare del parto, che avviene spesso (ma le mamme ai propri figli non lo raccontano, per non farli sentire in colpa) con molto dolore, come essere spaccate in due (ma questo un uomo non lo può immaginare). Lo si fa e lo si sopporta quando si vuole un figlio, ma se una persona, soprattutto una ragazzina, non se la sente di affrontare un’esperienza del genere io credo che abbia ogni diritto a non farlo.
    f

  38. Mi pare anche a me che la battaglia aperta su questo blog, non vuoglia aprire un dibattito etico morale sull’aborto che invece viene dato per scontato. Credo in realtà che intenda testimoniare le inadempienze del sistema burocratico sanitario nei confronti di chi ha avuto necessità di abortire. Farlo attraverso testimonianze dirette è una scelta coraggiosa e rischiosa, per chi le pubblica e per chi le scrive, che si espongono limiti ( che non solo quelli narrativi) ma anche i propri errori o debolezze reali . Ma a chi ha intrapreso questa battaglia non importa, anzi, credo che se fosse a disposizione verrebbe riportata anche la testimonianze di una prof che magari ha abortito dopo un rapporto con un ragazzino minorenne. Perché infatti il personale medico ha il dovere di trattare qualunque paziente con il rispetto dovuto.
    Però in una campagna mediatica a tutto campo come quella che si vuole intraprendere, è difficile tenere separati gli ambiti, sinceramente non saprei dire neanche se è possibile. leggendo queste pagine credo che molti possano avere la sensazione che la vittoria di questa battaglia, passi attraverso un generale degradamento della sessualità. Una finta libertà totale garantita all’individuo da un macro sistema burocratico di diritti, che a volte può avere il volto schifoso dell’infermiere descritto da Monica. ( Va detto che espressioni molto simili sono state usate da grandi metre a penser durante il dibattito della legge 40..). Comunque un racconto doloroso questo di Monica, bello forte . Non inquadrabile secondo me nello schema abortista.
    E in merito a questa battaglia ( esprimo una mia opinione), visto che non credo si intenda promuoverla solo nell’ ambito medico sanitario dei convegni, ma parlare a tutti, penso si debba cercare invece un seppur vago accordo valore da dare alla sessualità ( ciò che precede l’aborto). Senza essere vago ridico o che secondo me la sessualità deve essere casta, che significa rispetto di dell’altro. che quando un uomo e una donna si amano si dischiude un orizzonte che si fa carne. Questo altro da sé. Ma non la vorrei fare troppo pesa, io penso che lo capiscono tutti.
    Ciao,k.

  39. Ho semplicemente corretto delle cose inesatte e obiettato su affermazioni valide soltanto in base a delle omissioni. Se in una testimonianza si omette qualcosa che non dà luogo a niente è una cosa, nel caso contrario è un’altra e non si può non dirlo senza fare un torto alla ragione e alla possibilità di alleviare un problema, favorendo la libertà di scelta.
    La contrapposizione fra parti risulta inutile se con una determinata prassi (che non è copiare gli inglesi, basta vedere i risultati), si riuscisse a ridurre gli aborti, favorire una maternità consapevole e aumentare la natalità. Dare in giro la pillola del giorno senza ricetta, distribuire preservati alla massa, bombardare i bambini di informazioni su sesso, non è certo una soluzione ai problemi, ne può causare altri, più gravi, e inoltre è molto dispendiosa.
    Ma se si hanno tutte le informazioni e se si tiene conto di tutti i fattori, si può mettere d’accordo le cose, favorire la libertà di scelta, il benessere e la dignità di tutti e prevenire.
    Esempio: siamo a un tasso di fertilità che da 30 anni è sotto il livello di sostenibilità, e per motivi di sviluppo e di crescita, ciò rappresenta nel lungo periodo un grave problema per lo stato (aumento del debito), per la comunità (diminuzione del PIL, dei salari e del lavoro) e per i singoli (diminuzione del welfare e della pensione). Fra i motivi per cui si abortisce c’è anche quello economico (dei singoli e del breve periodo). Se l’interesse comune e l’interesse dei singoli sono gli stessi (economici e di benessere), e se i singoli potrebbero decidere di non abortire e comunque di avere dei figli in base a certe condizioni, è ovvio che lo stato se non è governato da dementi, dovrà favorire la libertà di scelta in modo da tener conto dell’obiettivo (tasso di fertilità a 2,1) cercando la strada migliore e più efficace. Quindi dopo avere reperito tutte le informazioni, si analizzano, si mette a punto una strategia che mi dice che a un certo costo e in base a determinate condizioni, e avviando una determinata campagna di informazione, raggiungerò l’obiettivo in 2 o 3 anni che nel migliore dei casi porterebbe a una diminuzione di aborti, a una diminuzione delle liste d’attesa per abortire, a un aumento del tasso di natalità, e a un migliore benessere e allo sviluppo e alla crescita economica nel lungo periodo. Raggiungo un obiettivo comune che è interesse anche dei singoli. Tutto ciò favorirebbe un clima sociale meno pesante e più libero.
    Se invece continuo a fissarmi su una parte del problema, se ometto delle informazioni, se il valore politico della mia testimonianza diventa parziale: a) non alleggerisco il clima, b) non trovo soluzioni adeguate, c) spendo un sacco di soldi per poco = il mio stato fallisce e dunque altro che liste d’attesa.
    La cosa c’entra eccome con la libertà di scelta.

  40. Quindi, care donne, se il non fallimento dello Stato dipende dalla nostra capacità di dare figli al mondo, siamone consapevoli e e impariamo a rivendicare molto bene i nostri diritti. Invece siamo all’inizio dell’anno e già 11 donne sono state ammazzate. C’è qualcosa che non torna. E Gino ha rivelato l’arcano.

  41. Maddalena, grazie per aver ricordato il numero di donne ammazzate in soli 14 giorni. Proprio oggi, all’ennesima notizia, riflettevo spaventata sulla furia dilagante e inarrestabile della violenza di genere, tanto più inarrestabile quanto più si concedono spazi di espressione a chi è portavoce di quella sottocultura che vuole usare il nostro corpo come incubatrice di braccia da lavoro.
    Dopo anni di studio, di lavoro su stesse, di analisi e autocoscienza, guarda tu che dobbiamo stare a prendere lezioni da chi nemmeno sa costruire un periodo ipotetico, dato che nella protasi usa se con il condizionale, mescolandolo tra l’altro all’indicativo. Dunque, che razza di periodo ipotetico è? Che ipotesi si vorrebbero avanzare con questa confusione di modi verbali?

  42. Complimenti Binaghi, per la leggerezza e il sarcasmo con cui parla di omicidi contro le donne. E visto che in altra sede ha voluto puntualizzare sui termini in cui si costruisce una narrazione, mi permetto di farle un appunto lessicale. Omicido contro le donne è una mostruosità linguistica che non significa nulla, dato che la parola omicido viene dal latino Homo(uomo) e caedes (uccisione), dunque è inapplicabile nel caso di un essere di sesso femminile. In quest’ultimo caso si usano, più correttamente, i termini femminicidio e/o ginocidio.

  43. Dunque lei Antonella non appartiene alla specie homo sapiens?
    PS – Nonostante le sue contorsioni dialettiche, le garantisco che gli omicidi contro le donne non mi fanno affatto ridere nè m’inducono al sarcasmo.
    L’uterolatria invece si, quasi come le maestrine del periodo ipotetico.

  44. I prolife non hanno rispetto per le donne e lo manifestano in tanti modi, Antonellaf, uno è questo loro modo di scrivere privo di attenzione e pieno di disprezzo.

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