STORIA DI VIOLA

Prima notizia. Ho creato una pagina con i recapiti per ottenere la pillola del giorno dopo e moduli (grazie commentarium!) per denunciare medici e fermacisti che negano la contraccezione d’emergenza.
Seconda notizia. Sulla cronaca romana di Repubblica si riporta l’interrogazione radicale alla Camera e alla Regione per una storia molto simile a quelle qui raccontate: ecco l’articolo.
Infine. La  storia di Viola.

E’ successo un anno fa. Sono rimasta incinta per una cazzata mia e del mio amico. Quando mi sono resa conto di essere incinta lui ormai non abitava più in Italia e avevamo perso i contatti, quindi non l’ha mai saputo. Spero un giorno di poterlo incontrare e raccontargli tutta la faccenda.

Ho 25 anni, vivo in una città non mia (Roma) e lavoro lavoro lavoro. Pur vivendo in una situazione di precarietà infinita il test di gravidanza non mi ha sconvolta, ero un po’ perplessa. Un giorno ho anche deciso di portare avanti la gravidanza, ed ero felice. Le mie amiche e coinquiline mi hanno detto che loro ci sarebbero state per me, qualunque cosa avessi deciso di fare. I miei genitori avrebbero detto la stessa cosa, anche se poi non l’hanno mai saputo. Un mio caro amico mi avrebbe anche dato una mano economica. E’ stato bello questo slancio amicale e generoso, però grazie alla loro generosità ho capito che sarei stata dipendente da tutti loro per molto tempo. Avrei perso la mia autonomia. E non parlo certo dell’autonomia che ti toglie un figlio perché esiste e ha bisogno di te, parlo proprio di dipendenza economica, materiale e forse sentimentale. Questo mi ha spaventata a morte. Dopo due settimane ho tirato un sospiro di sollievo e ho detto a me stessa: voglio abortire, ti avrei amato tanto figlia o figlio, ma ci vediamo al prossimo giro, riprovaci se vuoi! Ero alla settima settimana di gravidanza ed ero serena.

Il giorno stesso a lavoro ho cominciato a sanguinare, molto. Sono andata all’ospedale con un’amica.

Sono incinta, ho forti perdite di sangue, ma vorrei comunque interrompere la gravidanza. E lì è cominciato il calvario. Sono finita in un gioco a ping-pong tra ospedale e consultorio, in un posto mi avrebbero accolta solo per mettermi in terapia per non perdere il feto, nell’altro avrebbero cominciato la lunga trafila per il raschiamento quando il feto sarebbe risultato morto, di interruzione non si poteva parlare perché il feto ancora non compariva nelle ecografie (che tra l’altro i consultori pubblici non fanno, almeno a Roma. Ho dovuto trafugare un’ecografia dall’ospedale, oppure spendere 50 euro). Non ero né carne né pesce. Nel mentre ho continuato a sanguinare per tre settimane, andando un giorno si e uno no al pronto soccorso. Ogni giorno mi venivano dette cose diverse o fatte promesse di ricovero per il giorno dopo, dato che di notte l’intervento non l’avrebbero fatto, per poi tornare la mattina e scoprire che le parole non valgono niente perché la gentile dottoressa della sera prima non l’aveva scritto da nessuna parte che secondo lei avrei potuto fare il raschiamento, e quindi col cambio turno si ricomincia la trafila, prelievi, ecografie ecc…

E’ stato brutto, ero esaurita dal troppo lavoro, dal troppo ospedale e dal troppo sangue. In una delle mie scenate al pronto soccorso una dottoressa (obiettrice) mi ha addirittura detto che dovevo essere contenta, il feto era probabilmente morto e lo stavo espellendo e suvvia, non dovevo alterarmi così per un po’ di sangue, che andassi in una clinica se non ce la facevo più. E’ vero, ogni mese sanguino e ormai ci ho fatto l’abitudine, ma era diverso, il mio corpo stava male e io pure e tutto per colpa di assurde trafile burocratiche che mi hanno lasciata nel limbo. E si certo, avevo deciso io di interrompere la gravidanza, ma non avrei mai desiderato di farlo sanguinando grumi per tre settimane, continuando nel mentre a lavorare come una matta e spendendo tutto il mio tempo libero a farmi trattare male al pronto soccorso. E sulla clinica preferisco non commentare. Dal profondo del cuore io ringrazio le mie amiche per tutto l’appoggio che mi hanno dato in quel periodo, senza di loro sarebbe stato davvero solo buio.

Comunque alla fine qualcuno l’ho convinto che questo benedetto feto era morto e che io non ce la facevo più. Mi hanno ricoverata ed ero così contenta che ho ricominciato a sorridere a tutto quel triste ospedale.

Sono finita mezza nuda con un mega pannolone e la vestina da sala operatoria su un letto del reparto maternità, nella stanza dove fanno i tracciati. Cinque ore.

Ora mi chiedo, sarò forse polemica? Io ero una paziente ricoverata per fare un raschiamento. Ormai in quel reparto nessuno sapeva che avrei comunque interrotto la gravidanza, il feto era già morto. Mi hanno lasciata sola ma circondata da mamme coi loro neonati , da donne super incinte e dal suono costante del battito del cuore dei prossimi nascituri. Ero molto fragile, ma forse non sono crollata perché forte della mia decisione, ma se così non fosse stato? Dopo tutto lo sballottamento del mese precedente pensavo di aver visto tutto, e invece il peggio era li, per darti il colpo finale.

Chi è stato fantastico sono tutti quelli della sala operatoria: mi hanno accolta sorridenti , con parole gentili, battute simpatiche e domande per distrarmi. Poi lo sballo dell’anestesia.

Mi sono svegliata piangendo a singhiozzoni su una barella in un corridoio, con un dolore forte forte all’utero e una profonda tristezza. Hanno finalmente fatto entrare la mia amica e ancora sballata dall’anestesia ho firmato e siamo fuggite sull’autobus che ci ha riportate a casa.

Non sono tanto brava a scrivere delle emozioni e dei dettagli atroci di quel periodo, ma quello che mi ha sconvolta di più è stata proprio la mancanza di assistenza in un momento di così grande fragilità. Mi sono sentita abbandonata, sballottata e un po’ derisa, in totale assenza di un qualsiasi supporto psicologico, da quelle istituzioni che sono lì per assisterci e che invece ti trattano come un numero. Penso che anche un po’ di semplice tatto sarebbe stato sufficiente.

E a proposito di quella tristezza profonda, poi è passata. E ora penso che un giorno la mia vita sarà più stabile di adesso, o forse io più forte di allora, e che quel bimbo o bimba mi spia sperando in un mio nuovo stupido errore o addirittura in un atto scellerato di concepimento voluto!

39 pensieri su “STORIA DI VIOLA

  1. Grazie Viola, rivivere queste sensazioni non dev’essere stato facile.
    Non voglio riaprire le discussioni dei giorni scorsi, però una frase di Viola “Mi sono sentita abbandonata, sballottata e un po’ derisa, in totale assenza di un qualsiasi supporto psicologico, da quelle istituzioni che sono lì per assisterci e che invece ti trattano come un numero.” mi ha fatto pensare che anche le donne nelle altre testimonianze ad un certo punto del loro racconto sentivano di non essere più una persona ma un numero o un oggetto, una cosa il cui destino è in mano ad altri.
    Ora mi domando quale rispetto per la vita può avere chi non riconosce neppure di avere davanti a se una persona sofferente ed esausta (vedi frase orrenda della dottoressa obiettrice) e non ne rispetta il diritto ad avere cure e assistenza?
    Una considerazione generale la farei anche sull’organizzazione degli ospedali, anche dal punto di vista “architettonico”, trovo assurdo ad esempio che per prenotare una visita io non debba superare la linea gialla per rispettare la privacy e poi quando sono un paziente perdo completamente questo diritto alla privacy e alla dignità del mio corpo e delle mie sensazioni.
    Come racconta Viola per chi ha deciso di abortire o subisce un aborto spontaneo stare nelle stesse sale di puerpere e neonati è una vera tortura psicologica, non mi pare che ci voglia un genio per capirlo basterebbe un po’ di tatto appunto, eppure non si fa, per pigrizia mentale, per ignoranza o per cattiveria? non lo so!
    Mi scuso con Loredana e il commentarium per l’ OT.

  2. Concordo. E anche l’articolo di Chiara Lalli e’ interessante, spiega molto bene il perche’ la contraccezione di emergenza non abbia assolutamente funzione abortiva (neanche considerando il semplice ovulo fecondato e non annidato come “inizio ufficiale” di una gravidanza, come fanno alcuni).
    Grazie anche a Viola per il coraggio di aver condiviso la sua terribile esperienza.

  3. Grazie della pagina informativa, mi ero persa questi ultimi post davvero molto duri.
    A me pare che l’unica strada possibile per rompere il muro di isolamento in cui stanno finendo i medici non-obiettori (isolamento per cui è nata la LAIGA) sia che noi donne selezioniamo come nostro ginecologo un non obiettore di coscienza. Quante sanno se il proprio ginecologo è un obiettore?

  4. Potrebbe essere anche solo un problema di scrittura.
    Certo che:
    “voglio abortire, ti avrei amato tanto figlia o figlio, ma ci vediamo al prossimo giro, riprovaci se vuoi!”
    e
    “quel bimbo o bimba mi spia sperando in un mio nuovo stupido errore o addirittura in un atto scellerato di concepimento voluto”
    più
    “Mi hanno lasciata sola ma circondata da mamme coi loro neonati , da donne super incinte e dal suono costante del battito del cuore dei prossimi nascituri.”
    mi creano qualche problema di narrazione.

  5. Valter, quello che chiami (eventuale) “problema di scrittura”, si chiama semplicemente “stile”. Che ha reso il racconto di oggi narrativo, e terribilmente bello, tremendamente intenso (come ha sottolineato Zaub).
    Altre delucidazioni? Non te torna che dica “addirittura in un atto scellerato di concepimento voluto”? Non penso che tu abbia DAVVERO bisogno di un’esegesi, su.
    Laura.

  6. Valter ma davvero tu leggendo questo racconto pensi “mi creano qualche problema di narrazione”? davvero questo è il massimo dell’empatia che riesci a provare? Prendo atto che Viola compie una scelta che tu non approvi e non faresti mai ma davvero questa è la partecipazione che hai al dolore di un’altra persona?

  7. Tutt’altro.
    E’ proprio perchè partecipo emotivamente alle narrazioni che uno mi fa (sono storie queste, giusto? testimonianze di persone che si raccontano) che sento le stonature. Ma non tanto nella narrazione di Viola ma in un modo di raccontare la vicenda abortiva, che è comune a molte di queste storie.

  8. Valter perdonami se te lo dico ma il tuo partecipare per i miei personali parametri assomiglia troppo a giudicare.
    Sebbene la tua morale ti neghi di condividere la scelta fatta da queste donne la tua umanità dovrebbe venire prima e renderti partecipe del loro dolore fisico e psicologico, dovresti pretendere per loro le migliori cure e il massimo dell’assistenza, se tu fossi stato Viola non avresti voluto solo cure e rispetto per il tuo dolore o mi sbaglio?

  9. No, non è questo.
    Per me davanti a una sofferenza c’è un solo comportamento possibile, la cura e ti garantisco che sono piuttosto sensibile, non farei mai il cinico, neanche su un mal di denti.
    Però le contraddizioni stridenti nella narrazione ci sono. Come si può parlare con un bambino immaginario decidendo nello stesso tempo di interrompere la gravidanza? Il linguaggio che attribuisce un’identità personale al concepito giustificherebbe un’altra scelta, o no?
    Può darsi, come dicevo, che il problema sia di scrittura, ma io credo che le nostre narrazioni esprimano i nostri dissidi e contraddizioni.
    Ripeto che il problema non è Viola. Queste storie sono postate non perchè siano un campione esaustivo ma perchè risultano emblematiche di una situazione (Lipperini mi corregga se sbaglio)
    Bene, secondo me anche il linguaggio è emblematico.

  10. Penso che articoli come quello di Chiara Lalli siano necessari e ce ne dovrebbero essere di più. Visto che uno l’empatia non può imporla, almeno che si imponga il rispetto della normativa che c’è e che si diano informazioni precise, anche da parte di quei reparti che inviano ad altri reparti perché “Siamo abilitati solo al trattamento delle malattie infettive”, “Ci sono casi più urgenti”, “Lei non è di questa zona”…. “Si rivolga altrove”.
    Altrove: dove? Un qualsiasi operatore ospedaliero dovrebbe saper rispondere a domande come questa. Se non può far fronte a una richiesta urgente direttamente, deve sapere dove indirizzare le persone che si sono rivolte a lui.
    .
    La testimonianza di Viola è terribile, per lei soggettivamente come esperienza, ma non mi sembra che come ‘caso’ abbia a che fare strettamente con l’aborto e con l’obiezione di coscienza. Non mi pare si sia trattato di questo.
    Negli ospedali mi sono scontrata spesso con una sorta di abrazione di coscienza molto simile a quella contro cui si è scontrata Viola. Non dico che tutti i reparti sono così, ne che così sono tutti i medici e infermieri, ma capita, e quando capita non è più possibile dimenticare.

  11. Ma Valter a maggior ragione visto che in quel momento difficile una donna vive paure e sensazioni contrastanti che deve essere solamente curata e rassicurata. Deve sapere che nessuno la giudicherà per le sue scelte. E’ proprio in quel momento che deve sentire attorno a se competenza e rispetto. Niente tentativi di inculcarle sensi di colpa o prediche morali. Niente derisioni. Niente rimpalli da un reparto all’altro, da una struttura all’altra. Niente di tutto questo, capisci?

  12. Si. Ma sono richieste ineseguibili. Pensa se ad ogni ricoverato in medicina per questioni gravi dovesse essere risparmiato lo spettacolo della morte.
    Hai presente la sanità pubblica, in generale?

  13. Si purtroppo ho ben presente la sanità pubblica, però non capisco perché in questo caso specifico (l’aborto o la contraccezione d’emergenza) queste richieste siano ineseguibili. Evitare che una dottoressa di un ospedale pubblico ti risponda “Se ha così fretta vada in una clinica” non mi pare una richiesta così impossibile da accontentare. Non so tu quale lavoro faccia ma se io rispondessi così ad un mio cliente il mio capo mi sbatterebbe fuori in due secondi.
    Ben altro discorso è quello che riporti tu, ma non mi sembra pertinente a questo tema

  14. Dal Gene ogoista di Dawkins:
    “Le api vanno soggette a una malattia infettiva, chiamata foul brood ( nidiata sporca ), che colpisce le larve nelle loro celle. Delle razze domestiche usate dagli allevatori, alcune sono più a rischio di altre e si è scoperto che la differenza fra le razze è, almeno in certi casi, di tipo comportamentale. Vi sono delle razze cosiddette igienistiche che rapidamente eliminano l’epidemiea localizzando le larve infette, estraendole dalla cella e gettandole fuori dall’alverare. Altre razze sensibili alla malattia sono tali perché non praticano questo infanticidio igienico. Il comportamento implicato è di fatto piuttosto complesso: le api operaie devono identificare le celle di ciascuna larva infetta, rimuovere il tappo di cera dalla cella, tirare fuori la larva, trascinarla fino alla porta dell’alveare e gettarla via. Gli esperimenti genetici sulle api sono molto complicati per varie ragioni. Le apri operaie normalmente non si riproducono e quindi bisogna incrociare una regina di una razza con un fuco di un’altra e osservare il comportamento delle operaie figlie. E così ha fatto Rothenbulher che ha scoperto che tutte le api ibride di prima generazione non erano igieniche. Rothenbulher riincrociò gli ibridi di prima generazione con una razza igienica pura e ottenne un risultato interessante: tre gruppi di api, un gruppo perfettamente igienico, un secondo assolutamente non igienico, e il terzo una via di mezzo. Quest’ultimo levava il tappo alle celle delle larve ammalate ma non gettava via le larve”.
    Ci immaginiamo di parlare con un essere immaginario, l’unico modo che abbiamo. Ma sappiamo che stiamo immaginando. Non c’è contraddizione, purtroppo c’è chi sente le voci davvero, ma è un’altra storia.

  15. Binaghi, mi pare che questo passaggio di Viola sia abbastanza chiaro:
    “Ormai in quel reparto nessuno sapeva che avrei comunque interrotto la gravidanza, il feto era già morto. Mi hanno lasciata sola ma circondata da mamme coi loro neonati, da donne super incinte e dal suono costante del battito del cuore dei prossimi nascituri. Ero molto fragile, ma forse non sono crollata perché forte della mia decisione, ma se così non fosse stato?”
    Quando è stata lasciata per cinque ore insieme alle puerpere, nessuno sapeva che aveva già deciso di interrompere la gravidanza proprio prima dell’aborto spontaneo.
    In ogni caso. Quello che lei cita come contrastante e stridente lo è perché la decisione di interrompere una gravidanza *è* sempre una decisione sofferta, contrastante e stridente. E soprattutto non è *mai* una decisione definitiva, visto che (e la stessa Viola lo dice chiaramente) si tratta di decidere di non avere figli in un preciso momento della propria vita, non escludendo di poterne avere in un futuro meno precario e traballante.

  16. ciao a tutte, mi chiamo Irene, ho letto questa lettere-articolo-denuncia-testimonianza con molto interesse, rivivendo un pò la mia esperienza. ho abortito 2 anni fa, avevo 19 anni, in un ospedale indubbiamente pubblico…sperando di trovare un’ambiente quanto meno tranquillo e privo di comportamenti agghiaccianti…beh la vita è piena di sorprese!!!
    appena arrivata in clinica, le dottoresse,e il personale presente mise in discussione il fatto che fossi in cinta da circa due mesi…ricalcolarono i giorni, nonostante un loro collega ginecologo avesse scritto (in chiare lettere..o meglio in chiari numeri) da quanto tempo fossi in cinta.
    dopo questo primo step.. un’ infermiera , con voce insicura mi disse… “sai, avevamo calcolato male le operazioni di questa mattina, e dato che sono superiori rispetto alle stanze che noi abbiamo a disposizione… non ci sono posti letto per te… ” e io “dunque?! ” lei “puoi aspettare sulle scale, oppure c’e a disposizione una stanza …con un due letti..uno è libero, e l’altro però è occupato da una donna…con suo figlio, sai te lo dico…PERCHè NOI NON VOGLIAMO AVERE PROBLEMI” …in quel momento neanche io….e aspettare digiuna, nervosissima …e un pò impaurita…sulle scale al freddo, non era certamente ciò che più volevo. dunque decisi di andare nell’ unica stanza rimasta libera…o semi libera. fortunatamente in quella situazione, trovai una donna , che mi parlò tutto il tempo, rassicurandomi e raccontandomi che anche lei aveva abortito quando aveva vent’anni…. insomma… almeno questa mi andò bene. infine , quel giorno, tutti i medici non obiettori sembravano scomparsi, in quanto le prime operazioni le cominciarono alle 19:30…. invece che alle 09:00 del mattino. appena finito l’aborto, volevo solamente andare via, non volevo urlare…io volevo andarmene da quel luogo. oggi però …me ne pento. vorrei tornare in quel momento x spaccare tutto, x denunciare quel gesto (come mi disse mia madre), o solamente x riversare vocalmente il mio disprezzo verso quelle persone e verso tale mentalità.
    spero di poter trovare tante donne determinate xx poter andare nelle piazze, urlare la propria esperienza con il megafono, farci sentire…insomma…noi non siamo un tabù…ma dobbiamo lottare tutti e tutte insieme x riconquistarci le nostre vite.
    ire

  17. Valter, non sono una scrittrice, al liceo ero brava, poi ho perso la mano.
    Durante il mese di cui ho parlato nel post (che tra l’altro ho scritto di getto) ho fatto un grande sforzo per mantenere l’ironia che per fortuna mi accompagna sempre nella vita.
    E sdrammatizzando quello che è successo sono riuscita a rendere il tutto meno cupo.
    Come molte hanno ribadito più su, la mia storia non parla di obiettori, ma di un forte disagio e disservizio che ho subito in un momento di grande difficoltà. Parli di malasanità, certo che sappiamo cosa sia, ne parlano tutti.
    Ma tutti non parlano di quello che succede alle donne che decidono di interrompere una gravidanza.
    E sappi che ogni storia è diversa e ha una diversa motivazione, che a volte può essere anche incoerente. Ti prego inoltre di uscire dagli schemi mentali che ti portano a dire “Il linguaggio che attribuisce un’identità personale al concepito giustificherebbe un’altra scelta, o no?”, io ho parlato della mia vita, tu analizzi il mio linguaggio.

  18. Per prima cosa ringrazio ancora una volta Viola per la storia che ci ha regalato. In secondo luogo, sempre Viola ha centrato il punto: “non tutti parlano di quello che succede alle donne che decidono di interrompere una gravidanza”. Nè, aggiungo, a quelle che vogliono la pillola del giorno dopo.
    Sono, onestamente, stanca di protagonismi ed elaborazioni sull’altrui pelle. Questo spazio non è nato per questo. Chiedo rispetto. Chiedo umiltà ai commentatori. Grazie.

  19. La storia di Viola mi ha accompagnato per tutta la giornale. E non trovo ancora le parole per un commento coerente. Grazie Viola e perdonaci tutti – se puoi. Forse ci siamo distratti un po’ troppo.

  20. Mi scuso con Viola se nelle mie parole ha trovato poco rispetto per la sua storia e con Loredana se abbia avuto l’impressione che volessi approfittare di questo spazio (anche nel caso che non ti riferissi a me)
    Ancora grazie a Viola, Roberta, Valentina e anche Irene che hanno avuto la forza di raccontarci le loro storie.

  21. Ci sono delle storie individuali, uniche e irripetibili, e ci sono gli scenari entro cui queste storie sono state vissute.
    Io penso che ogni storia debba essere accolta il più empaticamente possibile per come è e per come ci è stata raccontata.
    E’ sugli scenari che dobbiamo discutere, sulle condizioni in cui si è costrette ad abortire o a chiedere la pillola del giorno dopo, non sulle scelte delle donne, sul fatto che queste scelte siano più o meno coerenti con delle premesse espresse in una frase o sul modo in cui le storie sono raccontate.
    Non capisco perché i piani della discussione slittano sempre e si sovrappongono di continuo.

  22. Si, ho questo problema. Tratto tutto quello che leggo e quello che scrivo una volta che lo scrivo come una narrazione. Dietro ci può essere il mondo intero, ma qui ci sono narrazioni. Occuparsi del linguaggio sarà poco empatico (ma c’è già molto sentimento, qui) però può essere risolutivo.

  23. Valter, e poi chiudo perché non mi pare giusto, soprattutto in thread come questo, metaparlare.
    Tu stesso hai introdotto la distinzione tra singolo e individuo. Forse la singolarità a volte può eccedere la narrazione.
    Scusate l’OT.

  24. Chi manda una testimonianza non ha sempre l’intenzione di trasformarla in letteratura. Mi pare un poco di cattivo gusto commentarne la narrazione, senza interrogarsi sul contenuto. Di mio sarei molto curiosa di sapere come dorme la notte il personale sanitario che ha rimpallato una persona sanguinante – e in tutta evidenza non proprio in salute – da una struttura all’altra per motivi di coscienza. Si tratta di un nuovo tipo – si accende e si spegne a seconda della situazione?

  25. Concordo con Barbara. Laura, non mi riferivo a te, evidentemente. Valter: non puoi proiettare il tuo modo di vedere le cose, la tua lettura, il tuo punto debole sulle storie altrui. Per me. Per favore, ora, si parli di chi racconta, e non di chi commenta.

  26. Sono d’accordo con barbara, solo che nei confronti dell’interruzione di gravidanza e della pillola del giorno dopo, ci troviamo di fronte a una doppia forma di boicottaggio e di imposizione di sovrappiù di sofferenza: quello esplicito ed eclatante di questi anni, espresso con la cosiddetta obiezione di coscienza, quello quotidiano e routinario dovuto alla situazione sanitaria italiana.
    Per me i due aspetti non vanno disgiunti, anche perché il secondo, tra le altre cose, mette in luce l’ipocrisia di molta obiezione di coscienza, che è selettiva in modo decisamente sospetto.
    Nell’esperienza raccontata di Viola non mi pare ci siano obiettori di coscienza dichiarati, c’è un’indifferenza cinica e quello che ho percepito come un atteggiamento ferocemente punitivo: guardati intorno, ma che te pare ce possiamo occupà de te, qui c’abbiamo da fa’ mica ce possiamo mette a perde tempo con li aborti (manifestazioni, si sa, della capricciosa soggettività femminile).

  27. Scusa, Loredana, per me possiamo parlare solo delle storie non di chi le racconta. Io non mi sento di dire niente delle donne che hanno raccontato qui la loro storia, mi sento solo di ringraziarle, e pure piuttosto goffamente e in modo inadeguato e di partecipare empaticamente, per quanto lo consente un blog, alla loro esperienza.
    Riguardo a gli ‘a parte’ che ci sono tra i vari interlocutori, anch’io li trovo molto fastidiosi, ma a volte sono necessari per capire meglio il discorso che si sta facendo. E, per quel che mi riguarda, chiarimenti, consensi e dissensi preferisco esprimerli sempre in chiaro sul blog, visto che è qui che si svolge la discussione.
    L’accento che valter pone sul singolo io lo trovo molto importante, solo che a me, per quel che riguarda l’aborto, porta in una direzione opposta alla sua. Era un aspetto che mi sentivo di chiarire.

  28. Che bella storia. Surreale. Non esiste che ti lascino sanguinare con un feto morto a rischio setticemia. Ma chi la vuoi dare da bere? E se l’hanno fatto davvero (cosa di cui dubito fortemente) DENUNCIALI. Auguri

  29. Mah, a me questa sembra proprio una storia di malasanità, e davvero da denuncia. Ancora un po’ e ammazzavano la madre, altro che tutela dell’embrione. E no, non so come mai, ma non sono stata nemmeno sfiorata dal dubbio, leggendola, che non sia assolutamente autentica. Trasuda verosimiglianza da ogni parola, altroché!

  30. La lipperini scriveva del facile rischio che c’è di essere offensivi o perlomeno indelicati nel commentare criticamente queste testimonianze. Ed effettivamente è imbarazzante provarsi ad esprimersi griticamente, di fronte a delle storie vere.
    In questa specie di battaglia di lipperatura mi pare peròche si corra il rischio opposto, e che queste testimonianze possano appare utilizzate come specie di scudi umani. scudi umani.Certo nessuno le ha costrette con la forza ad esporsi come in guerra, anzi. Però alla fine la simmetria è quella: Mostrare dolore e sofferenze concrete, vere, reali, per avvalorare delle tesi tutte da dimostrare. .
    A me mi sembra che alla fine questa mobilitazione non è che risulti poi tanto convincente dal punto di vista abortista. Vengono fuori molte contraddizioni, se si va al di là sei semplici sillogismi da soap in cui gli oppressi hanno sempre ragione. Oppressi lo sono, resta da capire chi sia il vero oppressore.
    ciao,k.

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