STREGONERIE, CERVELLI MARCI E PROVE DI REINCANTO

Fatalmente, la scelta della parola dell’anno (che poi sono due) da parte dell’Oxford Dictionary ha suscitato molti interventi. Per chi ancora non lo sapesse è brain rot , ovvero «il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, specificatamente come risultato di un consumo eccessivo di materiale (in particolare contenuti online) considerato superficiale o poco stimolante». La colpa è stata data subito a Internet, come ha scritto sul New Yorker il giornalista Kyle Chayka che sottolinea che quelli a cui marcisce il cervello sono “avvelenati da Internet”, parlano ” attraverso il gergo dei social media e riferimenti ai meme” finendo per vedere il mondo come “materiale per TikTok”.

In questi casi penso sempre a quello che non vediamo e a quello che non ricordiamo. Perché qui non si tratta tanto di marciume quanto di perdita di centro e di senso del reale, che colpisce peraltro molto più gli adulti che i giovani, secondo me. Perché esiste, ed è innegabile, un senso di onnipotenza nel dire la propria al mondo (senza considerare che quel presunto mondo è una bolla) pensando che è giusto farlo perché si può.

Qualcuno forse ricorderà la terribile vicenda di Maria D’Antonio e del compagno Cosimo Pagnani. Avvenne dieci anni fa: un femminicidio fra i molti, per coltello. Con una differenza: Pagnani pubblicò su Facebook, dopo il delitto, la frase “sei morta, tr…a”. Seguirono 65 like quasi immediati. Sessantacinque. Ma se ci si sente spinti a postare su un omicidio appena commesso o in procinto di commettere, questa è schiavitù, è perdita del senso del reale, è follia. La follia e l’orrore esistevano prima dei social, lo so bene. Ma la giovane parrucchiera che fra i 65  commenta invocando giuliva l’intervento dell’ispettore Gadget mentre ancora il sangue non si è seccato, da dove viene? Qual è il suo mondo? Cosa prova scrivendo una frase del genere su un social?

Da un mondo comune. Qualche esempio che risale per giunta a qualche anno fa, e quindi andrebbe aggiornato. Sono tweet e status di persone adulte con ruolo pubblico:
“peccato che non sono te, mi sarei suicidato per avere un fesso in meno in giro, saluti, bloccato, smetti con la droga, fa male” (senatore, 58 anni)
“sei un uomo di merda. Il tuo “black humor” mettitelo nel culo”. (critico d’arte, 62 anni)
“Ma mai nessuno che se la stupri?” (consigliera di quartiere, intorno ai cinquanta)
“Anche se noi del blog di Grillo fossimo tutti potenziali stupratori tu non corri nessun  rischio” (comunicatore, fra i trenta e i quaranta)
“”Tu invece cosa pensi di combinare nella vita, capra?” (comico, 67 anni)
“Terremoto nel Nord Italia… Ci scusiamo per i disagi, ma la Padania si sta staccando. (La prossima volta faremo piu’ piano)”. (segretario politico cittadino, fra i trenta e i quaranta)
“I giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa” (presidente Fiat, 38 anni e, sì, è un insulto anche questo)

 

Questo è il flusso in cui ci siamo trovati e ci troviamo immersi, perché chi frequenta un social sa perfettamente, se persona vagamente pubblica, di dover fare lo slalom fra comportamenti che a volte sfiorano l’ossessione, se non la patologia. Ma questo non è attribuibile solamente ai social, quanto a un lungo, lungo cammino che fatto di noi individui autoriferiti, convinti di aver perso l’occasione di ottenere quel che meritavamo per colpa degli altri.

In una bellissima intervista su notzine,  la filosofa Silvia Federici dice:

K-2: Max Weber definisce il disincantamento come un processo di “razionalizzazione” del mondo, in cui spiegazioni magiche e animistiche vengono sostituite da analisi logico-scientifiche. In Reincantare il mondo, però, proponi una lettura più politica dell’eredità weberiana, interpretando le parole del filosofo tedesco come un avvertimento: disincantamento significa vivere un mondo in cui non è più possibile pensare fuori dalla logica dello sviluppo capitalista.  Questo mi fa pensare che il disincanto non chiami in causa solo politiche materiali: il disincanto è un vero e proprio attacco all’immaginario.

SF: Certo, è un attacco all’immaginario, alla possibilità di un’umanità concepita come creativa. Lo stanno facendo con la guerra, con la paura riguardo alla sussistenza, al futuro. Re-incantare vuol dire recuperare, reclamare, ricostruire. Riprendere il controllo di quella parte della vita che non è già completamente controllata dalla nascita fino alla morte.

E aggiunge:

“Tutto il discorso dell’economia capitalista è un discorso stregonesco. L’idea con cui da tempo ci spaventano e ci disciplinano è che ci sono delle forze indipendenti dalla nostra volontà, che, se non procedono in una certa direzione, ci porteranno alla rovina, il mondo non andrà avanti e via dicendo. L’ideologia capitalista ci spaventa continuamente, e lo fa evocando l’esistenza di forze presumibilmente incontrollabili. Pensiamo all’economia. Qui, in USA, alla televisione c’è sempre qualche economista che ci parla del tasso di disoccupazione come se fosse un’entità autonoma, che quindi dobbiamo imparare a comprendere e rispettare. Quello che non si dice è che in realtà sono individui in carne ed ossa che decidono, che cospirano. Tagliano fondi, prendono decisioni che affamano, uccidono, creano guerre; sono persone con piani, progetti e responsabilità specifiche. Io ho scritto un poema proprio sulla cospirazione in questo senso: In praise of conspiracy theory [di cui trovate una traduzione – inedita in italiano – in calce a questo articolo]. La stregoneria capitalista ci induce a pensare che le forze economiche siano autonome, che esistano indipendentemente dalle decisioni della classe capitalista,  e che al massimo i capitalisti siano maghi che le indirizzano, ne aggiustano la direzione. Ma è un discorso mistificante, in cui la responsabilità di specifiche classi spariscono. Sembra che i tassi di interesse ti impongano determinate scelte, ma sono determinate classi che scelgono di affamare certi gruppi di persone, di tagliare i fondi per i servizi, di investire in armamenti. Questa è la stregoneria capitalista. Si parla di economia come si parla di un evento naturale, di un temporale, qualcosa che non si può controllare, un evento atmosferico di cui, al massimo, possiamo capire da dove tira il vento per sfruttarlo”.

In conclusione, almeno per ora, non possiamo parlare di cervelli marci senza parlare di questo. Perché se lo facciamo ci distraiamo da questo. E invece dobbiamo almeno provarci, a reincantare il benedetto mondo.

 

 

 

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