La settimana scorsa ho pubblicato su Lipperatura la lettera di Anonima Libraia che esprimeva diverse critiche al primo intervento di Otello Baseggio. Il quale mi ha riscritto, e devo dire che gli scritti di Baseggio, anche se giustamente molto tecnici, sono lezioni importanti per me e credo anche per voi che leggete. Pubblico dunque la sua replica e approfitto per ricordare che il blog non sarà aggiornato fino a lunedì, perché per l’intera settimana ho lezione a Torino.
“Quanto all’aspetto economico di Panoplìa la dottrina di David Ricardo sui rendimenti decrescenti potrebbe esserti utile
– l’anonima libraia ha notato direttori di passaggio in magazzino osservare che qualche editore entrava a sconto “bassissimo”; un tocco di attenta osservazione: tanti, ma davvero tanti librai universitari sono diventati ricchi con fornitori al 25% quand’anche al 20%, trasferendo pure uno sconto del 15% o del 10% ai loro clienti; come mai? Lo sconto residuale andava a colpire libri di alto prezzo, ad altissima rotazione (magazzino pressoché azzerato a fine campagna) e a domanda rigida, lo stesso avviene con gli acquisti internet: se non hai domanda rigida, ma hai un profilo qualitativo ben definito riesci a dare rigidità al tuo bacino di clienti e, con gli strumenti e l’attenzione imprenditorialmente dovuti (non è possibile dilungarsi ma molti Baseggio ne ha illustrati durante i lunghi anni della formazione d’aula), puoi creare valore e ricchezza da distribuire, per esempio ai dipendenti, diversamente non avrai quanto serve da mettere sul tavolo per una buona trattativa
– semplificazione con esposizione per sigle editoriali: vallo a dire a chi si occupa di saggistica o legge narrativa per generi o acquista libri per ragazzi ragionando per interessi ed età: Panoplìa non soddisfa nessuno di questi requisti; Feltrinelli ha fondato le proprie fortune sulle porte aperte ai libri di buona fattura culturale e di intrattenimento, questo era il discrimine, la gestione commerciale poggiava su questo discrimine per ottenere condizioni favorevoli, discriminare sulla sola base del costo di acquisizione alza invece un muro invalicabile per parte di autori e opere che soddisfano il criterio fondativo, di conseguenza alla fruizione del pubblico nella catena Feltrinelli si tolgono opere che tale criterio soddisfano”
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C’è una libreria di provincia che scrive:
“Cara Loredana, noi da libreria di paese stiamo tenendo duro. Ancora oggi consigliamo regolarmente libri usciti due anni fa o più, insomma di catalogo, anche perché consigliare un libro che non ci è piaciuto solo perché è in quella lista di libri “che vanno di moda” lo consideriamo un tradimento nei confronti dei nostri lettori e lettrici. Tendiamo a tenere più catalogo e le novità solo quelle indispensabili e cioè che riteniamo belle oppure che bisogna per forza avere perché pubblicizzate sui social. I social, come tiktok che ormai sta scavallando anche IG, vanno obbligatoriamente tenuti d’occhio. Cercare di capire cosa attira in libreria i giovani lettori e lettrici è indispensabile se si vuole stare al passo con i tempi. Quello che ci fa ben sperare è che ogni tanto, non spesso ma è meglio che niente, da un libro pubblicizzato sul BookTok chiedono poi Orgoglio e pregiudizio”.
Ci sono le tante librerie grandi e piccole che commentano le storie che sto pubblicando in questi giorni. E ci sono libraie e libraie di catena che sono andate via. Da un ex libraia Feltrinelli ricevo e pubblico.
“So perfettamente quando tutto cambiò: era il 2003 e arrivò la fusione Feltrinelli/Ricordi con la nascita dei Megastore.
La libreria di Bari si trasformò: oltre 1300 mq di luci e colori e pile di libri ovunque. Più tecnologia (con differenti totem con cuffie che sparavano musica con le hit del momento o con i nuovi videogiochi da testare), più spazio all’intrattenimento e meno ai momenti di silenziosa scoperta tra gli scaffali che piano piano perdevano l’impianto iniziale – il catalogo – per diventare esili (addio bibliodiversità) e con la durata di vita che andava riducendosi sempre più.
I lettori storici iniziarono a perdersi e a non riconoscersi più in quel luogo che prima era un rifugio e ora sembrava inseguire logiche diverse: ricordo i primi scioperi bianchi, le varie proteste con il primo esproprio e le manifestazioni con gli slogan “Feltrinelli discount della cultura” strillati da tutti. Il sindacato che premeva e molto spesso otteneva mettendoci forza e cuore”.
Pubblico tutte le lettere di libraie e librai che sto ricevendo, dunque anche quella di Anonima Libraia che, come leggerete, è molto critica nei confronti di Otello Baseggio. Su questo si aprirà la discussione. Ma su una cosa non sono d’accordo io, e dunque mi prendo la libertà di dirla: lavare i panni sporchi in famiglia, come si adombra alla fine, nella maggior parte dei casi sfocia in catastrofe.
“Un ruolo decisivo, ma davvero decisivo anche ai tempi dell’online, lo hanno i distributori e i promotori, specie i principali: basti ricordare che gli editori incassano sul distribuito ma guadagnano sul venduto al netto di costi di produzione, redazione, resa, trasporto, stallo, macerazione. Un’impresa che giustamente è stata paragonata alla lotteria, che induce ad acquistare un altro biglietto (ovvero a pubblicare un altro libro e distribuirlo e incassare altro denaro) nella speranza di imbroccare la vincita (il libro buono, che permette di sistemare i conti e sanare i bilanci).”
Questa mattina su La Stampa, Simonetta Sciandivasci torna, da par suo, sulla questione dello sciopero dei librai Feltrinelli. E lo fa, all’inizio dell’articolo, ponendo una domanda non da poco:
“Non risultano scrittori che abbiano preso posizione sullo sciopero dei librai Feltrinelli. Non un’intervista, un intervento, un editoriale, un X, un post, una petizione, un botta e risposta su Facebook, un boicottaggio. Niente”.
E’ già accaduto. Dieci anni fa, quando Erri De Luca andò a processo, e cinque, con un po’ di eccezioni, con il caso Grafica veneta.
Ora, tutte e tutti amiamo Luciano Bianciardi: ma la questione del lavoro culturale non è faccenda del secondo Novecento. Anzi, deve uscire dallo studio di Bianciardi per arrivare all’oggi. Non ci si riesce. Così mi chiedo, oggi come cinque e dieci anni fa, come mai ci sia questa scarsa propensione di molti scrittori italiani a sentirsi parte di un discorso comune. Con eccezioni, certo. Poche.
Feltrinelli celebra i suoi 70 anni con ristampe e festeggiamenti. Intanto, però, i 1200 librai Feltrinelli scioperano, oggi, per otto ore: le organizzazioni sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs ricordano di aver incontrato la direzione della catena di librerie lo scorso 28 febbraio, per discutere del rinnovo del contratto integrativo aziendale senza che il confronto abbia portato a nulla. L’azienda, dicono, dimostra chiusura rispetto alle richieste: l’aumento del ticket-buono pasto, per esempio. Ma non è solo questo.
Chi lavora nell’editoria, specie se piccolo editore, sa quanto sia difficile essere visibile in una Feltrinelli, e non certo per colpa di chi ci lavora. Chi lavora nell’editoria, chiunque sia, sa che occuparsi dei propri colleghi è la prima cosa da fare, che si sia editor, scrittori o scrittrici, editori o editrici. Senza i librai non si arriva a chi legge. Lavoro culturale significa esattamente questo: occuparsi di ogni anello della catena, e non soltanto degli affaracci propri.
Se ci sono testimonianze, le ospito volentieri. Solidarietà, intanto.