Questa mattina su La Stampa, Simonetta Sciandivasci torna, da par suo, sulla questione dello sciopero dei librai Feltrinelli. E lo fa, all’inizio dell’articolo, ponendo una domanda non da poco:
“Non risultano scrittori che abbiano preso posizione sullo sciopero dei librai Feltrinelli. Non un’intervista, un intervento, un editoriale, un X, un post, una petizione, un botta e risposta su Facebook, un boicottaggio. Niente. Ma magari accadrà, magari è solo questione di tempo, di ponderazione. Certo è che le ragioni dei librai erano ben note agli operatori del settore da molto tempo, e non hanno mai ricevuto onore di cronaca, critica, dubbio, domanda, almeno pubblicamente. Però, che il novanta per cento di 1200 lavoratori delle librerie di catena di uno dei più grossi editori italiani faccia sciopero perché si vede negare un aumento di 1.50 dei buoni pasto, perché le condizioni contrattuali sono continuamente al ribasso, e il lavoro aumenta e il personale no, e tutte cose che sappiamo, e che sono lesive, sfinenti, umilianti, senza che a nessun intellettuale venga in mente di manifestare almeno disagio, è impressionante. La reazione all’ingiustizia non è un dovere per nessuno, certo, ma per gli intellettuali dovrebbe essere un bisogno”.
Salto indietro di 10 anni. Erri De Luca va a processo per istigazione a delinquere, per aver detto che la Tav andava sabotata (verrà assolto). In un’intervista lamenta “l’omissione” degli intellettuali italiani e il loro silenzio sul suo caso. Dichiara:
“Noto che in Italia l’ambiente culturale si astiene dai temi scottanti”.
Cinque anni fa: scoppia il caso (atroce) di Grafica Veneta: qui per rinfrescare la memoria. Allora, in verità, scrittori e scrittrici si mossero grazie all’iniziativa di Massimo Carlotto: ma siamo stati pochi, troppo.
Ora, tutte e tutti amiamo Luciano Bianciardi: ma la questione del lavoro culturale non è faccenda del secondo Novecento. Anzi, deve uscire dallo studio di Bianciardi per arrivare all’oggi. Non ci si riesce. Così mi chiedo, oggi come cinque e dieci anni fa, come mai ci sia questa scarsa propensione di molti scrittori italiani a sentirsi parte di un discorso comune. Più volte ho parlato della Gilda degli scrittori americana e di quanto si è battuta e si batte in difesa dei colleghi più deboli in tempi resi difficilissimi dall’avvento di Amazon e dalla crisi dell’editoria e poi dalla pandemia . Su questo punto, in Italia, le iniziative collettive sono state rarissime. Ed è solo un esempio, perché si potrebbero citare decine di altre occasioni dove la solidarietà non solo umana, ma politica, è stata obiettivamente carente.
Resta invece fortissima la propensione al cicaleccio da social: per cui sarà molto più facile vedere unito un gruppo di scrittori a spettegolare su Elena Ferrante che coinvolgerlo in una iniziativa di solidarietà. Non è colpa dei singoli: se il senso comunitario cala fino ad azzerarsi in un paese, chi di quel paese è espressione narrativa si comporterà di conseguenza. Con le dovute eccezioni, come sempre e naturalmente: eccezioni che ci sono e ci saranno.
Però, ecco, Madonna che silenzio c’è stasera.