Nel 1985 Pietro Citati lesse la classifica dei libri più venduti e scrisse che vi dominava “una purea di viscidi sentimenti, falso sublime, pensieri confusi”. Di qui, l’esortazione di Citati medesimo: italiani, non leggete più, fate fallire gli editori. Fra i suoi bersagli, Il nome della rosa di Umberto Eco, all’epoca ancora in classifica, nonostante la “assoluta assenza di ogni talento letterario”.
Non è la prima volta che si disprezzano i libri più venduti. Accade però da ultimo che si disprezzino le scrittrici, anche perché sono molto vendute, ma non solo.
Mi si rimprovera spesso perché segnalo quel che viene scritto in materia: lo trovo non solo legittimo, ma importante (esattamente come la rassegna stampa che Michela Murgia non ha mai smesso di fare e che è ancora visibile sul suo profilo Instagram). Buon ultimo, come ho scritto ieri su Facebook, l’articolo di Antonio Gurrado sul Foglio, che ancora una volta prende spunto dall’incoronazione de L’amica geniale di Elena Ferrante da parte del New York Times, faccenda che ha evidentemente provocato gastriti nella gran parte del mondo letterario italiano.
Lungo post dove appaiono Pietro Citati, Bernard Grasset, Paolo Mauri, Mariano Tomatis, oltre al signor Percy Selbit, che desiderava segare in due la leader delle suffragette.
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