Finalmente, ieri pomeriggio, avevo fra le mani La nascita del pistolero, nell’edizione Sperling&Kupfer (per chi lo ignorasse, trattasi di graphic novel basata sulla saga della Torre nera, ovviamente di Stephen King). Ho dovuto abbandonare il tutto dopo quattro pagine, causa sequestro da parte del secondogenito e poi, non senza epica bisticciata fratello-sorella, della primogenita. Dunque non faccio commenti sulla trasposizione a fumetti di uno dei migliori cicli fantasy-e-non-solo che la vostra eccetera abbia mai letto. Posso invece raccomandare caldamente Il vangelo del coyote di Morozzi-Camuncoli-Petrucci: quello sono riuscito a finirlo prima che mi venisse sottratto dalla next generation. Merita.
Con una spaventosa influenza in incubazione, parto per Orta, in compagnia di molte signore in gamba. State bene.
Io non mi macchierò mai di simili abusi nei confronti degli avi, in famiglia sono l’unico fumettofilo (e anche l’unico lettore di King, ma soprassediamo).
Ho un pregiudizio inveterato nei confronti di tutto ciò che è Marvel, vista la loro tendenza a rovinare quel che fanno di buono – vedi come hanno ridotto Spiderman – però trattandosi della Torre nera uno sguardo ce lo darò.
Divertiti ad Orta
l’adattamento della torre nera è ECCELLENTE. in particolare, jae lee rende ottimo servizio.
Bellissimo il morozzone, una delle sue cose migliori!
Nel 1978 il termine ‘graphic novel’ veniva coniato da Will Eisner per nominare un romanzo realistico a fumetti. Così, ‘Contratto con Dio’ è g.n., mentre ‘Spirit’ – sempre di Eisner -, no.
Nel mondo del fumetto ho ascoltato discussioni sull’opportunità di utilizzare questa categoria. Il problema è che g.n. finisce per essere una specie di certificazione di qualità attribuita alle storie realistiche, mentre il fumetto ha prodotto grandi capolavori di letteratura ‘fantastica’, anche nella forma umilissima delle strisce sui quotidiani. Quindi il rischio era che g.n. potesse portare un atteggiamento di chiusura, dettato da motivi demenzialmente elitari.
Oggi l’industria editoriale ha scoperto un nuovo territorio di caccia, il ‘graphic novel’, che è diventato il brand del libro a fumetti di ‘qualità’, dove la ‘qualità’ fa parte sicuramente del packaging, ma non necessariamente della sostanza del prodotto. Ovvero, le sòle sono in agguato e arriveranno sempre più spesso…
Che dire?, i dubbi sull’utilizzo della categoria ‘graphic novel’ sono ancora lì, ma non ho nessun dubbio nel dire che utilizzare il termine eisneriano come ‘brand’ di ciò che ho detto appena sopra, è davvero molto fuorviante per il lettore. Sicuramente è sbagliato, se si vuole fare buona mediazione. Se invece lo scopo è fare TAPUM TAPUM con mazza a doppia testa sferica contro la grancassa, allora va bene così….
In Italia vengono anche presentati semplicemente come “romanzi”, vedi l’ultimo lavoro di Giuseppe Camuncoli.
Sì, vero, alcune case editrici puntano a chiamarli semplicemente ‘romanzi’ (scritto in copertina) con la volontà di dare dignità commerciale al prodotto. Ma anche così si crea un brand di qualità basandolo su caratteristiche esteriori, soprattutto di packaging ‘libresco’.
C’è un bel libro uscito recentemente che si intitola semplicemente Una storia a fumetti (A. Baronciani, Black Velvet). Ecco quello che sono: storie a fumetti. Non c’è bisogno di investirle di dignità, i capolavori del fumetto si sono visti in strisce popolari come in raffinati racconti o romanzi grafici o libri d’arte.
Sono d’accordo.
Però apprezzo (senza dargli qualità superiori) quei fumetti che alcune case editrici fanno partire direttamente dall’edizione per libreria. Mi sovviene il duo Evangelisti/Mattioli, per esempio. Ce ne sono altri. Non tantissimi. A quanto ne so, i numeri per ora non hanno dato ragione a queste operazioni di diversicazione (merceologica? di scaffalatura?). Meglio comunque di Dylan Dog riproposto in tecnicolor da Mondadori… mi pare brutto quando tra edicola e libreria, gira e rigira, trovo le stesse cose. Il ragionamento va a parare su questo: forse il “romanzo grafico” ha ragion d’essere (o legittimazione) proprio quando è destinato non tanto a un consumo colto, ma a un preciso luogo. Resta in cerca di identità, per ora.