Post lungo. La vostra eccetera ha un problema: ovvero, non
capisce bene cosa stia accadendo in numerosi e insigni cervelli (o forse è
quello della sottoscritta che necessita di manutenzione: possibilissimo). So di
averlo già scritto: ma continuo a stupirmi di come la discussione sulla
televisione come mezzo -e non su molti (diciamo pure moltissimi) dei
suoi contenuti – sembri piombare dal passato (o direttamente da un altro
pianeta, come il protagonista di questo libro).
Bene, facciamo un gioco. Vi posto due articoli. Il primo è
il fedele resoconto che Natalia Aspesi ha fatto sull’Almanacco dei libri,
sabato scorso, a proposito di Volevo dirti che è lei che guarda te, di
Paolo Landi.
Il secondo, a firma della vostra eccetera per La
Repubblica, vi porterà indietro fino al
lontano 1992, e riguarda un altro libro, a firma di François Mariet.
For the times they are
a-changin’, in effetti.
Uno
Dice Beppe Grillo nella prefazione: «Questo piccolo
libro ci offre un ritratto dell’ infanzia fatto di ragazzini grassi e tronfi
che smanettano tutto il giorno con tastiere, display, gameboy e telefonini. E’
un campanello d’ allarme. Conviene ascoltarlo». Lo ascolteranno i genitori che
tacitano le richieste tecno e indotte dei figli regalandogli schermi di ogni
tipo? E soprattutto, avranno il coraggio di eliminare la televisione dalla loro
vita? L’ autore, Paolo Landi, che non è un solenne sociologo antisistema ma il
direttore pubblicità e immagine del gruppo Benetton e docente a contratto di
Comunicazione e mercato al Politecnico Bovisa di Milano, dice di sì: non solo
perché lui, padre di tre figli da 12 a 6 anni, ha relegato il televisore in
soffitta 8 anni fa, ma perché, come ha raccontato L’ Espresso, ormai un milione
e mezzo di italiani lo ha spento definitivamente, ma anche perché ovunque
presenti il suo libro accorre un sacco di gente molto partecipe per sentire
parlare di quel mostro che ha catturato tutto, noi, la politica, le belle
ragazze, il mercato e tanto denaro. Volevo dirti che è lei che guarda te
pare rivolgersi ai bambini, in realtà è destinato agli adulti che percepiscono
inquieti la vischiosità di quel mezzo che pare offrire distrazione,
informazione, sapienza e invece è solo una potente macchina di pubblicità per
vendere, con la scusa dei programmi. In brevi, semplici capitoli, sempre più
terrorizzanti, Landi racconta dell’ effetto ipnotico dei fasci di elettroni
sullo schermo che piega i bambini in uno stato di trance, facendolo
particolarmente ricettivi di prodotti e marchi. Spiega, da padre sapiente, che
i bambini dovrebbero muoversi sempre, correre, cadere, arrampicarsi, saltare,
saper vedere un albero, saper assaporare una fragola, saper sentire il vento,
saper odorare, un fiore, e non percepire tutto solo attraverso l’ immaterialità
dell’ immagine televisiva. Dice che la raccomandazione degli psicologi di non
lasciare soli i bambini davanti alla tivù è un grido di allarme dannoso, «perché
finisce per essere funzionale a chi vende teleutenti agli sponsor». Il
consumatore bambino è uno, con la mamma fanno due, se c’ è pure il papà fanno
tre. Non è questione di contenuti, del resto pessimi per tutti: «Per un
bambino la televisione non è mai utile perché le finalità del mezzo non sono
mai educative ma sempre e solo indirizzate esclusivamente verso scopi
commerciali». La televisione, dice Landi, è colpevolmente fatta per le classi
subalterne, per le persone più indifese: «i miei figli, i figli della
borghesia, possono avere una vita piena senza la televisione, gli altri sono
condannati a ingrassare davanti al teleschermo». La televisione ha cambiato le
paure dei bambini, un tempo le streghe i draghi e gli orchi che svanivano alla
luce del giorno, oggi i terroristi, i kamikaze, le torri che crollano, gli
attentati, la guerra, i rapitori di bambini, gli zingari. Le storie di mostri
non arrivano più dai libri di fiabe letti dai genitori ma in diretta dalla
vita, tragica, mostrata dalla tivù, costringendo i bambini a terrori adulti,
quotidiani. E viene citato Don Milani: «Un bambino che si occupa di cose più
grandi di lui è sempre un imbecille». è vero che la televisione sta per
diventare una vecchia carcassa obsoleta, oscurata da strumenti tecnologici
sempre più avanzati, ma il male finisce solo per propagarsi: «Internet è
diventato il più grandioso palinsesto mai visto di violenze, manie,
pornografia, truffe commerciali, agguati pubblicitari. Il passaggio del bambino
dalla televisione al computer collabora a farlo diventare un adulto
consenziente». (Natalia Aspesi, 8 luglio 2006)
Due
Hanno quattro, sei, dodici anni: l’ età che preferite,
purché consenta loro di chiamarsi bambini. Sono seduti sul divano, come milioni
di loro coetanei in tutto il mondo, guardano la televisione. E come accade ai
protagonisti delle favole quando eccedono nel consumo di dolci o in altre
trasgressioni, ne guardano troppa: e per punizione vengono trasformati in
patate. Questa, però, non è una favola, ma uno spot con cui l’ Accademia
Americana di Pediatria, apparentemente ignara della contraddizione, denunciava
in televisione i danni derivanti dalla medesima: danni mentali e fisici, dal
momento che la metamorfosi in tubero inflitta ai piccoli peccatori fa
riferimento al nome di una telemalattia, la couch potato lifestyle.
Vecchia storia, comunque: lo spot è del 1987, mentre recentissimo è il rapporto
con cui un’ altra associazione americana, quella degli psicologi, ha calcolato
accuratamente le ore di violenza che la televisione elargisce ai bambini prima
dell’ undicesimo anno di età. E prima c’ erano stati i podologi che
denunciavano il pericolo dei piedi deformati e i dentisti preoccupati per la
"Tv jaw" (una cattiva occlusione della mascella), ambedue dovuti alle
posizioni assunte davanti allo schermo, nonché gli oculisti che tuonavano
contro le malattie della vista, i nutrizionisti che evidenziavano il legame fra
obesità e videodipendenza, e persino qualche medico nostalgico della guerra
fredda, che accusava la tv americana di far crescere bambini meno muscolosi di
quelli sovietici. Ma se fosse tutto un equivoco? Se le stesse persone che mai
metterebbero sotto accusa l’ invenzione della stampa per un unico, brutto
libro, si ostinassero in questo caso a confondere forma e contenuto? Se
assistessimo al ripetersi di un meccanismo che due secoli fa imputava al
successo de I dolori del giovane Werther di Goethe l’ ondata di suicidi
giovanili e oggi attribuisce a Bart Simpson il turpiloquio minorile? Se
la televisione, insomma, non fosse il demonio, ma un mezzo, più neutro che
incolpevole, su cui scaricare tensioni culturali e incomprensioni
generazionali? La tesi è di un docente universitario francese, François Mariet,
di cui l’ editore Anicia ha appena pubblicato Lasciateli guardare la Tv
(pagg. 147, lire 30.000, con postfazione di Roberto Maragliano). Secondo
lo studioso, il vero problema non è relativo ai famosi due bambini su tre che
ogni giorno guardano il piccolo schermo, ma a quell’ unico che non la guarda.
Perché la televisione non è affatto nociva: non più dei media che hanno
accompagnato l’ infanzia e l’ adolescenza dei suoi detrattori, non più del
fumetto che negli anni Quaranta lo psicologo francese Henri Wallon
accusava di far "disimparare al bambino la lettura e il linguaggio
intelligente". Non più del cinema, che spingeva i genitori di Bruno
Bettelheim a rimproverare il loro ragazzo perché passava troppo tempo a
guardare film. Perché, allora, la si attacca con tanta frequenza? Perché non la
si conosce, sostiene Mariet, mentre i bambini la conoscono benissimo. E perché
denunciare tranquillizza la coscienza, aggiunge Fausto Colombo, ricercatore
all’ Università Cattolica di Milano: "L’ allarme infanzia è l’ unica cosa
sopravvissuta alla cultura dell’ infanzia, ammesso che ne abbiamo mai avuta
una. Ci interessiamo di bimbi picchiati, uccisi, scambiati. Non ci preoccupiamo
di quelli che presumibilmente stanno bene. Ma che da soli non crescono".
Mariet e Colombo non sono che due esponenti di una sempre più folta schiera di
studiosi impegnata a dimostrare che la televisione non sostituisce la famiglia
o la scuola, quanto le vecchie abitudini culturali e la tradizionale gestione
del sapere: grazie alla tv, i bambini di oggi non conoscono meno cose, ma ne
conoscono di nuove, e in modi diversi. Questo è anche il parere di Francesco
Antinucci, direttore del laboratorio di psicologia comparata del Cnr: "Se
per decifrare un testo scritto è necessario un lavoro di ricostruzione che
parta dalla frase per arrivare ad un’ intera situazione, la televisione
presenta quella stessa situazione in modo immediato". Anziché vittime
passive, i bambini sarebbero gli spontanei portatori di una nuova cultura dove
gli adulti faticano ad entrare. Sono i nostri figli, secondo Mariet, a
ricordarci quanto di arbitrario esiste nei nostri orari e ad abituarci ad una
concezione multipla del tempo: il loro modo di concentrarsi è diverso dal
nostro, consente loro di fare più cose nello stesso momento, mangiare,
studiare, guardare i cartoni proprio come i grandi giocatori di scacchi che
giocano più partite contemporaneamente. E la televisione, lungi dall’ essere la
vecchia fetta di dolce, l’ evento eccezionale cui assistere in silenzio
sospendendo ogni altra attività, è un oggetto come un altro, precedente alla loro
nascita come l’ acqua corrente e l’ elettricità."E questo mette l’ adulto
a mal partito – sostiene Colombo – All’ atavica paura dell’ uomo verso la ‘
naturalezza’ della donna, si aggiunge lo sgomento per la naturalezza dei
bambini nei confronti della tecnologia e dunque della tv. Come nello Zen, i più
piccoli imparano giocando, perché sono spontaneamente portati all’
imitazione". Il che potrebbe ritirare in ballo i classici capi d’
imputazione: violenza e overdose da video, pericolosissimi per chi "imita"
ciò che vede. Non per Mariet: a suo parere, se la televisione è tv-tappezzeria,
sbirciata distrattamente e facendo altre cose, risulta innocua. Inutile,
dunque, razionarla: anzi, più se ne guarda, più la si smitizza e meno se ne
rimane affascinati. E quando c’ è qualcosa di meglio di fare, non la si guarda
affatto: secondo un’ inchiesta americana, con l’ arrivo di un computer la
visione dei programmi diminuisce nel 79 per cento dei casi, mentre le altre
attività (giochi, lettura, cinema, sport) vengono intaccate solo parzialmente.
Resta la questione della violenza in video, che secondo gli psicologi americani
non sarebbe che il primo passo per la formazione di adulti violenti.
"Tutto da dimostrare – ribatte Antinucci – Perché la violenza è irriflessa:
io m’ infurio contro qualcuno e gli dò un pugno. Ma se ho già visto – in
televisione, magari – quali possono essere le conseguenze del mio gesto,
rifletto e mi fermo". (la vostra eccetera, 15 marzo 1992)
perché questi titoli in inglese? Fa più fico, più culturalmente aggiornato?
No: banalmente, è il verso di una canzone che si chiama “Couch potato”…
Non so se questo pensiero é vecchio o nuovo. Comunque per me la televisione non é un mezzo per divertire, informare, fornire un servizio o fare la foto del reale.
E’ un mezzo per costruire le menti delle persone.
Per me le persone prima della televisione erano molto più povere di luoghi comuni e scemenze, gossip e amenità e molto più ricche di contenuti. Che gli venivano dalla vita.
Confesso che da tempo non l’ accendo più. Non per accendere la radio (che mi sembra ancora più scema e giovanilistica) ma per parlare con altre persone o stare un pò “con me”.
Le analisi su cosa era o é la tv mi lasciano del tutto indifferente come la tv stessa.
L’ unica cosa che ha insegnato, si fa per dire, a tutti é che conta solo l’ apparire.
A me non importa apparire.
Per questo sono libero.
Mi sembra abbastanza ovvio che la televisione non sia il problema in sé. il problema è che la tv, come tutto quello che ha una diffusione planetaria e coinvolge miliardi di persone, viene sistematicamente sfruttata e finalizzata all’unico vero grande scopo che sembra pervadere il nostro sistema sociale: vendere, indurre al consumo, fatturare. da lì l’appiattimento, la volgarità, la spremitura tipo limone di quel poco di buono e nuovo che c’è. Il calcio è un altro esempio simile; da quando è diventato (o è stato fatto diventare da chi ne ha intuito le potenzialità) un fenomeno di costume diffusissimo, è cambiato in peggio. è un po’ il nostro destino, combattiamolo con grazia e idee. riconvertiamolo, ma per piacere niente censure e niente snobismi. mi sento una persona libera (quantomeno nel pensiero) anche se guardo i cartoni e altrettanto originale pur tifando Italia e non Angola ai mondiali.
lo ammetto: io ci sono proprio cresciuta con la tele.
Io e mia sister ci siamo fatte delle “pere ” di tele, dai 7 fino ai 15anni, e forse anche di piu´.
Abbiamo visto di tutto e di piu, certi giorni eravano talmente rimbambite da non ricordarci nemmeno cosa avevamo visto due ore prima.
Eppure, con il senno di poi, anch se preciso che a mio figlio non gliela farei vedere manco 2 ore al giorno,non siamo poi venute cosi´male.
certo e´un colpa dei genitori, ma quando non consapevolezza, allora credi di avere problemi sempre piu´grandi in cui impegnarti,e i figli un po´li lasci a se´stessi perche´credi che sia meglio occuparti DEI TUOI PROBLEMI; TANTO i figli sono in salute , vanno a scuola, mangiano , bevono…che male c´e´se si rimbambiscono di tele.
Il vero problema e´che i genitori non sanno offrire l´alternativa ai bambini?
logico che e´piu´ divertente stare davanti alla tele, piuttosto che stare ad ascoltare i solititi discorsi del te delle 17:
“mio marito e´un bastardo!”
” tizio se la fa con sampronio”!
i bambini li a far da statue!!
Basta!
consiglio:
fate fare ai genitori dei corsi per insegnarli a giocari, io ne faci uno tanto tempo con con un ass. per diventare educatrice; fu una cosa eccezionale!!!
Ci siamo ritrovati in 20 adulti dalla mattina alla sera a giocare!!
con noi c´era uno pedagogo e uno psicologo.
Non si púo´immaginare cosa evidenzia il gioco.
E basta al parco, con tutte ste´mamme imbellettate alla simona ventura, che non giocano con i lori figli!!!!!
baci baci
marina
caro guglielmo,
credo che tu abbia centrato il vero problema!!
io ne ho un´altro:
– l´isolamneto del bambino nel suo ambiente familiare.
i genitori che non comunicano con i bambini, ma che hanno paura di persino di raccontarsi, fanno crescere i bambini in solitudine.
e´difficile anche per un adulto stare ad ascoltare un bambino, cvi vuole concetranzione e spesso gli adulti, tutti impegnati ad apparire non ne hanno!!
che ne pensi?
tempo e concentrazione da dedicare ai bambini sono senz’altro materia prima di ogni buona educazione, innegabile. proprio le materie prime che oggi scarseggiano perché in genere impiegate fuori dall’ambito familiare. è la quadratura del cerchio, al solito, ma ancora una volta la tv c’entra poco, se non come terminale ultimo.
la tv in se´per se, come oggetto vuoto e privo a se stesso, ma non i contenuti, no quelli sono deprimenti e andrebbero modificati!
Loredana, tu mi consigliasti di leggere “Tutto ciò che fa male ti fa bene”, che parzialmente rivaluta il ruolo di serial TV e reality show…
E concordo, la TV può anche fare bene!
Io sono uno della generazione venuta su a pane e cartoni animati, e ne sono felicissimo: ora, quando guardo serie animate o “anime” giapponesi profondi e intelligenti non sento bisogno di giustificarmi: me li godo e contemporaneamente li apprezzo in modo critico!
Il mio domandone è: perché non tutti i miei coetanei, che vedevano a merenda Goldrake a tre anni come me, rivedendolo apprezzano i drammi etici dei protagonisti? E perché, d’altra parte, chi non li ha visti si corazza etichettando, e non ha la pazienza di scoprire quanta intelligenza psicologica c’è (per esempio) anche nel demenziale Lamù?
Alla fine, esagerando, potrei dire che Natalia Aspesi fa lo stesso ruolo pastorale della TV, ma per un gregge che si ritiene diverso, e troppo spesso migliore…
[…] Tra i libri che ho comprato durante l’ultima razzia al libraccio c’è questo oscar mondadori dalla copertina rossa. Si chiama “Tutto quello che ti fa male ti fa bene” e spiega perché la televisione e i videogiochi ci rendono più intelligenti. L’ha scritto Steven Johnson. Appuntati questo nome, perché un giorno potrebbe scriverne altri. Il libro è pervaso da falsità ideologica affatto sottile (anzi spessa come la gomena che qualcuno voleva far passare dalla cruna dell’ago), ammantato di tutto quel “buon senso” che ci fa dire “Accidenti! Ce l’avevo davanti agli occhi! Come ho fatto a non pensarci?” Fa anche degli esempi. Anzi… fa solo degli esempi. Caratteristica dell’insulso volumetto è infatti quella di essere completamente privo di una parvenza di metodo alla guida di un approccio mosso grazie a spannometria e pressapocanza.
Il mio telecomando, nel frattempo, mi ha reso uomo migliore. Ora non riesco a mantenere la concentrazione sullo stesso libro per più di venti minuti e mi ritrovo in preda a schizofrenia della lettura. Freneticamente alterno il libretto rosso dei pensieri di Johnson a “La scomparsa di Majorana” di Sciascia, a “Groppi d’amore nella scuraglia” di Scarpa, a “supereroi e superpoteri” di Di Nocera (qualcuno arresti il grafico), a Best Off 2006…
Grazie telefunken!
(dal blog Sparidinchiostro, per provare, ancora una volta, che nella rete qualcuno ragiona con la sua testa, e nella rete del fumetto ancora di più)
Caro il lettore, potrei ribaltare del tutto la tesi che avanzi con questo estratto. Dimostra che pur nella intelligentissima comunità del fumetto, qualcuno ostenta ancora giudizi conservatori, superficiali e ideologici. Nel post ci sono infatti errori materiali (il titolo, la supposizione che questo sia l’unico o il primo libro di Johnson), accuse generiche (“falsità idologica affatto sottile”, “spannometria e pressapocanza”), omissione di contenuti e la palese dimostrazione che parte del libro non è stata letta (“privo di una parvenza di metodo” , laddove l’impostazione cognitivista in realtà è ben dichiarata dall’autore).
Il che, può essere il parere di chi ha letto la quarta (come me, che da scettico io iniziato a leggere, che pur scettico rimango circa alcune conclusioni), ma non certo l’argomentazione acuta e sensata di un libero pensatore, e io non la userei per dimostrare che qualcuno ancora ragiona con la sua testa…
“Dimostra che pur nella intelligentissima comunità del fumetto, qualcuno ostenta ancora giudizi conservatori, superficiali e ideologici.”
AHAHAHHAAHHAHAHAHAHAHAHAH!
“…giu…giu,,, giudizi conservatori, superficiali e ideolo…”
AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!
“…palese dimostrazione che parte del libro non è stata letta…”
AHAHAHAHHAHAAHHAAHAHAHAHAHAHAH!
Io Popper lo conosco poco ma da quel poco che lo conosco mi vien da dire non condivido niente, di quello che dice, nel senso che non condivido il tono che ha che ci spiega così per bene come siamo dove andiamo cosa dobbiamo e non dobbiamo fare. Detto questo non ho la televisione, e quando mi capita di dormire in un posto dove c’è, primo, sono incantato la guardo tutta la notte, secondo, mi sembra che si comportino tutti in un modo stranissimo e innaturale, mi sembrano un po’ tutti drogati, terzo, il mattino dopo mi sembra che avrei fatto meglio a dormire.
(intervista a Paolo Nori di Armando Adolgiso [.it])
Uno dei luoghi comuni che mi sono scordato di demolire nel mio libretto “Volevo dirti che è lei che guarda te” (Bompiani, arrivato alla 4 edizione!) è quello che dice: “I bambini imparano con la tv cose diverse”. I bambini con la tv imparano solo a comprare (effettivamente, sì, è qualcosa di diverso di ciò che si impara o si imparava a scuola). Poi i bambini imparano a ripetere i jingle e gli slogan della pubblicità, le nuove “filastrocche” le definirebbe l’ottima e speranzosa e moderna Loredana Lipperini (cara Loredana ti leggo sempre su Repubblica e condivido quasi sempre le tue scelte ma che passo falso consigliare quel brutto e disonesto libro “Tutto quel che ti fa male ti fa bene”!!). Poi imparano a ripetere parole di cui non dovrebbero conoscere il significato (“Comunista!”, “Pedofilo!”) e ha davvero ragione don Milani quando diceva che un bambino che parla di cose più grandi di lui è sempre un imbecille. Poi siccome guardano il National Geographic sanno tutto delle foche nane ma se la maestra chiede loro di descrivere il gatto di casa in un tema arrancano… Tempo fa ho incontrato Michele Serra che mi ha detto: “Sai perché mi è piaciuto il tuo libro? Perché rilancia un tema, quello della televisione, che credevamo di aver metabolizzato…E invece la tv è sempre qui, sempre più inutile, sempre più brutta”. Sono d’accordo: bisogna smettere di parlare della tv (una cosa arcaica, antica, altro che tecnologia!Una cosa fatta apposta per le classi meno abbienti e questo suo classismo palese dovrebbe indignarci; non sono i figli della borghesia che diventano obesi davanti alla tv: quelli sono pieni di amici, di sport, di strumenti musicali da imparare…). C’è sempre qualcuno che mi commuove ricordandomi che anche Adorno si sentiva più stupido quando usciva dal cinema (effettivamente sì, ci si può sentire stupidi anche uscendo dal cinema…) e che prendersela con il “progresso”, il nuovo che avanza, è una battaglia da retrogradi. A tutti consiglio di leggere Galimberti (Umberto) sulla tecnologia usata come mezzo e la teconologia come “ambiente” nel quale qualcuno (chi? provate a indovinare…) vorrebbe farci vivere. Ha ragione Paolo Nori: dopo un po’ che si guarda la tv e si naviga su Internet ci sembra che avremmo fatto meglio a fare un pisolino!
Paolo Landi (9 gennaio 2007)