PADRI, FIGLI, MASTER

Pier Luigi Celli risponde alle risposte, con qualche risentimento  (non è affatto, a me sembra, di “modesta attinenza” la discussione su chi dovrebbe sottolineare e denunciare l’emergenza: se avete voglia, qui e qui trovate l’audio di due diversi momenti di Fahrenheit in cui, l’altro ieri, abbiamo affrontato l’argomento).
Alcuni studenti della Luiss, di cui Celli è direttore generale, rispondono a loro volta. Qui il testo della lettera che ho ricevuto ieri via mail.

In risposta alla lettera di Pier Luigi Celli a suo figlio, pubblicata da Repubblica il 30 novembre 2009.

Da una rappresentanza del corso Nuovi giornalismi (organizzato da Luiss Business School in collaborazione con Internazionale editore).

 

Ci siamo incontrati, nel cortile della Luiss, una mattina di gennaio: nutrito gruppo di sognatori e non, iscritti al primo Corso di alta formazione per aspiranti copy editor, photo editor e traduttori. Abbiamo pagato migliaia di euro ognuno e ci siamo formati insieme per sei mesi, parlando di futuri ricchi di professionalità, impegno e voglia di cambiare il mondo. Sognando anche, magari, uno stipendio. Perché i precari si nutrono di cibo e non solo di aspirazioni.

 

Il master è finito. Ora ci muoviamo tra strade telematiche e reali alla ricerca di qualcuno che voglia impiegare le nostre (tante) competenze fuori dalla mostruosità degli stage. Ma siamo sempre: troppo o troppo poco esperti, eccessivamente o non abbastanza giovani, arrivati tardi o presto, schiacciati da meccanismi marci che sostengono la logica dello sfruttamento. Perché è di sfruttamento che si parla quando si pretende che qualcuno lavori gratis per mesi senza nessuna prospettiva. Una gavetta perenne che non fa crescere la persona o la professionalità, ma ti trasforma nell’ingranaggio di un sistema a circuito chiuso.

 

Il dolore di Celli padre non ci addolora, se utilizzato in pubblico per promuovere una tesi sbagliata. È invece la triste ammissione di un’élite politica vigliacca, che non ha saputo svolgere il suo lavoro e chiede ai suoi figli di scappare da un paese che non ha saputo governare. È il messaggio ipocrita di una classe dirigente che piange lacrime di coccodrillo, ma non si dimette: continua invece a ingrassarsi il portafoglio lucrando sulla disperazione di chi non può partire o sui desideri di chi non vuole andare a far fortuna all’estero. Questo, spesso, sono i prestigiosi “master”, i nuovi costosi lasciapassare per il futuro che poi tanto in là non ti fanno andare.

 

Non vogliamo entrare in una logica inutile di accuse e colpe. Scuse non le pretendiamo, ci è stato insegnato a non aspettarcele.

 

Noi, però, non vogliamo andare via. Vogliamo scrivere nella nostra lingua, bellissima, preziosa. Vogliamo fotografare questo paese e traghettare la nostra cultura altrove. L’alternativa alla fuga di cervelli, come ha dimostrato la storia, non è più la resistenza, ma buttare dalla nave chi continua ad aprire delle falle per farla affondare.

 

La verità è che noi non abbiamo né posti in prima fila né cognomi importanti: siamo quelli bravi che, però, devono rimanere a bordo anche se la nave affonda. Per quanto il nostro paese possa esser senza speranza, noi restiamo qui, senza i soldi per comprarci una casa dove vivere e senza quelli per averli noi, i figli, ed educarli a cambiare questo sistema anziché invitarli a scappare.

 

Mattia, non andare via, è troppo facile: vincerebbero loro e sarebbe colpa nostra.

83 pensieri su “PADRI, FIGLI, MASTER

  1. sai cos’e’ a volte non e’ che si ‘scappa’ da qualcosa. A volte semplicemente tra capo e collo ti arriva un’occasione. E allora c’e’ chi non si mette a pensare ah la mamma, ah la pizza, ah il bidet (!) e prende e parte. Per stare un pochetto. Poi un altro pochetto. Poi e’ stato troppo, e ci resta. Vedersi per forza appioppare l’epiteto di cervello (che gia’ quello) in fuga non e’ piacevole. Io non sono scappata, quindi non mi pongo il problema di tornare. Mi sono trasferita, questo e’ quanto. E non stiamo neanche la’ a guardare con livore chi resta, che non mi interessa chi ha fatto fortuna restando, a me e’ andata bene e son contenta. E quindi mi stupisce sempre il livore di chi invece parla di me come una che ha mollato la barca, o che si crede chissa’ che perche’ sta un po’ di km piu’ in la.

  2. Che cosa dovremmo cambiare? I giovani sono pochi (in Italia, numericamente, e di scarsa influenza) e devono adattarsi a questo pessimo stile di vita prima di poter avere la forza e/o il ruolo adatto per cambiare alcunchè. Solo che quando vi si saranno adattati, ci si troveranno bene e non cambieranno una virgola della cosa. E’ selezione, comunque, ma quasi al rovescio: non è vero che basta la raccomandazione, semmai si privilegia un certo tipo d’uomo ad un altro e lo si premia. Solo che il modello attuale è fallimentare, basato sulla quantità anzichè sulla qualità del sapere, sull’idea delle competenze da accumulare per vantarle e poi spenderle, come si fa coi bollini delle raccolte punti. Le lauree brevi hanno programmi densi e poco tempo per approfondirli. Chi viene scelto dunque? Io direi lo studente mediocre, che “pensa all’esame”,rapido e dotato di un discreto arsenale di trucchi per far credere di sapere più di quanto sappia in realtà. L’interesse autentico e di conseguenza la capacità di innovare nella disciplina credo conti troppo poco. Che farsi pochi problemi, che, in fin dei conti, pensare poco, sia diventata una virtù in questo paese? Colla scusa del realismo e della concretezza stiamo rinunciando ad una qualunque idea di futuro: la parola d’ordine è che non si può cambiare, che è sempre l’idea fuori dal coro a doversi uniformare a questa “armonia” piuttosto ovina…

  3. E’ semplicemente vergognoso il modo in cui la questione dei cervelli in fuga sta diventando parte del dibattito pubblico. Le ragioni che stanno dietro al dilemma finiscono per sparire dietro alla solita caciara, tra il presunto egoismo di chi parte e il presunto eroismo di chi resta. Si scordano le responsabilità politiche (della classe dirigente, ma anche di noi cittadini ed elettori, ciascuno perso dietro al suo piccolo privato interesse, dietro alla speranza della raccomandazione per sé o per il figlio, dietro al “ma tanto che me ne viene, mi conviene mettermi in fila”).
    Non si può essere al vertice di un sistema di potere, aver lavorato in quella televisione che ha promosso una cultura di smercio dell’essere umano, alimentare il sistema di università private e master a pagamento (gabelle per trovare lavoro) e poi svegliarsi una mattina e dire, ohimé questo paese fa schifo, figlio mio vattene.
    E invece l’Italia intera sta qui a discutere le sorti di Mattia Celli, manco fosse Enrico Fermi. Non è classista, questo?
    Io voglio sentir parlare di contratti, di diritti, di clientele, di nepotismo e di concorsi truccati? nvece tutto diventa una moda. Quest’anno si porta la fuga dei cervelli, a quanto vedo…

  4. @ zauberei: ecco, in un post sono tornato d’accordissimo con te! 😀
    Lo penso da… quando facevo l’università, che a lettere dovrebbero mettere il numero chiuso e fare selezioni severissime (che, bisogna ammettere, già adesso alcuni temutissimi esami fanno). D’altra parte però, gli iscritti a lettere (almeno da me) sono sempre stati davvero pochi, sovrastati da quelli in Lingue, DAMS, Scienze delle comunicazioni, ecc.
    E in più, a mio parere, ci sarebbe una necessità di autori o operatori nei vecchi e nuovi media, per fare cose che in Italia ancora non esistono. Sarà che l’Italia è un paese piccino picciò, le risorse sono quello che sono e la gente (relativamente) poca. Ma il fatto che esistano praticamente solo 2 grandi televisioni, 3 gruppi editoriali di decente rilevanza, un paio di case di produzione cinematografiche, mi lascia pensare parecchio. Non c’è concorrenza, né offerta, né pluralità…
    E nei contenuti speciali di Superman Returns, ho visto che i due sceneggiatori (di un blockbuster hollywoodiano!) hanno meno di 25 anni!

  5. Cari blogger, cari lettori, cari tutti quelli che hanno ancora dentro di se quello spirito vitale che li spinge ad interessarsi delle cose del mondo e a resistere.
    Anche io, questa mattina, in ritardo, ho saputo della lettera di Celli. Dico in ritardo perché ormai da tempo non leggo più i giornali, ma, come fonte di informazione utilizzo la Rete.
    Confesso il mio sconcerto. La lettera di Celli mi ha fatto venire in mente la testimonianza di Craxi in Parlamento prima del crollo della Prima Repubblica. Allora ero adolescente, ma già capace di intendere, anche se non di volere. Allora, come adesso – ma ora più di allora – ho avuto la sensazione di una ammissione di colpa, una specie di tardivo riconoscimento da parte di chi, correo o no della situazione – ai posteri l’ardua sentenza – arriva ad un momento della sua vita in cui si rende conto che deve rendere conto a se stesso prima che agli altri e dire con un senso di liberazione “Il Re è nudo!”, come il bambino della famosa favola.
    Ma noi tutti sappiamo già da molti anni che il re è nudo e che, nonostante l’evidenza, si aggira ancora nudo e sprezzante per tutto quello di buono che questo Paese che amo può ancora offrire.
    Purtroppo, l’impietosa analisi che il Paese è alle corde non è una favola ma è la dura realtà. E questa crisi economica gravissima, paragonabile a quella del ’29, non ha fatto altro che mettere meglio in luce le gravissime contraddizioni della nostra cara Italia che, purtroppo, abbiamo consegnato nelle mani di una classe politica inetta, affaristica e collusa anche con la criminalità organizzata e, soprattutto, senza alcun pudore.
    Cari tutti. Non lasciatevi ingannare da polveroni mediatici su transessuali ed escort, non lasciatevi irretire dal linguaggio vuoto e privo di significato della classe politica che sento da quando sono nato. Ieri, come ora, ripetono come marionette spente e senz’anima le solite frasi imparate a memoria, frasi senza significato. Guardate i loro volti, il linguaggio del corpo non mente mai e rivela sempre le loro vere intenzioni.
    Guardate in faccia la realtà, anche se fa male. I problemi sono altri. Veline, tronisti, calciatori, transessuali, immigrati – ma la lista certamente non si esaurisce qui – non sono che fumo negli occhi per distrarre le persone da problemi veri. La conoscenza è potere e l’ignoranza è lo strumento principe del Potere. Il problema vero è che abbiamo consegnato il Paese nelle mani di persone che non valgono nulla ed i migliori sono rimasti ai margini. Persone che hanno fatto della politica un affare e non un servizio al Paese. Persone che passano il loro tempo ed impegnano le loro risorse in una lotta rissosa all’interno dei loro stessi partiti.
    Può tutto questo cambiare? Possiamo fare qualcosa per fare cambiare in meglio il nostro Paese? La risposta onesta è che .. non lo so. Potrebbe benissimo essere che il Paese è entrato in una fase di declino economico, culturale, sociale e politico che può durare anche per diversi decenni e che quindi dovremo abituarci a lasciare ai margini della società le nostre migliori risorse. Potrebbe invece essere che, toccato il fondo, le cose cambino e inizi un movimento di rinnovamento dal basso.
    Il disagio dei giovani e anche di altri meno giovani è reale. Se vi è l’opportunità, restare in Italia e rinunciare a prospettive di miglioramento in altri paesi europei o altrove sarebbe sbagliato. Anche se la situazione economica in questo momento è pessima, si riprenderà. Ma quando si riprenderà ancora una volta sfumeranno le possibilità di un vero cambiamento nel Paese, perché i problemi veri verranno ancora di nuovo
    messi sotto il tappeto e altri scandali mediatici ce li faranno dimenticare.

  6. I genitori del Maghreb spingono i figli verso l’Italia, i genitori d’Italia ancora più a nord. E’ tutto un sognare l’elsewhere, mentre la Lippa si gonfia le guance di belle parole e usa la mannaia censoria contro chiunque contraddica il lipperin-pensiero (peraltro mutuato dal guru di Bologna).

  7. Non sono riuscito a leggere tutti i commenti, quindi mi scuso subito del fatto che ripeterò in parte cose già dette.
    Questo dibattito sulla lettera di Celli sta assumendo dei toni vagamente surreali.
    Da un lato, Celli. La sua lettera contiene considerazioni ampiamente condivisibili: quante volte noi “che avremmo potuto” ce lo siamo detto? Perfino banali, come argomenti.
    C’è però una naiveté un po’ sospetta, da parte di uno che è stato ai vertici della Rai, dell’Unicredit, della Wind e di chissà cos’altro, oltre naturalmente alla Luiss – quella Luiss presa nelle famiglie “bene” a modello di come dovrebbe funzionare una Università, e che regge le sue sorti su un corpo docente per lo più a contratto, docenti a cui uno stipendio (quello vero) glielo paga per lo più l’Università pubblica.
    Chi è stato installato per decenni nella stanza dei bottoni non può far finta di niente, anche in un Paese come l’Italia dove mostrarsi martiri fa sempre aumentare le proprie quotazioni. Non è fare le vittime che fa la differenza, è assumersi le proprie responsabilità.
    Dall’altra parte, la lettera degli studenti del Master è venata di una supponenza insopportabile. “Futuri ricchi di professionalità, impegno e voglia di cambiare il mondo”? Le loro “(tante) competenze”? La “mostruosità degli stage”?
    Ma questi giovani hanno presente che gli stage sono stati inventati decenni fa, quando il precariato quasi non si sapeva cosa fosse? Hanno presente di non essere le uniche persone competenti? E che ci sono persone competenti come e più di loro che restano al chiodo per molti anni, altro che qualche mese di stage? E soprattutto – hanno chiaro il fatto che hanno deciso di accodarsi ad una scuola di pensiero, quella del liberismo selvaggio, per la quale la “flessibilità” (degli altri?) è diventata una parola d’ordine delle più trite e ricorrenti?
    Quindi ben venga il dibattito.
    Ma niente martiri e niente eroi, grazie.

  8. L’articolo è stato certamente una provocazione ma, molti di quei pensieri mi appartengono perchè,sono un padre le cui figlie si trovano a Barcellona,oramai in pianta stbile. Certo l’articolo ha posto il problema dell’incommesurabile disagio che i notri figli provano dopo anni di studio, quando bussando a mille porte non riescono ad aprirne nessuna.Questo avviene perchè in questo Paese non è il merito e nemmeno le capacità che ognuno ha sviluppato che riescono ad aprire quelle speranze; sono più tosto l’appartenza a nomi importanti o a gruppi di potere che, spesso mettono in posti importanti persone in capaci e perciò inutili.Sono però convinto che bisogna fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per rimanere e migliorare L’italia. Sapere01

  9. The Daxman e Alec: chi resta per tanti ottimi motivi suoi, non si rende forse neanche lontanamente conto di quali opportunità ti si aprano in un paese in cui la meritocrazia conta un pelino più che in Italia, anche con una laurea in lettere o filosofia (la mia era Magistero, ce n’è sempre uno più sfigato di te) purché uno abbia voglia di fare.
    Il punto non è il pezzo di carta che hai (forse anche questa è una deformazione di pensiero tutta italiana) ma quello che sai fare e che ti chiedono di dimostrare nei fatti.
    Quindi, se non sai o non vuoi fare un cavolo, manco la laurea alla Luiss ti salva. Se qualcosa sai fare, puoi iniziare come centralinista, ma poi passa. Si chiama appunto meritocrazia mica per nulla.
    Sugli stage: è vero che da noi sono diventati un ingranaggio del meccanismo abnorme, specie oggi, quindi secondo me è difficile pragonare questo con quello che erano gli scopi di inventarsi lo stage 30 anni fa. È cambiato tutto il sistema. Ma ripeto, non stiamo sempre e solo a guardare dietro l’angolo. Altrove, chi lo direbbe, ti danno persino un minimo di retribuzione come stagista. Non sempre, ma spesso si.
    Insomma, si sono dette tante e ottime cose finora, ma rimane evidente una differenza tra chi un minimo sa cosa voglia dire andare all’estero e chi non lo sa, o forse non vuole saperlo. Mi sembra quindi giusto che ci siano testimonianze da ambo i campi, ma non facciamone adesso una guerra tra stanziali e transumanti, o sembrerebbe che l’acqua calda ci siamo messi noi a scoprirla.

  10. Non è certo mia abitudine scrivere alcunchè figuriamoci su un blog, quindi chiedo perdono a tutti in anticipo della poca chiarezza di quello che scrivo. Ho le idee confuse riguardo a cosa Celli intendesse ottenere con la sua lettera, ma non posso non notare che molti dei commenti qui riportati sono secondo me abbastanza lontani dalla realtà.
    Il mondo del lavoro, con tutte le sue negatività ma anche positività, non è pensato come luogo ove realizzare le proprie aspirazioni e tutte le belle cose scritte sopra. E’ pensato per produrre ricchezza. Punto e basta. Non è lecito aspettarsi nessun riconoscimento che non sia proporzionale a quanto sia spendibile il nostro talento: lo dimostra la constatazione abbastanza banale che le figure professionali sopra indicate come vittime di un precariato diffuso sono esattamente quelle meno spendibili sul mercato del lavoro.
    La realtà è che se uno è disposto al sacrificio, a compiere lavori pesanti con orari di lavoro che non siano quelli da ufficio e che richiedano un minimo di talento, porte aperte ce ne sono ancora, ed il mio caso lo dimostra.
    Ho 35 anni, e sono figlio di emigranti meridionali, che poco prima della mia nascita per motivi di lavoro si sono trasferiti al nord nelle condizioni della più perfetta miseria. Quindi nessuna spinta e nessuna raccomandazione. Spaccandosi la schiena e, nel caso di mio padre, lavorando fino a morirne, mi è stata data la possibilità di studiare all’università. Anch’io, come tutti, sono stato tentato dal fascino delle lettere e della filosofia, e dal candido e perfetto mondo dei dipartimenti universitari: ma lo squallore della periferia dove sono cresciuto mi ha impedito di cascare nella tentazione di una vita comoda; quella si è per i raccomandati. Ho scelto di studiare ingegneria per due ragioni: perchè è apprezzata dal mondo del lavoro è perchè è la più dura. Nonostante non mi piacesse, mi sono laureato a pieni voti. Manco a dirlo, ho ricevuto un mazzo di offerte di lavoro prima ancora di discutere la tesi: le aziende hanno bisogno di gente che conclude, non di filosofi o scienziati iperuranei che stanno male se non hanno l’ aria condizionata nell’ufficetto, e che considerano un’eresia andare a lavorare non dico la domenica, ma il sabato mattina.
    Nei primi dieci anni di lavoro ho voluto dimostrare alla tomba di mio padre che il suo sacrificio non è stato vano. Ho lavorato sei giorni su sette ed anche di più, straordinario non pagato, fregandomene dei diritti sindacali e di tutte le fregnacce del genere, ho accettato i lavori più scomodi, ho speso il mio talento e le mie energie per portare a termine i compiti meno banali.
    Ovviamente dico anche che i miei sforzi sono stati pagati anche da parecchia fortuna.
    Adesso a 35 anni sono appena stato promosso quadro aziendale, dirigo uno stabilimento e ho 104 collaboratori. E pensando ai miei genitori, posso dire che non solo sono arrivato a questo nella più cristallina onestà, ma anche che non mi son negato il piacere delle lettere. Ho l’immagine di Leonardo appesa in ufficio, ed i versi eterni di Dante, di Leopardi, di Machiavelli mi danno forza nei momenti di più estrema difficoltà.
    Cari precari incazzati di oggi, la società liberale è una schifezza, questo ve lo riconosco. Ma la realtà è che molti di coloro che hanno scritto i commenti in questa voce sono in questa situazione non per la crudeltà del destino, MA PERCHE’ HANNO VOLUTO LA VITA COMODA. Ed i posti comodi quelli si che sono già occupati. Se vi sentite meritevoli, scegliete gli studi più duri, entrate nelle fabbriche e fatevi il mazzo. Una possibilità ve la daranno.
    Se non ve la sentite, smettetela di piangervi addosso, vi meritate la vostra condizione.
    Con tutto il rispetto, o siete mediocri o non avete le palle.

  11. Gauss 74 mi vengono in mente molte cose da dirti.
    Cerca di mettere da parte il livore sociale e ragiona su alcune questioni e cerca anche di usare la parola rispetto con maggiore cognizione di causa.
    Sei tu che non conosci il mondo fuori. E’ decisamente ovvio che certe carriere non sono spendibili come altre, e che uno stato abbia più bisogno di contabili e di ingegnieri, che di letterati e di filosofi, l’ho scritto sopra. Ma uno stato ricco – e questo caro E’ uno stato ricco, alza il culo e vai nel Togo – ha il dovere di produrre competenze e professioni nella trasmissione e nell’ampliamento della propria cultura. A scuola qualcuno l’Italiano lo dovrà insegnare. Qualcuno la biologia all’università la dovrà fare, una cazzo di ricerca sul cancro andrà portata avanti, o pensi che se te viene un colpo te curi colle putrelle e le foto de papà tuo?
    E pensi che in un paese col sessant’uno per cento dei beni artistici mondiali, caro pensi che una laurea in storia dell’arte o un diploma in restauro non dovrebbero contare? O dobbiamo buttare al cesso il colosseo perchè tanto ce so l’ingegnieri?
    All’estero, mica il solito USA eh, estero anche europa dell’est esterto come Canada, o Olanda, e presto anche Cina e India, si capitalizza il capitale intellettuale e se sei capace cresci socialmente ed economicamente – per il bene di tutti. Vedi mio cognato, un uomo che per posizione sociale detesteresti per partito preso – è uscito con un voto mediocre in ingegnieria e ha trovato lavoro in Italia subito. Mio marito, che ha una storia familiare come la tua – braccianti agricoli eh? ah come te deve sta simpatico! – ma poveraccio gli piace la letteratura, è uscito con voti brillantissimi ed è diventato all’estero professore universitario nelle discipline umanistiche. E’ ritornato dieci anni dopo con un prestigio che qui non gli avrebbe dato nessuno. Ora è fermo, lavora certo ma i concorsi sono bloccati. Per lui per i medici, per chi come me lavora come psicologo (ah certo e che ce frega degli psicologi? che carriera der cazzo proprio da chi sceglie un posto comodo… perchè vedi, noantri psicologi ricchi o poveri, dobbiamo lavorare per voi nelle pubbliche strutture, voi alcolizzati, voi tossicodipendenti, voi con una schizofrenia in famiglia, voi con un figlio autistico. E non si becca un euro. Uh prorpio proprio una scelta di comodo.
    Tante cosette t’ha insegnato papà tuo. Ora liberati dal qualunquismo.

  12. @ gauss74: complimenti, penso che il ministro Brunetta sarebbe fiero di uno come te. Ma sì, gli studi umanistici sono roba da fighette, e noi abbiamo solo avuto la vita facile. Per non parlare del fatto che preferiamo lavarci i denti con dei morbidi spazzolini anziché, come fai tu, affilarli usando la lima. Ma ognuno ottiene quel che vuole. Ah, e per quanto riguarda il discorso delle palle… comodo insultare da dietro uno schermo, eh?
    P.S.: sarai pure un appassionato lettore, come dice di esserlo anche un Dell’Utri in fondo, ma la frase “Ho l’immagine di Leonardo appesa in ufficio, ed i versi eterni di Dante, di Leopardi, di Machiavelli mi danno forza nei momenti di più estrema difficoltà.” è talmente ignorante e superficiale da farmi rotolare per terra dalle risate. Più di una puntata dei Simpson.

  13. (Pardon
    Realizzo che manca un pezzo di frase al mio commento che nella foga commentatoria è rimasto inespresso.
    Quello che volevo dire è comunque chiaro: per lui come per i medici, come per gli psicologi, e come per moltissime carriere non solo intellettuli, non c’è spazio non c’è crescita.
    Me fermo.
    Pe un pochetto:)

  14. Ma soprattutto, chi ci dice che Gauss74 non abbia inventato tutto di sana pianta, giusto per il gusto di farci incazzare? Non vale neanche la pena di fermarsi a leggere: quando sento la solfa dell'”hanno voluto la vita comoda”, capisco subito che è evidente che l’interlocutore non esiste, mente o non è disposto a un confronto razionale.

  15. A me me piaciono quelli come l’ingegnere de sopra: come arivano, cominciano a di’ che so arivati grazie a loro stessi, perché se so fatti er mazzo. De quelli che se so fatti er mazzo pe’ gnente, nun je frega gnente. Scusateme, so Gertrudo, cuggino de Gertrude. So ignorante e nun me merito gnente: infatti vivo sotto a un ponte e nun lavoro. Scrivo grazie a Gertrude, che è mi cuggina e ha studiato un po’ più de me, che dopo tanti lavori de merda, nun lavora uguale, perché dopo l’ultimo lavoro (che era a tempo: du’ mesi) prenneva così poco che pure lei che nun c’ha er master ha capito che lavorà o nun lavorà, avé dignità o no, ormai è uguale.

  16. PIESSE.
    Io a Zauberei se potessi je darei n’abbraccio. E je dico pure che so sicuro che per il lavoro suo po sta tranquilla: ce sta. Tra un po’ d’anni, pure all’ingegnere che c’ha er poster de Leonardo sulla testa e 104 teste sotto la sua, probbabbile che je servirà lo pissicologo.

  17. Caro gauss74, va bene tutto di quel che dici (e ti assicuro che faccio molto uso di politicamente corretto per affermarlo) ma non mi sembri proprio convincente: non sei felice, non comunichi neanche la soddisfazione di esse’ diventato un capetto. Si intuisce la bava alla bocca, la grande frustrazione di aver dovuto perdere parte della tua vita, venduta in cambio di qualsiasi diritto per arrivare lì dove sei arrivato.
    Io lavoro da quando ho 15 anni (naturalmente all’epoca solo nelle vacanze estive; d’inverno andavo a scuola) e non credo che i miei coetanei, che negli stessi mesi estivi, si riposavano fossero degli scansafatiche-vita-facile, semplicemente hanno avuto altre possibilità. La tristezza sta tutta nel vedere come le esperienze della vita, per alcuni, possano diventare veicolo di astio sociale, di qualunquismo traboccante, di brunettismo di ritorno. Io le mie esperienze di vita e il culo fatto, non all’università ma al lavoro, me li gioco sul piano del rispetto reciproco, sull’ammirazione di chi oggi invece che fare il capetto è precario della ricerca e magari studia un rimedio per una merdosa malattia genetica o, volando più basso, inventa un aggeggio che ci può migliorare la vita, ecc.
    Allora tutta la tua formazione e la grande e brillante carriera studio-lavorativa ha prodotto un cittadino così imbufalito? OMMADONNA, allora: meglio un filosofo lagnoso ma rispettoso del mondo…

  18. la verità è che noi abbiamo bisogno di qualche filosofo, letterato, psicologo, ecc… ma soprattutto di ingegneri, matematici, fisici, ecc…
    mentre gli italiani, studenti comodi, scelgono soprattutto le prime materie citate e non le seconde e così poi rimangono a spasso
    insomma se la sono cercata

  19. Ok, vinkor, ce la siamo cercata. Abbiamo studiato tanto, ma le cose sbagliate. Adesso che si fa? Per noi, cosa proponi?La pena di morte?

  20. Scusate, a me pare che si discuta senza cognizione di causa e in una prospettiva controproducente.
    Quando si ragiona in termini di danni del precariato, spesso si tende, come l’anonimo sopra e come i vari Viktor o Class, a porre l’accento su un ammesso e non concesso dovere civile dello Stato a dare lavoro ai suoi cittadini anche se fanno delle scelte antieconomiche. Cioè secondo l’anonimo mi devono fa lavorare per pietà cristiana (o comunista poco cambia) e non per una reale necessità.
    L’eccesso di laureati in alcune discipline e il fatto che questi laureati siano senza lavoro o mal retribuiti, fa pensare che queste discipline siano tout court inutili. Questo perdonate mi pare un ragionamento fondato su una mancata conoscenza di dati.
    Perchè vedete molti di questi laureati non è che non lavorino, lavorano eccome, ma per pochi soldi o per zero soldi. Ovvero, la domanda c’è ma il meccanismo è malato, e la si soddisfa (meno di quanto si potrebbe) sfruttando la passione di chi ci tiene. Se qualcuno va in un Centro di Igene Mentale e richiede una terapia deve mettersi in lista di attesa e aspettare sei mesi, perchè non c’è chi gliela può fare. La lista di attesa testimonia di una reale domanda, che sarà poi esaurita da uno specializzando il quale svolgerà una professione gratuitamente e fatturata dallo stato coll’alibi della formazione. Ci starà quattro anni dentro a quella struttura, e poi la struttura gli dirà che se ne deve andare, perchè tanto, c’è sempre un nuovo specializzando con cui sostituirlo. Non vengono indetti mai dei concorsi in questo modo.
    Altre professioni hanno tragitti simili. Ci sono musei che hanno l’ardire di pagare ai propri guardia sala 4, 5 euro l’ora. Ci sono operazioni di archiviazione (non si ha idea del capitale sommerso che c’è nelle cantine degli istituti italiani) che il neolaureato svolge gratuitamente o con un rimborso spese risibile, pur di essere in contatto con la materia della sua passione. Dopo che ha fatto questo il ragazzo sarà liquidato, perchè sostiuito da un altro come lui.
    Vedete filosofia non è un problema: testi difficili, ci si iscrivono in pochi. E concordo sul fatto che quei pochi dovrebbero pensare bene a quello che fanno. Lettere forse avrebbe bisogno di un numero chiuso. Ma questo è fumo negli occhi, questo non è il nocciolo del problema. Il nocciolo del problema è un paese nato per essere ricco, con un clima meraviglioso, moltissime risorse naturali, un patrimonio artistico incredibile, una solida industria, e che fa le scelte economiche di un paese del terzo mondo. Che si auto retrocede: che non garantisce alcun ascensore sociale al suo interno, che si connota di percorsi circolari orizzontali autoescludendosi.

  21. Appunto Zauberei.
    Parlo della realtà che conosco: i musei italiani tirano avanti solo a forza di tirocinanti. Dove all’estero in genere c’è un direttore e poi tanti dipartimenti quanti sono gli ambiti delle opere conservate nel museo, che alle loro dipendenze hanno vari storici del’arte o curatori delle singole collezioni, qui abbiamo, se va bene un direttore, un vice direttore e una segretaria. Il resto, appunto, tirocinanti e contrattini da 3000/6000 euro (da tassare, ovvio).
    In un meccanismo mostruoso dove non esiste dipendente di soprintendenza che abbia meno di 40/45 anni, perchè sarà un 15 anni che di concorsi non ce ne sono. E parlo della situazione a Firenze, che praticamente sul turismo ci campa.
    All’ingegnere che si è fatto da se e che ringhia con tanto livore, rispondo che anche lettere se fatta bene richiede studio e sacrificio, e che se qualcuno sceglie questa facoltà non per attitudine o passione ma perchè vuole la vita comoda, allora è davvero un illuso poveretto, tanto per quanto rigguarda il corso di studi, quanto (soprattutto) per il dopo.
    Per me la vita comoda sarebbe stata accettare il lavoro in banca che mi avevano proposto tramite amici di famiglia. Perchè non l’ho fatto? Per non ritrovarmi a 35 anni arrivata e frustrata come te. Se devo avvelenarmi il fegato con un lavoro che non mi piace e trasudare risentimento da tutti i pori, meglio cominciare a fare la segretaria o la commessa dopo essermi dedicata per qualche anno a quello che amo (grazie ai miei che me lo permettono).
    D’altra parte ci sono schiere di ottimi laureati in Fisica che non sanno dove sbattere la testa se non all’estero. Saranno dei comodoni anche loro?

  22. Che poi, pure ‘sta storia che a Lettere ci finiscono i perdigiorno… a Tor Vergata ricordo che un anno in cui ancora frequentavo gli iscritti al primo anno furono 80!!!
    E comunque, seppure ci fossero dei “comodoni”, vengono subito seccati dal fuoco di fila di latino, glottologia e dagli esami di storia.
    Ma vabbé…

  23. d’accordissimo con Zaub, e Daxman e Morrigan.
    Quello dei beni culturali, pozzo di tesori non valorizzato e in molta parte in degrado, è uno dei misteri ingloriosi nostrani. E sì che professionalità (per niente facili) ce ne sono in quel campo.
    C’è stato un convegno recente all’università di Roma tre, organizzato dall’Icom, che denunciava anche questo stato di cose: formare ‘perché’? Si chiedevano accorati studiosi e professori.
    Peccato che non ci fosse nessun politico (invitati ma assenti) a dare una risposta.
    Come mistero rimane la disoccupazione dei geologi in un paese dove ogni anno frane, alluvioni, terremoti e smottamenti vari danno pane a politici e media e inzuppano di dolore i fazzoletti di noi tutti.
    E si potrebbe continuare un bel po’ con queste giaculatorie.
    Era solo per dire che una commovente letterina paterna lascia il tempo che trova in tutto questo sconquasso, a meno che il carisma di Celli non riesca a smuovere le acque più dei coraggiosi reportages di Jacona, Gabanelli e quei pochi altri temerari che queste cose le vedono e le raccontano da anni.
    Ma una lettera al figlio… vuoi mettere.

  24. scusate, ma io non trovo l’intervento di Gauss così livoroso e cattivo, ma semplicemente consapevole, amaro e triste.
    Non ce l’ho con chi sceglie e porta avanti studi umanistici, anzi credo che molti di loro tengano accesa la “fiaccola” che, forse, ci salverà dalla barbarie, ma capisco Gauss (anche se a me è andata meglio, ho “dovuto” studiare giurisprudenza, sempre meglio di ingegneria), anche io ho la sensazione empirica che certi “mestieri” si possono fare non dico solo se sei ricco, ma se almeno la famiglia può sostenerti un minimo (e non ha bisogno del TUO sostegno economico).
    C’è poco da fare: in sintesi l’arte, la letteratura, il teatro, in Italia sono appannaggio di figli di papà e qualche famiglio, solo loro riscono a trarne guadagno, gli altri, le persone “normali”vengono ripagati solo dalla passione, ma DEVONO avere qualcuino che almeno copra le spalle.
    Se questo è livore (o, come va di moda oggi, “invidia sociale”) allora sono livorosa e invidiosa, e penso pure che la mancanza di mobilità sociale avrà effetti devastanti sulla qualità dell’arte e della letteratura in Italia.
    Solo, voglio tendere una mano al povero Gauss, e dirgli che lo capisco, e che anche io a 18 anni ho scelto un percorso che mi dava qualche possibilità in più di trovare un lavoro, e avere rimpianti è umano. per consolarti, Gauss, pensa che Gadda e Musil erano ingegneri pure loro…
    saluti a tutti, umanisti e non.

  25. Solo una postilla: non credo che nessuno stia facendo un derby tra chi va e chi rimane, tra chi ha fatto studi umanistici e chi no. Non mi pare sia questo il punto.
    E lasciamo pure da parte rancori e invidie sociali, a me sembra che basterebbe applicare l’articolo tre della Costituzione italiana in tutta la sua interezza.

  26. Credo che sia importante che ognuno si senta libero di esprimere la propria opinione nel pieno rispetto di quella altrui.
    Ho pensato di aggiungere la mia opinione, se a qualcuno può interessare, sostenendo le ragioni di un interlocutore che, a mio avviso, potrebbe essere stato frainteso, mettendoci un pezzetto della mia esperienza.
    Ma, Valeria, bollare l’opinione altrui con un tratto di matita rossa perché “il punto è un altro” (sono andata fuori tema?) è sgradevole. Volevo solo partecipare a un dibattito interessante, non prendere un brutto voto.

  27. Sì, scusa Simona, non volevo esprimere nessuna censura, né a te né a nessun altro, meno che mai mettere voti, belli o brutti che siano. E’ che è difficile scrivere su un blog cercando di puntellare i propri pensieri e, nello stesso tempo, non radicalizzare il discorso.
    Parlo per me, sempre, non mi faccio portavoce mai di nessun pensiero che non sia il mio, e quindi ‘il punto’ è sempre quello che io considero come tale. Per me è un default, ma capisco che non lo sia per gli altri.
    E comuque, sì, forse a funzionare da martelletto sul mio ginocchio mentale è stato quel ‘tendere la mano al povero Gauss’, che io non considero povero per niente, nel senso che essere ingegnere non è una condizione intellettualmente residuale o, meno che mai, di scarto al punto di dovergli fornire delle stampelle consolatorie.
    Se ho letto bene il suo intervento, mi pare che l’unico che si sia messo a fare delle scale di valori sia stato proprio il ‘povero’ Gauss.
    Che poi in questo Paese la forbice tra le cosiddette due culture sia qualcosa che dovremmo prendere di petto, sì, concordo, ma senza salire sulle barricate a buttarci sassi e pomodori gli uni contro gli altri.
    Uno che ha dice cose sensate e molto severe a proposito è Antonio Pascale. Scrittore e agronomo, se può essere di consolazione a qualcuno.

  28. valeria, purtroppo il brutto momento attuale mi fa “scattare” qualcosa, come ai topolini in cattività costretti a competere sino alla morte per una briciola.
    questo siamo. I canali di mobilità sociale si stanno inesorabilmente chiudendo per TUTTI, quello della “carenza di cultura scientifica” è solo un pretesto. Anche questa della “fuga dei cervelli” è una misera panzana retorica che mi ricorda tanto quella degli eroici “trasmigratori”: questa è la stessa spinta all’emigrazione dei giovani che si ritrova in tutto i paesi sottosviluppati.

  29. Ho aspettato un po’ prima di scrivere anch’io la mia opinione a riguardo e dopo aver letto gran parte dei contributi pubblicati, la prima cosa da cui vorrei partire è dall’autore della lettera.Chi è, cosa ha fatto lui per questo Paese,come mai solo adesso scrive quanto letto.Vorrei infatti sapere dall’autore se è giusto, se è corretto scrivere quelle cose quando,invece, proprio lui e solo un anno prima, in una notissima agenzia di stampa romana,nella più silenziosa e discreta veste di tagliateste, preparava un vero e proprio “repulisti aziendale” mettendoci a capo,ovviamente,un suo “discepolo”.Quanta ipocrisia, quanto reale scollamento tra il dire ed il fare.Il suo curriculum,d’altronde,parla chiaro a chi vuol intendere,ovviamente…
    Vorrei aggiungere che il merito,purtroppo,non paga e se non conosci qualcuno non vai da nessuna parte,in questo triste e vergognoso nostro Paese.Le nostre migliori “teste” fanno ricchi gli altri Paesi e penso ancora al vero, bellissimo,struggente reportage di Riccardo Iacona.

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