PAROLE COME SCIAME D'API: QUESTO 25 NOVEMBRE

Questo blog compie 16 anni. In 16 anni ho scritto centinaia di volte di donne, di disuguaglianza, della difficoltà di essere riconosciute come autorevoli, di femminicidio. Questa mattina ho letto i giornali, ho compulsato i social, ho alzato gli occhi verso il sole freddo di novembre e mi sono chiesta, in tutta sincerità, quali parole posso ancora usare.
Scrivo “ancora”. Quell’ancora significa che se le cose sono cambiate, non sono cambiate abbastanza. Ricordo quando, nel 2006, incontrai Elena Gianini Belotti e le chiesi se aveva voglia di aggiornare il suo “Dalla parte delle bambine”. Ricordo che mi guardò stupita, e mi chiese se le cose non fossero, negli anni, migliorate. E io risposi che non lo erano: o meglio, sicuramente dal punto di vista legislativo, ma non da quello culturale. E per culturale intendo l’aver fatto propria, da parte degli uomini e in certi casi anche delle donne, l’idea della parità dei diritti e delle possibilità.
Sono sempre stata femminista. Non sono mai stata una femminista canonica. E dopo aver scritto questo, mi chiedo anche: qual è, infine, il canone? Esiste un canone? Ha senso parlare ancora oggi di un unico modello, un’unica strada, per i femminismi? A mio parere no, mi sono sempre smarrita nelle varianti di femminismo delle differenze e femminismo libertario e tutte le altre possibili sottovarianti. Forse non mi è mai interessato capirlo fino in fondo, perché nei fatti quel che mi interessava e mi interessa è che le donne non vengano uccise, picchiate, annichilite. E se qualcuno dice che anche le donne possono annichilire gli uomini rispondo che naturalmente è vero, perché il ruolo di vittima pura è pericolosissimo. Ma, di fatto, le donne muoiono di più, nelle case, per mano di chi è loro compagno o lo è stato. E questo non significa affatto che le relazioni siano semplici e lineari. Sono fragili e lo diventano sempre di più proprio perché quel cambiamento culturale non c’è stato.
C’è nella facciata. C’è nella corsa dei media a parlare, oggi per carità non buchiamo la notizia, dei femminicidi. Ma non c’è quando un editore, e sono certissima della sua buona fede e per questo mi preoccupo, chiede se ci siano per caso scrittrici meritevoli dopo Ginzburg e Morante. Credo nella sua buona fede perché ha ingenuamente detto, e pubblicamente, quello che molti pensano, ma si guardano bene dal dire, perché, pensano, vedi mai ci impallinino ai tempi del politicamente corretto?
Io il politicamente corretto lo detesto. Perché trasforma il nostro pensiero in faccenda binaria, il giusto di qua, l’ingiusto di là, e soprattutto per quanto riguarda le narrazioni (i libri, i film, il teatro) questo uccide ogni possibilità di approfondimento. Infatti, non considerare l’autorevolezza femminile se non per una malintesa questione di quote non rientra nel discorso sul politicamente corretto, ma in un sommerso collettivo che continua a ritenere le donne poco autorevoli. E a mettere alla gogna quelle che l’autorevolezza se la sono conquistata. Quanti discorsi alti sulla letteratura, per esempio, includono le opinioni delle scrittrici? Pochi, a scorrere non solo le pagine culturali dei quotidiani, ma anche le riviste online. E’ un piccolo esempio, ma è alla base di quel ristagno culturale.
Dunque, che si fa in questo 25 novembre? Oltre ai discorsi rituali, una proposta concreta: inserite le scrittrici nei libri di testo delle scuole, tanto per cominciare. Anche quelle scomode, oscure, lontane dal canone della rassicurazione e della consolazione. Ha a che vedere con questa giornata? Certo, perché ha a che vedere con quella mutazione che è ancora lontana dall’avverarsi. E che è lenta, ma non impossibile.
Come scrisse Anne Sexton:
Il mio lavoro sono le parole. Le parole sono come etichette,
o monete, o meglio, come uno sciame di api.
Confesso che solo l’origine delle cose mi turba;
quasi che le parole si potessero contare come api morte in soffitta,
divelte dei loro occhi gialli e delle ali rinsecchite.
Sempre dimentico come una parola sia capace di evocarne un’altra, plasmarne un’altra, finché ho
qualcosa che avrei potuto dire…
ma non ho detto.

3 pensieri su “PAROLE COME SCIAME D'API: QUESTO 25 NOVEMBRE

  1. Fantastico, che vergogna, leggo da La Repubblica, pagina di Torino, che un criminale nel 2007 aveva ucciso una donna a Bergamo e dopo soli 12 anni era già in giro a fare danni, ora è a processo per tentato omicidio il che significa che se ha fatto soltanto 12 anni per un femminicidio (assassinio di una persona con l’aggravante che era una donna) ora con il solo tentato omicidio che pena prenderà? una sgridata? ora però guardo a Roma, al Parlamento, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, dove sono presenti decine e decine di donne che si battono contro la violenza sulle donne, scusatemi tanto Signore parlamentari voi pensate che la normativa sui femminicidi sia una normativa ancora sopportabile? ancora sostenibile? ancora tollerabile? non credete, non pensate che debba essere riscritta dalla prima all’ultima riga? non pensate che dobbiamo dare un senso concreto alla battaglia contro la violenza sulle donne? Voi dovete assumervi le responsabilità di annullare tutte le leggi buoniste che consentono a criminali patentate di uscire in permessi premio per andare a massacrare altre donne, basta o vi mettete a lavorare seriamente o io non voterò mai più una donna.

  2. Il punto, caro Roberto, è che partiamo sempre dal fondo, cioè dalla frittata fatta. Mai abbiamo osato affrontare le cause, per prime proprio molte (troppe) donne, spesso depositarie e tramandatrici più o meno coscienti di tutto ciò che il peggior patriarcato produce (con tanti applausi da parte di molti, troppi maschi, a cominciare dai figli di queste donne). Perché il problema di fondo è la gestione del potere sull’altro/a da me, perché il problema è che senza una crescita della maggioranza di noi uomini e senza una coscienza comune della maggioranza delle donne, tutto resterà drammaticamente come sempre.

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