ALL THE SMALL THINGS: POST POLEMICO

Cominciamo da Catherine Dunne. Non so quanto
s’impenneranno, da ieri in poi, le vendite de La metà di niente,
ma so di cosa parla il libro. In breve: la casalinga Rose viene abbandonata dal
marito insieme ai tre figli.. Segue periodo di vuoto e disperazione. Ergo, la
tradita si rimbocca le maniche, si inventa un mestiere (assai femmineo,
naturalmente) e trionfa cucinando manicaretti.

Confesso che, ai tempi, il libro mi irritò immediatamente.
Fin dal prologo:

In principio
c’è una famiglia. Non è niente di eccezionale, è una famiglia normalissima,
proprio come la vostra e la mia.

Questa famiglia è composta da cinque persone. Il padre si
chiama Ben. Ha quarantacinque anni, è pelaticcio e ha un accenno di pancetta.
Lavora in proprio e porta a casa il pane. Vuole bene ai figli e non picchia la
moglie.

Rose è la madre. Ha quarantadue anni, ed è un po’ affaticata
da vent’anni di guerra con il giro vita. È una madre affettuosa, una massaia
efficiente e non tradisce Ben.

 Per come la vedo, Dunne è la pur sapiente icona di certa
ineliminabile scrittura femminile, malinconica e leggera, fatta apposta per il
rispecchiamento consolatorio della lettrice. Probabile che adesso le torte di
Rose diventino l’equivalente per signore di quello che qualche anno fa fu
l’odore di fumo e il fiato alcolico di Barney
Panofsky
per i signori. Consiglio comunque, in alternativa, Una
donna spezzata
,
di altra scrittrice.

Ovviamente, non è questo il punto: ma dalla nota vicenda (sulla quale ho
letto pochissime reazioni intelligenti, tra cui quella di Emma Bonino: “Il
personale è politico, ma il privato non è pubblico”) si possono trarre alcune
riflessioni generali, e gravi, sulla comunicazione e sul sempre più frequente
riapparire di modelli che sembravano
perduti. O quanto meno divenuti molto più fluidi, delegati alle scelte del
singolo, e non elevati a punto di riferimento sociale.

Ovvero. E’ fin banale dire che
da tutta la vicenda sono uscite fuori, dilagando in pagine e pagine di
quotidiano nonché in sterminate discussioni televisive, due tipologie femminili decisamente arcaiche, eppure (o anche: per questo) golosamente riprese e analizzate da fior di commentatori:
la madre-moglie dignitosa contrapposta alle soubrette di facili costumi. 
Già sentito,  vero?
Si obietterà che la notizia era
troppo allettante per sciuparla inserendovi noiosi vetero-distinguo: eppure, a forza di
eliminare i dettagli e passar sopra ai particolari, ho paura di dover dare, per
la seconda volta in due giorni, ragione a Elisabeth Badinter.
Soprattutto quando sostiene che le donne vengono quasi sempre rappresentate,
oggi, in tre modi: come vittime, come
iperfemmine erotiche, come madri.

E in questo modo si perde di
vista quello che è e resta il punto: l’affermazione sociale e professionale.
Già sentito anche questo?
Bene. Nel caso vi fosse sfuggito, ricordo che lo
scorso novembre il World Economic Forum ha presentato un grazioso rapporto sul gap di genere, che assegnava ad ogni paese un punteggio su quattro tematiche (partecipazione
e opportunità economica delle donne, con analisi dei salari, dei livelli di
partecipazione al mondo del lavoro e del grado di accesso alle posizioni più
qualificate; l’accesso all’educazione, sia quella di base che quella più
elevata; l’influenza politica, cioè il grado di partecipazione alle strutture
decisionali; le differenze tra uomo e donna in termini di salute e di
aspettative di vita). Dai quattro punti si ricavava un risultato generale.
L’Italia è al numero 77 su 115. Ovvero, è l’ultimo paese dell’Unione europea, se
non si considera Cipro.

Che questa sia “la” questione è già stato detto, è vero: e, per l’occasione, ripesco le parole di Ida Magli
(anno di grazia 1985) quando  sosteneva che il femminismo si era fermato
senza riuscire a scalfire né “il ruolo che l’ immagine femminile gioca per la
fantasia maschile”, né “l’ omosessualità mentale che induce il
maschio a porre come suo interlocutore di pensiero il maschio”.

In parole poverissime, enfatizzare unicamente le due
polarità femminili (tendenza Veronica, tendenza Yespica) significa che, a
dispetto di tutto, siamo regrediti. E se qualcuno ha protestato ricordando che
c’è una terza, una quarta, una quinta possibilità, fatemelo sapere.

Ah, controprova a sostegno dell’importanza della questione
professionale e dello smarrimento che la rappresentazione femminile provoca
nelle più giovani. Fatevi un giro nei blog, nei forum, nella rete frequentata
dalle ragazzine: troverete che le stesse sono certamente e felicemente disinvolte quando affrontano l’argomento sesso, quando, per esempio, raccontano il desiderio senza alcun timore
(basti pensare alle migliaia di fan fiction e fan art yaoi,
scritte, per ammissione delle autrici- che sono in assoluta maggioranza- per
narrare la bellezza del corpo maschile).
Ma sono disarmate e spaventate quando si affronta il
problema del futuro  professionale: che ancora una volta le relegherà ai
margini, o le riconsegnerà al ruolo materno. E non in piccola parte.

Sono i
dettagli a fare il quadro, mi pare.

21 pensieri su “ALL THE SMALL THINGS: POST POLEMICO

  1. Così è, la parità sessuale è l’unica cosa che ne abbiamo ricavato.
    (Che cosa sia però nessun lo sa.)
    “l’ omosessualità mentale che induce il maschio a porre come suo interlocutore di pensiero il maschio” è anche però una forma di maschilismo femminile, perché, specializzazione del pensiero sulle donne a parte, è con QUEL pensiero che noi (donne) continuiamo a confrontarci.
    Le donne, hanno avuto scarsamente finora (dico “scarsamente finora” per non generalizzare) la capacità di creare mondi, molto più spesso quella di curarli. E la letteratura scritta da donne è spesso “femminile” cioè specializzata.
    Mentre la letteratura (parlo di quello che conosco meglio) scritta dagli uomini non viene letta da noi come maschile, ma come semplicemente umana.
    Proust Tolstoy Calvino Pasolini, Naipaul, Coetzee, riempite voi la lista…
    La lista delle donne – che lascio a voi – si è arricchita solo nel ‘900 ed è più breve.
    Eppure l’editoria non ha pregiudizi antifemminili.
    E torniamo a quello che secondo me è il punto: donne, faticate, aprite gli occhi, allargate gli orizzonti.
    Ma per fare questo che dico ci vuole tempo, e il tempo va aiutato.
    Cosa avrei potuto fare io se avessi avuto un asilo nido sotto casa e con orari umani? Se la mia maternità fosse stata sostenuta e non considerata un ingombro? Se avessi avuto TEMPO?
    Magari qualcosa in più delle cazzate che ho fatto, invece di combattere la fatica. Sono d’accordo con quello che diceva Helena, ieri.
    E’ inutile fare discorsi astratti, se non sono accompagnati da misure concrete.
    E non sto polemizzando con te Lipperini, o con la Magli, su questo terreno le polemiche sarebbero sciocche, le riflessioni sono importanti, ma senza soluzioni pratiche alla maggior parte delle donne manca lo sfondo e l’energia per pensare.

  2. Alcor, sono d’accordo.
    Però resto convinta che accanto alla ricerca di soluzioni pratiche si debba agire anche ad un altro livello. Altrimenti non se ne esce.
    A livello pratico è stato fatto, trent’anni fa, moltissimo: libertà di scegliere se fare figli o no, libertà di scegliere se continuare un’esperienza di coppia a no. Allora, mi chiedo: perchè, nonostante questo, siamo ad un effettivo passo indietro?
    Perchè è sacrosanto chiedere asili e aiuti (anche se mi chiedo perchè, a distanza di decenni, questo tema debba essere ancora solo di interesse femminile, maledizione). Ma occorre anche che si torni a ragionare non in ghetti dorati quanto elitari. Insisto che uno dei problemi più forti che abbiamo in questo momento è un problema di rappresentazione e dunque di informazione.

  3. Quella che tu chiami libertà di scegliere se fare figli o no non è una vera libertà di scelta.
    Si è sempre potuto scegliere di non farli.
    Il problema è che chi sceglie di farli viene automaticamente, salvo pochi casi privilegiati, condizionata in tutte le altre scelte professionali e sociali.
    Ora le donne, che decidano di farli o no, sono per ora le portatrici biologiche potenziali di questa chance della specie, devono essere penalizzate per questo? Devono cioè scegliere se essere madri o essere persone anche intellettuali e sociali?
    Penso che nessuno qui risponderebbe di sì.
    Eppure per poter essere entrambe le cose hanno bisogno che tutti si facciano carico di questo problema.
    Per questo insisto tanto che il problema pratico viene se non prima, insieme.

  4. Per chi s’illudeva che l’episodio avrebbe riportato la luce sulla questione femminile in Italia, si sbagliava. Per chi vedeva un po’ di desperate housewives e condivideva lo sfogo della Signora Veronica, si ricordi che il fatto ha avuto la rilevanza che ha avuto, non perchè era stata offesa la dignità della signora in questione, ma semplicemente perchè la stessa era la moglie di un uomo politico di cui era ghiotto sparlare. UOMO. Già questo la dovrebbe dire lunga sulla considerazione dei problemi femminili all’interno di una società come quella italiana. Dubito fortemente che la lettera di una casalinga di Modena, umiliata in egual modo da suo marito, avrebbe guadagnato la prima pagina di Repubblica. Nè tantomeno quella di un fidanzato maltrattato dalla Melandri o da Emma Bonino.
    A questo proposito mi soffermerei un attimo a riflettere sull’enorme attenzione concessa a questo episodio. Se posso comprendere il gesto di Veronica Lario non mi do pace per il comportamento dei media. Ieri il fatto occupava la prima pagina della versione cartacea e online di un quotidiano nazionale. Diverse trasmissioni televisive hanno dedicato la serata a discutere dei litigi di casa Berlusconi. Si è data un’importanza spropositata ad un episodio privato, che non ha nessuna, e dico nessuna rilevanza pubblica. Dalle strutture d’informazione mi sarei aspettata una serietà maggiore nel dare così tanto spazio ad argomenti che dovevano essere ridimensionati ad uno spazio privato e che invece hanno assunto una dimensione pubblica, che spetta e che appartiene a noi italiani e non alle questioni personali dei coniugi Berlusconi.

  5. Alcor, infatti, “tutti” devono farsi carico del problema. Lungi da me l’idea di limitarlo ad una serie di riflessioni teoriche.
    Però è un gatto che si morde la coda. Per esempio, e qui rispondo anche a stregatta, mi chiedo come sarebbe stata trattata la notizia se ci fossero stati più capiservizio e direttori donna….per dirne una.

  6. Ottime riflessioni.
    Ho seguito poco la faccenda, en passant sui telegiornali ho colto anche io l’affermazione della Bonino.
    In quel femminismo, che si e’ ad un certo punto fermato, il privato era necessariamente pubblico, bisognava estrapolare, pubblicare, dimostrare per movimentare coscienze e opinioni, per poi in una fase di maturita’ ricondurre il privato alla sua giusta collocazione.
    Ma e’ successo qualcosa.
    Questo qualcosa ha stravolto il concetto di privato e di pubblico.
    Un processo di massificazione teso al ribasso operato dai media e subito da piu’ generazioni in una sorta di attesa degli eventi.
    A volte penso che il dopoguerra vero e proprio lo abbiamo avuto negli anni ottanta.
    E ora?
    Ora qualche germoglio di coscienza, qualche riflessione arguta a macchia di leopardo, qualche piccola oasi in un deserto sconfinato.
    Afasia.

  7. E’ vero, è un gatto che si morde la cosa. Ma invecchiando sono diventata pragmatica.
    Aggiungo solo una riflessione per l’appunto pratica.
    Chi ha insegnato alle ragazze e alle giovani donne, e a me è capitato, sa quanto siano dotate intellettualmente, esattamente, e a volte addirittura di più, dei loro fratelli maschi.
    Eppure la maggior parte di loro a un certo punto si spegne.
    La chiamata della specie è più forte e si concentrano e si specializzano su altre cose.
    Mantenendo al massimo un lavoro che non intralci.
    Navigano a vista per tutto quanto non sia la cura parentale e famigliare.
    Se la nostra cultura sociale permettesse loro di non dover scegliere, almeno una piccola parte di loro continuerebbe a pensare e le fila ingrossate di intelligenze farebbero quella massa critica che ora non c’è.
    Quello che dico è che le donne che hanno scelto di non fare figli e di pensare nel mondo, dovrebbero farsi carico, essendo le uniche in grado di farlo, di ascoltare anche le altre e parlare anche a nome loro, non solo a nome della donna ideale.
    Dovrebbe farlo la politica, ma forse la politica è così spietata e maschilista che alle donne resta solo l’energia per andare avanti, e non quella di preoccuparsi dei problemi delle loro simili.
    Le uniche a farlo ormai sono le cattoliche, molto meglio organizzate delle donne laiche.
    E insomma sì, il gatto è sempre lì, ma qualcuno per la coda dovrà pure acchiapparlo.
    Sono stufa di vedere ragazze che al primo figlio rinunciano alla carriera o ragazze che rinunciano a un figlio per fare carriera, carriera che poi si ferma sempre ai piani medi.
    Un saluto, sorelle.

  8. E’ proprio così, Alcor. Solo che-ma qui entriamo in una ulteriore e scivolossima zona- a un certo punto il farsi carico è diventata cosa rara.
    Credo che sia tempo di tornare a rimboccarsi le maniche.

  9. Aggiungo.
    Che poi, una legge il Corriere della Sera di oggi, pagina 13, titolo “Le femministe: Grazie signora Lario, hai coraggio”, con articolo in linea.
    E se non si deprime poco ci manca.

  10. Insegno in un istituto professionale abbastanza frequentato dalle ragazze, e mi rendo conto che le loro doti intellettuali sono del tutto simili a quelle dei maschi e confermo che, talvolta, esse mostrano di avere anche un qualche cosa in più. Tuttavia ciò che manca loro è una vera determinazione ad affermarsi nel mondo del lavoro: penso, ad esempio, allo scarso interesse per i ruoli imprenditoriali o per la prosecuzione degli studi. In genere, le ragazze pensano di accontentarsi di un lavoro subordinato che garantisca una certa indipendenza economica ma, solo raramente, aspirano ad affermarsi professionalmente, mettendo in gioco la creatività e la capacità di rischiare: da questo punto di vista mi accorgo che i maschi sono animati da un maggior spirito di autoaffermazione. Forse per motivi di “prestigio sociale” i ragazzi sono più stimolati in questo senso e pensano per sé un futuro con ruoli importanti.
    Credo che in tutto questo giochi una parte decisiva l’educazione ricevuta e, soprattutto, i modelli parentali con cui i giovani si confrontano.
    Oggi i modelli vincenti, veicolati attraverso i media sono molto lontani dai modelli reali e perciò trovano posto solo nei sogni, mentre per un futuro realistico le ragazze hanno come riferimento ancora solo i modelli tradizionali.
    Del resto, le lotte per l’emancipazione sono ormai lontane nel tempo e la loro eco si è quasi spenta.

  11. Bingo, cara anonima.
    E ci sono studi – fin qui sommersi – che dimostrano esattamente questo. Solo che nelle responsabilità educative entra dritta dritta la scuola elementare, insieme a diverse altre cose.

  12. Ho iniziato la carriera insegnando alla scuola dell’infanzia e ti assicuro che anche lì i ruoli si differenziano prestissimo, a iniziare dai giochi che avviano le bambine a rivestire certi ruoli: quelli tradizionali appunto… con tutte le conseguenze sulla costruzione della società.
    Ti rimando però agli studi, noti, della Gianini Belotti, ad esempio, che tali cose le affermava già negli anni ’70. Insomma,il vero problema è il regresso che questo processo ha avuto negli anni successivi.
    paola
    ps. l’anonimato non era voluto

  13. Paola, ti faccio una confessione. E’ proprio dagli studi di Elena Gianini Belotti che ho cominciato a ragionare su tutto questo. E, appunto, il regresso è arrivato ad un punto tale che credo sia il momento di tornare a parlarne.

  14. Loredana sono in linea di massima con la tua analisi. Ma su qualcosa dissento: per esempio, io credo che Veronica – pur certamente dentro quel tipo di cultura e rappresentazione della donna (ha spostato Berlusconi) dentro quel quadro costretto nella cornice Madre/Soubrette – Veronica, dicevo, con quel gesto ha provato però a fare uno “strappo”. Magari sull’onda della rabbia. Un gesto istintivo? un’indianata metropolitana involontaria (quanto tutta questa politica spettacolo sia debitrice degli anni 70 sarebbe interessante discettare)? un gesto voluto?. Forse anche paraculo, magari su consiglio di qualcuno (tipo mandarla proprio a “Repubblica” ecc)?.
    Aldilà di questo, mnagari ha sbagliato la tattica; accade nelle lotte politiche che si esageri, che esploda l’indignazione. Poi segue la discussione: io penso che Veronica abbia fatto bene a scrivere la lettera e mandarla a Repubblica, ma sorvolando su questo, rimane la sostanza: ha sollevato una questione: etica del rapporto tra sessi. Ha descritto un comportamento comune a molti maschi e descritto quello che nel privato accade a milioni di coppie. Non ci riguarda? non riguarda la politica? Se sono vere le parole della Magli, non sarà che il percorso incompleto (delle donne, più che delle femministe) è dovuto al fatto che il quadro delle coppie è stretto dentro un po’ troppo silenzio privato? possiamo continuarea ravanare nello stallo delle relazioni sessuali sessite (anche tra coppie progressiste) divendoci tra le lettere alla Aspesi per quelli di sinistra e le trasmissioni della De Filippi per gli altri?
    La lettera di Veronica è un gesto che non può essere privato anche perchè l’uomo a cui ci si rivolge è un modello pubblico (e il facitore di quel famoso quadro di rappresentazione delle donne)in ogni caso, un padre di fronte ai figli è sempre un uomo pubblico. LA famiglia è un nucleo della società ed è composta da uno o più individui, autonomi. La lettera è un gesto di richiamo a responsabilità etiche.Private, ma comuni, quindi pubbliche.
    LA legge (politica) interviene (pubblicamente) anche nelle violenze sessuali tra marito e moglie. Molti che vi si oppongono hanno sempre detto che quello è un ambito personale di cui la legge non si doveva occupare.
    Vedi, assieme al tuo, io credo che un buon commento sia stato quello di Francesco Merlo su “Repubblica” del giorno dopo. Il quale dice meglio di me di un certo modo di mettere in pubblico il privato/personale.Questione essenziale oggi, in una società in cui il rapporto tra datore di lavoro e lavoratori è considerato privato e si risolve in privato.
    La distinzione della Bonino allora non la capisco, mi sembra un po’ sofistica e scivolosa. Se prendiamo il caso Welby, cosa c’è di più intimo della morte di un uomo? l’impossibilità di condividere qul momento ecc Eppure la considerazione della morte che ha una società è un fatto pubblico che incide nella sfera personale e privata.
    Dicendo così la Bonino magari espirme dubbi, ma secondo me paradossalemnte dà manforte allo schieramento che vuole la donna all’interno di quel quadro.
    la sua battuta sul privato che non è pubblico, fa sì che anche il “personale” sia trascinato in questa sfera che deve rimanere non discussa pubblicamente.
    LA porta a dire un “no, no si discuta” simile a quelli di Riuni quando dice “una legge sui PACS non è necessaria”.
    Nessuno vuole uno stato etico. Nessuno chiede una legge per obbligare i maschi a non essere maschilisti. Ma in questo caso si tratta di una protesta pubblica per richiamare ognuno di noi, a aprtire da me, da te, da lui, ad un comportamento eticamente più giusto, di rispetto per la persona e per la donna ecc. Quella di Veronica (se mi è permesso il paragone) è un tentativo di una specie di “lettera luterana”.

  15. roba da chiodi!
    “veronica lario mi/ci richiama ad un comportamento più etico”?!
    roba da chiodi!
    veronica è la moglie di un uno squallido uomo di potere, nessuna l’ha costretta a condividere ventisette anni con un simile individuo.
    siamo al paradosso e ci definiamo di sinistra.
    sono senza speranza!
    baci
    la funambola

  16. roba da chiodi!
    “veronica lario mi/ci richiama ad un comportamento più etico”?!
    roba da chiodi!
    veronica è la moglie di un uno squallido uomo di potere, nessuna l’ha costretta a condividere ventisette anni con un simile individuo.
    siamo al paradosso e ci definiamo di sinistra.
    sono senza speranza!
    baci
    la funambola

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